10.31.2011

 

Mandiamoci a fare in culo


Ogni tanto bisogna fermarsi perché bisogna contarsi. Siamo in tanti a voler fare la rivoluzione, con le armi o senza, nudi o vestiti, in piazza o a palazzo, su Facebook o su Youtube. Da ieri a oggi altri due compagni si sono aggiunti: Enzo Iacchetti e Fabri Fibra, uno con un filmato e uno con un libro. E che importa se il primo è a libro paga del tizio monopolista dell’editoria e del consiglio e l’altro … già, l’altro, chi è?

Ogni tanto bisogna fermarsi, contarsi e comprendere come mai, tutti i nuovi rivoluzionari alla fine sembrino uscire dai libri paga di berlusconi; Matteo Renzi compreso. Sì, perché a sentirlo, il rottamatore un poco imbecille, sembra proprio uno uscito da uno dei master per diventare dirigenti di partito. Uno di quelli che illo tempore, ricevette il kit del perfetto berlusconoide con tanto di cravatta regimental, giacchetta blu e lo slogan adatto all’occasione.

Dicono che ci sarebbe bisogno di idee per riappropriarci del nostro futuro, e fare un filmato col quale si mandano a fare in culo questo o quello, sembra oggi l’idea vincente, la goccia nel mare, la speranza che le cose possano cambiare davvero.

L’idea che mi sono fatta io è che nessuno voglia davvero lavorare per uscire dalla situazione di stallo nella quale ci troviamo, e le dichiarazioni illuminate dei ministri di questo governo mi danno ragione. Nessuna persona sana di mente, vorrebbe correre davvero il rischio di dover governare il ritorno in porto di questa nave ormai affondata e inclinata su un fianco, dentro il mare.

L’unica cosa da fare è quella che stanno facendo: sparigliare le carte. Offrire diversivi capaci di creare nulla per confondere il niente.

Ci conserveremo nel malaffare dal quale siamo governati fino ad esaurimento, perché l’Italia – lo sappiamo – non è un paese normale. Non potremo diventare tutti islandesi, perché in Italia il governo non si dimette, ma anzi di crisi in crisi (quelle morali) l’impunità segue il flusso dell’inflazione monetaria, e per pagare impunità si assoldano altri impuniti da far ministri o sottosegretari. Lo stato s’indebita (noi moriamo si fame) e lo stato paga i debiti del suo ladro più alto in grado.

Si aggirano le leggi con codicilli e decreti all’interno di altre leggi, e si uccidono i diritti dei cittadini, e per farli stare buoni non vi è altra via che quella di farli incattivire, fino allo scontro reale, fino alla possibilità, per la malavita di governo di poter essere finalmente liberi di spararci addosso: perché il rischio è il terrorismo, e lo dice un ministro. Quello stesso che ha avuto modo di dichiarare che bisogna licenziare per assumere, evirarsi per copulare.

La soluzione ci sarebbe, così semplice e banale da far sorridere, tornare alle regole del buon senso socialista, con una regola prima: creare lavoro. Il resto nemmeno si deve dire perché verrebbe da sé, lavorare per tornare alla vita. Ma questa non è certo un’idea nuova, o giovane, non ha un nome che si possa abbinare bene a una canzone di Jovanotti e nemmeno di Ivano Fossati. È semplice buon senso quello che una volta, per avercelo, bisognava essere di sinistra.

Ma io son fuori tempo, non sono né giovane né vecchia, nemmeno di mezza età. Mi verrebbe da salutare ancora con “A pugno chiuso” ma non va di moda: ora per salutare i rivoluzionari dovrei adeguarmi anche io: Vaffanculo!

Rita Pani (APOLIDE)

10.27.2011

 

Democrazia e cadaveri


10.26.2011

 

Il miracolo è compiuto


Ci sono voluti vent’anni per vedere realizzarsi il sogno italiano, quello nato patinato di fronte alle telecamere che ai sogni avevano preparato la popolazione, con pazienza e spirito di abnegazione. Anni e anni di tette e culi per paralizzare i neuroni, di prosciutti “firmati” in mezzo ai quiz che regalavano i soldi. Il sogno di arrivare, senza che a nessuno fosse chiara la meta, ma con la certezza di non dover faticare.

Una lunga e certosina erosione della volontà popolare, intesa proprio come coscienza e buon senso. Ore e ore di televisione a inebetire, a preparare il terreno per l’affondo del più grande ladro di cui la storia avrà tanto da raccontare, se i maya non ci avranno azzeccato, e se qualcuno sopravvivrà a questa ecatombe.

Vent’anni appena per portarci nel terzo mondo, col cemento, con le mafie e le eco mafie, col malaffare e la corruzione, con la piratesca politica di un grumo di potere massone e criminale. Vent’anni per trasformare il linguaggio, le menti, per uccidere la democrazia, per privarci dei diritti, per ucciderci di doveri, per instaurare la disparità sociale che garantisce la vita a pochi eletti, speculando sulla morte dei disgraziati.

L’Italia del miracolo è finalmente visibile agli occhi di tutti, con la pioggia che ci fa sembrare Pakistan, tra fango e morti, con una sanità che ci fa sembrare Africa, con la povertà che ci trasporta in India, con la spazzatura che galleggia a Roma, con i monumenti che franano, con le strade che hanno più buche di quelle albanesi.

La filosofia della “casa della libertà”, dell’essere padroni in casa propria, la politica del fare, della modernità  e dello svecchiamento di un paese da ringiovanire, venivano regalate da un vecchio maiale ringiovanito contro natura. Ma non era un regalo; si firmavano cambiali per il futuro.

Pagavano i settentrionali, perdendo la loro identità per rivendicarne un’altra, quella padana, che di fatto li ha impoveriti e resi succubi di un grumo idiota e ignorante che hanno smantellato la storia di rivalsa che ebbero dopo la povertà inflitta da un altro catastrofico ventennio. Ha pagato – e sta pagando – Roma, che ha affidato il suo patrimonio culturale a un ex fascista rozzo e ignorante, e a un governo di ripuliti che non vedevano l’ora di porre le mani sui danari, e vestire il potere che non avrebbero mai sognato di poter detenere. Paga il sud, che almeno ci è abituato ad essere italiano solo quando serve esser modello negativo da schifare, o esempio di tutto quello che non è da sognare.

Poi noi la televisione l’abbiamo spenta e abbiamo ripreso a pensare. Ma non ci stanno a che noi si possa smettere di sognare, e così sul Corriere oggi c’è un sondaggio: vogliono sapere cosa ne pensiamo noi della legge, che rivede l’eredità di chi possiede un’azienda. Siamo favorevoli o contrari al testamento?

Ho scritto anche io una lettera stamattina: ci ho scritto che sono favorevole, e che farò testamento. Sperando di schiattare dopo di quel massone mafioso, lascerò anche io tutto ai suoi figli, che alle mie, io, ci tengo sul serio. Alle mie bambine lascerò solo una preghiera: state lontane da questo paese di merda, non tornateci più nemmeno in vacanza. Siate capaci di sognare davvero di essere parte integrante di una società civile. Ovunque essa sia.

Rita Pani (APOLIDE)
  

10.24.2011

 

La sai l'ultima?


Sì, è proprio come mi ha detto Antonio Allegri ieri sera: “La sapete l’ultima? C’era un francese, una tedesca … e poi un italiano.”

La barzelletta detta così non fa ridere, ma l’italiano, quello sì, ha fatto ridere molto; un’intera sala stampa. No, che avete capito? Certo non lui in quanto tale, dato che appena qualche giorno fa rassicurava sul fatto che, grazie alla sua autorevolezza, sarebbe durato altri 5 anni. Siamo noi, la barzelletta che ha fatto ridere il francese e la tedesca, almeno da quello che ha detto stamani, in televisione un affiliato alla cosca del governo: “L’Italia perde credibilità perché gli italiani di sinistra ne parlano male.” Non fa una grinza.

Ridiamo: Ah! Ah! Ah! Ridiamo tutti i giorni, e sì, sono colpevole perché rido anche io. Come non farlo? Come non esorcizzare la fine che sentiamo morderci il collo? L’altro giorno, quel cazzo buffo – che tizio mi sembra ormai troppo riguardoso e formale, per essere degnamente rappresentativo della realtà – ha detto che non c’era urgenza per un decreto aggiuntivo, per l’ennesimo tentativo di dimostrare all’Europa di avere almeno un salvadanaio mezzo pieno. Ieri invece l’urgenza gliel’ha data la risata che ha sepolto per sempre la dignità di un popolo.

Oggi è urgente, quindi: “bisogna andare in pensione a 67 anni e ne parlerò con bossi.” Torna il “ghepensimismo” quella formula di onnipotenza propagandistica dello psicotico del consiglio. L’ennesima barzelletta che ci farà ridere solo il tempo di comprendere che stiamo messi peggio della Grecia e dell’Argentina che fu. Perché se pure non lo dicono, è così che siamo ridotti, ma per fortuna siamo italiani e ci salva la fantasia.

No, non è una cazzata. Essere italiani ci salverà. Noi siamo il popolo dello chef che si è inventato il gourmet della crisi: cucinare e mangiare le bucce delle verdure, in salsa tartara o salsa rosa. Siamo il popolo che fa convegni organizzati dalle Università sulle “erbette di campo” che tornano di moda, col piacere di andare a cercarsele in campagna. Avremo domani gli stilisti che non si limiteranno più a inventare le scarpe con le suole bucherellate, ma proprio le scarpe sfondate con i buchi sotto le suole e i lacci spezzati e tenuti insieme da un nodo. Saremo fighissimi quando compreremo le auto dagli sfasciacarrozze perché torneranno in auge le auto d’epoca, le vecchie Uno o le Tipo, quelle che nonno tiene in cortile per farci dormire le galline.

Poi siamo il popolo della barzelletta paradossale, quella che a pensarci bene davvero non fa ridere: siamo l’Italia dei deputati e dei senatori che si prendono la pensione dopo due giorni di “lavoro”, che son pagati profumatamente per far un cazzo da mane a sera, o peggio, sono pagati per rubare. Siamo l’Italia della RAI che non sa come pagare gli stipendi, ma che continua a contrattualizzare troiette riciclate per milioni di euro, e minzolini, e giornaliste (?) fantasiose che fan sperare un giorno di poter avere la Ferrari che salva l’acconciatura, proprio ora che non possiamo andare dal parrucchiere, sempre che non sia cinese.

Basta perché sennò potrei esagerare ed iniziare a raccontare l’altra barzelletta tutta italiana, di un cazzo buffo, di uno stalliere e del suo maggiordomo che aveva un cellulare con scheda panamense, e di un certo lavitola, che in realtà poi si scoprì essere Stanislao Moulinsky in uno dei suoi più riusciti travestimenti.

Rita Pani (APOLIDE)

10.22.2011

 

E' normale che non sia normale


La favola ce la possiamo raccontare tutta, e anche la fine, con tutti che vissero felici e contenti, o che si svegliarono in un paese normale. La favola ce la raccontiamo ogni volta che diciamo “scilipoti chi?” o anche ogni volta che proviamo a fingere che non sia importante che gli scilipoti, semplicemente, esistano.

La realtà è che scilipoti esiste, è un deputato che finge di essere psicopatico, che è stato pagato per fare il cretino – e gli viene benissimo – che ha fondato un partito da fare invidia a Cetto Laqualunque, fregiandosi persino del titolo di “responsabile”. Non importa che sia un attore, un servo e un lacchè, un utile idiota. Ricopre il suo ruolo benissimo, in quanto, altrettanto bene è pagato.

Le favole finiscono sempre bene, col cattivo che muore, o svanisce o si redime, e noi abbiamo bisogno di credere che sarà così, che anche la nostra vita è una favola triste, come son tristi tutte le favole di giovani ragazze più povere di “un gatto al Colosseo” o bambine mangiate dai lupi, e che finiremo tutte spose di principi o estratte vive dal ventre dell’animale.

Però c’è la realtà che non possiamo negare più, privandoci forse del gusto beota della risata – difficile da trattenere.

Bisognerebbe iniziare a spezzare il filo della normalizzazione in atto da troppo tempo. Leggevo i giornali stamattina, e l’articolo dedicato alle dichiarazioni psicopatiche del criminale di governo, ospite dello show (sic!) di scilipoti, mi hanno fatto rabbrividire. Non per i contenuti, appunto quelli di un criminale ormai vittima di se stesso e della sua malattia mentale, ma per lo stile asettico col quale essi erano scritti. Come fosse normale attendere gli ultimi colpi di demolizione dello stato di diritto, della democrazia, e delle nostre esistenze, con la speranza che questi non arrivino mai. Quella speranza da favola.

L’errore sta là, perché a furia di normalizzare, attendendo la fine del “tutti vissero felici e contenti” siamo arrivati proprio fino a qua, con le leggi razziste, con la promessa di “liberare la polizia dai pm” –[cito] ed ogni poliziotto non dovrà avere paura di sparare perché nessun giudice lo potrà inquisire –con lavitola che oggi sembra essere il padrone dello stato, con i mafiosi che dettano gli emendamenti di legge via fax, con gli operai ai quali è stato tolto prima il lavoro e poi il diritto di pretenderlo, con i direttori dei telegiornali che sono pagati per normalizzare ancora, e che ancora rubano così come fa chiunque venga autorizzato assurgendo a un minimo posto di potere.

No, non è normale che ci sia scilipoti, in Italia. Non dico che non abbia diritto di esistere come chiunque, ma dovrebbe farlo nel suo ambito naturale, sia esso un’industria come quella di Vanna Marchi o un circo come quello di Moira Orfei, e non nel Parlamento dello Stato Italiano. Così come dell’utri avrebbe diritto di stare in un film di Puzo o in galera, come Lavitola nella Banda della Magliana o nascosto nel covo di una banda di malviventi. E il resto degli esempi metteteceli voi.

Non è normale il fatto che ci sembri ormai normale, quello che normale non sarà mai.

Rita Pani (APOLIDE)


10.21.2011

 

Indignados o incazzados



Rita Pani (APOLIDE)

10.20.2011

 

Guarda il corpo di Gheddafi e poi, magari godi


Pensavo d’aver finito per oggi, di poter andare a guardare mestamente dentro il frigo, cercando qualcosa da prepararmi per cena, e invece sono ancora qua, perché dal mondo arrivano ancora notizie:
Gheddafi ucciso. Ecco il corpo: guarda (Il link del titolo del Corriere è disattivato per mia scelta)

Già. Guarda il vilipendio del cadavere, quelle immagini che vanno il loop, come è giusto che sia – scrive qualcuno – quando muore un dittatore. La guerra è finita! Esultiamo? Ma anche no, visto che è una guerra che non doveva nemmeno incominciare – come tutte le guerre – e soprattutto perché tutti più o meno sappiamo che il popolo libico ha ucciso un dittatore per averne un altro, forse più presentabile, che farà finta di favorire la democrazia per garantire all’America per prima il grosso del petrolio e agli altri qualche goccia in più.

Anche all’Italia, nonostante quel tizio che nei primi giorni della “crisi” libica disse: “Non chiamerò Gheddafi, non lo voglio disturbare.” Ma era stato dopo aver importato il bunga bunga, partecipato al carosello dei cavalli, donato un esercito di troie all’amico che le pagò 70 euro, e soprattutto dopo avergli baciato l’anello in segno di sottomissione ed eterna gratitudine.

No, non possiamo esimerci dall’assistere alla morte di un dittatore. Sono immagini raccapriccianti ma che potrebbero anche dare speranza, perché se è vero che è lecito, se è vero che solo così può finire, ammazzato come nemmeno più un cane rabbioso si ammazza, allora forse … si potrebbe almeno sognare.
Se ancora non lo avete fatto, vi invito pertanto a non leggere le dichiarazioni di questa sorta di ipocriti bastardi che abbiamo al governo, perché nessun giornale riporta in cima l’avviso: “Le dichiarazioni che seguono potrebbero urtare la vostra sensibilità.” E le urtano eccome, almeno la mia.

Sì va dal maestro di sci a quel sacco di merda abbondante di borghezio, che alla fine cita anche Allah! (sic!) E sarebbe edificante per loro – tutti loro – se qualcuno ora facesse la figura dell’avvoltoio che gira sopra i cadaveri del popolo libico massacrato, o morto in mare e persino su quello di Gheddafi vilipeso, ma sono italiani e la figura che fanno è quella della mosca che gira sopra una merda.

Ecco il corpo: guarda!
Perché è così che funziona ormai, saperla la morte non basta, bisogna guardarla da vicino e a colori, che tanto l’odore a noi non giungerà.

Rita Pani (APOLIDE) 

 

Scusate, ma mi devo togliere un blocchetto forato dalla scarpa


In piena crisi, tra manovre lacrime e sangue e in attesa del decreto sviluppo, lo Stato restituisce soldi ai membri del governo. (Il fatto quotidiano)
Quindi, compagni, che mi avete accusato addirittura di “tradimento” per non aver supportato la rivoluzione ultima scorsa, andate a cagare.

Se spacco la vetrina di una Banca la pagherà l’assicurazione. Se incendio un’auto di lusso, per altro con targa sanmarinese, verrà risarcita dall’assicurazione. E davvero non sento di dover chiedere scusa, se non trovo l’utilità di spaccare una madonnina di gesso. Se fosse stato utile, per come la vedo io, avreste dovuto spaccare anche qualche nano da giardino, o un leone in cima ad un cancello.

Dunque per non tradire la causa, cosa dovrei fare? Chiedere scusa a Er Pelliccia? Non salvaguardare la mia integrità mentale ironizzando sull’ultima barzelletta italiota? Non ridere perché tutti ridono? Ma noi facciamo ridere!

Intanto le cose scorrono, mentre tra comunisti – gente seria – si dibatte se sia il caso di essere pro o contro i black bloc fingendo di ignorare che in un gruppo di 1000, 100 sono sinistrorsi stupidi e rincretiniti dalla propaganda, 400 tifosi di calcio assoldati dal regime, e gli altri misti tra fascisti di Casapound e sbirri. Ah! Già, c’è anche la madre col cappuccio che si lascia intervistare come faceva un tempo Maurizio Costanzo, quando voleva vendere un po’ di relax, raccontando i casi umani.

Le cose scorrono, proprio come l’acqua del nubifragio di Roma, che piove e il governo è ladro, e si è mangiato anche le fogne, l’asfalto, i canali di scolo. Il regime vince e la FIOM non manifesta, e gli operai della FIAT – affamati da Marchionne – dovranno tassarsi per restare rinchiusi su una piazza come in una gabbia. Chissà! Magari è stata la statuetta della Madonna spaccata a terra a fare il miracolo, a rendere facile a questo regime malavitoso, levarci un pezzetto di diritto in più.

Ma davvero – la sinistra (che voi di comunista avete solo un’app. craccata su l’I-Phone) non aveva capito che era intento di questo governo, portare lo scontro sociale, dare l’illusione che si fosse sull’orlo della guerra civile?

E mentre l’acqua di Roma si porta via anche qualche vita umana, noi siamo costretti ancora a leggere le notizie su Er Pelliccia, sui suoi studi, sui suoi precedenti penali – che drogato doveva esserlo per forza sennò non era abbastanza cattivo e comunista – e dobbiamo sorbirci ancora tonnellate di propaganda e silenzio.
Il silenzio che cala sulla tristezza di un paese governato da un malato mentale in mano a un lavitola qualunque, che lo intossicava di figa mentre spolpava le casse dello stato. Che lo accompagnava nei viaggi istituzionali – lo accompagnava o lo teneva d’occhio? – dove si facevano affari per milioni e milioni, in nome e per conto di chi, non è dato a sapersi. In silenzio ci si riduce l’ossigeno ogni giorno di più, e mentre la banca ha la vetrina spaccata, le loro casse si rimpinguano e i loro danari – immagino – saranno al sicuro lontano da qui.

Ora chiunque creda davvero che sabato in Italia, siano state fatte le prove per la rivoluzione, davvero, se ne vada a cagare ma lontano da me.

C’è solo una piazza da occupare, in silenzio e ad oltranza, quando i criminali stan dentro al Palazzo. Si dovrebbe star là, ed aprire un varco solo quando se ne andranno dimissionari, per non tornare mai più.

Ultim’ora … si prospetta un nuovo governo: il governo schifani. Baciamo le mani.

Rita Pani (APOLIDE)

10.19.2011

 

Cercando l'alternativa


Viola, verdi, arancioni. Grillini, senonoraquandisti, donne dignitose, donne dignitose ma anche orgogliose, madri, madri coraggiose, lavoratori, lavoratori precari, giovani lavoratori precari, quasi giovani lavoratori precari, giovani disoccupati, disoccupati storici, invalidi, diversamente abili, diversamente abili orgogliosamente handicappati, studenti, giovani studenti, studenti organizzati, studenti democratici, studenti cattolici, studenti comunisti.

Poi noi comunisti, siamo i migliori in assoluto. Noi ci frazioniamo anche da soli. Dopo Vendola abbiamo avuto anche i non più comunisti di sinistra e libertà, quasi come se fosse da specificare l’essere libertari per uno che è di sinistra. E così mi sovviene la categoria dei gay, con tutti i sottoinsiemi del caso. Gay, lesbiche, lesbiche democratiche, organizzate, giovani, senonoraquandiste, intellettuali, cattoliche.

Ho dovuto fare questa lunga lista perché cercavo un’alternativa. Trovare un’alternativa oggi, non è compito facile, eppure è l’unica cosa che tutti, senza nemmeno accorgerci facciamo quotidianamente, anche quando cerchiamo l’alternativa alla bistecca, l’alternativa alle sigarette che abbiamo fumato fino all’altro ieri, l’alternativa all’acqua che compravamo in bottiglia, l’alternativa alle mutande che reggevano per cinque lavaggi e non ti si disintegravano addosso appena indossate, appunto come quelle acquistate – in alternativa – per soli un euro e cinquanta.

Non la trovo l’alternativa, nonostante tutte quelle proposte. Non so come pormi. Sono rossa, donna, dignitosa, orgogliosa, madre, lavoratrice molto precaria, né giovane né vecchia, comunista – ma senza se e senza ma – disorganizzata, intellettuale, eterosessuale, atea, con le mutande da un euro e cinquanta.
Rientro in molte delle categorie, ma non ce n’è nessuna che mi rappresenti in toto, allora che fare? Creare un’altra alternativa alle alternative.

E però no. Non si può fare, perché facendolo si diventerebbe automaticamente berlusconiani. È stato lui, infatti, che ha fatto credere che l’alternativa unica contro il marciume della politica, fosse il marciume malavitoso dell’antipolitica, con i partiti politici che rivendicano la loro apoliticità, che non si chiamano partiti ma movimenti, e che fanno politica rifuggendo la politica.

Quindi? Me ne resto comunista, a ripensare alle parole di quel tizio che dice: “Resto perché non c’è alternativa a me.” Forse persino spero che tutte le categorie elencate, comprese quelle che ho dimenticato, riescano a riunirsi domani sotto un ombrello più grande: quello che dovrà coprire la testa di tutti i cittadini. L’alternativa reale.

Rita Pani (APOLIDE)


10.17.2011

 

Articolo 270 bis ... sull'eversione


Guardai il mio avviso di garanzia, non so come me ne immaginavo uno, ma era solo un foglio di carta, uno di quelli scritti un po’ male, con in cima l’avviso, appunto, della conclusione delle indagini su un fatto del quale lessi qualcosa sui giornali della Sardegna.

A differenza dei vari minzolini o dei criminali comuni che abbiamo al governo, se qualcuno mi avesse intervistato, all’epoca, io non avrei mai potuto dichiararmi “tranquilla!” Non so, forse per i retaggi dell’educazione che fortunatamente ho ricevuto, che non mi permisero di sorridere serena. L’unica cosa che mi era chiara di quel foglio di carta era la citazione di una mia frase virgolettata e l’articolo il 270 bis. Poi mi spiegò, un amico che ne sapeva, che voleva dire che ero indagata per eversione.

Sempre a lui spiegai che la frase era stata estrapolata da un carteggio avuto con Compagni, i quali mi chiedevano un’opinione su un fatto specifico. Scrissi pressappoco che per me, il mandante di uno dei tanti falsi attentati di quel periodo, era stato l’allora ministro Pisanu, oggi ripulitosi e tornato ad essere un probo uomo della vecchia DC, che bene ha tollerato mille nefandezze, ma che mal sopporta l’utilizzazione finale di giovani vagine.

La cosa si concluse da sé. Anche i più fantasiosi investigatori dovettero ammettere la mia estraneità ai fatti di cui – forse per vergogna – non si parlò più, tanto era palese la farsa, quasi più di quella che tutti ricordiamo del duomo volante, e del povero Tartaglia. Tuttavia, io me li ricordo quei giorni smarriti, a chiedermi cosa avrebbe potuto accadermi non avendo un paio di legali a mio servizio, né l’opportunità di rendermi una legge più uguale, a mia immagine e somiglianza. Mi ricordo anche lo sgomento per aver letto le parole che in assoluta buona fede avevo spedito ad un amico, al quale sempre per lo stesso reato sequestrarono il computer.

Oggi, tutti noi che abbiamo accesso alla Rete, abbiamo potuto sentire le parole del presidente del consiglio di questa repubblica che indagò me per eversione, parlare con un “faccendiere”(ma che cazzo fa un faccendiere?) – che per altro ha una faccia da cretino integrale – di FAR FUORI IL PALAZZO DI GIUSTIZIA DI MILANO o peggio, di portare in piazza un milione di persone per fare la Rivoluzione. Il presidente del consiglio, il primo ministro, il governo, l’istituzione, colui che ha il compito di guidare chi legifera in nome e per conto nostro, dello stato, non Rita Pani il residuato bellico rimasto comunista nel post comunismo, al telefono dimostra di avere intenti eversivi.

Eh sì, ma il tempismo in questo stato di merda è tutto. Infatti siamo a due giorni dall’assalto dei “violenti”, quelli che hanno tolto visibilità e lustro agli indignados, che a dirlo in italiano forse faceva ridere un po’ o non era credibile. Siamo a due giorni dalla commozione di Alemanno sui luoghi della guerriglia, e forse era commozione da nostalgia, rimembrando i tempi in cui era lui a tirare i sanpietrini e sprangare le teste dei compagni. Siamo a due giorni di distanza, forse, dalle prove generali dell’eversione di stato, che prende forma e si avvera, come la trama di un film che diventa realtà.

Siamo qua nel nostro mondo al contrario, in cui il premier farà la rivoluzione contro sé stesso. E allora speriamo almeno che dopo, spinto dal suo delirio di onnipotenza massonica e deviata, si vada ad appendere autonomamente a testa in giù a Piazzale Loreto. Ci risparmierebbe sia la fatica che l’avviso di garanzia.

Rita Pani (APOLIDE)

10.15.2011

 

Scazzi e sticazzi


10.14.2011

 

Alla fiera dell'est ... papy si è comprato le vacche


Alla fiera dell’est, per molti soldi, le vacche papy comprò.
E venne scilipoti che fece finta di non votare, il governo che papy comprò.
E vennero i radicali, che ripresero a mangiare, dal piatto di papy che pannella sputò.

Potrei anche continuare la liturgica canzoncina, parafrasando quella bella di Branduardi, ma non ho più voglia né di ridere, né di piangere. Voglio star qua ad osservare questo paese ormai privo di qualunque tipo di dignità. Voglio attendere domani, quando la stampa cercherà di nascondere le proteste, quando i protestanti saranno felici di aver partecipato alla festa che li vedrà numerosi, quando qualcuno tenterà di mettere il cappello sull’iniziativa, ed altri ancora ci sputeranno sopra per non ammettere di non essere stati capaci di fiutare l’affare.

Voglio solo ribadire il concetto: non è più tempo di feste di piazza, non è più tempo di subire, non è più tempo del lamento. È il tempo di fare sul serio, di scavalcare le barricate che questa banda di mafiosi ha erto intorno alla democrazia e alla civiltà, e riprenderci il maltolto, non con movimenti pacifico/buonisti, non con allegre piazzate colorate, non con la fantasia del mondo migliore che si possa creare dall’oggi al domani solo col romanticismo di un pensiero per bene.

Oggi l’Italia ha assistito al vilipendio del suo stesso cadavere. So che potrei scrivere in maniera più moderata, ma come si può restare sereni leggendo i titoli dei giornali? “Il governo regge”. “Il governo resiste”. Quale governo? C’è qualcuno che ricorda – anche con parole sue – il significato e il significante della parola “Governo”? C’è un giornalista serio che stracciatesi le mutande di ferro, ha il coraggio di spiegare a chiare lettere e senza alcuna metafora, né calcistica né sintomatica, quello che è accaduto e che accadrà?

Regge. Resiste. Ma andate a cagare.

Una cupola malavitosa che si è impossessata di una nazione, dopo aver portato avanti una campagna di corruzione è riuscita ad avere l’appoggio di un altro folto gruppo di malavitosi e piccola manovalanza criminale, per garantirsi di concludere l’opera di delegittimazione della magistratura, mediante due nuove ignobili leggi che avrebbero potuto inguaiare il capo della cupola, qualora avesse perso la protezione già garantita da precedenti devastanti leggi che di fatto annullano la possibilità di azione del sistema giudiziario italiano.

Non regge e non resiste: delinque. Questo è tutto il governo che c’è.

Ben venga la piazza domani, ma non lasciatevi massacrare. Non ne vale la pena. Ricordate che non state protestando contro un governo, ma contro la malavita. Una cosca potente che ha un esercito, e gente armata ed addestrata per colpire. Ricordatevi che dopodomani non succederà nulla. Nessuno si dimetterà, nemmeno se qualcuno di voi dovesse morire. Ricordatevi che la stampa non vi appoggerà, che la gran parte dei cittadini italioti, nel chiuso delle proprie case vi vedrà come terroristi o peggio comunisti. Ricordatevi soprattutto che non ha senso, se non quello che ognuno dei partecipanti riuscirà a trovare dentro sé stesso.

La protesta ha senso in uno stato di diritto e democratico. In Italia avrebbe senso solo la Rivoluzione o peggio, una guerra di liberazione.

Rita Pani (APOLIDE)


10.12.2011

 

800 vite umane


Ero stata brava a non lasciar lacrime sulla sua camicia, e così me ne stavo sul treno, in viaggio verso la Puglia. Uno di quei viaggi lunghi, che non finiscono mai, e che mi piaceva fare per mettere una distanza tra me e i pensieri. Poi avevo il mare fuori dal finestrino che avrebbe potuto tenermi compagnia.
Invece il capotreno, subito dopo aver controllato il biglietto, finisce il giro e torna da me. Mi ha sorriso prima di dirmi a bruciapelo: “Hanno mandato 800 lettere di licenziamento. 800 ragazzi da dicembre saranno a casa. E non se ne può più.”

Avrei voluto rispondergli qualcosa, a proposito delle lacrime che forse in silenzio avrebbero avuto la libertà di scendere, o del mare e della costa, che non si capiva bene se in quella Calabria che non avevo mai visto, fossero selvagge o solo abbandonate. Avrei potuto tacere la risposta, notando la somiglianza del nulla e del deserto di quella terra che ho trovato simile alla mia. Invece ho sollevato gli occhiali da sole e l’ho guardato, senza negare un certo divertimento, quello che mi resta quando anziché dirmi prima ciao, chiunque si senta in dovere di raccontarmi l’ultima tragedia. Come fosse anche cosa mia.

E allora il capo mi racconta della volontà di gettare il sud sempre più al sud. Del lento omicidio che è in atto,  che io so piano sarà una strage. Del bene e del male di questa terra che è più Italia di tutto il resto d’Italia. Della fatica e dell’orgoglio col quale fino ad ora si era rimasto in piedi, e che giorno dopo giorno si affievolisce e crepa. 800 lettere di licenziamento per 800 vite che dovranno arrangiarsi, e con cosa in questa terra di nulla? “Poi dicono che non riescono a debellare la mafia.” Ha finito lui, prima di salutarmi, rinfrancato dalle mie teorie oltre che da quella solidarietà che mantengo, essendo anche io del profondo sud, quello che è quasi Africa, per il clima e per lo sfruttamento, per la bellezza e la fame.

Poi s’è fatto buio, e il mare non si vedeva più. Il ragazzo che avevo seduto di fronte mi offre un biscotto al cioccolato: “Io vado a Taranto perché devo fare le visite, per fermarmi ancora. Io sono in marina.” È così giovane che mi pare strano sia un marinaio. Ha ancora i brufoli che fanno timidezza. Ringrazio per il biscotto e mi dice che il concorso è truccato, perché per passarlo ci vogliono le conoscenze e lui non ne ha: “Però rispetto ai miei coetanei sono fortunato, perché almeno io un lavoro ce l’ho. Sempre che ora mi fermino ancora.” E se pure la cosa non mi è chiara, non ho la forza di farmi spiegare se per caso anche nelle forze armate siano presenti i precari. Non lo voglio sapere, mi dico, non è proprio necessario sapere tutto, e a volte è sana anche un poco di beata ignoranza.

Quando s’è fatta sera, qua a Taranto accendiamo una TV. Non si sa se è caduto, se cadrà, o se Dio voglia morirà. No, non è caduto il governo che non c’è. No, non ci sono i numeri e scilipoti alza il prezzo del ricatto: il mio voto per la certezza di un prossimo seggio sicuro, magari il nuovo ministero per l’agopuntura e il massaggio shiatsu. Domani ci sarà la verifica di governo, i numeri si trovano per responsabilità. Pare che non si possa far cadere un governo in questo tempo di crisi, in cui 800 vite umane rischiano di morire; il tempo in cui un ragazzo vuole fermarsi in marina.
E da destra gli italioti fanno notare: potrebbe tornare Prodi il comunista e riempirci di tasse…

Guardavo fuori dal finestrino l’Italia più Italia che c’è. Di deserto  nulla, di vuoto e di abbandono, di un mare che forse è selvaggio solo perché è abbandonato, o impraticabile per il veleno che nasconde e che nessuno saprà mai. L’Italia in cui 800 vite vengon dopo quella del re.

La prossima volta bagnerò la sua camicia di lacrime, le uniche che abbia senso versare.

Rita Pani (APOLIDE)




10.10.2011

 

Vorrei parlare di politica


Vorrei scrivere di politica: è tornato l’inverno, senza nemmeno un minimo di preavviso. È arrivato così, con un fulmine a ciel sereno, un po’ di pioggia, tanto vento e l’aria fredda che arriva dal mare. Non ci sono più le mezze stagioni, signora mia. Il clima si sta ribellando, e forse – chi lo sa – la colpa è dell’uomo. Si potesse fare una manifestazione a Roma, per chiedere che vengano ripristinati l’autunno e la primavera, io sarei là, in prima fila con la mia bandiera rosse sulle spalle.

Vorrei scrivere di politica, ora che il tizio è tornato in Italia, dopo aver partecipato alla festa di Putin, deciso finalmente a risanare l’economia con una nuova “campagna acquisti”. Sul tavolo delle trattative importanti ruoli nel partito e nel governo. La contrattazione è necessaria per mantenere i numeri della maggioranza che dovrà necessariamente mettere mano alla riforma della giustizia. Nei giorni scorsi, infatti, sembrava quasi che in Italia una vera alternativa si stesse formando. C’era speranza.
Già: il binomio Pisanu-Scajola. Vorrei scrivere di politica, davvero.

Pisanu e Scajola avrebbero davvero potuto sostituire il malavitoso al governo? Sarebbero stati capaci di ricompattare le fila di una destra allo sbando? Ci avrebbero potuto traghettare verso quel risanamento economico senza il quale a breve finiremo per strada a rapinare il primo che passa, del panino che sta per addentare? I giornalisti politici ci speravano: loro sanno scrivere di politica. Beati.

Sentivo l’altra sera Pisanu. La cronista ricordava come avesse fatto carriera nella DC di un tempo; collaborava con Moro e Zaccagnini, diceva. C’era nostalgia nella cronista. Non lo nego, quella era politica e se le cose fossero rimaste così, oggi potrei scrivere di politica. Pisanu non ha il mio rispetto, né la mia stima. Mi ricordo per esempio della sua opera come ministro dell’interno, sotto i vari governi mafiopiduisti del tizio. Mi ricordo di come tentò di manipolare gli esiti delle elezioni vinte da Prodi, mi ricordo le porcate che ad oggi tengono in galera compagni innocenti. Però forse potrei scrivere di politica, dell’alternativa … Scajola, l’alternativa a questo governo. Vorrei parlare di politica.

Ma non sarà certo con l’ironia che verremo fuori dal baratro. La realtà è che c’è davvero bisogno di un’alternativa politica a questo governo di malavitosi e imbecilli. Qualcosa si muove, leggo tra le cronache. C’è un terzo polo che prende forma, e finalmente si plaude a una donna (cito) coraggiosa che si è apertamente schierata contro un ennesimo condono tombale fiscale, che a suo dire avrebbe salvato solo i furbi: è Emma Marcegaglia. E vorrei scrivere di politica.

Vorrei almeno provare, anche perché il 15 Ottobre si tornerà a Roma a protestare. La protesta che porta l’istanza dei cittadini in piazza. Le richieste urgenti, quelle che noi sappiamo non possono più aspettare: il lavoro innanzitutto. Il lavoro per garantire il diritto alla vita.

Il problema però è: a chi si consegneranno queste istanze? 

Rita Pani (APOLIDE)

10.07.2011

 


 

Farsi una Lega


 Rita Pani (APOLIDE)

10.06.2011

 

Imbavagliatelo!


 "Tutto quello che mi è successo dopo l'estate e anche al nostro deputato Papa che è in carcere - aggiunge - E' uno scandalo, e sono anche gentile a definirlo così". "Pensate a me che mi hanno tolto tutti i testimoni della difesa - insiste - Pensate a quello che è successo a Napoli, al deputato Papa che rimane ancora in galera"  "ci sono schegge impazzite [magistrati n.d.r.] che puntano all'eversione" [Lo statista del consiglio]

Poi però pretendono di mettere il bavaglio alla stampa, e lo fanno, con quella loro insolente arroganza, col despotismo miserabile che può avere solo un prevaricatore. Pare abbiano risparmiato noi blogger, ma non per un rigurgito di senso democratico delle cose, ma temo col disprezzo che dà il senso di superiorità. Ci lasciano parlare, perché secondo loro contiamo meno di un nulla, e siamo troppi da monitorare.

I giornalisti che vorranno raccontarci di come gira questo fottuto mondo al contrario, rischieranno la galera, mentre questo tizio, il vero eversore del consiglio, continuerà ugualmente a vilipendere tutte le Istituzioni che lui stesso dovrebbe garantire e rappresentare, anche forte del fatto di essere tra le altre cose, un monopolista dei mezzi di comunicazione di massa – rubati o no a qualcuno.
Noi si resta onesti, e soprattutto si conserva la libertà che ci siamo guadagnati. Tutti quelli come me che hanno sempre chiamato le cose col proprio nome, a dispetto dell’arroganza di un potere che a volte – a me almeno sì – ci ha fatto veramente male.

Il paradosso di tutta questa storia, è che per essere libero, libero non lo è per nulla. Costretto alla strenue difesa sia dei suoi interessi, sia della sua libertà fisica. Lo schiavista è in realtà uno schiavo, ridicolo e miserabile, persino del proprio corpo che non lascia libero di essere quel che vorrebbe nella sua vecchiaia. Schiavo, imprigionato in un silenzio che lo obbliga a far di sé una barzelletta, di questo mondo comunista contro il quale lui nulla può. Schiavo della sua malavita che lo rende ridicolo agli occhi di un mondo intero che lo guarda con divertito sarcasmo, a volte schifandolo.

Inviso ai suoi stessi schiavi, che tramano alle sue spalle o che si prodigano in miserabili arringhe difensive da essere degne dei migliori testi di cabaret.
Parla di scandalo, questo tizio che dello scandalo ha fatto cultura, che con i suoi scandali ha piegato la credibilità di un’intera nazione. Lui, che è lo scandalo fatto persona, forse è l’unico che i suoi accoliti dovrebbero imbavagliare, rendendolo finalmente innocuo e non in grado di nuocere né a se stesso né a tutti noi.

Di fronte a queste illuminate dichiarazioni, divulgate a mezzo di quella stampa da imbavagliare, io mi consolo e so che qualunque cosa io possa scrivere domani, non sarà mai tanto grave quanto quelle dette da lui, e che nessun giudice potrà mai ritenermi colpevole di aver vilipeso un’istituzione, ma semmai di averla sempre difesa non riconoscendola tale fino a quando abusivamente occupata da questo tizio, che è di per se un oltraggio a tutti noi.

Rita Pani (APOLIDE)


10.05.2011

 

Le macerie del lavoro

Si può restare sotto le macerie per un lavoro da 3,95 euro l’ora, o ci si può dare fuoco a 29 anni perché si pensa di non aver più nulla. È la nuova Italia, quella pensata dalla potenza del capitale, dai padroni – a volte paladini del popolo – che dimenticano di ricordare che le scarpe è meglio farle costruire in Bangladesh a 2 euro l’ora e una manciata di riso, per venderle in Italia a 400 euro il paio, quando va bene che ci sono i saldi.

Sono le regole del mercato, quello che sei fortunato quando sei uno schiavo, e se muori porterai alla ribalta lo schifo della schiavitù. È la colpa di tutti noi, che accettiamo di lavorare sottopagati, perché ti devi campare la famiglia, perché un pezzo di pane è meglio che la fame, perché la sopravvivenza, volendo, possiamo camuffarla chiamandola vita.

L’Italia nuova ha imparato tutte le tecniche di sopravvivenza, s’è fatta furba rimandando a domani quel che non ci fa comodo pensare oggi, anche a rimandare le lacrime a quando i morti faranno pena e si potrà rompere la quiete immaginando tutte le tragedie future di un paese, tutto, a rischio crollo.
Non si può dire in Italia che la gente muore di fame, perché non si vede la fame. Se lo dici ti risponderanno che tutti son ben vestiti, che tutti hanno il telefonino, forse due, che tutti mangiano e sono sazi. Come se le donne morte sotto il crollo di Barletta non siano morte di fame. Come se i suicidi (siamo in una media di uno al giorno) non si suicidino per fame. Come se la recrudescenza della TBC non fosse causa della fame. Che fame è povertà.

La fame, beati noi, è cosa negra. Sono bimbi smunti, magri, con le pance gonfie e le mosche sul viso. La fame bianca si chiama barbone, è un’altra cosa spesso da schifare – che rompe i coglioni con il suo odore acre mentre ti tende la mano, nera di sporco e non di negritudine.

Il sindaco di Barletta non vuol sentir parlare di “ispezioni a tappeto” contro il lavoro nero, anche se pare che la ditta sepolta dalle macerie non fosse nemmeno conosciuta all’INPS. Eh già, perché mai conoscere ora la situazione della schiavitù e dell’evasione fiscale totale, e dello scempio dei diritti dei lavoratori, non è meglio rimandare alla prossima tragedia? Che sia un crollo oppure un rogo, non ce li giochiamo tutti in una volta, meglio dosarli in modo che una volta ogni tanto, ci si possa ancora indignare.

Non si usa più nemmeno “sperare che non siano morte invano”, quindi. Forse perché finalmente abbiamo compreso che questo tipo di morte, in un cantiere o per il fuoco in una fabbrica, è sempre un assurdo e inutile omicidio, solo che le sentenze non verranno mai lette in diretta TV. Anzi, forse, proprio non verranno mai pronunciate.

Rita Pani (APOLIDE)

10.04.2011

 

Da donna a donna


Da donna mi auguro che a giudicarmi sia un collegio di donne o per lo meno a maggioranza femminile».
Perché, non si fida degli uomini? 
«Le donne riuscirebbero a capire di più la mia estraneità ai fatti. Le donne hanno una sensibilità diversa».
[ L’onorevole minetti intervistata da Giuseppe Guastella sul Corriere della Sera]

Le donne, quelle vere, ti darebbero l’ergastolo. Le donne, quelle madri che offrono in sacrificio le loro esistenze perché le proprie figlie non siano mai come te, ti sputerebbero in faccia.
Credo che onorevoli donne come te non abbiano nemmeno il diritto di dichiararsi “donne” nell’accezione del termine che noi utilizziamo per segnare un solco perfetto in questa umanità che deve stare rinchiusa nei perimetri tracciati dal becero maschilismo, che generalizza o peggio pregiudica; che ci costringe ancora a lottare per essere riconosciute oltre al tesoro che si pensa noi portiamo tra le gambe.

È la gente brutta come te che rischia di tenerci chiuse in quel recinto, oltre quel solco che i passi vostri scavano e scavano. Le donne dovrebbero essere più sensibili? E perché un uomo – uno vero – non dovrebbe esserlo parimenti? Perché anche il concetto di sensibilità, per gentaglia come te è travisato. La sensibilità non è quella che ti hanno insegnato, a finger lacrime, sorrisi e orgasmi, a fingere di mugolare di piacere per le mani gommose di un vecchio maiale tra le tette, alla ricerca del crocefisso col quale poi benedirà le vostre bellezze artefatte.

La sensibilità degli uomini (genere umano [n.d.r.], meglio specificare per le vostre menti intossicate) è cosa a te ignota. Un collegio giudicante  sensibile, avrebbe a cuore la realtà della vostra decadenza, nella quale siete riusciti a condurre un’intera nazione. Non per diletto, non per ideale, non per ideologia, ma per danaro. La vostra mercificazione ha mostrato al mondo intero il degrado, l’assurdità, l’ignoranza, la grettezza di questo deva-stato paese, incapace di sputarvi in faccia sul serio, di additarvi, di mettervi alla gogna, di utilizzarvi come contro manifesto.

La vostra immagine, la tua col svestito da suora, il crocefisso tra le tette, io e la mia sensibilità di donna, lo affiggeremmo davanti alle chiese la domenica, per ricordare al bigottismo che ci ha reso schiavi dell’incoerenza cattolica, da quale pulpito e da quale palo da lap dance, vengano le prediche che regolamentano la nostra vita.

Fidati sorella minetti, se ti dico che ti andrà di culo l’esser giudicata da soli uomini, magari di quelli da buttare, quelli assai sensibili, sì, alla vista del pelo che per ordinanza dovreste far uscire dalle minigonne inguinali. Il giudizio di un uomo per bene, di una donna qualunque, andrebbe oltre tutto e ti manderebbe a lavorare laddove di insensibilità ce n’è tanta, forse troppa: un lager per vecchi soli e abbandonati, nelle comunità invisibili che aiutano i senza tetto o i rom, tra la povertà assoluta di un mondo che nemmeno sapete che esista.

E sia chiaro, a me che una portatrice sana di vagina sia una zoccola non importa nemmeno un po’: ognuna fa di sé ciò che vuole. Quel che mi importa è che una portatrice sana di vagina, arrivi a poter incidere sull’esistenza delle Donne di una nazione, di un paese, di una città o di una regione, in quanto zoccola.

Rita Pani (APOLIDE mediamente incazzata)

10.03.2011

 

L'importanza di chiamarsi Riina


Il governatore zaia non lo vuole a Padova. Il sindaco di Corleone non lo vuole a casa sua. È comprensibile, lui è il figlio di Totò Riina, il mostro mafioso le cui mani grondano di sangue e acido, di esplosivi e brandelli di morti appesi  agli alberi, schizzati a decine e decine di metri dai luoghi delle esplosioni. È uscito di galera, apprendista mostro, dopo averci passato otto anni, tanti quanti gliene diede un tribunale.

I mostri, si sa, dovrebbero finire sempre come nelle favole, uccisi dagli eroi buoni acclamati dal popolo festante. Mostro il padre, mostro il figlio, mafioso assassino, perché mai perdere tempo per chiedersi che ne sarà del suo futuro o del suo destino? Cosa potrebbe importare a noi, se il mondo lo rifiuta, se nessuno lo vuole, come un lebbroso o un appestato?

La gente è stata chiara: non lo vogliamo come vicino di casa, non lo vogliamo come compagno dei nostri figli all’università, non vogliamo che lavori in Veneto, non lo vogliamo come avventore del nostro stesso bar …
Oggi in diretta TV la sentenza del delitto di Perugia: Amanda e Raffaele sono innocenti? Amanda e il suo futuro dorato: in arrivo un film.

Ieri su canale 5 (leggo)  nuova intervista a Michele Misseri, il mostro di Avetrana, si dice dispiaciuto di non aver lasciato abbastanza tracce sul luogo del delitto. Michele Misseri in TV aveva già mostrato l’altarino che lui stesso ha costruito nel garage, dove è stata uccisa la ragazza, o bambina, a secnda della bontà dell’inviato speciale che indugia sulla faccia del contadino, divorata dal sole e dallo stupore, capace di plasmarsi per il pubblico pagante come un vecchio saltimbanco.

Salvatore Parolisi riceve in carcere le lettere delle innamorate, profferte d’amore per “il bel vedovo”. L’uomo che non sapeva dell’esistenza del divorzio, l’uomo che potrebbe aver ucciso la moglie per un surplus di figa che non riusciva più a gestire. Le cronache lo raccontano “smagrito, ma sempre con i capelli curato.” (cit.) Due o tre volte a settimana vive in televisione, con le immagini – sempre le stesse – della sua disperazione, dei suoi passi a piedi nudi all’uscita della Questura, con il giubbotto e gli occhiali grandi, quelli che fanno figo, che si usano ora per essere uniformi alla massa, per essere parte integrante del mondo circostante.
No, Salvuccio Riina, Riina Junior come lo chiama il sindaco di Corleone, non ha diritti. Se li è giocati tutti per il cognome che porta, per la storia e la tradizione mafiosa che non lascia dubbi nella società civile: la mafia non può pretendere diritti, la mafia deve morire, nessuna pietà per la mafia. Un delinquente siciliano che il Veneto non vuole importare, con molti applausi dei padovani, anche quelli non leghisti, che giustamente non possono avere pietà per  un mafioso.

E però – che tristezza se c’è un però – il ministro Romano in odore, quasi puzza, di mafia ha ricevuto la solidarietà della lega, con quel voto che lo ha lasciato al ministero. E però – gran bel però – per quanto si tenda a citare sempre meno il senatore dell’utri,(che non è certo il parente di cui andar fieri)  è un tale condannato per mafia, che è ancora senatore e che sta sempre là, al suo posto a governare per loro, e non certo per noi.  E ancora però – brutto però – il clan dei casalesi che al governo piazzano un sottosegretario, che si mangiano la Campania, che non governano ma devastano, inquinano, uccidono con le armi e con i veleni.

E gli altri però metteteceli voi, che volendo scavare ce ne sarebbero altri mille da raccontare. Per esempio che se solo non si fosse chiamato Riina, con questa società e questo governo avrebbe avuto assai più fortuna .
Rita Pani (APOLIDE)

10.01.2011

 

Sembra uno sbadiglio


La verità è che non possono più mettere il naso fuori dalle mura, perché ovunque vanno ricevono insulti e fischi – e comunque ancora troppo poco, rispetto a quel che meriterebbero.
L’altro giorno gli edili a matteoli, e poi persino i fascisti – quelli veri – a Salò contro gasparri. La polizia ha fischiato la russa – il quale però ha avuto una spiegazione da dare ai telegiornali: “Chissà, forse non erano nemmeno poliziotti veri!” (sic!)

I leghisti non osano nemmeno presentarsi davanti al popolo dall’elmetto cornuto, e così rimandano kermesse e sacri riti ancestrali legati alle loro rivendicate origini celtiche, a date da destinarsi, magari quando sarà digerita l’ultima porcata mafiosa alla quale non hanno saputo resistere.

Eppure resistono, forse barricati, ma stanno ancora là. Perché poco importa quel che dicono i compagni Marcegaglia e Della Valle, loro – quelli della cupola - hanno un compito e lo devono portare fino in fondo: annientare la magistratura e sovvertire l’assetto giuridico dello stato. I magistrati devono pagare e le leggi bisogna farle, se non altro per spianare la strada al successore del tizio, che non sarà certo né Formigoni, né Al Fano, ma sua figlia Marina, quella che tante soddisfazioni deve aver dato a papà.
L’economia può attendere, come può attendere la sanità, come può attendere la scuola o la cultura, come possiamo aspettare ancora tutti di noi, di sognare che laddove non sia riuscito il padre, a farci tutti ricchi ed evasori fiscali, possa riuscire la figlia.

Sembra strano scrivere queste cose, sembra la noia che prende forma, sembra uno sbadiglio. Eppure è la realtà, quella sovente negata da telegiornali troppo impegnati a farci sapere le notizie da Londra della moglie del deputato cornuta che ruba la gatta all’amante del marito, o la Ferrari che varrebbe la pena comprare solo perché capace di non farci disfare la permanente.

Ora il problema è che Napolitano ha osato offendere il popolo padano che non esiste, e il ministro per la semplificazione (sì calderoli è il ministro per la semplificazione) si dice pronto all’autodeterminazione, sempre restando ministro della Repubblica Italiana, e scoppia il putiferio, si parla addirittura di eversione, ma ovviamente al contrario,perché per il ministro è eversivo non concederla – l’autodeterminazione.

Che poi un ministro razzista abbia decretato che il porto di Lampedusa è un porto non sicuro, quindi impedendo di fatto l’attracco dei mezzi di soccorso che di solito salvano migliaia di vite umane in mezzo al mare, non è una notizia. Non è una notizia che a Palermo qualcuno lucrasse sulla vita dei malati di cancro, negandogli i farmaci per fare cassa. Non è una notizia che i suicidi siano aumentati in maniera impressionante per la vita che appare ogni giorno più impossibile da vivere. Non è nemmeno una notizia che ormai la corruzione si annidi in ogni angolo dello stato, che rischia di vincere il premio superando in classifica la Colombia.

Ma in fondo, se dovessimo scrivere o leggere ancora e ancora di queste realtà negate, la vita ci verrebbe ancora più a noia, e difficilmente riusciremo a comprendere che più che suicidarci, dovremmo iniziare a suicidarne qualcuno, e allora forse, il silenzio che fanno, lo fanno per noi, per il nostro bene.

Rita Pani (APOLIDE)

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