10.31.2011
Mandiamoci a fare in culo
Ogni tanto bisogna fermarsi perché bisogna contarsi. Siamo
in tanti a voler fare la rivoluzione, con le armi o senza, nudi o vestiti, in
piazza o a palazzo, su Facebook o su Youtube. Da ieri a oggi altri due compagni
si sono aggiunti: Enzo Iacchetti e Fabri Fibra, uno con un filmato e uno con un
libro. E che importa se il primo è a libro paga del tizio monopolista dell’editoria
e del consiglio e l’altro … già, l’altro, chi è?
Ogni tanto bisogna fermarsi, contarsi e comprendere come
mai, tutti i nuovi rivoluzionari alla fine sembrino uscire dai libri paga di berlusconi;
Matteo Renzi compreso. Sì, perché a sentirlo, il rottamatore un poco imbecille,
sembra proprio uno uscito da uno dei master per diventare dirigenti di partito.
Uno di quelli che illo tempore, ricevette il kit del perfetto berlusconoide con
tanto di cravatta regimental, giacchetta blu e lo slogan adatto all’occasione.
Dicono che ci sarebbe bisogno di idee per riappropriarci del
nostro futuro, e fare un filmato col quale si mandano a fare in culo questo o
quello, sembra oggi l’idea vincente, la goccia nel mare, la speranza che le
cose possano cambiare davvero.
L’idea che mi sono fatta io è che nessuno voglia davvero
lavorare per uscire dalla situazione di stallo nella quale ci troviamo, e le
dichiarazioni illuminate dei ministri di questo governo mi danno ragione.
Nessuna persona sana di mente, vorrebbe correre davvero il rischio di dover
governare il ritorno in porto di questa nave ormai affondata e inclinata su un
fianco, dentro il mare.
L’unica cosa da fare è quella che stanno facendo:
sparigliare le carte. Offrire diversivi capaci di creare nulla per confondere
il niente.
Ci conserveremo nel malaffare dal quale siamo governati fino
ad esaurimento, perché l’Italia – lo sappiamo – non è un paese normale. Non
potremo diventare tutti islandesi, perché in Italia il governo non si dimette,
ma anzi di crisi in crisi (quelle morali) l’impunità segue il flusso dell’inflazione
monetaria, e per pagare impunità si assoldano altri impuniti da far ministri o
sottosegretari. Lo stato s’indebita (noi moriamo si fame) e lo stato paga i
debiti del suo ladro più alto in grado.
Si aggirano le leggi con codicilli e decreti all’interno di
altre leggi, e si uccidono i diritti dei cittadini, e per farli stare buoni non
vi è altra via che quella di farli incattivire, fino allo scontro reale, fino
alla possibilità, per la malavita di governo di poter essere finalmente liberi
di spararci addosso: perché il rischio è il terrorismo, e lo dice un ministro.
Quello stesso che ha avuto modo di dichiarare che bisogna licenziare per
assumere, evirarsi per copulare.
La soluzione ci sarebbe, così semplice e banale da far
sorridere, tornare alle regole del buon senso socialista, con una regola prima:
creare lavoro. Il resto nemmeno si deve dire perché verrebbe da sé, lavorare
per tornare alla vita. Ma questa non è certo un’idea nuova, o giovane, non ha
un nome che si possa abbinare bene a una canzone di Jovanotti e nemmeno di
Ivano Fossati. È semplice buon senso quello che una volta, per avercelo,
bisognava essere di sinistra.
Ma io son fuori tempo, non sono né giovane né vecchia,
nemmeno di mezza età. Mi verrebbe da salutare ancora con “A pugno chiuso” ma
non va di moda: ora per salutare i rivoluzionari dovrei adeguarmi anche io:
Vaffanculo!
Rita Pani (APOLIDE)
10.27.2011
Democrazia e cadaveri
10.26.2011
Il miracolo è compiuto
Ci sono voluti vent’anni per vedere realizzarsi il sogno
italiano, quello nato patinato di fronte alle telecamere che ai sogni avevano
preparato la popolazione, con pazienza e spirito di abnegazione. Anni e anni di
tette e culi per paralizzare i neuroni, di prosciutti “firmati” in mezzo ai
quiz che regalavano i soldi. Il sogno di arrivare, senza che a nessuno fosse
chiara la meta, ma con la certezza di non dover faticare.
Una lunga e certosina erosione della volontà popolare,
intesa proprio come coscienza e buon senso. Ore e ore di televisione a
inebetire, a preparare il terreno per l’affondo del più grande ladro di cui la
storia avrà tanto da raccontare, se i maya non ci avranno azzeccato, e se
qualcuno sopravvivrà a questa ecatombe.
Vent’anni appena per portarci nel terzo mondo, col cemento,
con le mafie e le eco mafie, col malaffare e la corruzione, con la piratesca
politica di un grumo di potere massone e criminale. Vent’anni per trasformare
il linguaggio, le menti, per uccidere la democrazia, per privarci dei diritti,
per ucciderci di doveri, per instaurare la disparità sociale che garantisce la
vita a pochi eletti, speculando sulla morte dei disgraziati.
L’Italia del miracolo è finalmente visibile agli occhi di
tutti, con la pioggia che ci fa sembrare Pakistan, tra fango e morti, con una
sanità che ci fa sembrare Africa, con la povertà che ci trasporta in India, con
la spazzatura che galleggia a Roma, con i monumenti che franano, con le strade
che hanno più buche di quelle albanesi.
La filosofia della “casa della libertà”, dell’essere padroni
in casa propria, la politica del fare, della modernità e dello svecchiamento di un paese da
ringiovanire, venivano regalate da un vecchio maiale ringiovanito contro natura.
Ma non era un regalo; si firmavano cambiali per il futuro.
Pagavano i settentrionali, perdendo la loro identità per
rivendicarne un’altra, quella padana, che di fatto li ha impoveriti e resi
succubi di un grumo idiota e ignorante che hanno smantellato la storia di
rivalsa che ebbero dopo la povertà inflitta da un altro catastrofico ventennio.
Ha pagato – e sta pagando – Roma, che ha affidato il suo patrimonio culturale a
un ex fascista rozzo e ignorante, e a un governo di ripuliti che non vedevano l’ora
di porre le mani sui danari, e vestire il potere che non avrebbero mai sognato
di poter detenere. Paga il sud, che almeno ci è abituato ad essere italiano
solo quando serve esser modello negativo da schifare, o esempio di tutto quello
che non è da sognare.
Poi noi la televisione l’abbiamo spenta e abbiamo ripreso a
pensare. Ma non ci stanno a che noi si possa smettere di sognare, e così sul
Corriere oggi c’è un sondaggio: vogliono sapere cosa ne pensiamo noi della
legge, che rivede l’eredità di chi possiede un’azienda. Siamo favorevoli o
contrari al testamento?
Ho scritto anche io una lettera stamattina: ci ho scritto
che sono favorevole, e che farò testamento. Sperando di schiattare dopo di quel
massone mafioso, lascerò anche io tutto ai suoi figli, che alle mie, io, ci
tengo sul serio. Alle mie bambine lascerò solo una preghiera: state lontane da
questo paese di merda, non tornateci più nemmeno in vacanza. Siate capaci di
sognare davvero di essere parte integrante di una società civile. Ovunque essa
sia.
Rita Pani (APOLIDE)
10.24.2011
La sai l'ultima?
Sì, è proprio come mi ha detto Antonio Allegri ieri sera: “La
sapete l’ultima? C’era un francese, una tedesca … e poi un italiano.”
La barzelletta detta così non fa ridere, ma l’italiano,
quello sì, ha fatto ridere molto; un’intera sala stampa. No, che avete capito?
Certo non lui in quanto tale, dato che appena qualche giorno fa rassicurava sul
fatto che, grazie alla sua autorevolezza,
sarebbe durato altri 5 anni. Siamo noi, la barzelletta che ha fatto ridere il
francese e la tedesca, almeno da quello che ha detto stamani, in televisione un
affiliato alla cosca del governo: “L’Italia perde credibilità perché gli
italiani di sinistra ne parlano male.” Non fa una grinza.
Ridiamo: Ah! Ah! Ah! Ridiamo tutti i giorni, e sì, sono
colpevole perché rido anche io. Come non farlo? Come non esorcizzare la fine
che sentiamo morderci il collo? L’altro giorno, quel cazzo buffo – che tizio mi
sembra ormai troppo riguardoso e formale, per essere degnamente rappresentativo
della realtà – ha detto che non c’era urgenza per un decreto aggiuntivo, per l’ennesimo
tentativo di dimostrare all’Europa di avere almeno un salvadanaio mezzo pieno. Ieri
invece l’urgenza gliel’ha data la risata che ha sepolto per sempre la dignità
di un popolo.
Oggi è urgente, quindi: “bisogna
andare in pensione a 67 anni e ne parlerò con bossi.” Torna il “ghepensimismo”
quella formula di onnipotenza propagandistica dello psicotico del consiglio. L’ennesima
barzelletta che ci farà ridere solo il tempo di comprendere che stiamo messi
peggio della Grecia e dell’Argentina che fu. Perché se pure non lo dicono, è
così che siamo ridotti, ma per fortuna siamo italiani e ci salva la fantasia.
No, non è una cazzata. Essere italiani ci salverà. Noi siamo
il popolo dello chef che si è inventato il gourmet della crisi: cucinare e
mangiare le bucce delle verdure, in salsa tartara o salsa rosa. Siamo il popolo
che fa convegni organizzati dalle Università sulle “erbette di campo” che
tornano di moda, col piacere di andare a cercarsele in campagna. Avremo domani
gli stilisti che non si limiteranno più a inventare le scarpe con le suole
bucherellate, ma proprio le scarpe sfondate con i buchi sotto le suole e i
lacci spezzati e tenuti insieme da un nodo. Saremo fighissimi quando compreremo
le auto dagli sfasciacarrozze perché torneranno in auge le auto d’epoca, le
vecchie Uno o le Tipo, quelle che nonno tiene in cortile per farci dormire le
galline.
Poi siamo il popolo della barzelletta paradossale, quella
che a pensarci bene davvero non fa ridere: siamo l’Italia dei deputati e dei
senatori che si prendono la pensione dopo due giorni di “lavoro”, che son
pagati profumatamente per far un cazzo da mane a sera, o peggio, sono pagati
per rubare. Siamo l’Italia della RAI che non sa come pagare gli stipendi, ma
che continua a contrattualizzare troiette riciclate per milioni di euro, e
minzolini, e giornaliste (?) fantasiose che fan sperare un giorno di poter avere
la Ferrari che salva l’acconciatura, proprio ora che non possiamo andare dal
parrucchiere, sempre che non sia cinese.
Basta perché sennò potrei esagerare ed iniziare a raccontare
l’altra barzelletta tutta italiana, di un cazzo buffo, di uno stalliere e del
suo maggiordomo che aveva un cellulare con scheda panamense, e di un certo
lavitola, che in realtà poi si scoprì essere Stanislao Moulinsky in uno dei
suoi più riusciti travestimenti.
Rita Pani (APOLIDE)
10.22.2011
E' normale che non sia normale
La favola ce la possiamo raccontare tutta, e anche la fine,
con tutti che vissero felici e contenti, o che si svegliarono in un paese
normale. La favola ce la raccontiamo ogni volta che diciamo “scilipoti chi?” o
anche ogni volta che proviamo a fingere che non sia importante che gli
scilipoti, semplicemente, esistano.
La realtà è che scilipoti esiste, è un deputato che finge di
essere psicopatico, che è stato pagato per fare il cretino – e gli viene
benissimo – che ha fondato un partito da fare invidia a Cetto Laqualunque,
fregiandosi persino del titolo di “responsabile”. Non importa che sia un
attore, un servo e un lacchè, un utile idiota. Ricopre il suo ruolo benissimo,
in quanto, altrettanto bene è pagato.
Le favole finiscono sempre bene, col cattivo che muore, o
svanisce o si redime, e noi abbiamo bisogno di credere che sarà così, che anche
la nostra vita è una favola triste, come son tristi tutte le favole di giovani
ragazze più povere di “un gatto al Colosseo” o bambine mangiate dai lupi, e che
finiremo tutte spose di principi o estratte vive dal ventre dell’animale.
Però c’è la realtà che non possiamo negare più, privandoci
forse del gusto beota della risata – difficile da trattenere.
Bisognerebbe iniziare a spezzare il filo della
normalizzazione in atto da troppo tempo. Leggevo i giornali stamattina, e l’articolo
dedicato alle dichiarazioni psicopatiche del criminale di governo, ospite dello
show (sic!) di scilipoti, mi hanno fatto rabbrividire. Non per i contenuti,
appunto quelli di un criminale ormai vittima di se stesso e della sua malattia
mentale, ma per lo stile asettico col quale essi erano scritti. Come fosse
normale attendere gli ultimi colpi di demolizione dello stato di diritto, della
democrazia, e delle nostre esistenze, con la speranza che questi non arrivino
mai. Quella speranza da favola.
L’errore sta là, perché a furia di normalizzare, attendendo
la fine del “tutti vissero felici e contenti” siamo arrivati proprio fino a
qua, con le leggi razziste, con la promessa di “liberare la polizia dai pm” –[cito]
ed ogni poliziotto non dovrà avere paura di sparare perché nessun giudice lo
potrà inquisire –con lavitola che oggi sembra essere il padrone dello stato,
con i mafiosi che dettano gli emendamenti di legge via fax, con gli operai ai
quali è stato tolto prima il lavoro e poi il diritto di pretenderlo, con i
direttori dei telegiornali che sono pagati per normalizzare ancora, e che
ancora rubano così come fa chiunque venga autorizzato assurgendo a un minimo
posto di potere.
No, non è normale che ci sia scilipoti, in Italia. Non dico
che non abbia diritto di esistere come chiunque, ma dovrebbe farlo nel suo
ambito naturale, sia esso un’industria come quella di Vanna Marchi o un circo
come quello di Moira Orfei, e non nel Parlamento dello Stato Italiano. Così
come dell’utri avrebbe diritto di stare in un film di Puzo o in galera, come Lavitola
nella Banda della Magliana o nascosto nel covo di una banda di malviventi. E il
resto degli esempi metteteceli voi.
Non è normale il fatto che ci sembri ormai normale, quello
che normale non sarà mai.
Rita Pani (APOLIDE)
10.21.2011
Indignados o incazzados
Rita Pani (APOLIDE)
10.20.2011
Guarda il corpo di Gheddafi e poi, magari godi
Pensavo d’aver finito per oggi, di poter andare a guardare
mestamente dentro il frigo, cercando qualcosa da prepararmi per cena, e invece
sono ancora qua, perché dal mondo arrivano ancora notizie:
Gheddafi ucciso. Ecco il corpo: guarda (Il link del titolo
del Corriere è disattivato per mia scelta)
Già. Guarda il vilipendio del cadavere, quelle immagini che
vanno il loop, come è giusto che sia – scrive qualcuno – quando muore un
dittatore. La guerra è finita! Esultiamo? Ma anche no, visto che è una guerra
che non doveva nemmeno incominciare – come tutte le guerre – e soprattutto
perché tutti più o meno sappiamo che il popolo libico ha ucciso un dittatore
per averne un altro, forse più presentabile, che farà finta di favorire la
democrazia per garantire all’America per prima il grosso del petrolio e agli
altri qualche goccia in più.
Anche all’Italia, nonostante quel tizio che nei primi giorni
della “crisi” libica disse: “Non chiamerò Gheddafi, non lo voglio disturbare.”
Ma era stato dopo aver importato il bunga bunga, partecipato al carosello dei
cavalli, donato un esercito di troie all’amico che le pagò 70 euro, e
soprattutto dopo avergli baciato l’anello in segno di sottomissione ed eterna
gratitudine.
No, non possiamo esimerci dall’assistere alla morte di un
dittatore. Sono immagini raccapriccianti ma che potrebbero anche dare speranza,
perché se è vero che è lecito, se è vero che solo così può finire, ammazzato
come nemmeno più un cane rabbioso si ammazza, allora forse … si potrebbe almeno
sognare.
Se ancora non lo avete fatto, vi invito pertanto a non
leggere le dichiarazioni di questa sorta di ipocriti bastardi che abbiamo al
governo, perché nessun giornale riporta in cima l’avviso: “Le dichiarazioni che
seguono potrebbero urtare la vostra sensibilità.” E le urtano eccome, almeno la
mia.
Sì va dal maestro di sci a quel sacco di merda abbondante di
borghezio, che alla fine cita anche Allah! (sic!) E sarebbe edificante per loro
– tutti loro – se qualcuno ora facesse la figura dell’avvoltoio che gira sopra
i cadaveri del popolo libico massacrato, o morto in mare e persino su quello di
Gheddafi vilipeso, ma sono italiani e la figura che fanno è quella della mosca
che gira sopra una merda.
Ecco il corpo: guarda!
Perché è così che funziona ormai, saperla la morte non
basta, bisogna guardarla da vicino e a colori, che tanto l’odore a noi non
giungerà.
Rita Pani (APOLIDE)
Scusate, ma mi devo togliere un blocchetto forato dalla scarpa
In piena crisi, tra manovre lacrime e sangue e in attesa del
decreto sviluppo, lo Stato restituisce soldi ai membri del governo. (Il fatto quotidiano)
Quindi, compagni, che mi
avete accusato addirittura di “tradimento” per non aver supportato la rivoluzione
ultima scorsa, andate a cagare.
Se spacco la vetrina di una
Banca la pagherà l’assicurazione. Se incendio un’auto di lusso, per altro con
targa sanmarinese, verrà risarcita dall’assicurazione. E davvero non sento di
dover chiedere scusa, se non trovo l’utilità di spaccare una madonnina di
gesso. Se fosse stato utile, per come la vedo io, avreste dovuto spaccare anche
qualche nano da giardino, o un leone in cima ad un cancello.
Dunque per non tradire la
causa, cosa dovrei fare? Chiedere scusa a Er Pelliccia? Non salvaguardare la
mia integrità mentale ironizzando sull’ultima barzelletta italiota? Non ridere
perché tutti ridono? Ma noi facciamo ridere!
Intanto le cose scorrono,
mentre tra comunisti – gente seria – si dibatte se sia il caso di essere pro o
contro i black bloc fingendo di ignorare che in un gruppo di 1000, 100 sono
sinistrorsi stupidi e rincretiniti dalla propaganda, 400 tifosi di calcio
assoldati dal regime, e gli altri misti tra fascisti di Casapound e sbirri. Ah!
Già, c’è anche la madre col cappuccio che si lascia intervistare come faceva un
tempo Maurizio Costanzo, quando voleva vendere un po’ di relax, raccontando i
casi umani.
Le cose scorrono, proprio
come l’acqua del nubifragio di Roma, che piove e il governo è ladro, e si è
mangiato anche le fogne, l’asfalto, i canali di scolo. Il regime vince e la
FIOM non manifesta, e gli operai della FIAT – affamati da Marchionne – dovranno
tassarsi per restare rinchiusi su una piazza come in una gabbia. Chissà! Magari
è stata la statuetta della Madonna spaccata a terra a fare il miracolo, a
rendere facile a questo regime malavitoso, levarci un pezzetto di diritto in
più.
Ma davvero – la sinistra (che
voi di comunista avete solo un’app. craccata su l’I-Phone) non aveva capito che
era intento di questo governo, portare lo scontro sociale, dare l’illusione che
si fosse sull’orlo della guerra civile?
E mentre l’acqua di Roma si
porta via anche qualche vita umana, noi siamo costretti ancora a leggere le
notizie su Er Pelliccia, sui suoi studi, sui suoi precedenti penali – che drogato
doveva esserlo per forza sennò non era abbastanza cattivo e comunista – e dobbiamo
sorbirci ancora tonnellate di propaganda e silenzio.
Il silenzio che cala sulla
tristezza di un paese governato da un malato mentale in mano a un lavitola
qualunque, che lo intossicava di figa mentre spolpava le casse dello stato. Che
lo accompagnava nei viaggi istituzionali – lo accompagnava o lo teneva d’occhio?
– dove si facevano affari per milioni e milioni, in nome e per conto di chi,
non è dato a sapersi. In silenzio ci si riduce l’ossigeno ogni giorno di più, e
mentre la banca ha la vetrina spaccata, le loro casse si rimpinguano e i loro
danari – immagino – saranno al sicuro lontano da qui.
Ora chiunque creda davvero
che sabato in Italia, siano state fatte le prove per la rivoluzione, davvero,
se ne vada a cagare ma lontano da me.
C’è solo una piazza da
occupare, in silenzio e ad oltranza, quando i criminali stan dentro al Palazzo.
Si dovrebbe star là, ed aprire un varco solo quando se ne andranno
dimissionari, per non tornare mai più.
Ultim’ora … si prospetta un
nuovo governo: il governo schifani. Baciamo le mani.
Rita Pani (APOLIDE)
10.19.2011
Cercando l'alternativa
Viola, verdi, arancioni. Grillini, senonoraquandisti, donne
dignitose, donne dignitose ma anche orgogliose, madri, madri coraggiose,
lavoratori, lavoratori precari, giovani lavoratori precari, quasi giovani
lavoratori precari, giovani disoccupati, disoccupati storici, invalidi,
diversamente abili, diversamente abili orgogliosamente handicappati, studenti,
giovani studenti, studenti organizzati, studenti democratici, studenti cattolici,
studenti comunisti.
Poi noi comunisti, siamo i migliori in assoluto. Noi ci
frazioniamo anche da soli. Dopo Vendola abbiamo avuto anche i non più comunisti
di sinistra e libertà, quasi come se fosse da specificare l’essere libertari
per uno che è di sinistra. E così mi sovviene la categoria dei gay, con tutti i
sottoinsiemi del caso. Gay, lesbiche, lesbiche democratiche, organizzate,
giovani, senonoraquandiste, intellettuali, cattoliche.
Ho dovuto fare questa lunga lista perché cercavo un’alternativa.
Trovare un’alternativa oggi, non è compito facile, eppure è l’unica cosa che
tutti, senza nemmeno accorgerci facciamo quotidianamente, anche quando
cerchiamo l’alternativa alla bistecca, l’alternativa alle sigarette che abbiamo
fumato fino all’altro ieri, l’alternativa all’acqua che compravamo in
bottiglia, l’alternativa alle mutande che reggevano per cinque lavaggi e non ti
si disintegravano addosso appena indossate, appunto come quelle acquistate – in
alternativa – per soli un euro e cinquanta.
Non la trovo l’alternativa, nonostante tutte quelle
proposte. Non so come pormi. Sono rossa, donna, dignitosa, orgogliosa, madre,
lavoratrice molto precaria, né giovane né vecchia, comunista – ma senza se e
senza ma – disorganizzata, intellettuale, eterosessuale, atea, con le mutande
da un euro e cinquanta.
Rientro in molte delle categorie, ma non ce n’è nessuna che
mi rappresenti in toto, allora che fare? Creare un’altra alternativa alle
alternative.
E però no. Non si può fare, perché facendolo si diventerebbe
automaticamente berlusconiani. È stato lui, infatti, che ha fatto credere che l’alternativa
unica contro il marciume della politica, fosse il marciume malavitoso dell’antipolitica,
con i partiti politici che rivendicano la loro apoliticità, che non si chiamano
partiti ma movimenti, e che fanno politica rifuggendo la politica.
Quindi? Me ne resto comunista, a ripensare alle parole di
quel tizio che dice: “Resto perché non c’è alternativa a me.” Forse persino
spero che tutte le categorie elencate, comprese quelle che ho dimenticato,
riescano a riunirsi domani sotto un ombrello più grande: quello che dovrà
coprire la testa di tutti i cittadini. L’alternativa reale.
Rita Pani (APOLIDE)
10.17.2011
Articolo 270 bis ... sull'eversione
Guardai il mio avviso di garanzia, non so come me ne
immaginavo uno, ma era solo un foglio di carta, uno di quelli scritti un po’
male, con in cima l’avviso, appunto, della conclusione delle indagini su un
fatto del quale lessi qualcosa sui giornali della Sardegna.
A differenza dei vari minzolini o dei criminali comuni che
abbiamo al governo, se qualcuno mi avesse intervistato, all’epoca, io non avrei
mai potuto dichiararmi “tranquilla!” Non so, forse per i retaggi dell’educazione
che fortunatamente ho ricevuto, che non mi permisero di sorridere serena. L’unica
cosa che mi era chiara di quel foglio di carta era la citazione di una mia frase
virgolettata e l’articolo il 270 bis. Poi mi spiegò, un amico che ne sapeva,
che voleva dire che ero indagata per eversione.
Sempre a lui spiegai che la frase era stata estrapolata da
un carteggio avuto con Compagni, i quali mi chiedevano un’opinione su un fatto
specifico. Scrissi pressappoco che per me, il mandante di uno dei tanti falsi
attentati di quel periodo, era stato l’allora ministro Pisanu, oggi ripulitosi
e tornato ad essere un probo uomo della vecchia DC, che bene ha tollerato mille
nefandezze, ma che mal sopporta l’utilizzazione finale di giovani vagine.
La cosa si concluse da sé. Anche i più fantasiosi
investigatori dovettero ammettere la mia estraneità ai fatti di cui – forse per
vergogna – non si parlò più, tanto era palese la farsa, quasi più di quella che
tutti ricordiamo del duomo volante, e del povero Tartaglia. Tuttavia, io me li
ricordo quei giorni smarriti, a chiedermi cosa avrebbe potuto accadermi non
avendo un paio di legali a mio servizio, né l’opportunità di rendermi una legge
più uguale, a mia immagine e somiglianza. Mi ricordo anche lo sgomento per aver
letto le parole che in assoluta buona fede avevo spedito ad un amico, al quale
sempre per lo stesso reato sequestrarono il computer.
Oggi, tutti noi che abbiamo accesso alla Rete, abbiamo
potuto sentire le parole del presidente del consiglio di questa repubblica che
indagò me per eversione, parlare con un “faccendiere”(ma che cazzo fa un
faccendiere?) – che per altro ha una faccia da cretino integrale – di FAR FUORI
IL PALAZZO DI GIUSTIZIA DI MILANO o peggio, di portare in piazza un milione di
persone per fare la Rivoluzione. Il presidente del consiglio, il primo
ministro, il governo, l’istituzione, colui che ha il compito di guidare chi
legifera in nome e per conto nostro, dello stato, non Rita Pani il residuato
bellico rimasto comunista nel post comunismo, al telefono dimostra di avere
intenti eversivi.
Eh sì, ma il tempismo in questo stato di merda è tutto.
Infatti siamo a due giorni dall’assalto dei “violenti”, quelli che hanno tolto
visibilità e lustro agli indignados, che a dirlo in italiano forse faceva
ridere un po’ o non era credibile. Siamo a due giorni dalla commozione di
Alemanno sui luoghi della guerriglia, e forse era commozione da nostalgia,
rimembrando i tempi in cui era lui a tirare i sanpietrini e sprangare le teste
dei compagni. Siamo a due giorni di distanza, forse, dalle prove generali dell’eversione
di stato, che prende forma e si avvera, come la trama di un film che diventa
realtà.
Siamo qua nel nostro mondo al contrario, in cui il premier
farà la rivoluzione contro sé stesso. E allora speriamo almeno che dopo, spinto
dal suo delirio di onnipotenza massonica e deviata, si vada ad appendere
autonomamente a testa in giù a Piazzale Loreto. Ci risparmierebbe sia la fatica
che l’avviso di garanzia.
Rita Pani (APOLIDE)
10.15.2011
Scazzi e sticazzi
10.14.2011
Alla fiera dell'est ... papy si è comprato le vacche
Alla fiera dell’est, per molti soldi, le vacche papy comprò.
E venne scilipoti che fece finta di non votare, il governo
che papy comprò.
E vennero i radicali, che ripresero a mangiare, dal piatto
di papy che pannella sputò.
Potrei anche continuare la liturgica canzoncina,
parafrasando quella bella di Branduardi, ma non ho più voglia né di ridere, né
di piangere. Voglio star qua ad osservare questo paese ormai privo di qualunque
tipo di dignità. Voglio attendere domani, quando la stampa cercherà di
nascondere le proteste, quando i protestanti saranno felici di aver partecipato
alla festa che li vedrà numerosi, quando qualcuno tenterà di mettere il
cappello sull’iniziativa, ed altri ancora ci sputeranno sopra per non ammettere
di non essere stati capaci di fiutare l’affare.
Voglio solo ribadire il concetto: non è più tempo di feste
di piazza, non è più tempo di subire, non è più tempo del lamento. È il tempo
di fare sul serio, di scavalcare le barricate che questa banda di mafiosi ha
erto intorno alla democrazia e alla civiltà, e riprenderci il maltolto, non con
movimenti pacifico/buonisti, non con allegre piazzate colorate, non con la
fantasia del mondo migliore che si possa creare dall’oggi al domani solo col
romanticismo di un pensiero per bene.
Oggi l’Italia ha assistito al vilipendio del suo stesso
cadavere. So che potrei scrivere in maniera più moderata, ma come si può restare
sereni leggendo i titoli dei giornali? “Il governo regge”. “Il governo resiste”.
Quale governo? C’è qualcuno che ricorda – anche con parole sue – il significato
e il significante della parola “Governo”? C’è un giornalista serio che stracciatesi
le mutande di ferro, ha il coraggio di spiegare a chiare lettere e senza alcuna
metafora, né calcistica né sintomatica, quello che è accaduto e che accadrà?
Regge. Resiste. Ma andate a cagare.
Una cupola malavitosa che si è impossessata di una nazione,
dopo aver portato avanti una campagna di corruzione è riuscita ad avere l’appoggio
di un altro folto gruppo di malavitosi e piccola manovalanza criminale, per
garantirsi di concludere l’opera di delegittimazione della magistratura,
mediante due nuove ignobili leggi che avrebbero potuto inguaiare il capo della
cupola, qualora avesse perso la protezione già garantita da precedenti
devastanti leggi che di fatto annullano la possibilità di azione del sistema
giudiziario italiano.
Non regge e non resiste: delinque. Questo è tutto il governo
che c’è.
Ben venga la piazza domani, ma non lasciatevi massacrare.
Non ne vale la pena. Ricordate che non state protestando contro un governo, ma
contro la malavita. Una cosca potente che ha un esercito, e gente armata ed
addestrata per colpire. Ricordatevi che dopodomani non succederà nulla. Nessuno
si dimetterà, nemmeno se qualcuno di voi dovesse morire. Ricordatevi che la
stampa non vi appoggerà, che la gran parte dei cittadini italioti, nel chiuso
delle proprie case vi vedrà come terroristi o peggio comunisti. Ricordatevi
soprattutto che non ha senso, se non quello che ognuno dei partecipanti
riuscirà a trovare dentro sé stesso.
La protesta ha senso in uno stato di diritto e democratico.
In Italia avrebbe senso solo la Rivoluzione o peggio, una guerra di
liberazione.
Rita Pani (APOLIDE)
10.12.2011
800 vite umane
Ero stata brava a non lasciar
lacrime sulla sua camicia, e così me ne stavo sul treno, in viaggio verso la
Puglia. Uno di quei viaggi lunghi, che non finiscono mai, e che mi piaceva fare
per mettere una distanza tra me e i pensieri. Poi avevo il mare fuori dal
finestrino che avrebbe potuto tenermi compagnia.
Invece il capotreno, subito dopo
aver controllato il biglietto, finisce il giro e torna da me. Mi ha sorriso
prima di dirmi a bruciapelo: “Hanno mandato 800 lettere di licenziamento. 800
ragazzi da dicembre saranno a casa. E non se ne può più.”
Avrei voluto rispondergli
qualcosa, a proposito delle lacrime che forse in silenzio avrebbero avuto la
libertà di scendere, o del mare e della costa, che non si capiva bene se in
quella Calabria che non avevo mai visto, fossero selvagge o solo abbandonate.
Avrei potuto tacere la risposta, notando la somiglianza del nulla e del deserto
di quella terra che ho trovato simile alla mia. Invece ho sollevato gli
occhiali da sole e l’ho guardato, senza negare un certo divertimento, quello
che mi resta quando anziché dirmi prima ciao, chiunque si senta in dovere di
raccontarmi l’ultima tragedia. Come fosse anche cosa mia.
E allora il capo mi racconta
della volontà di gettare il sud sempre più al sud. Del lento omicidio che è in
atto, che io so piano sarà una strage.
Del bene e del male di questa terra che è più Italia di tutto il resto d’Italia.
Della fatica e dell’orgoglio col quale fino ad ora si era rimasto in piedi, e
che giorno dopo giorno si affievolisce e crepa. 800 lettere di licenziamento
per 800 vite che dovranno arrangiarsi, e con cosa in questa terra di nulla? “Poi
dicono che non riescono a debellare la mafia.” Ha finito lui, prima di
salutarmi, rinfrancato dalle mie teorie oltre che da quella solidarietà che
mantengo, essendo anche io del profondo sud, quello che è quasi Africa, per il
clima e per lo sfruttamento, per la bellezza e la fame.
Poi s’è fatto buio, e il mare non
si vedeva più. Il ragazzo che avevo seduto di fronte mi offre un biscotto al
cioccolato: “Io vado a Taranto perché devo fare le visite, per fermarmi ancora.
Io sono in marina.” È così giovane che mi pare strano sia un marinaio. Ha
ancora i brufoli che fanno timidezza. Ringrazio per il biscotto e mi dice che
il concorso è truccato, perché per passarlo ci vogliono le conoscenze e lui non
ne ha: “Però rispetto ai miei coetanei sono fortunato, perché almeno io un
lavoro ce l’ho. Sempre che ora mi fermino ancora.” E se pure la cosa non mi è
chiara, non ho la forza di farmi spiegare se per caso anche nelle forze armate
siano presenti i precari. Non lo voglio sapere, mi dico, non è proprio
necessario sapere tutto, e a volte è sana anche un poco di beata ignoranza.
Quando s’è fatta sera, qua a
Taranto accendiamo una TV. Non si sa se è caduto, se cadrà, o se Dio voglia
morirà. No, non è caduto il governo che non c’è. No, non ci sono i numeri e
scilipoti alza il prezzo del ricatto: il mio voto per la certezza di un
prossimo seggio sicuro, magari il nuovo ministero per l’agopuntura e il
massaggio shiatsu. Domani ci sarà la verifica di governo, i numeri si trovano
per responsabilità. Pare che non si possa far cadere un governo in questo tempo
di crisi, in cui 800 vite umane rischiano di morire; il tempo in cui un ragazzo
vuole fermarsi in marina.
E da destra gli italioti fanno
notare: potrebbe tornare Prodi il comunista e riempirci di tasse…
Guardavo fuori dal finestrino l’Italia
più Italia che c’è. Di deserto nulla, di
vuoto e di abbandono, di un mare che forse è selvaggio solo perché è
abbandonato, o impraticabile per il veleno che nasconde e che nessuno saprà
mai. L’Italia in cui 800 vite vengon dopo quella del re.
La prossima volta bagnerò la sua
camicia di lacrime, le uniche che abbia senso versare.
Rita Pani (APOLIDE)
10.10.2011
Vorrei parlare di politica
Vorrei scrivere di
politica: è tornato l’inverno, senza nemmeno un minimo di preavviso. È arrivato
così, con un fulmine a ciel sereno, un po’ di pioggia, tanto vento e l’aria
fredda che arriva dal mare. Non ci sono più le mezze stagioni, signora mia. Il
clima si sta ribellando, e forse – chi lo sa – la colpa è dell’uomo. Si potesse
fare una manifestazione a Roma, per chiedere che vengano ripristinati l’autunno
e la primavera, io sarei là, in prima fila con la mia bandiera rosse sulle spalle.
Vorrei scrivere di
politica, ora che il tizio è tornato in Italia, dopo aver partecipato alla
festa di Putin, deciso finalmente a risanare l’economia con una nuova “campagna
acquisti”. Sul tavolo delle trattative importanti ruoli nel partito e nel
governo. La contrattazione è necessaria per mantenere i numeri della
maggioranza che dovrà necessariamente mettere mano alla riforma della
giustizia. Nei giorni scorsi, infatti, sembrava quasi che in Italia una vera
alternativa si stesse formando. C’era speranza.
Già: il binomio Pisanu-Scajola.
Vorrei scrivere di politica, davvero.
Pisanu e Scajola
avrebbero davvero potuto sostituire il malavitoso al governo? Sarebbero stati
capaci di ricompattare le fila di una destra allo sbando? Ci avrebbero potuto
traghettare verso quel risanamento economico senza il quale a breve finiremo
per strada a rapinare il primo che passa, del panino che sta per addentare? I
giornalisti politici ci speravano: loro sanno scrivere di politica. Beati.
Sentivo l’altra sera
Pisanu. La cronista ricordava come avesse fatto carriera nella DC di un tempo;
collaborava con Moro e Zaccagnini, diceva. C’era nostalgia nella cronista. Non
lo nego, quella era politica e se le cose fossero rimaste così, oggi potrei
scrivere di politica. Pisanu non ha il mio rispetto, né la mia stima. Mi
ricordo per esempio della sua opera come ministro dell’interno, sotto i vari
governi mafiopiduisti del tizio. Mi ricordo di come tentò di manipolare gli
esiti delle elezioni vinte da Prodi, mi ricordo le porcate che ad oggi tengono
in galera compagni innocenti. Però forse potrei scrivere di politica, dell’alternativa
… Scajola, l’alternativa a questo governo. Vorrei parlare di politica.
Ma non sarà certo con l’ironia
che verremo fuori dal baratro. La realtà è che c’è davvero bisogno di un’alternativa
politica a questo governo di malavitosi e imbecilli. Qualcosa si muove, leggo
tra le cronache. C’è un terzo polo che prende forma, e finalmente si plaude a
una donna (cito) coraggiosa che si è apertamente schierata contro un ennesimo
condono tombale fiscale, che a suo dire avrebbe salvato solo i furbi: è Emma
Marcegaglia. E vorrei scrivere di politica.
Vorrei almeno provare,
anche perché il 15 Ottobre si tornerà a Roma a protestare. La protesta che
porta l’istanza dei cittadini in piazza. Le richieste urgenti, quelle che noi
sappiamo non possono più aspettare: il lavoro innanzitutto. Il lavoro per
garantire il diritto alla vita.
Il problema però è: a
chi si consegneranno queste istanze?
Rita Pani (APOLIDE)
10.07.2011
Farsi una Lega
Rita Pani (APOLIDE)
10.06.2011
Imbavagliatelo!
"Tutto quello che mi è successo dopo
l'estate e anche al nostro deputato Papa che è in carcere - aggiunge - E' uno
scandalo, e sono anche gentile a definirlo così". "Pensate a me che
mi hanno tolto tutti i testimoni della difesa - insiste - Pensate a quello che
è successo a Napoli, al deputato Papa che rimane ancora in galera" "ci sono schegge impazzite [magistrati
n.d.r.] che puntano all'eversione" [Lo
statista del consiglio]
Poi però pretendono di mettere il bavaglio alla
stampa, e lo fanno, con quella loro insolente arroganza, col despotismo
miserabile che può avere solo un prevaricatore. Pare abbiano risparmiato noi
blogger, ma non per un rigurgito di senso democratico delle cose, ma temo col
disprezzo che dà il senso di superiorità. Ci lasciano parlare, perché secondo
loro contiamo meno di un nulla, e siamo troppi da monitorare.
I giornalisti che vorranno raccontarci di come
gira questo fottuto mondo al contrario, rischieranno la galera, mentre questo
tizio, il vero eversore del consiglio, continuerà ugualmente a vilipendere
tutte le Istituzioni che lui stesso dovrebbe garantire e rappresentare, anche
forte del fatto di essere tra le altre cose, un monopolista dei mezzi di
comunicazione di massa – rubati o no a qualcuno.
Noi si resta onesti, e soprattutto si conserva
la libertà che ci siamo guadagnati. Tutti quelli come me che hanno sempre
chiamato le cose col proprio nome, a dispetto dell’arroganza di un potere che a
volte – a me almeno sì – ci ha fatto veramente male.
Il paradosso di tutta questa storia, è che per
essere libero, libero non lo è per nulla. Costretto alla strenue difesa sia dei
suoi interessi, sia della sua libertà fisica. Lo schiavista è in realtà uno schiavo,
ridicolo e miserabile, persino del proprio corpo che non lascia libero di
essere quel che vorrebbe nella sua vecchiaia. Schiavo, imprigionato in un
silenzio che lo obbliga a far di sé una barzelletta, di questo mondo comunista
contro il quale lui nulla può. Schiavo della sua malavita che lo rende ridicolo
agli occhi di un mondo intero che lo guarda con divertito sarcasmo, a volte
schifandolo.
Inviso ai suoi stessi schiavi, che tramano alle
sue spalle o che si prodigano in miserabili arringhe difensive da essere degne
dei migliori testi di cabaret.
Parla di scandalo, questo tizio che dello
scandalo ha fatto cultura, che con i suoi scandali ha piegato la credibilità di
un’intera nazione. Lui, che è lo scandalo fatto persona, forse è l’unico che i
suoi accoliti dovrebbero imbavagliare, rendendolo finalmente innocuo e non in
grado di nuocere né a se stesso né a tutti noi.
Di fronte a queste illuminate dichiarazioni,
divulgate a mezzo di quella stampa da imbavagliare, io mi consolo e so che
qualunque cosa io possa scrivere domani, non sarà mai tanto grave quanto quelle
dette da lui, e che nessun giudice potrà mai ritenermi colpevole di aver
vilipeso un’istituzione, ma semmai di averla sempre difesa non riconoscendola
tale fino a quando abusivamente occupata da questo tizio, che è di per se un
oltraggio a tutti noi.
Rita Pani (APOLIDE)
10.05.2011
Le macerie del lavoro
Si può restare sotto le
macerie per un lavoro da 3,95 euro l’ora, o ci si può dare fuoco a 29 anni
perché si pensa di non aver più nulla. È la nuova Italia, quella pensata dalla
potenza del capitale, dai padroni – a volte paladini del popolo – che dimenticano
di ricordare che le scarpe è meglio farle costruire in Bangladesh a 2 euro l’ora
e una manciata di riso, per venderle in Italia a 400 euro il paio, quando va
bene che ci sono i saldi.
Sono le regole del
mercato, quello che sei fortunato quando sei uno schiavo, e se muori porterai
alla ribalta lo schifo della schiavitù. È la colpa di tutti noi, che accettiamo
di lavorare sottopagati, perché ti devi campare la famiglia, perché un pezzo di
pane è meglio che la fame, perché la sopravvivenza, volendo, possiamo camuffarla
chiamandola vita.
L’Italia nuova ha
imparato tutte le tecniche di sopravvivenza, s’è fatta furba rimandando a
domani quel che non ci fa comodo pensare oggi, anche a rimandare le lacrime a
quando i morti faranno pena e si potrà rompere la quiete immaginando tutte le
tragedie future di un paese, tutto, a rischio crollo.
Non si può dire in
Italia che la gente muore di fame, perché non si vede la fame. Se lo dici ti
risponderanno che tutti son ben vestiti, che tutti hanno il telefonino, forse
due, che tutti mangiano e sono sazi. Come se le donne morte sotto il crollo di
Barletta non siano morte di fame. Come se i suicidi (siamo in una media di uno
al giorno) non si suicidino per fame. Come se la recrudescenza della TBC non
fosse causa della fame. Che fame è povertà.
La fame, beati noi, è
cosa negra. Sono bimbi smunti, magri, con le pance gonfie e le mosche sul viso.
La fame bianca si chiama barbone, è un’altra cosa spesso da schifare – che rompe
i coglioni con il suo odore acre mentre ti tende la mano, nera di sporco e non
di negritudine.
Il sindaco di Barletta
non vuol sentir parlare di “ispezioni a tappeto” contro il lavoro nero, anche
se pare che la ditta sepolta dalle macerie non fosse nemmeno conosciuta all’INPS.
Eh già, perché mai conoscere ora la situazione della schiavitù e dell’evasione
fiscale totale, e dello scempio dei diritti dei lavoratori, non è meglio
rimandare alla prossima tragedia? Che sia un crollo oppure un rogo, non ce li
giochiamo tutti in una volta, meglio dosarli in modo che una volta ogni tanto,
ci si possa ancora indignare.
Non si usa più nemmeno “sperare
che non siano morte invano”, quindi. Forse perché finalmente abbiamo compreso
che questo tipo di morte, in un cantiere o per il fuoco in una fabbrica, è
sempre un assurdo e inutile omicidio, solo che le sentenze non verranno mai
lette in diretta TV. Anzi, forse, proprio non verranno mai pronunciate.
Rita Pani (APOLIDE)
10.04.2011
Da donna a donna
Da donna mi auguro che a giudicarmi sia un
collegio di donne o per lo meno a maggioranza femminile».
Perché, non si fida degli uomini?
«Le donne riuscirebbero a capire di più la mia estraneità ai fatti. Le donne hanno una sensibilità diversa». [ L’onorevole minetti intervistata da Giuseppe Guastella sul Corriere della Sera]
Perché, non si fida degli uomini?
«Le donne riuscirebbero a capire di più la mia estraneità ai fatti. Le donne hanno una sensibilità diversa». [ L’onorevole minetti intervistata da Giuseppe Guastella sul Corriere della Sera]
Le donne, quelle vere, ti darebbero l’ergastolo. Le donne,
quelle madri che offrono in sacrificio le loro esistenze perché le proprie
figlie non siano mai come te, ti sputerebbero in faccia.
Credo che onorevoli donne come te non abbiano nemmeno il
diritto di dichiararsi “donne” nell’accezione del termine che noi utilizziamo
per segnare un solco perfetto in questa umanità che deve stare rinchiusa nei
perimetri tracciati dal becero maschilismo, che generalizza o peggio pregiudica;
che ci costringe ancora a lottare per essere riconosciute oltre al tesoro che
si pensa noi portiamo tra le gambe.
È la gente brutta come te che rischia di tenerci chiuse in
quel recinto, oltre quel solco che i passi vostri scavano e scavano. Le donne dovrebbero
essere più sensibili? E perché un uomo – uno vero – non dovrebbe esserlo
parimenti? Perché anche il concetto di sensibilità, per gentaglia come te è
travisato. La sensibilità non è quella che ti hanno insegnato, a finger
lacrime, sorrisi e orgasmi, a fingere di mugolare di piacere per le mani
gommose di un vecchio maiale tra le tette, alla ricerca del crocefisso col
quale poi benedirà le vostre bellezze artefatte.
La sensibilità degli uomini (genere umano [n.d.r.], meglio
specificare per le vostre menti intossicate) è cosa a te ignota. Un collegio
giudicante sensibile, avrebbe a cuore la
realtà della vostra decadenza, nella quale siete riusciti a condurre un’intera
nazione. Non per diletto, non per ideale, non per ideologia, ma per danaro. La
vostra mercificazione ha mostrato al mondo intero il degrado, l’assurdità, l’ignoranza,
la grettezza di questo deva-stato paese, incapace di sputarvi in faccia sul
serio, di additarvi, di mettervi alla gogna, di utilizzarvi come contro
manifesto.
La vostra immagine, la tua col svestito da suora, il
crocefisso tra le tette, io e la mia sensibilità di donna, lo affiggeremmo
davanti alle chiese la domenica, per ricordare al bigottismo che ci ha reso
schiavi dell’incoerenza cattolica, da quale pulpito e da quale palo da lap
dance, vengano le prediche che regolamentano la nostra vita.
Fidati sorella minetti, se ti dico che ti andrà di culo l’esser
giudicata da soli uomini, magari di quelli da buttare, quelli assai sensibili,
sì, alla vista del pelo che per ordinanza dovreste far uscire dalle minigonne
inguinali. Il giudizio di un uomo per bene, di una donna qualunque, andrebbe
oltre tutto e ti manderebbe a lavorare laddove di insensibilità ce n’è tanta,
forse troppa: un lager per vecchi soli e abbandonati, nelle comunità invisibili
che aiutano i senza tetto o i rom, tra la povertà assoluta di un mondo che
nemmeno sapete che esista.
E sia chiaro, a me che una portatrice sana di vagina sia una
zoccola non importa nemmeno un po’: ognuna fa di sé ciò che vuole. Quel che mi
importa è che una portatrice sana di vagina, arrivi a poter incidere sull’esistenza
delle Donne di una nazione, di un paese, di una città o di una regione, in
quanto zoccola.
Rita Pani (APOLIDE mediamente incazzata)
10.03.2011
L'importanza di chiamarsi Riina
Il governatore zaia non lo vuole a Padova. Il sindaco di
Corleone non lo vuole a casa sua. È comprensibile, lui è il figlio di Totò
Riina, il mostro mafioso le cui mani grondano di sangue e acido, di esplosivi e
brandelli di morti appesi agli alberi,
schizzati a decine e decine di metri dai luoghi delle esplosioni. È uscito di
galera, apprendista mostro, dopo averci passato otto anni, tanti quanti gliene
diede un tribunale.
I mostri, si sa, dovrebbero finire sempre come nelle favole,
uccisi dagli eroi buoni acclamati dal popolo festante. Mostro il padre, mostro
il figlio, mafioso assassino, perché mai perdere tempo per chiedersi che ne
sarà del suo futuro o del suo destino? Cosa potrebbe importare a noi, se il
mondo lo rifiuta, se nessuno lo vuole, come un lebbroso o un appestato?
La gente è stata chiara: non lo vogliamo come vicino di
casa, non lo vogliamo come compagno dei nostri figli all’università, non
vogliamo che lavori in Veneto, non lo vogliamo come avventore del nostro stesso
bar …
Oggi in diretta TV la sentenza del delitto di Perugia:
Amanda e Raffaele sono innocenti? Amanda e il suo futuro dorato: in arrivo un
film.
Ieri su canale 5 (leggo) nuova intervista a Michele Misseri, il mostro
di Avetrana, si dice dispiaciuto di non aver lasciato abbastanza tracce sul
luogo del delitto. Michele Misseri in TV aveva già mostrato l’altarino che lui
stesso ha costruito nel garage, dove è stata uccisa la ragazza, o bambina, a
secnda della bontà dell’inviato speciale che indugia sulla faccia del
contadino, divorata dal sole e dallo stupore, capace di plasmarsi per il
pubblico pagante come un vecchio saltimbanco.
Salvatore Parolisi
riceve in carcere le lettere delle innamorate, profferte d’amore per “il bel
vedovo”. L’uomo che non sapeva dell’esistenza del divorzio, l’uomo che potrebbe
aver ucciso la moglie per un surplus di figa che non riusciva più a gestire. Le
cronache lo raccontano “smagrito, ma sempre con i capelli curato.” (cit.) Due o
tre volte a settimana vive in televisione, con le immagini – sempre le stesse –
della sua disperazione, dei suoi passi a piedi nudi all’uscita della Questura,
con il giubbotto e gli occhiali grandi, quelli che fanno figo, che si usano ora
per essere uniformi alla massa, per essere parte integrante del mondo
circostante.
…
No, Salvuccio Riina, Riina Junior come lo chiama il sindaco
di Corleone, non ha diritti. Se li è giocati tutti per il cognome che porta,
per la storia e la tradizione mafiosa che non lascia dubbi nella società
civile: la mafia non può pretendere diritti, la mafia deve morire, nessuna
pietà per la mafia. Un delinquente siciliano che il Veneto non vuole importare,
con molti applausi dei padovani, anche quelli non leghisti, che giustamente non
possono avere pietà per un mafioso.
E però – che tristezza se c’è un però – il ministro Romano
in odore, quasi puzza, di mafia ha ricevuto la solidarietà della lega, con quel
voto che lo ha lasciato al ministero. E però – gran bel però – per quanto si
tenda a citare sempre meno il senatore dell’utri,(che non è certo il parente di
cui andar fieri) è un tale condannato
per mafia, che è ancora senatore e che sta sempre là, al suo posto a governare
per loro, e non certo per noi. E ancora
però – brutto però – il clan dei casalesi che al governo piazzano un
sottosegretario, che si mangiano la Campania, che non governano ma devastano,
inquinano, uccidono con le armi e con i veleni.
E gli altri però metteteceli voi, che volendo scavare ce ne
sarebbero altri mille da raccontare. Per esempio che se solo non si fosse
chiamato Riina, con questa società e questo governo avrebbe avuto assai più
fortuna .
Rita Pani (APOLIDE)
10.01.2011
Sembra uno sbadiglio
La verità è che non
possono più mettere il naso fuori dalle mura, perché ovunque vanno ricevono insulti
e fischi – e comunque ancora troppo poco, rispetto a quel che meriterebbero.
L’altro giorno gli
edili a matteoli, e poi persino i fascisti – quelli veri – a Salò contro
gasparri. La polizia ha fischiato la russa – il quale però ha avuto una
spiegazione da dare ai telegiornali: “Chissà, forse non erano nemmeno
poliziotti veri!” (sic!)
I leghisti non osano
nemmeno presentarsi davanti al popolo dall’elmetto cornuto, e così rimandano
kermesse e sacri riti ancestrali legati alle loro rivendicate origini celtiche,
a date da destinarsi, magari quando sarà digerita l’ultima porcata mafiosa alla
quale non hanno saputo resistere.
Eppure resistono, forse
barricati, ma stanno ancora là. Perché poco importa quel che dicono i compagni
Marcegaglia e Della Valle, loro – quelli della cupola - hanno un compito e lo
devono portare fino in fondo: annientare la magistratura e sovvertire l’assetto
giuridico dello stato. I magistrati devono pagare e le leggi bisogna farle, se
non altro per spianare la strada al successore del tizio, che non sarà certo né
Formigoni, né Al Fano, ma sua figlia Marina, quella che tante soddisfazioni
deve aver dato a papà.
L’economia può
attendere, come può attendere la sanità, come può attendere la scuola o la
cultura, come possiamo aspettare ancora tutti di noi, di sognare che laddove
non sia riuscito il padre, a farci tutti ricchi ed evasori fiscali, possa
riuscire la figlia.
Sembra strano scrivere
queste cose, sembra la noia che prende forma, sembra uno sbadiglio. Eppure è la
realtà, quella sovente negata da telegiornali troppo impegnati a farci sapere
le notizie da Londra della moglie del deputato cornuta che ruba la gatta all’amante
del marito, o la Ferrari che varrebbe la pena comprare solo perché capace di
non farci disfare la permanente.
Ora il problema è che
Napolitano ha osato offendere il popolo padano che non esiste, e il ministro
per la semplificazione (sì calderoli è il ministro per la semplificazione) si
dice pronto all’autodeterminazione, sempre restando ministro della Repubblica Italiana,
e scoppia il putiferio, si parla addirittura di eversione, ma ovviamente al
contrario,perché per il ministro è eversivo non concederla – l’autodeterminazione.
Che poi un ministro
razzista abbia decretato che il porto di Lampedusa è un porto non sicuro,
quindi impedendo di fatto l’attracco dei mezzi di soccorso che di solito
salvano migliaia di vite umane in mezzo al mare, non è una notizia. Non è una
notizia che a Palermo qualcuno lucrasse sulla vita dei malati di cancro,
negandogli i farmaci per fare cassa. Non è una notizia che i suicidi siano
aumentati in maniera impressionante per la vita che appare ogni giorno più
impossibile da vivere. Non è nemmeno una notizia che ormai la corruzione si
annidi in ogni angolo dello stato, che rischia di vincere il premio superando
in classifica la Colombia.
Ma in fondo, se
dovessimo scrivere o leggere ancora e ancora di queste realtà negate, la vita
ci verrebbe ancora più a noia, e difficilmente riusciremo a comprendere che più
che suicidarci, dovremmo iniziare a suicidarne qualcuno, e allora forse, il
silenzio che fanno, lo fanno per noi, per il nostro bene.
Rita Pani (APOLIDE)