6.28.2012

 

Signora fornero, augurarle male è l'unico diritto che ho


Ma che si può scrivere su un ministro della Repubblica Italiana, che rinnega la Costituzione? Tutto il nostro apprezzamento, perché forse è l’unica spregevole donna che se ne fotte del perbenismo di circostanza e dice la verità.

La Costituzione Italiana, è rimasto un vetusto simbolo a memoria dei sogni perduti. Una foto sbiadita di quel che avrebbe potuto essere, se avessimo avuto la coscienza e il rispetto della storia. E le nostre lacrime odierne, hanno perso anche il gusto di sale che una lacrima ha.

Che ha detto di così abominevole, quella faccia da mummia incarognita, che si discosti dalla realtà? Che il lavoro (o l’impiego) non è un diritto, ma qualcosa che si deve meritare. Forse su questa seconda cosa potremmo obiettare, ma per il resto potremmo anche smettere di perdere del tempo prezioso e soprassedere. Perché in Italia, il lavoro, ha smesso di essere un diritto molto tempo fa, o forse nemmeno lo è stato mai.

È almeno dal tempo in cui chiusero gli Uffici di Collocamento, destinando i compiti alle agenzie private che l’articolo 1 e 4 della Costituzione sono stati abrogati, o peggio, da quando si è iniziato a parlare di “mercato” del lavoro, che è iniziata la sodomia collettiva. Ma all’epoca eravamo ancora impegnati a sognare di poter diventare americani, e ce ne siamo infischiati.

In fondo, quel che ci fa male, è solo la sprezzante arroganza della carogna lacrimante che non ci pensa nemmeno di perdere tempo per prenderci per il culo, in maniera politicamente corretta. Lei lavora. Sarei rimasta più male, conoscendo i dati reali della vita che ci sta intorno e dentro, se avesse ricordato al giornalista che la intervistava, che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, e che lo stato italiano deve – per Costituzione – impegnarsi perché ad ogni cittadino sia riconosciuto il diritto a lavorare.

Quel che posso fare oggi non è indignarmi, ma parificarmi alla loro arroganza, arrogandomi anche io dei diritti che in un paese normale o civile, non mi sognerei mai di avere. Il diritto di disprezzare le istituzioni e la feccia che da tempo immemorabile ha smesso di rappresentarle. Il diritto di non ritenermi parte integrante di questo stato. Il diritto alla mia NON partecipazione al voto, e il diritto – caso mai si presentasse l’opportunità – di rendere tutti gli sputi in faccia che ho preso negli ultimi vent’anni della mia vita da gente che, oggi, se avessi un bel paio di baffi, spedirei in Siberia a cavare carbone a piedi nudi.

Però, terrei a ricordare a lei, signora fornero, che negare il diritto al lavoro è uguale a negare il diritto alla vita. Vorrei dirglielo ancora una volta, quanto lei possa essere una merda, non solo indegna di rappresentare le istituzioni, ma indegna per qualunque tipo di lavoro lei creda di aver meritato. Così, da disoccupata oltraggiata, da persona che a morsi è riuscita a ritagliarsi il diritto di scrivere quello che pensa, in completa autonomia e totale libertà, quel che le posso augurare è di scordarsi una notte di togliere uno dei collari d’oro che ostenta di giorno, e di restarci strozzata.

Rita Pani (APOLIDE)



6.27.2012

 

Iddu, continua a pensare soltanto a Iddu


“Iddu pensa solo a Iddu” dissero, chiacchierando tra loro due boss mafiosi.
Era il 2002, quindi la storia ha scritto ancora un decennio di sé e noi la conosciamo, anche se colpevolmente, quella che ci appassiona di più, forse perché più leggera e di facile comprensione, è quella che narra di mignotte e vecchi debosciati, di Betty e delle maschere di Obama, di abitini succinti da suore zoccole, che tolto il crocefisso dalle pareti, per via dei comunisti, lo hanno messo in mezzo alle tette e lo baciano, proprio come baciano la statua di Priapo.
“Potrei fare il ministro in un governo Al Fano” dice ora Iddu, pensando sempre a Iddu.
E certo che potrebbe, e anche senza condizionale. Un atto di umiltà, scrivono oggi i suoi servi, un modo per essere a servizio del Paese. Mi piace immaginarli battere tanta idiozia un dito alla volta sulla tastiera, e con una sola mano, mentre con l’altra si asciugano dal viso le copiose lacrime, e tutto intorno un frastuono di risate.
Può. Salvarsi ancora dalla galera, restare inchiodato dentro un Parlamento con la sbandierata mira di assurgere al Quirinale. Maneggiare ancora danaro pubblico, spartirlo con gli amici e gli amici degli amici. Consolidare la prassi di delegittimazione delle istituzioni. Ratificare la legge del più forte, che non solo può, ma tutto può.
Può, perché nessun cittadino oserebbe mai proibire che questo avvenga né con mezzi legittimi, né tanto meno con quelli illegittimi. Può, perché egli stesso della politica ha fatto burletta, facendo sì che nascessero e si moltiplicassero i movimenti antipolitici - sempre più vicini a governare politicamente la nazione - i coscienziosi dell’ultima ora, e i sempre più raziocinanti astensionisti dell’ultimo giorno.
Ministro della Giustizia? Istruzione? Lavori Pubblici? Pari Opportunità? Economia? Sanità? Welfare? Interni? Esteri? Cul Tura? Quello che si inventerà su misura, magari scritto per lui dall’ultimo degli autori del Bagaglino, rimasto in piedi dopo il massacro dell’Auditel?
Non importa quale sia, basta fermarsi un attimo ed immaginarlo in uno di questi ruoli, incastonato nel contesto storico che stiamo vivendo, fatto di fame e di carestia, non solo economica, ma sociale e culturale. Uno spettacolo, non solo per noi, ormai persi e disillusi, ma soprattutto per quel mondo che aveva smesso di guardarci con gli occhi storti, e che meglio di noi, oggi esulta per la speranza di averlo ancora sotto i riflettori, per potersi almeno distrarre da tutte le angherie che ci opprimono.
Poi un giorno, finalmente, al Quirinale … senza condizionale.
Rita Pani (BURKINA FASO)




6.24.2012

 

C'ho pure un amico sotto processo


A un certo punto, dall’altra stanza arriva la voce della televisione. Il governatore della Lombardia con la sua erre arrotata, spiega che non si dimetterà; che poco importa che sia indagato oppure no, tanto non si dimetterà. Sorrido, poi continua, e il sorriso se ne va, perché la questione si fa seria:
“Prendo esempio da altri miei colleghi, che giustamente non si sono dimessi. Ho un amico – sindaco del sud – che addirittura è sotto processo, e non si è dimesso …”
Caso mai, una volta ancora dovesse sorgermi spontanea la domanda: “Com’è stato possibile ridurre l’Italia così?” mi ricorderò di questa conferenza stampa, e immediatamente avrò la risposta. È possibile, è storia, è cultura e radice. È norma istituzionalizzata, la corruzione, diventata prassi proprio grazie a queste dichiarazioni che non hanno più nemmeno il sapore della vergogna. C’è voluto del tempo e molta pazienza perché l’erosione fosse efficace, ed alla fine hanno vinto loro. Per colpa di tutti noi, anche di quei giornalisti che durante queste occasioni, non hanno fatto volare le sedie, non hanno espresso il loro disappunto, il loro schifo, stando silenti a riportare esclusivamente i fatti, e magari passando per essere seri professionisti liberi e non asserviti. Quasi che, non esprimere opinioni personali, fosse la garanzia di democratica libertà di stampa, mentre ogni giorno di più il silenzio, assumeva la connotazione del servo del regime.
Il silenzio remunerato di certa stampa sotto padrone, e il peggior silenzio – il nostro – è stata l’arma che tutto ha reso possibile, e troppo spesso nemmeno il nostro silenzio era gratuito. E si torna alle origini, a questo ventennio in cui si è permesso ad un malavitoso, in odore di mafia, che puzzava di massoneria, corruttore ed evasore fiscale per sua stessa ammissione (andavo a chiedere gli appalti con l’assegno in bocca, se il fisco è oppressivo è giusto evadere) di sedersi sulla sedia più comoda che c’è, perché si potesse compiere il sogno. Oggi è diventato un incubo – per noi – ma non è escluso che la gente possa desiderare ancora a sognare.
La corruzione si tollera, l’importante è che qualche briciola ricada anche su di noi. È corrotto, lo so, ma ha procurato un lavoro a mio figlio. Quell’altro è un mafioso, è vero, ma se non ci fosse stato lui papà non avrebbe vinto l’appalto. Sì certo berlusconi ha rovinato il paese, ma almeno la guardia di finanza non rompeva i coglioni con gli scontrini …
Ora qualcosa è cambiato, c’è da ammetterlo. Certi atti lasciano scaturire almeno un po’ di indignazione, ma forse solo perché ormai anche il fondo del barile è stato raschiato, e non ce n’è più per nessuno. Né per loro – che comunque qualcosa ancora rubano – né per noi, che di briciole non ne cadono più.
Ma era il 1981 quando Berlinguer rilasciò quella memorabile intervista sulla “questione morale”. Aveva guardato avanti, aveva provato a metterci sull’avviso. Questa storia ce l’aveva già raccontata, e ci sarebbe bastato solo ricordarla mandandola a memoria, e soprattutto avremmo dovuto imparare, che solo la notte è fatta per sognare.
Rita Pani (APOLIDE)
(Non conosco l'autore della foto, purtroppo)

6.22.2012

 

Assassini colposi


C’è qualcosa di ammirevole e sconvolgente, in una madre che in lacrime è felice per aver visto finalmente condannati gli assassini del proprio bambino. C’è qualcosa di terrificante in una condanna a 3 anni e mezzo per aver tolto la vita a un bambino, soprattutto quando gli assassini sono gli stessi che noi paghiamo per tutelare la legge. C’è qualcosa di abominevole in questa condanna ridicola che festeggiamo per la sua eccezionalità, abituati come siamo, in questi paese, ad assistere impotenti ai soprusi dello stato, che ancora vogliamo definire democratico, per non aggravare ancor di più le nostre coscienze.

È colposo, l’omicidio, quindi non volontario dice la legge che dobbiamo comunque rispettare. Hanno esagerato con gli anfibi e i manganelli, tenendo un ragazzo ammanettato per terra, colpendo alle cieca perché “lui” sembrava una furia. Non volevano uccidere, dicono, e l’avvocato di una degli assassini, noto per essere un deputato del Parlamento Italiano a servizio di sua maestà,si dichiara dispiaciuto perché non è stato possibile sapere “quanta” droga avesse ingerito il furioso bambino. Quasi a dire che, più fosse stato drogato, meno pietà dovremmo avere. Non volevano uccidere, ma hanno comunque cercato di depistare – come fa lo Stato, in Italia – hanno provato a rendersi zelanti fautori della Pubblica Sicurezza, paladini del bene contro il male: un ragazzo. Poi, siccome è stato un omicidio capitato per caso, un atto scaturito dall’eccesso di zelo di una pattuglia di esaltati, è subentrato anche l’indulto ad alleggerire una pena ridicola; ma anche questo, che ci piaccia o no, è una legge dello stato, per la quale più volte ringraziammo l’allora ministro Mastella, su cui è meglio tacere.

Ora, la felicità per questa singolare vittoria del bene sul male, la si deve non solo alla magistratura, ma a una madre e una famiglia che fin da subito ha reagito e alla società civile (quel poco che ne resta) che non ha mai voltato la testa dall’altra parte, e non ha permesso che l’omicidio “andasse prescritto” nella memoria collettiva. Questo pare sia diventato il nostro compito ultimo: partecipare perché almeno si conservi  la memoria, in un paese che è spinto quotidianamente all’oblio di tutte le cose e di tutte le nefandezze, e l’oblio è un seme che attecchisce facilmente, concimato abbondantemente da un’informazione deviata.

Per esempio questa fotografia di Federico, salvata questa mattina (22.06.12) dalle pagine del Corriere della Sera dall’articolo sulla condanna definitiva dei poliziotti assassini. La didascalia è emblematica: “morto in circostanze ancora da chiarire”, casomai qualcuno anziché leggere l’articolo si fermasse alla fotografia. E mi chiedo: “Sarà una devianza colposa, o c’è del dolo?”

Non so. So però che son differenti gli articoli sul “mostro” assassino di Melissa. Ci hanno mostrato tutto di lui, persino la barca sulla quale – scrivono abbondantemente i giornali – passava i suoi periodi di riposo. Ci mostrarono le prime immagini dalle quali era impossibile comprendere il suo volto, alla fine svelato come un felice coupe de theatre. Brutto, scuro, rugoso e arcigno; rassicurante come solo un mostro può essere; soprattutto per noi che da tempo ci guardiamo le spalle soprattutto dalla Polizia.

Non scordiamo di essere società civile, non scordiamoci dei mostri e degli assassini. Non scordiamoci mai delle vittime e delle loro famiglie che attendono il giorno di poter piangere di sollievo in un’aula di tribunale. Stefano Cucchi, per esempio: non scordiamoci di lui.

Rita Pani (APOLIDE)

6.20.2012

 

In latino è meglio


Così, Squinzi dice che la legge sul lavoro è una boiata, ma va fatta. In quel che resta della destra ci si domanda come sia possibile, votare una legge che è una boiata. Ovviamente avendo la memoria labile si son scordati di quando l’allora ministro calderoli (sì, era ministro) disse che la legge elettorale era una porcata, ma la avevano fatta a posta.

Poi che male c’è? Siamo in Italia, rispettosi degli usi, dei costumi, delle tradizioni, e della cultura che ci ha sempre contraddistinto in questo vecchissimo continente. Quando una legge nasce storta, basta affibbiargli un nome latino, che la renda degna di tanta vetusta civiltà. Il latinismo, ormai, ha un suono quasi esotico. In fondo abbiamo votato col mattarellum – che non voleva dire un cazzo, ma rendeva l’idea della legnata – poi abbiamo trasformato la legge in Porcellum, e non ho mai visto nessun ministro, nessun politico e nessun giornalista, vergognarsi o non riuscire a pronunciare tanta bestialità.

L’Italia è stata capace anche di latinizzare il malaffare, promulgando leggi “ad personam” o normative “pro domo sua”. Senza imbarazzi, senza alcun rossore in volto, ci insegnavano che era normale, e che se era in latino, la cosa doveva essere serissima.

Ora tocca alla legge boiata in materia di lavoro, e io so già che a breve tutti i giornalisti parlamentaristi rinomineranno la cagata con un più consono “legge ad minchiam”. Poi verranno i dibattiti televisivi – per fortuna per poco dato che l’estate incalza - e le dotte disquisizioni sulla sintomatologia di un paese che sembra malato, invece è morto, piazzandoci qua e là un latinismo che fa sempre fine ed erudito chi lo usa.
D’altronde son giorni che la fornero, con la sua voce querula da vergine lacrimante, continua a battere su un punto fondamentale della questione lavoro: “Non è corretto parlare di esodati. Bisogna chiamarli con proprio nome, cioè salvaguardati.” E converrete con me, che almeno questa volta non le si può dare torto. Di fronte a cotanta rigida fermezza nella scelta del vocabolo più consono da usare, quale importanza potrebbe assumere il fatto che ad oggi, nell’Italia post latina, culla della civiltà, nell’era dell’abbondanza internettiana, non si sappia davvero quanti siano gli esodati, salvaguardati e sodomizzati?

Quo usque tandem …

Rita Pani (Ad polide)


6.18.2012

 

Date un obolo alle banche


L’ultimo euro di donazione col telefonino, lo diedi in occasione della devastazione del Bangladesh. Dopo si seppe che quei soldi – i nostri – in Bangladesh non arrivarono mai; si fermarono a Roma per rimettere ordine sui conti della Protezione Civile, che aveva i bilanci disastrati e tutti, ormai, sappiamo perché.

Da quella volta in poi, non feci più mistero sul fatto che mai più avrei dato una sola briciola attraverso intermediari. Ovviamente, il cittadino per bene, il buonista di stampo veltroniano, mi accusò di essere una sorta di mostro tutta chiacchiere e distintivo, oltre che una troia comunista – insulto che come una maglietta bianca, s’intona con tutti gli altri colori.

Ora si scopre che, ripianati i bilanci della Protezione Civile, pagate le case, le massaggiatrici in perizoma e senza preservativo per il direttore bertolaso, cinque milioni di euro donati da chi ancora voleva credere di partecipare in qualche modo alla ripresa della vita di un popolo devastato da un terremoto, sono stati succhiati via con metodo affaristico dalle banche. Si scopre, per dirla in maniera più semplice e diretta, che i cittadini italiani sono stati truffati per l’ennesima volta, ma peggio delle altre giacché la truffa non ha riguardato soltanto chi ha subito l’estorsione, ma anche quei cittadini che da tanta generosità avrebbero avuto avere aiuto. Un aiuto concreto. Un aiuto subito (come recitavano gli spot televisivi, ed esortavano i telegiornali).
È una storia molto italiana, una di quelle che fanno molto schifo e tuttavia, una di quelle alle quali, ormai, abbiamo fatto il callo ma che spero, possano finalmente insegnarci qualcosa. Certo è facile inviare un sms e rinunciare a un euro della ricarica telefonica. Produce anche una certa serenità, ponendo al riparo la coscienza dal dolore e dando la sensazione di aver fatto quanto fosse nelle nostre possibilità e addirittura di più, in questo periodo in cui anche prima di fare una telefonata si riflette sulla sua reale utilità. Si inizi a pensare, ora, che ogni vota che una scritta in sovraimpressione ci invita ad elargire una donazione, essa non è altro che un’estorsione. Si pensi che non sappiamo cosa andremo a finanziare col nostro euro, se una casa per un ladro, una troia per un maiale, o il pizzo per una mafia.

E anche questo, alla fine, lo dobbiamo all’eredità lasciata dal ventennio che abbiamo vissuto e che viviamo in attesa di celebrare un altro decennio ancora. Con la terra che continua a tremare, con le case che continuano a cadere, con le piogge che ricoprono le vite di fango, in una terra sempre più destinata a diventare una landa desolata, svuotata dalle scorribande di predoni incravattati.

Dovremmo esigere la certificazione delle associazioni benefiche, una sorta di bollino blu per chi si prodiga e fatica per il prossimo, mentre già siamo obbligati a distinguere tra preti buoni e preti cattivi, tra chiesa cristiana e chiesa massonica, tra mafia semplice e mafia di stato, senza avere mai davvero la certezza di saperlo, alla fine,  chi siano i buoni e chi siano i cattivi, ma non voglio pensare che “rubano tutti, rubano tutto”, spero che ancora ci sia qualcosa di onesto in questa Italia che ancora trema.

Rita Pani (APOLIDE)


6.14.2012

 

Dimentichi


E se mai un giorno dovesse arrivare anche per me il tempo di dimenticare, spero solo di avere anche solo un attimo in cui possa ricordare d’aver vissuto è che si è fatto il tempo di andare.

Se un giorno non riuscissi a ricordare i giorni in cui pettinavo i capelli alle mie figlie, o di quel giorno che d’improvviso hanno iniziato a camminare, del suono delle loro risate, per il gatto che gonfiava il pelo per spaventarle, o del cane che le leccava il gelato, i loro visi allampanati per una scoperta che era un segreto, allora io vorrò andare.

Se poi, non dovessi più sapere il loro nome, e perché le chiamai così, allora sarà giusto finire.
Se un giorno dovessi scordare il dolore che in fondo, mi ha tenuta in vita, attendendo che cessasse, allora sarà bene andare, perché nemmeno della fatica mi voglio scordare.

Se una mattina svegliandomi, non dovessi riconoscere il suo viso, o quella mano che mi viene a cercare, quasi volesse rassicurarsi, che mi son svegliata ancora una volta accanto a lui, vorrei avere solo il respiro deciso, e profondo perché fosse l’ultimo da fare.

Perché c’è il tempo da vivere, e uno in cui sarebbe giusto finalmente riposare, lasciando pace a chi si lascia, lasciandolo magari con un sorriso.

Rita Pani

6.13.2012

 

E se lo dice Cassano ...


Per esempio: che resta a noi, che non abbiamo nemmeno l’ombrellone sotto il quale fare due chiacchiere da nulla? Le dichiarazioni di Cassano. Appurato che “spread” non vuol dire nulla, e che è un termine inventato  per farci molto male al culetto, posto che d’estate è bene leccare un gelato e far finta che tutto il mondo intorno sia celeste, aggiungendo che mai e poi mai potremmo perder del tempo a discutere delle vacanze di Belen o delle chiappe di Illary, gentilmente offerte dal Corriere della Sera, non ci resta che avvilupparci intorno alle dichiarazioni politicamente scorrette di Cassano, appunto.
Non è cosa semplice, anzi quasi impossibile. Non è né logico né intelligente sentirsi toccati per una dichiarazione di un cretino, e le prese di posizione odierne, di politici e persino intellettuali mi pare non solo uno spreco di tempo, ma persino di energie. Un po’ come se una donna dovesse dibattere per un’offesa alla moralità delle stesse donne, elargita da marina berlusconi.
Non nego però un certo cinico divertimento, leggendo dotte analisi tese ad avvalorare addirittura la tesi di un complotto ordito dal Vaticano, dato che il cretino prima di offendere i “froci” pare abbia ringraziato Dio, per non so quale grazia ricevuta.
E dopo ancora, commenti e commenti ai vari articoli, dove si salva il calciatore e s condanna l’uomo (?) notoriamente ignorante o, come fa notare qualcuno “purtroppo derivante da bassa estrazione sociale.”
Sbigottita, sì. Ma divertita.
Anche perché mi son accorta che proporre altri temi di discussione, o richiamare l’attenzione verso piccoli particolari di vita quotidiana più urgenti o silenziosi, è non solo inutile quanto dannoso, dato che – grazie al cielo – i cretini abbondano.
Ne avremmo di che parlare, e ci piacerebbe anche ascoltare, ma siamo in estate, vivaddio!
D’estate provano a cancellare la legge 194 in materia d’aborto, con un silenzio così pesante intorno, che si sente rimbombare il frinire delle cicale.
Sotto il primo sole cocente, Francesco Tuccia, lo stupratore che ha quasi ucciso e reso invalida una studentessa, nei pressi de L’Aquila, è stato posto agli arresti domiciliari, insegnando alle donne vittime di questi crimini aberranti che denunciare lascia il tempo che trova, o peggio che in fondo è meglio farsi giustizia da sole.
Tra una granita e un calippo, chiudono le fabbriche e la produzione industriale, ormai è retta solo dal lavoro nero, minorile, o cinese – che spesso coincidono.
Spalmandosi un po’ di abbronzante, ci si potrebbe fermare un momento a riflettere sul disagio della ministra in lacrime, di fronte all’INPS che incautamente divulga i dati reali degli “esodati” (lavoratori inchiappettati), numeri che era più opportuno continuare a camuffare, sempre per tenere calmi gli animi di questi lavoratori che pur non avendo più un lavoro, né un ammortizzatore sociale, né una pensione, mantengono comunque il diritto al sole e a un piatto di spaghetti.
Troppo, lo comprendo da me. Meglio tornare a Cassano, passando per i cani sterminati, e scordando un presidente della repubblica, che vibratamente orgoglioso stringe la mano a uno scommettitore, fascista, in mutande. Condanniamo o perdoniamo, a seconda del tifo che abbiamo.
Credo che terrò per me solo un po’ di scarlattina.
Rita Pani (APOLIDE ACIDA)

6.08.2012

 

Un pensiero agli assassini


Il Presidente della Repubblica, in un messaggio alla Festa della Marina sui militari detenuti in India: «Rivolgo un pensiero a Latorre e Girone costretti lontano da Italia e dagli affetti»

È un classico esempio di quando lo zelo fa perdere a qualcuno l’occasione di tacere. Così a memoria, mi verrebbero in mente tanti altri pensieri da rivolgere non agli assassini, ma agli assassinati, dallo stato, dalle stragi di stato, dalla polizia di stato, dai sicari al governo dello stato. Ma sarebbe demagogia spicciola, ci hanno insegnato.

Fuori dalla questura di Lecce, dicono le cronache, la folla inferocita si è radunata facendo finta di credere che sia veramente possibile linciare un assassino. In realtà son là solo per curiosità, come si usa in questa Italia disabituata all’arte e ai musei, che preferisce recarsi in gita sulle “scene del crimine”  dove se hai culo è ancora possibile vedere il sangue secco sull’asfalto, la villa dove la madre ha massacrato il bambino, il pozzo dove lo Zio Michele ha gettato la bimba. Tutti vogliono vedere l’assassino, tutti vorrebbero staccarne un brandello (un souvenir?) mentre lo stato garantisce: “giustizia sarà fatta.”

Nel frattempo, lo stesso stato ci rassicura: i due marò torneranno a casa. I due assassini, oserei dire io, nella mia logica demagogica, che preferisco definire coerente buon senso. Due assassini in divisa, ricordiamo, che sotto la bandiera della marina italiana, pagati dallo stato italiano, scortavano il prezioso carico di una petroliera. Due assassini con licenza di uccidere, che hanno tolto la vita a due innocenti pescatori, due padri di famiglia, due vite umane impegnate a garantire l’esistenza dei propri congiunti.

A volte, signor Presidente, si potrebbe anche tacere, così come fate ogni volta che la vostra voce sarebbe gradita. Quando dopo i fatti di Genova, per esempio, si promuove il capo della Polizia, che pare non sapesse cosa facevano le orde di barbari da lui comandati. O quando muore Stefano Cucchi, caduto dalle scale o che forse si è lasciato morire per la sua anoressia. O quando lo stato uccide un uomo per bene, impedendogli di lavorare e di sopravvivere dignitosamente.

L’assassino è un assassino. La morte è morte. Nessuna divisa e nemmeno il petrolio possono giustificare l’omicidio di un innocente. Nemmeno la follia, la perversione, la cattiveria, l’odio, la gelosia. Solo la guerra potrebbe, ma nemmeno quella esiste più. Siete andati oltre, voi: uccidete in nome della pace.

Rita Pani (APOLIDE)

6.06.2012

 

Italia Pulita: inviare curriculum


C’è del bello in questa nuova idea di “Italia Pulita”, un nome e un marchio già registrato, così come si usa fare in questa neo non politica, dove tutto è marketing, spaccio di sogni e prodotti in cui riporre tutta la fiducia al pari di un disinfettante Amuchina, o un detersivo che pure essendo uguale a un altro milione di detersivi, lava più bianco che più bianco non si può.
C’è del bello, quasi quanto fu bello depositare il marchio “Forza Italia”. Quello impedì a tanti tifosi  di esultare durante le partite di pallone, per non essere assoldati come sostenitori a propria insaputa di quel tizio lurido fino al midollo; con Italia Pulita, invece, sarà impossibile per un normale politico italiano, presentarsi sul palco di un comizio a rivendicare l’intento di “far pulizia”.
C’è del bello – se pure per me già vecchio – anche nell’idea di affidare il ruolo di reclutatore ad un tale come Gerry Scotti, già parassita del PSI eletto al Parlamento Europeo e imbonitore, lobotomizzatore di massa nelle televisioni del tizio maniaco.
A breve sugli schermi delle tv mediaset passeranno le scritte in sovrimpressione: “Vuoi entrare a far parte della dirigenza del nuovo movimento politico italiano? Scrivi a Selezioni Movimento Italia Pulita, presso canale 5, Cologno Monzese – MI – o invia un curriculum a …” proprio come se fosse una trasmissione TV.
Anzi, chi lo sa? Potrebbe essere una nuova frontiera del nulla che dilaga, un bel reality show che sostituirà le primarie, e che farà scegliere direttamente agli spettatori elettori, i loro futuri rappresentanti. Non so perché, ma giurerei di aver sentito dire: è democrazia.
C’è del bello anche nell’immaginare i curricola che arriverebbero sul tavolo del selezionatore: “Caro Zio Gerry, ho 18 anni, mi kiamo Cettina Ruoppolo, ma tutti mi kiamano PussyFresh Novantaquattro. Sono milanese e già da quando sono pikkola mi interesso di politika, infatti leggo tutte le settimane “Chi”, dove ho seguito tutta la carriera di Mara Karfagna, Nikol Minetti e Mariastella. Ho molti valori che mi sono stati insegnati da mia madre: la famiglia, la libertà e meno tasse. Studio alla scuola privata delle Nostre sorelle dell’immacolata consacrazione, dove mio padre ha comprato il diploma in prospettiva della prossima Laurea in scienza della moda e dell’accessorio giusto, che compreremo tra tre anni alla Cepu, che almeno è italiana e ha valore. Sono kattolica e per questo amo la famiglia. Come ho letto su Chi, anche io come formigoni ritengo che la verginità sia un valore, e per questo già da qualche anno mi sono applicata allo studio del coito orale (mamma dice che pompino è volgare), ottenendo buoni risultati in tutte le tecniche possibili: risucchio, etc, etc, etc.
Ho studiato danza con l’intento di partecipare alle selezioni di Amici di Maria, addizione per partecipare al Grande Fratello e per poter poi partecipare dopo aver fatto esperienza anche all’Isola dei Famosi. Sempre per prepararmi per la carriera politika, all’età di 16 anni ho montato le tette nuove arrivando ad ottenere una sesta. Ho praticato la depilazione definitiva e di tanto in tanto mi sottopongo allo sbiancamento anale, cercando di mantenermi sempre pronta ed efficiente per qlnq evenienza lavorativa.
Non ho problemi a viaggiare, e anke se mi kandido per ricoprire la massima karika da voi messa a konkorso, presidente del partito, mi rendo disponibile a ricoprire ruoli minori, quali: ministro, sottosegretario e, in ultima analisi, anche semplice deputato, certa di poter inseguito dimostrare a Papi quanto valgo. Resto in attesa e porgo …”

C’è del bello in questa Italia che continua a produrre questo genere d’immondizia, che ci tiene lontani dalla realtà che a brevissimo ci porterà in Grecia. C’è del bello in questa politica che non ha il coraggio di dire la verità, e che continua a proporre cure che sono assai peggiori delle malattie, con sindaci della Rete Virtuale che hanno a che fare con reali voragini di bilancio, con le fabbriche che chiudono e non riapriranno mai più, con le nuove tasse che colpiscono i deboli e salvano i ricchi … perché alla fine, loro lo sanno che siamo ormai in Grecia, ma scapperanno prima, lasciandoci qua a rimboccarci le maniche e a zappare la terra per  poter mangiare.

Nel frattempo guardo e rido: ancora è gratis.

Rita Pani (APOLIDE64)

6.04.2012

 

Il volo del Papa


Mi chiedono di far circolare una foto sul web, la guardo e sorrido. È la foto dell’arrivo del Papa a Milano, dove è evidente che l’omino bianco ha viaggiato su un aereo di Stato, il nostro; uno di quelli che ha su scritto: “Repubblica Italiana”. La ragazza che mi ha scritto si firma col suo nome e cognome al quale ha aggiunto, ora s’usa, “indignata”.
E di grazia, perché dovrei indignarmi, ora? Dimmi, le rispondo, credi che se l’omino bianco fosse salito su un aeromobile dell’Alitalia avrebbe pagato il biglietto, fatto la coda al check in, o sarebbe stato in piedi davanti al nastro trasportatore dei bagagli per un tempo infinito, disperando di trovare al fine i suoi bagagli? Devo spiegarti, forse, che i viaggi del Papa sono da sempre a carico dello Stato Italiano per gli assurdi patti firmati illo tempore, tesi a garantire le infiltrazioni della Chiesa nella politica italiana?

Quel che semmai mi indigna è sapere che l’omino bianco dalle scarpette rosse ha donato 500 mila euro per la ricostruzione in Emilia Romagna. Mi indigna fortemente perché soltanto su un giornale ho letto la notizia scritta bene, tutta e senza sconti. Solo un giornalista si è preso la briga di spiegare che la generosità del Vaticano è stata solo apparente, dato che tutta sua santità ha devoluto solo ciò che i fedeli hanno donato durante la sua visita a Milano.
Mi indigno quindi, sì, e doppiamente: primo perché da pusillanime ha donato tanto senza aver tolto nulla dalle sue profondissime tasche, secondo perché nonostante la crisi, la fame, la povertà e la carestia, c’è ancora chi si sente in obbligo di foraggiare questa gentaglia che andrebbe mandata scalza ad arare campi ed abbeverare vacche, in Africa.

Mi dà la nausea, inoltre, leggere la notizia così come la maggioranza dei giornalisti l’ha divulgata, lasciando emergere la grandiosa generosità del Santo Padre. Mi rivolta persino che lo si chiami Santo Padre, in realtà. Un uomo che il peccato lo ha scritto negli occhi, e che pecca ogni volta che muove un passo non può essere santo, e tanto meno padre, visto che ha trovato la lucentezza nella castità e nel celibato.
È grande cosa l’indignazione, ma è un’energia preziosa che andrebbe canalizzata meglio, stoccata e redistribuita, proprio come un patrimonio.

Personalmente m’indigna la sola esistenza del Vaticano, la sua istituzione mafiosa e bigotta, tutto ciò che nasconde dietro le loro mura infinite, sparse ovunque nel mondo. Mi indigna che a trent’anni di distanza ci siano ancora due famiglie alla ricerca dei resti delle loro bambine, rubate e ammazzate per i soldi dello IOR, per il vizio pedofilo dei santi padri e fratelli. Mi indigna lo sfruttamento dei malati e dei disabili custoditi nelle strutture della Chiesa a prezzi da Grandhotel Excelsior (quando si può pagare) e foraggiati dalla sanità pubblica che toglie al povero per ridare al ricco. Mi urta finanziare la scuola cattolica che sempre con lo stesso principio riceve e accoglie solo i figli dei ricchi che a loro volta possono pagare ancora, per essere istruiti nel nome di Dio, apprendendo le favole di un mondo che non esiste – che sarebbe bello sì – ma proprio non c’è.

Mi urta la solita ipocrisia, quella che ormai è normale in questo paese anormale, che predica bene e razzola malissimo, che ancora ha bisogno di andare ad agitare le bandierine e far festa per un nazista con la faccia orribile, che solo a guardarlo dovrebbe passare ogni dubbio sulla presunta santità.
Ha viaggiato sul volo di stato, lo so, fa schifo. Esigiamo che il Vaticano diventi realmente uno stato estero, con tutto ciò che ne consegue, allora … oppure … facciamo finta di indignarci, che almeno ci ritorna il sorriso.

(Mi appello al Corvo Vaticano: Sua santità, non è che ora potrebbe dirci dove sono sepolte Manuela Orlandi e Mirella Goracci? Se vuole, anche in forma anonima. Tutta l’Italia ve ne sarebbe grata.)

Rita Pani (APOLIDE)

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