7.29.2011

 

Quando parlano le istituzioni


Il titolare del Tesoro temeva di essere vittima di uno scontro  tra bande dentro la Finanza.

Diceva Nanni Moretti, nel film “Palombella rossa”: “Le parole sono importanti!” e lo sono davvero, soprattutto in questi tempi di noia e imperizia, in cui ci lasciamo passare sopra le cose peggiori, senza che queste riescano a scalfire nulla di noi.
Le parole dei Ministri sono assai più importanti di quelle che possiamo sputare noi, liberi pensatori, cittadini qualunque più o meno raziocinanti o indignati. Quando parla un ministro, è l’istituzione che ti parla, e quando un’istituzione mi parla così, io libera cittadina, rivendico forte il diritto non solo di non sentirmi in obbligo di rispettare le istituzioni, ma di vituperarle al punto da ritenermi più che apolide, facente parte di un mondo a parte.

E più che le parole di questi malfattori, quel che è importante è il silenzio che accompagna ogni schiaffo e ogni insulto. Certo, è difficile attendersi una dura presa di posizione da parte della Finanza, capace di ridare dignità all’Istituzione che rappresenta, dopo che qualche generale è stato beccato col sorcio in bocca come un banale ladro di polli, ma almeno un sussulto, un labile tentativo, forse, sarebbe stato apprezzato. Invece tutto tace e a noi resta l’idea che questo stato sia davvero diviso tra comunisti e libertari, gli uni vendicativi e in lotta contro gli altri, in questo stato dove tutto ormai è diventata una battaglia tra il bene e il male, ma al rovescio.

Il titolare della Pubblica Amministrazione: siete dei cretini, disperati e poveretti, ho il consenso di milioni 
di italiani.

E sono ancora le istituzioni a parlare. Quelle che dovrebbero “lavorare” per noi, quelle che dovrebbero risolvere la vita di milioni di noi. E sarebbe davvero troppo semplicistico limitarsi a rispedire al mittente l’insulto. Perché per me, che vivo da disperata e senza ricchezza alcuna, ma decisamente priva anche del sospetto d’essere affetta da cretinismo o priva di dignità, ritenere un siffatto scherzo della natura un ministro, sarebbe oltremodo contro natura. Non potrei mai rivolgermi a questa cosa mostruosa col rispetto dovuto ad un’istituzione, ad un animale, e nemmeno ad una pianta.

Se solo da cittadini dignitosi riuscissimo a far di conto, questa feccia spavalda ed arrogante inizierebbe a tremare. Se fossimo tutti un poco più propensi a riprenderci il maltolto, li vedremmo scappare nottetempo, forse con le borse piene solo di danaro; l’unica cosa per cui sono sempre stati capaci di lavorare, rapinatori, ladri e profittatori. Se riuscissimo una volta per tutte ad ascoltare bene il senso delle parole – quando parla un’istituzione – capiremmo quanta urgenza ci sia di difendere e ridare dignità alle stesse istituzioni. Quelle che oggi ci insegnano che è giusto delinquere per salvarsi da esse.

Mi torna in mente Karl Popper: Vi sono soltanto due tipi fondamentali di istituzioni: quelle che consentono un mutamento senza spargimento si sangue, e quelle che non lo consentono!” 

Rita Pani (APOLIDE)

7.28.2011

 

Il carcere col frigo

Quante volte guardando a nord, abbiamo pensato: “Beati loro che vivono in un mondo civile!” Lo abbiamo pensato anche leggendo della Rivoluzione in Islanda, quella silenziosa che i giornali ci hanno risparmiato, per non insegnarci che la volontà popolare, pacifica e civile – appunto – potrebbe vincere e riportarci alla vita.
Poi i fatti di Oslo, e la marea di articoli scritti per lasciarci spiazzati a porci ancora domande che difficilmente troveranno una risposta. 

Ricordo che mentre bevevo un caffè in un autogrill, dalla radio arrivavano le notizie sul “pazzo” attentatore, di cui non ricordo il nome: “Ha la pelle bianchissima e gli occhi che dal verde vanno all’azzurro.” Certo, s’era detto nell’immediatezza dei fatti, che al Qaeda era risorta e tornata per uccidere, e forse pareva brutto utilizzare il termine “cristiano” per dare senso a tanta morte che un senso non può avere.

Da ieri, invece, l’attenzione si è spostata: rischia troppo poco carcere, ma forse saranno trent’anni almeno, e soprattutto – leggo: “Carcere a 5 stelle con frigo e Internet per il folle norvegese.” E si sprecano i commenti inorriditi dei lettori italiani, che proprio non comprendono perché a un criminale debba essere garantito di vivere dignitosamente.

Eppure molte volte, guardando al nord mi son sentita dire che sì: “Beati loro e la loro civiltà!”  e son solo parole, quelle che diciamo quando ci tocca da vicino la nostra realtà, che ci ha viziato più di quanto riusciremo mai ad ammettere. Siamo così usi ad essere incivili che ci siamo abbruttiti fino in fondo all’animo, e non siamo più capaci nemmeno di accettare l’ovvio. Quello che ci faceva nascere un po’ di invidia nel cuore, oggi ci indigna.

Mi piacerebbe chiedere ad ognuno di quei lettori che hanno lasciato un commento, inneggiando alla pena di morte o al carcere duro, durissimo, come quelli che abbiamo noi, con i detenuti stoccati come polli in batteria, quante parole o firme su appelli hanno lasciato ogni volta che in Italia un detenuto si impicca con un lenzuolo alle sbarre di una finestra. Mi piacerebbe sapere quante volte, ognuno di loro si è indignato sapendo dei lager per gli extracomunitari, che come tante piccole Guantanamo sorgono in silenzio e protette dal segreto di stato, in quest’Italia che civile non è.

Siamo umani, è vero, ma forse ormai siamo troppo viziati dalla nostra inciviltà per essere davvero capaci di desiderarne fortemente una anche per noi, o forse siamo solo abituati ad indignarci a comando, per le cose che vivono abbastanza distanti da noi, da essere certi che non ci potranno mai toccare.

Quei commenti indignati verso l’altrui civiltà, mi lasciano a sospettare che difficilmente saremo capaci di lottare per averne una anche noi, che al massimo – io per prima – sorridiamo leggendo che a un governo come il nostro, che dovrebbe riunirsi in assemblea a San Vittore, c’è ancora qualcuno che chiede credibilità. E a San Vittore, per fortuna, non c’è il frigo.

Rita Pani (APOLIDE)


7.27.2011

 

Vademecum antistupro: mettiti il burqa


Anna Lallo ci ha lavorato un anno per preparare il libretto salvavita delle donne, gentile omaggio del comune di Roma per salvarci dallo stupro, o dagli abusi e dalle violenze. Un anno pieno, pieno, durante il quale, evidentemente, non ha avuto nulla di meglio da fare, se non arrivare alla conclusione che, magari un burqa salva la vita e meglio se di ghisa con alcune parti, quelle a protezione delle zone più sensibili, di zinco.

Non si spiegano la polemica, le fautrici del vademecum, e sbrigativamente trovano una spiegazione nel comunismo che avversa il sindaco fascista di Roma, il quale, nello stesso opuscolo, ne esemplifica l’utilità: “Per aiutarvi a sentirvi più sicure, sapendo che non siete sole.” E accidenti – Grazie! – verrebbe da rispondere. In fin dei conti a chi di noi sarebbe potuto venire in mente che è meglio non camminare in strade buie, avere il telefono a portata di mano, allacciarsi bene o non usare la borsetta, e soprattutto non indossare abiti succinti e appariscenti, oltre che non accettare caramelle dagli sconosciuti? Non comprende nemmeno, Anna Lallo, perché mai una donna si debba sentire contrariata dall’invito ad indossare abiti maschili di quattro taglie più grandi, per non invogliare un uomo a violentarla.

Per fortuna non vi è scritto di girare al largo da persone che parlano con accento dell’est o che hanno la pelle troppo scura, e nemmeno di evitare di depilarsi le gambe quando s’intende usare la minigonna. Ha scordato anche di consigliare di riempire la testa di bigodini, mettere le pantofole, e lasciare un po’ di crema ai bordi del viso per andare a prendere il treno o a fare la spesa al mercato rionale. Mi ricorda un po’ il vademecum anti AIDS che stilò l’allora Ministro per l’istruzione Moratti, che molto più pragmaticamente insegnava alle ragazze ad arrivare vergini al matrimonio, e ai ragazzi a non masturbarsi, non perché si potesse prendere l’AIDS, ma perché si andava soggetti a devastanti cali di vista.

È tutto molto italiano, ridicolo come solo in Italia può essere. Un paese capace anche di affossare una legge contro l’omofobia, avversata dallo stesso ministro per le pari opportunità che pure avrebbe dovuto difenderla, in un momento in cui si ripetono le aggressioni contro i gay, e in maniera maggiore proprio a Roma, esprimendo tutta l’inciviltà di cui siamo capaci. Roma, la città che elesse il sindaco fascista grazie anche alla campagna elettorale che vanta due sospetti casi di stupro che avvalorarono la necessità della sicurezza.

Ci ha messo un anno Anna Lallo per scrivere le dieci semplici regolette che ci permetteranno di essere sicure e protette da uno Stato guidato da un pervertito che paga le ragazzine per sballonzolargli le tette davanti al muso, per muovere agili le loro chiappette aggrappate ai pali della lap dance. Un anno intero di fatica e sudore, non per insegnare all’uomo a non essere una bestia, ad essere civile, a vivere da umano, ma alla donna a non essere donna, umana, libera di vivere serena la sua femminilità. Un anno intero per insegnarci a chiamare la polizia, che arriverà a salvarci, sempre che abbia la benzina nel serbatoio dell’auto.

Rita Pani (APOLIDE)


7.26.2011

 

Io borghezio lo scrivo in neretto


È bene dire, innanzitutto, che ogni volta che io scrivo: “quel sacco di merda di borghezio” sono punibile. Vilipendo un sacco di merda che però è rappresentativo delle istituzioni europee. E allora, per non sbagliare, lo scriverò in neretto: quel sacco di merda di borghezio.

Nemmeno ne avrei voluto scrivere dell’avaria cerebrale globalizzata, che ha dato la stura al nazismo, in questo mondo che pare correre in modo forsennato per distruggersi e mai più rigenerarsi, perché son giorni strani i miei, di quelli che vorrei continuare a guardare sempre verso il sole, mentre l’ombra mi si fa intorno. Ma non si può tacere di fronte alle dichiarazioni di un sacco di merda che rappresenta una porzione di popolo italiano.

Avrei voluto, fingendo di ignorare il silenzio della chiesa che pure si è trovata di fronte a un suo paladino – cristiano integralista – che ha falciato un centinaio di vite umane. Avrei voluto, anche quando mi sarei aspettata che la stessa “istituzione” ricordasse cosa significa essere “cristiani”. Avrei voluto tacere, benché avessi letto le idiozie della propaganda al soldo del mefitico tizio che vi governa, che arrancava tra al Queda e Islam, passando, come sempre per un po’ di comunismo – che non guasta mai.

In fondo ho taciuto anche quando parte del popolo italiano ha lottato contro la polizia per salvaguardare la propria terra – quella che dovrebbe fare patrimonio – ben sapendo che le ruspe e la polizia altro non erano che un modo per fottere un po’ di danari all’Europa, da spartire, fondo del barile raschiato, tra ladri e corruttori, tra mafia e corruttela. E anche quando, un altro nazista, forse solo più pulito e accorto per la sedia che occupa abusivamente da padano in Italia, ha paragonato la resistenza del cittadino col terrorismo. Avrei voluto farlo davevro, solo per un minimo di egoismo che mi sarebbe utile sviluppare, in questi giorni che – come detto – si fanno bui.

Ma non posso farlo quando un sacco di merda come borghezio resta libero di inneggiare a un nazista, al nazismo, e a tutto quello che evidentemente la storia non ha insegnato. Per il resto, non mi sento più nemmeno di tacere dinnanzi a una stampa sempre più “utile” e servile, che preferisce ignorare quello che proprio queste merde hanno insegnato alle nuove generazioni, ovvero che in nome di dio, uno qualunque, tutto sia lecito, persino uccidere nel nome di un dio altrui.

E allora riprendo anche le parole di ieri, di cordoglio e commozione sputate con sapienza dal Presidente della Repubblica al quarantunesimo morto italiano in Afghanistan, in nome di un’altra guerra santa – del dio petrolio -  che la lega, il partito di quel sacco di merda di borghezio finge di voler interrompere solo a parole, perché in fondo non val la pena fare la guerra per “portar pace” a quelli uomini in palandrana.

Troppo comodo, parlare della follia del giovane norvegese. Troppo comodo far finta che non esista un problema più profondo, troppo comodo nascondersi dietro le cariche istituzionali, siano esse italiane o europee, per non dover pagare per i propri reati. Perché essere nazisti, ancora lo è. Ma se resta  impunito quel sacco di merda di borghezio, allora son libera anche io, di dire che certe merde così, le farei esplodere attaccate contro un muro. Perché sono inutili, capaci anche di rubare l’aria agli asmatici.

Rita Pani (APOLIDE)

7.25.2011

 

Di Hermes in TV

http://www.telereggiocalabria.it/tutti-programmi/7-stagione-attuale/19-tele-reggio-news.html

:)  R.

7.24.2011

 

Alle pareti la foto di bossi

Vorrei poterla scrivere a matita, la storia di questo periodo ammuffito, e poterla cancellare prima di mandarla a memoria, o prima che qualcuno incuriosito dall’assurdità degli accadimenti italioti, punti ancora il dito verso di noi per deriderci.

Purtroppo questo non può accadere; la storia si scrive con l’inchiostro pesante dei fatti, spalmati sui giornali, strillati con quei titoli in grassetto che spesso sono le uniche due righe che si perde tempo a leggere. Ne ho trovato uno molto bello sul Corriere della Sera, che cito testualmente: “Ministeri del nord: alle pareti bossi e Alberto da Giussano”. Poi, sotto, “l’ira di Alemanno”.

C’è che l’altra notte ho percorso la Salerno Reggio Calabria, proprio tutta e ancora più su. Quasi nove ore di auto per tornare a casa, qua nel nuovo Regno di Guevinastan, dove io governo in modo totalitario – imperatrice unica - sulle mie gatte suddite, e c’è anche che nei giornali scritti con le zampe, vado a cercare quel che non sta scritto ma che pulsa tra le righe e che grida vendetta. C’è che sono nata in terra d’oltre mare, quella dimenticata e che vive d’estate sugli stessi giornali che pagano profumatamente qualcuno per farci sapere che i vip, al mare, usano la crema solare, e ci si spalmano le tette, le chiappe e le facce – che a volte si ha problemi a distinguere tra le une e le altre. C’è che essere del sud, e persino amarlo, non dà molto piacere ma tormento per quello stato di abbandono e miseria, morale e materiale al quale dimostriamo d’essere abituati se non arresi.

Allora, arrivando fresca dalla Calabria, col cuore ancora molto pieno di sole e di volti, di sporcizia ed erba secca, di bellezze naturali violentate – se non uccise – memore della fatica che qualcuno fa per conservare il poco rimasto, mentre c’è chi ancora distrugge col fuoco o col cemento, o della ricchezza che appare volgare negli abiti sfarzosi esposti nelle vetrine accanto ad altri negozi di generi alimentari chiusi per fame e carestia, mi domando il senso della nostra immobilità e del nostro nichilismo. E lo ritrovo in altre notizie appena sospirate, scritte per dovere con la speranza che nessuno le legga davvero.

La soluzione – leggo – potrebbe essere quella di portare anche il PD al governo, sempre che si sia disposti ad accettare un premier leghista. E lo ha detto il presidente della Camera. E leggo anche che una delegazione di insegnanti di Roma si sono recati in pellegrinaggio dai leader leghisti, preoccupati per l’invasione degli insegnanti del sud, che a Roma rubano i posti di lavoro ai romani. E le obiezioni di Alemanno, afflitto perché vede in crisi il sistema federalista che avrebbe previsto, invece, una maggiore autonomia delle Regioni. Tutto in neretto, proprio come fosse una cosa seria.

Allora c’è che a 150 anni da una farsa ne stiamo scrivendo una ancora più ignobile, di propaganda e populismo, di megalomania e malaffare, di ignoranza e stupidità. Una storia miserabile che si arrende a sé stessa. Purtroppo però, la storia non si scrive a matita, e un giorno ci sarà un bambino che col suo libro accanto la studierà;quella del “ministro” che si presentò davanti al popolo padano con un fascio di banconote in mano, per dire che le scrivanie brianzole erano state acquistate da lui, con i soldi del nord. Quello stesso giorno, fra trent’anni ancora, qualcuno partirà in auto da Reggio Calabria per tornare mesto a combattere il tempo di un cancro nel centro d’Italia e forse, facendo lo slalom tra catarifrangenti e cartelli di deviazione, incolonnato in interminabili file di auto e camion, si ricorderà di come un popolo di imbecilli, si convinse che per non farsi derubare bastasse affidare i propri averi ad un ladro.

Quello stesso che trent’anni prima promise che in tre anni avrebbe finito l’autostrada del sud e sconfitto il cancro, e che di fatto non fece altro che devastare l’Italia e renderci impossibile persino curarsi.

Rita Pani (Imperatrice del Guevinastan)


7.23.2011

 

Presentazione "Lo sguardo di Hermes" Reggio Calabria


7.20.2011

 

Le monetine? Me le tengo

Hanno paura che si possa tirar loro le monetine. Io spero che questo non accada, e che noi non si sia così ingenui da credere davvero che possa essere una mossa intelligente. Questi son così ladri che si inchinerebbero a raccogliere anche quelle da due centesimi. E noi ingenui lo siamo, quando ci sgoliamo a chiedere e pretendere che si abbassino i costi della politica, o peggio, che con un gesto di responsabilità, loro decidano di abbassarsi lo stipendio o ridursi il privilegio.

Siamo ben oltre tutto questo, siamo avulsi dalla realtà che non è più "lo stipendio" del parlamentare, ma l'illegalità che si è fatta normale, in uno stato che io non riconosco, e dal quale potendo scapperei, proprio come si fugge dal pericolo di uno tzunami o di un terremoto. Uno stato che è ormai affondato e al quale si tiene giù la testa, sotto l'acqua, così che non possa più essere rianimato. Uno stato che ha ucciso la speranza.

In diretta TV, stasera alle 16 verrà trasmessa la votazione per decidere se uno degli ultimi criminali dovrà essere arrestato, e leggere le cronache normalizzate c'è da rabbrividire. L'argomento è trattato come se si stesse davvero parlando di politica, con tanto di previsioni sulle possibili decisioni di questo o quel partito, sulle dinamiche del voto, che dicono non sia scontato. Scilipoti - scrivono - chiederà il voto segreto, mentre la lega lascerà libertà di voto. In ballo c'è la credibilità del PDO il Partito degli Onesti, di cui Papa il "piquattrista" (che è brutto anche da scriversi) è membro attivo e stimato; poi ci sono i ministeri del nord, che a giorni verranno inaugurati in quest'Italia che non si riconosce più.

Lo capite da voi che se il fatto politico più rilevante di questi giorni, che merita di essere annunciato e trasmesso in diretta TV è la richiesta d'arresto degli ultimi degli accoliti di un criminale, qualcosa non torna. Eppure così è e così ce lo teniamo, continuando a combattere cause stupide, che basta un click per farci tutti rivoluzionari. Siamo ormai i qualunquisti delle parole, io per prima - lo ammetto - anche se voglio riconoscermi il merito di averne almeno coniato qualcuna, come tizio del consiglio (trovata anche sui giornali) o tizio criminale (e questa no, rimasta a mio solo uso e consumo perché anche come imbecille son rimasta sola). Quindi ieri sentivo alla radio che si parlava di "Casta" inventato tempo fa da Stella e Rizzo, e mi rendevo conto della pessima abitudine di andare oltre al pensiero preformato.

Ma che mi importerebbe a me, se continuassero a prendere 20 mila euro di stipendio al mese, se non avessero razziato i fondi per organizzare la vita dei cittadini? Il problema non è tanto quanto vengono pagati questi ladri, ma il motivo per cui vengono pagati. Sono stipendiati da noi, per rubarci la vita: questo dovrebbe essere il punto d'osservazione per poter decidere che un click non basta più (o almeno non quello di un mouse). Il massacro dei NO TAV per garantire il furto dei fondi europei, le case a loro insaputa, la flotta di elicotteri per aviotrasportare un criminale, la razzia dei servizi e dei trasporti, il bilancio della sanità pubblica depauperato con il finanziamento dell'elisir di lunga vita a Don verzè e al suo vice che hanno suicidato. E la lista sarebbe così lunga che mi vomiterebbero anche le dita sulla tastiera, se continuassi. Lo so io e lo sapete anche voi.

A volte guardandomi intorno, penso di essere così distante da non saper più tornare indietro, proprio come tutta la storia che stiamo scrivendo.

Le monetine? No, io no di certo. me le conservo per gli ultimi spiccioli di vita, quella che mi fugge ogni giorno che penso che domani, inevitabilmente, me ne darà un altro da fuggire.

Rita Pani (APOLIDE)

7.15.2011

 

Quindi siam tutti in crociera?

Ma guarda un po'! Ci avevano detto di essere su una portaerei e oggi, invece, scopriamo di essere a bordo del Titanic, dove ovviamente i primi a morire saranno quelli che viaggiano in terza classe, quelli avvolti nelle coperte e stivati come bestie nel culo della nave. O della vita.

Intanto il tizio premier è sparito e non parla da dieci giorni, e non ci resta nemmeno l'illusione che un colpo di calore se lo sia portato via. Pur essendo vecchio non ha certo bisogno d'essere accompagnato al supermercato, o abbandonato - come si usava fare nell'era Sirchia - in una caserma dei pompieri. Riapparirà a breve, come ogni estate, con più peli sulla testa, più giovane e levigato, proprio come un serpente che ha appena cambiato la pelle.

Una nave strana la nostra, che navigava su mari da favola fino a qualche giorno fa, quando ancora quel tizio, col suo viso liscio come il culo di un bambino (ma sempre un culo) si rammaricava di non aver potuto ancora diminuire le tasse, e prometteva che comunque il momento sarebbe arrivato presto. Ora che siamo sul Titanic, tutto è più chiaro, così palese che finalmente anche i leghisti iniziano a sentire un certo pizzicore alle terga. Certo, lenito dalla ormai prossima apertura dei "Ministeri del nord" - conditio sine qua non - per avere un serio rilancio dell'economia. I leghisti che proprio ieri, si saranno sentiti tutelati e rassicurati dalle dichiarazioni del loro Vate, bossi, che ha espresso con le corna e una pernacchia il suo pensiero politico sull'attuale situazione politica del Paese.

Per fortuna che chi sta a bordo del Titanic non ha molte buone abitudini, nemmeno quella di tenersi minimamente informato, e così può continuare a stare sdraiato a godere del panorama in discesa che declina in fondo al mar. Un po' di lamentele saranno d'obbligo, anche quando non si riuscirà più a comprare il pane, oltre che ad allevare i figli incautamente gettati su questo mondo, o a curarsi, o a trovare un lavoro che consenta tutto ciò, ma dato che i nuovi prelievi di sangue saranno spalmati in tre anni, avranno sempre tempo nel 2014 a dire che sono i comunisti, il vero partito delle tasse. Le sanguisughe.

Chissà, magari se questi strani viaggiatori prendessero l'abitudine di leggere i giornali, si accorgerebbero che più che notiziari somigliano sempre più ai mattinali delle Questure, in cui ogni giorno vengono elencate le novità dei crimini o degli arresti. Ogni giorno uno nuovo, in galera o in procinto di finirci, un ladro o un corruttore, un semplice malavitoso o un criminale incallito, ma è così bello il viaggio del Titanic che è bene non lasciarsi disturbare.

Semmai affidarsi al grande, e vecchio saggio che abbiamo al comando di questa nave che affonda, che con molta grazia e autorevolezza grida al "Miracolo"...

E qua mi fermo, perché c'è un limite a tutto, oltre il quale - sinceramente - non mi va più di andare, probabilmente anche per un po' di sano egoismo: pare che questa finanziaria ci costerà mille euro a testa. Mi vien da ridere ... si accomodino pure, io non ho buono nemmeno il sangue.

Rita Pani (APOLIDE)

7.14.2011

 

Al sud

È che quando arrivi al sud, ti accorgi. Per l'intonaco che manca, o per quei ferri che escono dai muri delle case, e si stagliano verso il cielo. Quel cielo del sud che sembra morbido.

Poi pensi a questa Italia che sembrano tre e chiedi in giro all'uno a all'altro dei tanti perché, e la risposta alla fine è sempre la stessa: " È la gente che non va!"

Chissà, forse è anche vero, perché a tutto ci si abitua, persino a non vedere più quel che tutti i giorni guardiamo distratti, senza renderci conto nemmeno di cosa si viva, senza più porsi domande, accettando passivamente tutto quello che ci viene fatto, e facendolo un po' anche noi. A volte senza intenzione, ma solo perché tanto - ti dicono - è così che vanno le cose. Ed è proprio adagiandosi stanchi in quella vita che si fa letto, che le cose scorrono malgrado noi, e si smette di lottare.

È arrivando al sud, che mi è tornato in mente il nord, con la sua TAV e con le persone disposte a farsi massacrare e intossicare dalla Polizia, in questo stato che dimentica sé stesso, o che quel che avrebbe potuto avere in più se non ne avesse svenduto gran parte. E lo stato, si diceva una volta, ormai molto tempo fa, siamo noi.

Pensavo all'urgenza di arrivare veloci in Francia, partendo da Roma, che in fretta arrivi a Torino. Pensavo alle balle che ci hanno raccontato, di questo paese che deve correre per concorrere, trasportando non si sa bene cosa, con quei treni veloci che per farsi strada devono deturpare ancora il territorio, e rubare danaro, e foraggiare malavitosi, che questo stato lo hanno depredato, come pirati i velieri. Forse non c'è fretta di arrivare al sud, perché è bello, c'è sempre il sole, e i paesaggi cambiano non essendo mai monotoni, tra mare e deserto, tra rocce e boschi. Così bello che te lo puoi centellinare, magari, nelle dieci ore di treno che separano il sud dal resto del sud, quel tempo che ci vorrebbe per arrivare da qui a lì, all'altro mare.

Perché non ci sono nemmeno le strade, e quelle che ci sono restano intasate o bucate, che Beirut a tratti pare un paradiso. Ma in Francia, ci hanno detto, urge arrivare veloci.

L'Italia si ferma a Napoli, e non si sa ancora se sopra o sotto, quasi come se fosse quella linea fantasma, la terra di nessuno. E mi pare di sentirle le obiezioni: "Sì ma certo, c'è la mafia, e la gente alla fine - la gente - la mafia l'ha votata". Chissà, forse è anche vero, ma basta fermarsi a spostare lo sguardo da un posto che potrebbe diventare bellissimo se non ci fossimo abituati alla bruttura della vita, che ci ha avvelenato quel tanto che basta a renderci ciechi e sordi di fronte al suo agitarsi, al suo strillare. Basterebbe poco per comprendere che è un alibi che non regge più.

Basta un ministro inquisito per mafia, che dice: "No, io non mi dimetto!" e poi spiega che non è lui il criminale, ma chi lo punisce per aver salvato un governo. Quel governo che ogni giorno piange il suo caduto sotto i colpi di una magistratura anche lei colpita, invisa agli occhi dello stato che dovrebbe proteggere e tutelare. Basterebbe pensare che questo governo la mafia la impone, con la legge elettorale di stampo leghista, che l'Italia vorrebbe spostarla ancora più a nord, che è deserto sotto la Toscana o appena più in là.

Forse un giorno saremo riusciti a educare un nuovo modello di cittadino, quello che non accetterà più di lasciar scorrere la storia sempre uguale, o di peggiorarla ancora, se possibile. Uno di quelli che riuscirà a vedere quanta bellezza ci sia, sepolta dietro l'orrore delle ricchezze che abbiamo contribuito a sperperare.

Rita Pani (APOLIDE)

7.11.2011

 

Ma di che cazzo stiamo parlando?

Cos’altro resta da dire, di questo paese che fa persino di Pulcinella una persona serissima? È difficile mettere insieme le parole della svolta, e peggio che mai quelle della speranza. Si viaggia in ordine sparso, e il primo che arriva spara la sua cazzata – quella sì, serissima – con voce istituzionale.

Pensare alla Ribellione (e a posta, per il rispetto che merita non dico Rivoluzione) è diventato un obbligo, ma ci si ferma al pensiero perché in fondo sappiamo che tutto, in questo paese, resta vano e appeso alle braccia che allarghiamo in segno di resa, e che neppure ci cadono più. Ormai è un continuo stillicidio di “non senso” spacciato per “normalità” contro il quale ribellarsi è inutile, perché dall’altra parte – quella deputata ad accogliere le istanze del popolo – non c’è nessuno pronto ad ascoltare, a fare propria la nostra indignazione, a tutelare la nostra dignità, a correre in nostra difesa.

Personalmente mi mantengo col sorriso, ormai quasi inebetito, che non riesco a frenare davanti a tanta ostentata imbecillità. Come quando ieri il “guardasigilli” della Repubblica italiana ci rassicurava sul fatto che nonostante “l’episodio” il premier avrebbe mantenuto la serenità per continuare a governare. Ho sorriso. Perché non mi aspetto più che balzi in piedi il Presidente della Repubblica a dire: “Fermi tutti! L’episodio è la condanna che fa del premier un corruttore, e un paese civile non può tollerare di essere governato da un malvivente.” No, io non me lo aspetto più.

O ancora come ieri, quando d’improvviso una nazione civile soggetta ad una Costituzione (che noi ci pregiamo di difendere) ha scoperto che il 23 luglio, alle ore 11.30 saranno inaugurate le sedi di tre ministeri a Monza, e chi se ne frega di quel che dice Roma? Anche qua, vi garantisco che nemmeno per un momento ho pensato che dal Quirinale sarebbe salita forte la voce auspicante del Presidente della Repubblica. Perché l’idiozia che regna è utile. L’imbecillità istituzionale, alla fine, è quella cosa che sta salvando loro e noi, dal finir ammazzati per strada come cani, da una polizia che da un lato massacra e dall’altra piange per i tagli alle spese.

E pure chi guardava a Di Pietro come unico vendicatore rimasto dovrebbe legger bene oltre le righe dell’impegno di responsabilità assunto, a votare solo emendamenti tesi al “taglio delle spese, o al risparmio”. Dichiarare la propria responsabilità e il proprio senso dello stato, sapendo che questo altro non è che un associazione malavitosa di stampo mafioso, è quantomeno ridicolo se non esilarante.

Fossi in Parlamento, non potrei che esordire con un: “Onorevoli colleghi, ma di che cazzo stiamo parlando?” Ma per fortuna son qua, distante, dove mi va di stare, magari affacciata alla finestra, a guardare ciò che sta accadendo intorno. A me piace il deserto.

Rita Pani (APOLIDE)

7.09.2011

 

Aggredito è un'altra cosa

marina berlusconi: "Aggressione a mio padre"

Mio padre non è stato aggredito; mai. È una brava persona, così per bene che forse se ne avrà a male, leggendo, per essere stato citato. Ha lavorato per una vita in un posto in cui, ad ogni giro di giostra, arrivava la Finanza e si portava via le cose e le persone. Ma lui non lo hanno portato via mai e le sue cose erano sempre in ordine per come le regole e le leggi dicevano dovevano essere.

Il padre di marina berlusconi, non è stato aggredito: è stato condannato. E c’è una differenza sostanziale. Perché se così non fosse, allora per scrivere la nota su un accadimento di ieri, dovrei titolare: “Rapinatore aggredito e ucciso dalla Polizia, nel pieno svolgimento delle sue mansioni”.  E poi il racconto dei fatti, di questo uomo che recatosi in banca armato, per svolgere il suo compito, è incappato in una pattuglia delle forze dell’ordine, che inspiegabilmente l’hanno aggredito e ucciso sul colpo.

Non c’è fango e non c’è aggressione in una condanna che sancisce, finalmente, la verità prescritta a colpi di leggi ad personam: il padre di marina berlusconi, illecitamente sottrasse la Mondadori a De Benedetti, arrecando un danno patrimoniale ingente, che ora deve risarcire. È la regola del gioco “guardie e ladri”, dove a volte la si può anche fare franca, altre invece no.

Lamentano, gli avvocati, che le cifre sono esorbitanti. E da dove lo stupore? Non ha mica portato via un’autoradio da una macchina parcheggiata davanti al supermercato! Si è portato via proprio tutto il supermercato, e allora ci sta, come avrebbe dovuto starci la galera, se questo fosse un paese normale che non consente ai criminali di scrivere le leggi, alle quali, poi, le persone oneste devono pure sottostare.

Ma questo è il paese che ormai ha stravolto anche le più banali norme di quel gioco di bimbi, dove i ladri scappavano e le guardie correvano appresso. Ora è il contrario. I ladri governano e inseguono le guardie con i loro avvocati, con i loro scribacchini, con i loro servi, con questi nuovi affiliati, sprezzanti e ansiosi di far emergere il loro zelo. E allora nulla di strano, che non ci siano dimissioni responsabili, Aventini, dimissioni di massa di parlamentari che non si riconoscono in questo stato criminale capace di far sfigurare persino la banda della Magliana, che fa sembrare il CAF un ridicolo club di dilettanti allo sbaraglio, che ci fa rimpiangere gli scandaletti degli Ercules o delle Lenzuola d’oro.

Poi ci sono i padri e i figli, in questo paese che ogni tanto ci racconta la favola della meritocrazia. Figli pronti a prendere il posto dei padri, in azienda come al governo, passando per Mediobanca o da Fininvest, l’impero fondato sulla mafia, da dove è più semplice controllare il flusso di danaro rubato da papà, e l’economia privata dello stato e privatizzata per il futuro proprio e dei propri eredi fino alla prossima terza generazione. Ma il mondo e la vita non sono sempre perfetti, e a volte le guardie corrono di più e acchiappano il ladro, che non ha fatto in tempo a scrivere l’ultima legge su misura per sé. Fa parte del gioco e qualcuno lo deve dire a marina berlusconi. Magari quel vecchio che ha fatto tre giorni di carcere in attesa di un processo per direttissima, per aver rubato un etto di prosciutto dal banco frigo di un supermercato. E nemmeno lo sconto gli hanno fatto.

Rita Pani (APOLIDE)


7.08.2011

 

REGGIO CALABRIA, PRESENTAZIONE "LO SGUARDO DI HERMES"









Giovedì 21 luglio, alle ore 21, presso il Chiostro di San Giorgio al Corso,
a Reggio Calabria
la Professoressa Francesca Neri, studiosa di letteratura, presenterà "Lo sguardo di Hermes", insieme all'autrice Rita Pani.

 

E' un ragazzo fortunato

«Siamo compaesani, ma lui è un ragazzo di cinquant'anni, io ne ho circa settanta, quindi le lascio immaginare in che considerazione veniva preso questo ragazzo, che in effetti sapeva di essere uno "scapocchione" per il padre che io conoscevo, e che a tutti i costi l'ha voluto inserire. Ha avuto un bel successo, perché la fortuna l'ha accompagnato...»

È così che l’imprenditore Viscione, racconta il deputato della Repubblica Onorevole Milanese, del partito degli onesti. Un ragazzo fortunato. Ha avuto un bel successo, vessando l’imprenditore, pretendendo viaggi, Ferrari, gioielli e danari in cambio di favori. Il successo dovuto a un uomo che ha saputo farsi largo nella politica italiana, fino a diventare consigliere del ministro dell’economia al quale aveva dato una casa a sua insaputa, e preteso ed ottenuto cariche importanti, a pagamento, per altri onesti amici suoi, finiti quasi tutti nelle maglie della giustizia italiana, quella stessa che si deve “riformare” in modo che non possa più interrompere il normale corso della democrazia italiana, attivando le macchine del fango.

La vera Rivoluzione, che potrebbe portarci alla Rivoluzione, può passare solo attraverso il recupero della cultura e il senso stretto delle parole, ma è una strada impossibile da affrontare. Me ne rendo conto pensando che ora so perché non sarò mai una “ragazza di successo” e perché certe fortune non mi accompagneranno mai. Tempo fa mi rammaricavo del fatto che parole belle e importanti come “libertà e democrazia” fossero state sconvolte nei loro significati da un pezzo di merda criminale, che col suo fare da imbonitore era riuscito a venderle per merce avariata. Oggi mi accorgo che pian piano, anche con l’opera certosina dei mezzi di stampa, pure il termine onestà si avvia a declinare.

E successo … e fortuna.

È buffo. Tra i tanti articoli del matrimonio della ministra carfagna con l’imprenditore Mezzaroma leggevo che anche loro erano una coppia di successo. Poi ieri ho letto che il neo marito è inquisito per le solite tangenti e per le solite truffe. Lei è di successo perché è passata di Bocchino in bocchino. Poi c’è l’altra faccia dell’onestà, quella che non è data per il merito d’essere stati infangati dalla magistratura comunista, ma per essersi affiliati alla servitù del padrino, e che comunque porterà a successo garantito: è lo scilipotismo. Una fortuna sfacciata che ti può arrivare solo per esserti venduto, per aver conclamato la tua figura di servo, fino a diventare scrittore e riempire una sala, e le TV e i giornali, ed aver conquistato quindi la notorietà (fa nulla se odiosa) che in Italia, appunto, si può e si deve scambiare col successo.

Con molto sconforto concludo: si ritorna in Piazza per il “Se non ora quando?” e a me viene da vomitare. Lo scrissi a suo tempo che era una stronzata cosmica, e lo ribadisco oggi. Sono manifestazioni che servono solo a ratificare la lotta inutile contro la nostra stessa stupidità, che ci fossilizza nel nulla indotto da chi deve tenerci buoni a non pensare, a vegetare, a lagnare. Non vedo perché in quest’epoca di “successi e fortune” di “onestà e fango” debbano essere solo le donne a lottare per la loro dignità ferita, quando gli uomini potrebbero esser tutti scambiati per uno scilipoti, un milanese o un Al fano.

Ma io son strana assai, e non faccio testo.

Rita Pani (APOLIDE)

7.07.2011

 

E' affascinante il linciaggio

Il mio senso civico suggerisce la galera, ma poi fa a pugni col mio senso pratico, e con l’amore per la giustezza delle cose, e allora la galera non va più bene. Povertà e sofferenza, o in terz’ordine il linciaggio, che ad esser buoni si rischia d’esser anche additati come coglioni. Ed è pure già successo.

Sembra quasi che lo schifo quotidiano ci venga elargito come se fosse una medicina, osservando attentamente il rigore della posologia. Una sorta di mitridatismo al quale veniamo sottoposti con l’inoculazione della merda di stato, giorno dopo giorno, fino a totale immunizzazione. Ho letto la finanziaria, e poi oggi, per caso ho visto il saldo del mio banco posta. M’è scappato da ridere, ma non mi sono disperata. Ho smesso da un pezzo, da quando ho dovuto chiedere i soldi in prestito per curarmi. Ora, mentre mangiavo un panino succulento con le cipolle ancora calde, ho letto che anche a Tremonti c’era qualcuno – la P4 - che pagava la casa, qualcuno che a sua volta non veniva più corrotto con vile danaro, ma con gioielli e auto di lusso. Perché il danaro, infatti, è ormai roba da poveracci.

Tremonti, il super ministro dell’economia che tanto affanno si è dato per rimettere in ordine i conti dello stato, questo Robin Hood al contrario che fotte i poveri per assicurare il lusso infinito ai ricchi, ormai troppo ricchi persino per sporcarsi le mani con i bonifici bancari, che anche lui ha ceduto alla casa a sua insaputa, che domani, secondo posologia, diventerà “fango su di lui”.

È affascinante il linciaggio, lo ammetto, ma meglio sarebbe una condanna alla comune disperazione, di chi con gli occhi gonfi di terrore deve trovare in fretta quel danaro che “olet” per andare a farsi invadere il corpo di sonde, acidi, pinze e bisturi. Condannare questa feccia alla vita normale, che devi schizzare via dal letto la mattina per inventarti un lavoro, per riuscire a sentirti a posto con la coscienza ogni volta che qualcuno ti fa la grazia di pagarti venti o trenta euro per un lavoro che sai ne vale almeno cento. Devono finire per indossare abiti usati, fumare tabacco di merda infilato nei tubetti o girato lì per lì. Devono faticare e sudare, spalare ghiaino e farsi mangiare dagli insetti sotto il sole che li cuoce. Devono arrivare così stanchi e puzzolenti alla sera, da rimpiangere le vasche da bagno che avevano nelle loro case pagate dalla malavita organizzata dello stato. Devono andare avanti e indietro per quattro ore tutti i giorni dentro i treni che puzzano dell’umanità di chi il profumo non sa nemmeno cosa sia. Però lo so, il linciaggio è più affascinante.

E un’altra goccia di veleno, con scilipoti che presenta il suo libro, quella puttana, col suo padrone, su cui senza ritegno fa scorrere la sua lingua. Il piccolo verme che voleva diventare farfalla, e invece è rimasta solo la merda che è, ridicolo e volgare, l’ultimo servo che si affanna per assurgere agli alti ranghi della servitù, quelli che forse un domani faranno meritare anche a lui, una casa a sua insaputa, un massaggio alla cervicale senza preservativo o il poter assistere al bacio della statua di Priapo, con la regola del guardare ma non toccare le mercanzie del padrone. Ma non so se sia il caso di mandarlo a Rosarno a raccogliere mandarini, forse anche per lui sarebbe meglio il linciaggio, come del resto mi auguro l’anchilosi alle mani per tutti coloro che terranno in mano la sua carta piena di merda, che qualcuno osa chiamare libro, e che chi oserà leggerne anche solo due parole, perda subito la vista.

Ma che parlo a fare? È la democrazia, no? quella che garantisce a questi bastardi di impedirci la vita.

Rita Pani (APOLIDE)

7.06.2011

 

Comma profondo

Eppure sono ancora tutti là, ecco questo è il mio stupore. Sono là, sani e salvi, ancora a giocare col destino di una nazione che ormai disintegrata, finisce di polverizzarsi lasciando cadere letteralmente in pezzi tutto il suo patrimonio, come Villa Adriana, per esempio, o le maree nere dove la gente continua a far giocare i propri bimbi – che d’estate il mare fa tanto bene.

Stanno tutti là, come se la struttura Delta non esista, come se le voci dei servi del criminale, registrate e passate al settaccio prima dalla magistratura, poi dalla nostra curiosità, non dicesse tutto il crimine e lo schifo che ci governa.

Sta là il criminale, che ha fatto dell’Italia cosa sua, che ha violentato, svilito e umiliato le Istituzioni, rendendole prostitute al suo servizio, proprio come tutte quelle ragazzine che avevano da raccontare alle madri della fortuna d’essere state lordate dalle mani di un vecchio maiale.

Si finge ancora la normalità di un sistema che non ha nulla di normale, se non quando incastonato nella logica mafiosa che poteva essere quella di Riina o Provenzano, col Presidente della Repubblica e la sua seriosità che chiedono ragguagli e spiegazioni su una Legge, a un Parlamento che non ha più nulla di legittimo o democratico, che tutti sappiamo dovrebbe essere sciolto non già con un provvedimento del Colle, ma con una retata della polizia, dalla tributaria, dalla buoncostume, dall’antimafia in un azione congiunta, una di quelle a cui viene dato un nome altisonante che sembra uscito da un film americano.

Scandalo dopo scandalo, offesa dopo oltraggio, crimine dopo crimine, continuano a sedere comodi sulle poltrone lasciando il paese al suo destino, con le piazze che si intasano di gente che protesta, con i presidi permanenti davanti a Montecitorio, con le piccole rivolte in Val di Susa come a Parma, con la gente che continua a morire di lavoro. Con le vergogne nazionali taciute proprio grazie alla struttura Delta, che il berlusconismo l’ha radicato al punto che, anche sui giornali on line, che rivendicano la propria libertà, è più facile sapere delle liti delle veline al mare, o del broncio della tenutaria di casino al consiglio regionale lombardo, che della fame che ci attanaglia.

Stanno là, perché non è successo nulla, perché a nessuno viene in mente davvero di far cessare questo stato di cose, né al Presidente della Repubblica, né alle opposizioni. Siamo rimasti solo noi ad esser certi che questi se ne debbano andare, a fare un po’ di rumore, e infatti rischiamo proprio oggi di sparire con l’ennesima leggina di regime, che vorrebbe tapparci la bocca.

Oggi son ancora tutti là, a servizio del criminale che ha reso uno Stato al suo servizio, che fa scrivere le leggi al suo avvocato, e che anche quando preso col sorcio in bocca, da bravo criminale non fa una piega, se non meditare vendetta contro i servi che reputa infedeli, proprio come usa fare la mafia, che la vendetta la sa meditare.

E la colpa è di chi ancora oggi si chiede chi possa essere stato a scrivere quel comma, e non si chiede invece, chi l’Italia l’abbia mandata in coma.

Rita Pani (APOLIDE)

7.05.2011

 

Una questione di civiltà giuridica

Ci sono le strade disseminate di macchinine spara multe. A volte, nelle loro buffe forme, sembrano robot capaci di accoppiarsi tra loro e riprodursi nell’arco di una notte, cosicché dall’oggi al domani, dove ve ne erano due son diventate tre. Sono i bancomat dei comuni, le fabbriche di soldi per le casse sempre vuote, spesso per via di gestioni allegre dei fondi comuni, spartiti da giunte di malfattori tutelati dall’alibi della crisi.
Hai voglia ad andare a 60 chilometri all’ora, o a 50 come ti dicono i cartelli. Non ci riesco nemmeno io, che guido una cosa che se la chiamo auto arrossisce per l’imbarazzo. Prima o poi una di quella macchinine mi farà la foto e io dovrò pagare. Perché se non lo fai, entri nel vortice di Equitalia, l’associazione di estorsione dello stato, che non ti darà pace nemmeno dopo morto, continuando a vessare i tuoi eredi, che sovente non ricevono altra eredità se non i debiti che hai accumulato in una vita di sopravvivenze.

C’è una frase molto bella, oggi, sui giornali, di quella piccola mignotta di capezzone, il quale dice che la norma infilata da mano esperta all’insaputa del ministro per l’economia, nella Legge Finanziaria, per evitare che il tizio criminale del consiglio paghi 750 milioni di euro di multa, per risarcire De Benedetti per il furto della Mondadori, è una “norma di civiltà giuridica”. Mi piace.

Mi piace il concetto di “civiltà giuridica”. Dà il senso della tutela del cittadino, e insegna meglio di quanto sia stato fatto sino ad oggi, cosa s’intendeva quando per la prima volta, in Italia, oltre alla cura per il cancro, ci venne promessa l’introduzione di una “nuova moralità”.

Credo sia giunto il momento di smettere con il vittimismo, con le lacrime passive, con la rivendicazione di diritti scordandoci dei doveri. Credo che l’unico modo per sovvertire la diseguaglianza, sia lottare davvero per essere tutti uguali. Uguali ma al contrario. Io non voglio abolire i privilegi della cosca, io da oggi lotterò per avere gli stessi privilegi, proprio nell’ottica di una “civiltà giuridica” che a questo punto esigo.

Un momento dopo la firma del Presidente della Repubblica, sulla legge finanziaria che contiene la norma civile, metterò il forcone accanto alla porta, prenderò quella cosa con le ruote che mi porta di solito fino al supermercato, e passerò davanti a una famiglietta di robot spara multe al massimo della velocità. Poi con pazienza attenderò l’arrivo dell’ufficiale giudiziario, e se non sarà abbastanza veloce da far le scale in discesa e di corsa, lo infilzerò.

È una questione di “civiltà giuridica”, ma anche un po’, ammetto, una questione di essermi veramente rotta i coglioni.

Rita Pani (APOLIDE)


7.04.2011

 

La TAV della mafia di Lunardi

Comprendo che in tanti non comprendano perché, con tanta forza, si possa voler dire no alla TAV. Lo comprendo perché a vederli quei treni che vanno veloci ed entrano ed escono dalle gallerie, portandoci da Roma a Milano in tre ore, sembrerebbero anche belli, e utili. Lo comprendo perché la propaganda che parla forte e usa parole a modo fa credere che sia il futuro che si avvicina. Ancora, nelle stazioni, c’è chi davanti alla potente locomotrice tutta rossa di quei treni si fa prendere una fotografia, per ricordo di quella volta che è andato anche lui a 300 chilometri all’ora.

Magari al prossimo racconterò la storia di un ministro italiano, che per lavoro gestiva una società di escavatori e spostamento terra. Non era certo quel tipo di azienda che ti manda un signore ciccione con una ruspa arrugginita perché devi farti un pozzo nero! No, era uno specializzato a perforare le montagne. Era un ministro della Repubblica Italiana, che per spiegare il successo della sua azienda, e per spiegarci come avrebbe insegnato all’Italia a farsi grande con le grandi opere, ebbe a dire che con la mafia, si può anche convivere.

Magari la prossima volta che mi toccherà passare dentro una delle innumerevoli gallerie che separano Firenze da Bologna, racconterò al viso preoccupato o divertito del mio vicino di viaggio ignaro e reso dotto dalla propaganda, che il ministro Lunardi, con la sua società Rocksoil rischiò di essere inquisito per disastro ambientale, ma il padrino suo, quello che governava con tutta la schiera di criminali al suo seguito inserì un codicillo nel decreto legge che poi approvò: Le terre e le rocce da scavo anche di galleria non costituiscono rifiuti anche se contaminate da sostanze inquinanti derivate dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione”.

Comprendo che sia facile, leggendo i giornali e guardando le “foto gallery” – ormai irrinunciabili dal momento che ci esentano anche dal perder tempo a leggere – credere che si debba dare solidarietà alle forze dell’ordine aggredite dai comunisti/anarco/qualcosa che il pdo (partito degli onesti) non esita a chiamare terroristi. Comprendo anche il Presidente della Repubblica, che deve auspicare la fermezza contro i violenti.
Quello che comprendo meno, è perché le forze politiche che in teoria dovrebbero tutelare la parte sana di quel che resta di questo paese martoriato dalla criminalità, non prenda posizione contro l’uso di armi chimiche proibite sparate contro le persone in Val di Susa; perché nessuno abbia denunciato i pestaggi e le torture inflitte ai fermati, perché non si parli della sessantenne morta schiacciata da un mezzo militare. Perché nessuna forza politica abbia denunciato lo scempio ambientale che la TAV infliggerà al territorio grazie a leggi ritoccate per far cessare le indagini sui disastri ambientali già attuati in Italia.

Oddio, non è proprio che non lo comprenda. Lo comprendo eccome. Perché con la mafia non ci si limita più a conviverci. Ormai, in Italia, è la mafia l’unica ad aver ancora diritti.

Rita Pani (APOLIDE)

7.02.2011

 

Il ministro lanciafiamme


In fondo è giusto che il ministro per la semplificazione semplifichi. Quindi si va a Napoli con il lanciafiamme, e il gioco è fatto. Certo è solo strano che fino ad oggi non ci avesse ancora pensato nessuno, tranne la camorra, un po’ arretrata, che ha usato dei banali accendini. È giusto pure che un ministro della Repubblica italiana, renda delle dichiarazioni di così alto livello, che lo rendano degno del governo di malavitosi di cui fa parte, esattamente come dell’utri o Nicola o’ americano.

Poi mi pare palese che non ci sia altro da fare, se non arredare le sedi dei ministeri che  - si voglia oppure no – a settembre saranno trasferiti a Monza. È la lega che lo dice, mica cazzi! Son tutte cose serissime, che fanno parte della nostra storia, che la stanno scrivendo e facendo la storia, quella che un giorno toccherà a qualcuno vergognarsi nel raccontarla.

È giusto stare a guardare quest’Italia che si sgretola, almeno per me che ne traggo un poco di godimento, ora che so che a furia di usare certe parole le ho persino consumate. Sto così, che leggo e ascolto un’idiozia dopo un’altra, mentre la merda nella quale non riusciamo più nemmeno a galleggiare, sparisce avvolta dal silenzio colpevole di chi invece dovrebbe strillare.

È giusto aspettare il giorno in cui altri e non io, finalmente inneggeranno a Piazzale Loreto. Tutti quelli che vorrebbero resistere nell’essere per bene, e non violenti, e civili e democratici. Tutti quelli che un giorno davanti a un bancomat, dopo aver inserito la tessera nell’apposita fessura, anziché l’invito a digitare il codice segreto, si troveranno davanti alla scritta: “Game Over”. Tutti quelli che sperano nel domani della politica non politica, dell’elevazione del senso dello stato che faccia nascere nuovi condottieri senza macchia e senza paura. Nessun folle, nemmeno Bersani, rischierà mai di andare a governare uno stato in bancarotta, che per rimettersi in piedi dovrà avere le tessere annonarie e le file per il pane, ed ecco perché alla fine, il governo tra ricatti, mazzette e ritorsioni, resta sempre in piedi guidato dalle logge massoniche e dalle mafie.

Per la nostra colpevole dimenticanza, anche, visto che sembriamo aver scordato gli iter burocratici, ormai diventati routine per la storia del declino italiano. Ogni scoperta di una loggia massonica segreta è stata seguita dal segreto di stato e dagli omissis sui verbali, e dalla richiesta sempre più urgente di leggi bavaglio e censura. E questa volta si attuerà. Lo ha detto ieri il neo segretario del tizio del Pdl, che presto dovremo chiamare Pdo (Partito degli onesti), designato dal padrino ed eletto per acclamazione da una platea di nani e ballerine, di servi inqualificabili e idioti, gente senza né arte né parte, capace però di chinarsi al re e degni per questo di far parte della squadra di guastatori che s’è mangiata le ultime briciole d’Italia.

Sono cose banali, quelle che ho scritto. Son quelle cose che tutti sappiamo ma che ci sforziamo di ignorare per fingere ancora di vivere in un paese che meriti il sacrificio nostro e dei nostri figli. Un mondo tutto sommato comodo, dove il massimo della battaglia sarà strillare perché i blog non vengano chiusi, e non invece riaprirne un altro il giorno dopo, scrivendo ancora parole, sempre più consumate e cattive, sperando in quel bancomat vuoto che ci porti finalmente a Piazzale Loreto.

Rita Pani (APOLIDE)

7.01.2011

 

Un pulmino giallo

Io un’Italia così brutta non l’avevo vista mai, e lo so che guardando indietro di orrori ne abbiamo in memoria, nella storia e nella vita. Abbiamo avuto persino craxi, la DC, l’analfabetismo, il colera, Ustica, e di esempi potrei farne ancora.

La ragazza che stava seduta accanto a me ieri, in aereo, era molto bellina nei suoi vent’anni tenuti con cura, con gli occhi azzurri e un piccolo tatuaggio sul polso che allacciava il nome del suo amore ad una rosa. Le ho sorriso prima di sedermi con un cenno di saluto, e sembrava stupita al punto che mi ha risposto calorosamente. Ha tenuto subito a dirmi che in vita sua era la seconda volta che prendeva l’aereo e aveva molta ansia, anche perché, una volta arrivata a Fiumicino avrebbe dovuto trovare l’autobus che l’avrebbe portata proprio dal suo amore: “Un autobus giallo, mi ha detto che devo prendere, e che quando esco dall’aeroporto devo andare molto in fondo a destra.”

L’abitino che indossava era per il suo fidanzato, immagino, un militare che oggi o forse domani dovrà giurare fedeltà alla Patria e a la russa; tra l’elegante e il trasandato, tra il nero e il grigio, tra il pantalone e la gonna. E la ragazza sistemava i bottoncini sul davanti, mentre crescevano le sue ansie di arrivare e di perdersi: “Lei va a Roma?” mi ha chiesto mentre avevo provato a chiudere gli occhi. “No, proseguo per l’Umbria.”
“Mi scusi. Sono un po’ ignorante in geografia: l’Umbria è in Abruzzo? Perché io sto andando a Chieti.”

Deve essere bastato il mio sguardo perso verso un altro aereo che si muoveva accanto, che non era né viola né fucsia, ma allegro per i miei occhi e poi, quelli che piacciono a me, che hanno i motori rotondi sotto le ali, che li fanno sembrare un po’ obesi. “È che proprio la geografia non mi entra in testa, e non lo so com’è fatta l’Italia, cioè lo so, ma non mi ricordo i nomi. Il nord, il centro e il sud. Questo so.”

“Atmosphere” si chiama la rivista che trovi a bordo di Meridiana, e con quest’immagine dell’Italia suddivisa in tre macroregioni che non comprende nemmeno le isole, pensavo al pulmino giallo che avrebbe potuto accompagnare a Chieti la fidanzata della recluta, quando ho iniziato a sfogliarla, sorridendo sia per il colore del pulmino sia per gli articoli evidentemente pagati dagli albergatori della Costa Smeralda in crisi, che proponevano vantaggiosi soggiorni al Pevero – immagino per un po’ meno di 3.000 euro a notte, proprio perché si vogliono rovinare.

Deve averla vista la mia noia, la ragazza, perché finita la fase del decollo, quella in cui chi ha ansia è attratto dalla vista ma vorrebbe tenere gli occhi chiusi, pregare e non guardare, con molta gentilezza mi ha detto ancora: “Se vuole, io ho comprato dei giornali.” Dalla borsetta, finta trasandata anche quella, ha estratto “Di Più” e una rivista per l’oroscopo di Luglio, con una foto in copertina di Paolo Fox, che a furia di Photoshop sembrava suo figlio, cadaverico e in costume da bagno.

“Io ti sposo, ma prima ti dirò tutta la verità che ho scritto sul memoriale di Dipiù.” Ho letto il titolo a voce alta, ed è partita una risata delle mie: “Scusa, ma devo confessarti la mia ignoranza, io non so proprio chi siano questi due …”
Col candore dei suoi occhi azzurri mi ha risposto: “Scrivono così solo per attirare la gente a comprare i giornali. Sono cose che ha già detto, lo sanno tutti. Io di gossip so tutto e non mi fregano. Ho comprato il giornale solo perché dovevo aspettare.”

L’ho guardata mischiarsi alla gente che si muoveva veloce sotto il portico degli arrivi al T3, e ho guardato i suoi pantaloni che volevano essere una gonna, accorgendomi che molte altre, tirando dietro i piccoli trolley colorati e infiocchettati per far la differenza, alla fine erano tutte uguali, e forse tutte intente a trovare il pulmino giallo che le avrebbe portate al sogno della loro vita, in questa piccola Italia, che non ha più nemmeno bisogno d’essere distinta.

Rita Pani (APOLIDE di ritorno)


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