6.29.2013
Liberi tutti
Mai
parola più bella – LIBERTà – fu tanto
abusata. Violentata dal degrado etico e morale di questa miserabile propaganda.
Se ne è perso il senso stesso, insegnando molte cose sul significato della
parola Libertà, nessuna delle quali capace di conservarne il valore. Libertà cammina
al fianco del rispetto, vanno di pari passo. Il rispetto di sé stessi, delle
regole, dell’altrui conduce alla Libertà. Non è essa quella parola vergognosa
usata per denominare un partito politico, che per libertà intende quella di
poter fare “un po’ come cazzo gli pare”; liberi di delinquere, liberi di
depredare le casse dello stato, di uccidere la democrazia. Libertà è altro.
E
calpestando la Libertà, siamo arrivati fino al suo uso ancor più spregevole che
va a sostituire l’ennesimo abuso contro i lavoratori, a favore di un padronato
sempre più liberò – esso sì – di fare quel che è meglio per il proprio
interesse e per il proprio capitale.
“Indesit,
scatta la messa in libertà per i lavoratori di Fabriano” titola Repubblica, senza vergogna alcuna. L’oltraggio
che si aggiunge all’oltraggio dei LICENZIAMENTI per ritorsione, in seguito ai
doverosi scioperi indetti il giorno dopo dell’annuncio – nemmeno troppo velato –
dell’ennesima delocalizzazione dell’industria, parte in Turchia e parte in
Polonia.
500
persone, 500 famiglie messe in libertà. Potranno scegliere come morire senza
che giovanardi se ne dispiaccia, o che la Chiesa li condanni, o che le anime
pietose di questo paese insensato facciano troppo caso a loro.
Le
parole sono importanti, ma in pochi ormai ci fermiamo a riflettere sull’uso
criminale che la propaganda ne fa. Anzi, si uccide quel poco che resta della
scuola e della cultura, in modo che sempre più persone, siano disposte a
correggere il loro lessico e annientare ogni forma di pensiero LIBERO e
indipendente, così che tutto questo abominio, domani, sia prassi accettata,
condivisa, e sia sottomissione.
Il
momento della LIBERAZIONE è già passato da un pezzo, e che ci piaccia o no,
siamo già stati sottomessi e assoggettati. Una vera lotta per la LIBERTà, non la faremo mai. Mai ci
riprenderemo il maltolto. Mai si comprenderà che l’unico modo sarebbe quello di
prendere le fabbriche, mettere in libertà i padroni accompagnandoli fuori a
calci nel culo. O meglio, mai avremo lo Stato capace di espropriare i beni del
padrone, equiparando questi abusi ai reati di mafia, e dandoli in gestione agli
operai che sarebbero finalmente sì, LIBERI di vivere.
Non
possiamo nulla, lo so anche io, ma possiamo fare molto per vigilare. (La
vecchia cara Vigilanza Democratica, roba antica ahimè) Vigilare anche in questi
casi in cui, un valore racchiuso in una parola, viene violentato e abusato. Ci
viene tolto.
Rita
Pani (APOLIDE)
6.28.2013
Benvenuti in Bangladesh
Lo
avete letto il decreto per il lavoro giovanile? Quello che dovrebbe rappresentare il ritrovato
orgoglio di essere italiani in Europa? È sublime. L’Italia farà di tutto per
portarci in Bangladesh. Anche perché finalmente in quel paese lontano,
sfruttare il lavoro minorile sta diventando un po’ più complicato; poi, in
Bangladesh ora c’è più attenzione, si sta rafforzando il sistema educativo
scolastico, ed è maggiore la protezione per i ragazzi di strada.
Portare
il Bangladesh in Italia sarà più semplice – lo dice il decreto – facilitando la
formazione professionale di schiavi senza istruzione e cultura, agevolando così
il più ottimale controllo della forza lavoro. C’è voluto molto tempo e molto
impegno, ma alla fine dopo la cancellazione e la distruzione delle tutele dei
lavoratori, e dei sindacati, tutto è stato più semplice.
Così
da ieri girano su Internet i consigli di chi guarda lontano, non so quanto
pilotati dalla propaganda, che consigliano agli esaminandi di far scena muta
agli orali e lasciarsi bocciare, garantendosi così di poter essere assunti come
schiavi da qualche imprenditore lungimirante. Un diploma potrebbe tenerti ancor
troppo lontano dal mondo del lavoro, lo stesso che invece pensavi di poterti
guadagnare con un po’ di fatica. Il caso limite quello dei diplomandi di una
scuola alberghiera, che con la pergamena in mano vedranno sfumare l’assunzione
a loro promessa.
Certo,
se non fosse motivo d’orgoglio da sbandierare in Europa, questo decreto
potrebbe prima far ridere e poi far scoppiare la rivoluzione, ma tanto ormai lo
abbiamo imparato che non sarà certo per questo che andremo a fare le barricate
sulle strade, né lasceremo a terra i cadaveri dei nemici.
In
realtà ho letto molti commenti soddisfatti per il decreto svuota scuole (e
cervelli) come del resto resta alta la tensione per la difficilissima
approvazione del tanto agognato reddito di cittadinanza. Argomento ostico, lo
so. “Come si fa ad essere contrari?” o peggio: “Sei contraria solo perché è una
proposta di Grillo”.
Avete
provato a chiedere a un ragazzo di 18 anni che ha votato per il Movimento, cosa
sia il reddito di cittadinanza? Io l’ho fatto e la risposta è stata più o meno:
“Ti danno almeno 600 euro col quale puoi vivere, se sei cittadino italiano. Tanto
il lavoro non c’è.”
E si
comprende quali siano stati i danni arrecati dalla demolizione della scuola e
dell’istruzione. Si comprende quale fosse il disegno di chi tanto alacremente
si è impegnato – la gelmini ministro fu un colpo di maestria – per impoverire e
uccidere il pensiero di almeno due generazioni.
Hanno
stravolto i sogni, hanno cambiato le speranze, hanno annichilito la gioventù. E
quando qualcuno ha tentato di conservarsi a dispetto di tutto e di tutti, hanno
annullato le loro proteste, hanno incentivato l’uso della forza, e il resto lo
conosciamo tutti … o almeno si spera.
Potrei
concludere dicendo che l’unica speranza è da trovare in una guerra di
liberazione, ma sarebbe un reato d’opinione e ancora non ho avuto tempo di
studiare le nuove proposte per annullare anche la libertà di pensiero espressa
sui blog, quindi non lo dirò, che di guai ne ho già abbastanza. Tanto prima o
poi ci chiuderanno la bocca, e quando lo faranno nemmeno allora faremo la
rivoluzione, troveremo un’altra bocca che blateri per noi.
Rita
Pani (APOLIDE)
6.26.2013
Puttana, al limite, tua madre e tua sorella
È obbligatorio
esprimere la stima e il rispetto per chi – dignitosamente, per scelta autonoma
e non per schiavitù etc, etc … - svolge il mestiere più antico del mondo, onde
evitare le solite sterili polemiche.
Detto
questo, non c’era bisogno certo di una ridicola manifestazione, mortificante
per un’intera nazione, per stabilire il puttanesimo berlusconista.
Quello
della peggior specie, che non vende il suo corpo (francamente, quale
perversione potrebbe mai portare qualcuno a voler comprare giuliano ferrara?) ma
la propria dignità.
Puttane
non solo quelle 4 o cinque che ieri si son recate a “manifestare” in Piazza
Farnese, ma tutte quelle che vorrebbero esserlo, votando sistematicamente un
partito palesemente malavitoso. Troie navigate, quelle che con un condannato
fanno affari sulla nostra pelle, proprio il giorno dopo della condanna, che
avrebbe dovuto esortare il condannato stesso ad iniziar a scavare la buca con i
piedi, fino a sotterrarsi per la vergogna.
Già,
vergogna! Che sarà mai?
Quella
che non provano tutti coloro che riducono un fatto di malavita a qualcosa di “privato
e personale”, quella che non provano i “minus habens” quando stigmatizzano la
malavita di un pedofilo, depravato, debosciato con “l’invidia comunista”
.
Invidia
di che? D’aver bruciato una ventina di milioni di euro per pagare puttane,
cedere a ricatti, pagare la falsità di un’amicizia di comodo e d’interesse? Pagare
il presunto amore dei figli, che stanno per mandarti in esilio, per prendere il
tuo posto?
La
vergogna che non prova certa gente, ad essere italiana in quest’Italia; un
paese ormai ridicolizzato davanti al mondo intero. Reso un paese da barzelletta,
grazie al barzellettiere meno divertente dell’ultimo secolo.
Ecco,
oggi se io fossi stata una Puttana – una di quelle serie – avrei fatto causa
per danni a quelle quattro o cinque bambole gonfiate di plastica o di merda,
per il ridicolo “Puttana pride” che ha riempito le pagine dei giornali, e a
quanto apprendo anche gli ormai inutili talk show.
Quanto
è triste questo puttanesimo, assai più di quella vecchia donna che vedevo
seduta all’ombra di un ombrellone, d’inverno e d’estate sulla stradina sopra
casa mia, appena prima di dove di solito si fermava la neve, e che sembrava
averci trascorso tutta la vita là, giocherellando con la sua collana d’oro tra
le dita. È più triste un giornalista che ha scordato il suo mestiere, e calcola
ogni parola che dice e che scrive in buona valuta. È più triste la madre che
alla stessa maniera vede il corpo della figlia; carne da vendere al porco.
È triste
assai di più quel popolo che il calcolo nemmeno lo sa fare nella tasca sua, e
che dimentica che chi cede al ricatto di una ragazzetta lungimirante e scaltra,
ha ceduto a ricatti ben più onerosi, che stiamo pagando noi, e che
continueranno a pagare i nostri figli e i nostri nipoti. Si pensi soltanto alla
perenne tangente che dovremo pagare alla mafia, per un fantastico ponte sul
nulla che non si farà mai, e poi si tirino le somme di tanta disgraziata
povertà.
Chissà,
che non rinsavisca anche quella madre che ieri mi ha scritto di quanto sarebbe
fortunata, sua figlia, ad avere un domani un pappone dal quale farsi mantenere.
Rita
Pani (APOLIDE)
6.25.2013
Legittimo godimento
Dura
poco il godimento; il tempo necessario a solleticare l’angolino più bastardo
dei nostri animi. Quel tempo che basta a vedere le facce dei servi proni, che
meglio potrebbero spiegare ai più, il vero sistema prostituivo instaurato da un
criminale debosciato, che ormai reca sulle spalle dodici anni di galera che non
farà mai. Non è un sistema che riguarda solo igieniste dentali di madre lingua
inglese, nipoti di Mubarak, fantasiose gemelle ballerine, ragazzette vendute al
vecchio bavoso da madri snaturate, o donnette ormai vintage rese ridicole dall’ossessione
per l’avanzare impietoso dell’età. È un sistema che ha imputridito la vita di
tutti noi, lentamente e inesorabilmente, fino a portarci esattamente qua: a
quel legittimo godimento che ci fa poveri, certi come siamo che comunque nulla
cambierà, anzi, quasi certi che conosceremo un ulteriore peggioramento della
nostra già misera realtà.
I visi
dei servi mentre si prostituiscono davanti alle telecamere delle televisioni,
con quella smorfia di dolore troppo forzato per poter apparire vero, che si
cimentano nella strenue difesa del loro pappone, ci lasciano godere, ma solo un
momento. La stridula voce del piccolo servo assunto solo per far apparire il
pappone più alto nelle fotografie istituzionali, solletica anche il mio
cinismo, fino a quando mi soffermo a sentire le sue parole. Quelle che
denunciano la “morte della giustizia”. Il grasso porco, che minaccia di “bere
il sangue di chi festeggerà per la condanna”. L’annuncio della manifestazione di
protesta in difesa del magnaccia utilizzatore finale “siamo tutte puttane”,
smorzano il godimento e il sorriso. Ancor più, forse, l’ingenua speranza nata
in chi da ieri e ancor oggi, commenta le notizie sui giornali con “la speranza
del cambiamento”, con “oggi è un giorno migliore”, e anche – letto poco fa – “finalmente
ci riprendiamo la vita”.
Urge
ricordare che alcune delle persone che ieri mostravano tutto il loro servile puttanesimo
a servizio del pappone debosciato, oggi siedono al fianco del PD in un governo
che sta finendo di distruggere l’Italia. Bisogna dirlo forte che in un paese
normale, oggi, il governo sarebbe stato dimissionario, proprio per il rispetto
dovuto alle persone che oggi ancora riescono a sperare, e che ancora una volta
hanno creduto davvero che assolvendo il compito di andare a votare contro il
sistema prostituivo e di corruzione che da vent’anni avvelena la vita
democratica del paese, diligentemente sono andate a votare.
Invece
no: a rafforzare l’onestà del PD, son bastate le dimissioni della ministro
IDEM. Son bastate ad insinuare nella mente di coloro che ancora riescono a
sognare, che davvero il PD sia differente, ligio e onesto. (Mi vien da ridere)
Sappiamo
tutti che quel debosciato non farà mai la muffa dentro un’umida galera. Sappiamo
tutti che non diventerà mai povero quanto è riuscito a impoverire tutti noi,
sappiamo bene che non pagherà mai nemmeno moralmente per la mafiosità che ha
aggravato, e soprattutto sappiamo che
mai morirà di “giustizia”, quella che morì con Federico Aldrovandi, Stefano
Cucchi, Niki Gatti, e tutti coloro che ogni giorno muoiono senza neppure dirci
il loro nome, dimenticati in galera, in attesa di giudizio, o solamente
drammaticamente poveri da non possedere nemmeno il diritto di vivere.
Rita
Pani (APOLIDE)
6.23.2013
Josefa, l'unica italiana che non paga l'IIMU
Lo
dicono in tanti, e voglio dirlo anche io: la ministro Idem dovrebbe dimettersi,
anzi, avrebbe dovuto dimettersi immediatamente, pagare con gli interessi,
proprio per dimostrare l’onestà che afferma di avere e che io, non mi sento di
discutere. Credo però di poterlo dire, solo e soltanto perché, per esempio, in
tutta la mia vita non ho mai preso un autobus senza pagare il biglietto.
Quello
che mi lascia perplessa è l’accanimento col quale – questo popolo – chieda le
dimissioni di un ministro che non ha pagato l’IMU, mentre ancora esiste e
governa un partito come il pdl, praticamente un’associazione per delinquere,
anche di stampo mafioso, coadiuvato da un altro partito inqualificabile, a
servizio del capitalismo più marcio e complice del declino presente, prossimo e
futuro.
Mi
stupisce ancor più, volendo, il silenzio o poco coinvolgimento dello stesso
popolo dinnanzi alle parole di gente come borghezio, che ancora qualcuno osa
chiamare “onorevole”, che della feccia rappresenta la massima espressione.
È che
siamo fatti così, da sempre. Siamo giudici degli altri e mai di noi stessi. Così
mi domando, quanti di coloro che oggi si accaniscono, hanno tre o quattro case
nelle quali risultano residenze fittizie di familiari che nemmeno ricordavano
di avere? Quanti emettono ricevuta fiscale per le case affittate?
Son
domande così, che non esigono una risposta che peraltro sarebbe sempre quella
che in questi casi ci sentiamo dire: “Eh, ma non ce la farei a pagare tutto se
non facessi così.” Che poi è la stessa scusa di sempre, quando il piccolo
evasore ti dice – orgoglioso di sé - : “col cazzo che le pago le tasse!”
La stessa
scusa che ci raccontiamo quando dobbiamo pagare il conto del dentista o del
vetraio, del parrucchiere o del meccanico: “Senza esigere ricevuta, ho
risparmiato …”
Sì,
noi possiamo risparmiare, loro no perché sennò “son kasta” e devono andare a kasa.
Perché loro, devono dare l’esempio!”
E
noi? Non dovremmo anche noi dare l’esempio a qualcuno? Al vicino, all’amico, al
figlio, a quello che ci parcheggia 90 mila euro di macchina sul marciapiede,
col cartellino di disabile sul parabrezza che in Italia, 80 volte su 100
significa solo che a bordo di quell’auto viaggia uno che pensa di essere più
furbo di te?
No,
noi esigiamo la morte altrui, che ci consolerebbe della nostra agonia. E ci
basta. Noi vogliamo vendetta senza doverci vendicare davvero, che fa caldo o
non è tempo, o non si vota più o si votano i vendicatori, o chi se ne frega … tanto
so’ tutti uguali.
Ecco,
forse il problema reale che in Italia vorremmo essere tutti un po’ più uguali,
anziché impegnarci ad essere diversi davvero.
Rita
Pani (APOLIDE)
6.19.2013
Salviamo il neurone
E
ogni volta si dice: “Siamo alle comiche finali”, ma la fine non arriva mai. La
ridicola storia d’Italia si scrive con i toni di un’interminabile soap opera,
col colpo di scena che in teoria – e solo in teoria – dovrebbe condurci all’attesa
spasmodica della prossima puntata che sarà – semmai possibile – più ridicola di
quella precedente. L’impoverimento del lessico “politico” si aggrava come un
malato terminale ogni giorno di più, aggiungendo svilimento e ignoranza alla
devastazione morale e culturale delle generazioni presenti e future.
Impossibile,
ormai, discutere di politica persino con gli amici, in qualche modo piegati dal
“nuovismo” imperante che non ammette dissenso e fluidità di pensiero. Sei
contro l’inutile grillismo? Allora sei uno del PD. Sei contro il PD? Allora sei
un berlusconista o un grillista. A nessuno viene in mente di razionalizzare, di
comprendere che c’è anche chi salva il neurone, restando dalla parte della
politica. A nessuno viene in mente di rivalutare il senso della “politica”, che
potrebbe far comprendere come nessuno – in questo momento storico – sia persona
avente diritto. Nessuno sia, persona rappresentata in Parlamento.
Non
avendo diritto al voto, non abbiamo eletto un Parlamento. Abbiamo in qualche
modo legittimato il volere di terzi, lasciando che l’ultimo baluardo di
parvenza democratica venisse demolito, in nome di una “crisi economica” creata al
fine di salvaguardare le ultime risorse rimaste, e i grandi capitali.
Nessuno
normodotato, potrebbe pensare che “ridere” della farsa buffonesca di un comico
in disarmo, protetto dagli adepti di una setta che ridicolizzano le istituzioni
col “chiedi scusa e cospargiti il capo di cenere”, potrebbe voler dire
apprezzare il “minchionismo” di un giovane Letta, che al termine di un meeting
a otto vien fuori dicendo: “Il piano per la disoccupazione giovanile è sulla
rampa di lancio!” Nessuno dovrebbe pensare che restare allibiti per tale
minchionismo, voglia dire che allora si è dalla parte di quel debosciato di
Arcore, che ancora una volta – istituzionalmente – propone di far della
disonestà metodo legalizzato, o peggio qualcosa di diverso dal criminale che è.
Ed è al governo, col suo pupazzo seduto accanto a Letta, ed anche ministro –
che non era già abbastanza! –
Sentir
gioire il governo di destr sinistr per “gli accordi con i paradisi fiscali” lo
stesso giorno che l’Irlanda inquisisce il pluri inquisito debosciato di Arcore,
è qualcosa di meraviglioso. Un po’ kafkiano, a tratti machiavellico. Divertente
il silenzio calato sulla notizia, spifferata con pudore e vergogna dai giornali
che ormai non son più buoni nemmeno per farci cagare sopra gli uccellini in
gabbia.
Siamo
alle comiche che non finiscono mai, e che forse a questo punto, potranno finire
solo quando ci tornerà un po’ di quella dignità che ogni “persona” (che manco
più cittadini possiamo dire) deve sentire forte in sé. Il giorno in cui
ricorderemo che come prima regola, le persone hanno dei diritti e dei doveri. Le
comiche, forse finiranno quando finalmente avremo un po’ di democrazia e tanta
libertà. Oh, già. E ora dovrei spiegare che libertà non è quella cosa brutta
che molti pensano che sia, ma si è fatto tardi …
Rita
Pani (APOLIDE)
6.14.2013
Matteo e Flavio al governo, subito!
Non
tollero più rimproveri per la mia presunta disaffezione politica. Non posso,
per tutelare il mio buon nome, una delle poche cose rimastemi insieme ad un
ultimo neurone non ancora esule.
Non
mi si può incolpare di menefreghismo, semmai c’è da domandarsi circa l’accanimento
col quale ancora alcuni rivendicano il loro strenue impegno.
In
Turchia, lo sappiamo tutti, c’è stata una guerra per salvare degli alberi. In
Brasile c’è stata una rivolta per l’aumento del prezzo dei biglietti del bus. In
Italia – quelli veramente impegnati che mi scrivono del mio presunto “abbandono
di campo” (urticante metafora) – sono gli stessi che da ieri impestano il web
con le dotte disquisizioni in merito all’avvicinamento di Renzi e Briatore,
analizzando per benino, sviscerando fino in fondo tutti i pro e i contro.
Primi
fra tutti i giornali, che hanno elargito il nuovo dilemma politico italiota,
attraverso un’intervista al nullafacente più illustre della nostra miserabile
Patria.
Confesso:
ho letto anche io l’intervista, e ho pensato che in confronto a questo tale,
Lapo Elkan potrebbe essere scambiato per uno scienziato.
Tutto
il PD s’interroga sulla nuova alleanza, e anzi, sembra sempre più vicino il
momento della frattura tra renziani e bersaniani. Le cronache – mai parche –
alimentano il fuoco spargendo benzina, ed ecco la trama infittirsi con l’appoggio
incondizionato di Veltroni, che lancia il giovane e pur tuttavia stantio
Matteo, alla guida del partito.
Dunque
è di questo che non mi dovrei disinteressare? O è di questo che orgogliosamente
me ne frego assai?
Tutto
ci scorre accanto ormai, e al massimo solleviamo un piede o facciamo un saltino
per non inzaccherarci le scarpe. Preferiamo imparare che anche un essere
inutile come Briatore, possa rappresentare qualcosa di diverso per domani, e
non passerà troppo tempo per legittimarlo, per dare anche a lui una patente di “politico”
nuovo, e da provare … che tanto peggio
di così non si potrebbe fare.
Perché
se oggi nel PD discutono e fingono di avere anche questo problema, è sempre per
incoraggiarsi a non guardare l’onda di melma che piano piano, insozzerà anche
le nostre scarpe.
In
fondo io sono un passo avanti rispetto a molti di voi: ho già perso tutto, e
non c’è più nulla che qualcuno possa togliermi. Il callo l’ho già fatto, e ho
molto allenamento alla sopravvivenza.
Volendo
essere cattiva, mi verrebbe da sperare che il prossimo futuro fosse davvero un’asse
Renzi Briatore. per me che Amo le parole, e l’arte demenziale, leggere i sunti
dei loro improbabili proclami alla nazione sarebbe puro godimento.
[Adoro
gli italiani e adoro l'Italia. Ma per me è il luogo delle vacanze. Adoro l'Italia
in costume da bagno. F.B.]
Rita
Pani (APOLIDE)
6.11.2013
Io ri-e-leggo Berlinguer
Qualche
giorno fa parlando con un mio giovane amico, ho detto che a volte, quando ho
bisogno di rendere giustizia ai miei pensieri, mi rileggo i vecchi discorsi di
Enrico Berlinguer. Poi capita che, posando gli occhi con attenzione sulla vita,
anche quella che mi circonda, gli occhi mi si riempiano di lacrime.
Lui
mi ha guardato curioso, e poi ha sorriso dicendo ciò che la sua gioventù gli
aveva suggerito: “Era un comunista, vero? O mi sbaglio?” e dopo m’è parso di
vedere della compassione, in quel disegnar di labbra.
Non
gli ho detto d’aver pensato a lui con la stessa bonaria compassione, nemmeno
che non avrei potuto mai dirgli “un giorno capirai ciò che ti sto dicendo”,
perché so che davvero lui non lo saprà mai.
Delle
tante chiacchiere sentite ieri, a proposito dei risultati elettorali, una mi è
rimasta impressa, una è stata quella che vedeva tutti concordi, giornalisti e
affiliati alle bande della neo politica: “la destra ha perso, perché ormai è
chiaro che se berlusconi non ci mette la faccia, la destra non vince.”
Poi
ho sentito un’altra analisi “politica” – da raccapriccio – che in sintesi
indagava sulla portata di consensi tra il debosciato di Arcore e Beppe Grillo,
il quale non era riuscito a “portare a casa il risultato” nemmeno mettendoci la
faccia (e le sgradevoli urla isteriche) e che quindi – testuale – “berlusconi era
il vincitore”.
Ecco
perché so che il mio giovane amico, non potrà mai comprendere perché guardando
intorno, e dentro la vita mia e degli altri, a volte piango. Perché queste “analisi
politiche”, sono dannatamente reali. Perché questa è la “politica” reale oggi,
che ha forgiato, e sta forgiando le generazioni future, le donne e gli uomini
di domani, che già oggi fanno parte di quella politica che ci dovrebbe
governare.
Chiudono
le fabbriche, chiudono i negozi, la gente non ha più accesso alla sanità, le
scuole non insegnano, la cultura è stata abrogata, la casa non solo non è un
diritto, ma ormai è più conveniente non possederla, eppure nulla accade. Non c’è
più Berlinguer fuori dal cancello di una fabbrica a difendere il diritto al
lavoro e alla dignità. Non vi è più nessuno, se non quello che al cospetto dei
minatori rinchiusi in galleria incita: “Uscite da qui, tornate dalle vostre
famiglie e se vinceremo avrete il reddito garantito.”
Ecco,
mio giovane amico perché tu non comprenderai mai un certo tipo di lacrime:
perché Berlinguer, davanti ai cancelli della FIAT – per esempio – chiedeva lavoro,
non prometteva elemosine.
Quando
ho bisogno di rendere giustizia ai miei pensieri, rileggo Berlinguer. Mi
disseto. Ripulisco me stessa dalle tossine delle metafore sportive, dallo
svilimento della parole, dalla pochezza morale di questi personaggi da
romanzetti gialli, da raccontini edulcorati sulla mafia che può anche essere
buona, dall’opera erosiva di una propaganda che tende sempre più ad
automatizzare il pensiero della gente, dalle urla isteriche dell’ultimo
imbonitore che vende se stesso facendo credere di regalarti, in cambio il
futuro.
29
anni fa, moriva Enrico Berlinguer. Ed ogni giorno continua a morire un po’.
Rita
Pani (APOLIDE)
6.08.2013
Il sindaco non c'entra
In
Italia fa più scalpore l’esternazione di un cretino, che non un’opinione
intelligente, e quindi se ne parla. Per esempio, l’ultima cretinata, capace di
ridestare attenzione è stata quella del sindaco – si spera ex – di Roma, che
rispondendo a una domanda sull’aumento del 19% dei reati di violenza sessuale
in città ha risposto: “Sono in prevalenza violenze domestiche e non di strada e
quindi il sindaco non c'entra.”
Tecnicamente
non farebbe una grinza, se non fosse che ogni singolo caso, in una società
civile, dovrebbe essere “affare collettivo”. Meglio, dovrebbe essere un
problema di tutti i cittadini, sindaco in testa. Anche perché, mi pare di
ricordare che il sindaco sia comunemente riconosciuto come “primo cittadino”.
Il
sindaco non c’entra, così si assolve, così se ne lava le mani.
Eppure
a me vengono in mente un paio di cose che un sindaco potrebbe fare per cercare
di attenuare il problema di questa barbarie.
Per
esempio iniziare a far sì che del problema si parli ai bambini, perché è da
loro che bisogna iniziare a cambiare gli uomini. Far si che le coscienze dei
ragazzi vengano sensibilizzate, e non invece lasciare che si imbarbariscono al
punto di far di un adolescente un assassino. Un sindaco potrebbe tornare alla
vecchia concezione del “consultorio familiare” dove si trova un aiuto
istantaneo quando il problema esiste, ed è disegnato dai lividi sul volto di
una donna. Far sì che queste realtà siano strutturate in ogni città, che sia la
norma trovarle efficienti e non oasi felici nel grande deserto italiano. Un
sindaco potrebbe creare delle strutture capaci di offrire supporto e rifugio
per le donne in pericolo, o semplicemente potrebbe coadiuvare quelle già
esistenti, spesso costrette a chiudere per mancanza di fondi o di locali,
sempre gestite da persone di buona volontà, che molto spesso il viso lo hanno
avuto livido anche loro, o hanno perso le figlie, le madri.
Sono
poche cose, che valgono d’esempio per dire a un cretino che tutti, volendo c’entriamo.
Ma è comprensibile che non tutto si possa fare, quando si è impegnati dal
gravoso onere di essere sindaco.
Ci
sono i parenti da sistemare, i soldi da far sparire, i gesti eroici da mostrare
in televisione quando il fiume di gonfia, quando si fa un Papa o uno ne muore. C’è
da fare l’assegno personale ai vecchietti dell’ospizio, ci sono i monumenti da
lasciar crollare, e c’è stato in passato persino il triste compito di insinuare
il dubbio, che le donne nere si potessero violentare, se tanto serviva a
potersi travestire, dopo, da vendicatore.
Ma
forse è giusto che un cretino faccia scalpore, e che si parli della sua
stupidità. Magari serve a destare l’attenzione dell’altro cretino che lo
potrebbe anche rivotare.
Rita
Pani (APOLIDE)
6.06.2013
Stefano
Chissà,
forse è andata proprio come andò a Padre Pio. Satana entrato nella cella di
Stefano lo ha tentato, e lui per fuggire alla tentazione ne è uscito con le
ossa rotte. Nessun colpevole, quindi, per la vita sprecata di un ragazzo che ha
avuto la sfortuna di non essere un embrione. In quel caso sì, anche giovanardi
sarebbe stato dispiaciuto per lo scempio.
Un
oltraggio nell’oltraggio la sentenza che condanna i medici per malasanità, e
che nello stesso tempo sospende la pena – che sarà mai? Capita al medico di
sbagliare.
Un
oltraggio nell’oltraggio anche il processo, che di omicidio non ha mai parlato:
lesioni gravi era l’ipotesi di reato. Succede.
Son
tante le cose che si potrebbero dire a proposito di uno Stato che uccide e
resta impunito, ma avrebbero il suono noioso delle cose troppe volte ribadite,
e bisognerebbe per principio aver la pazienza di stilare la lunga lista delle
giovani vite sprecate. Quelle che non si aveva interesse a salvare, quelle per
le quali nessuno è stato mosso da umanità. Quelle che non erano importanti per
nessuno, anzi! “Un drogato in meno” ho letto da qualche parte, su uno di quei
giornali di proprietà del Salvatore di giovani egiziane per bene, frequentato
da commentatori cristiani, quelli che salverebbero tutti gli embrioni, tutti i
malati terminali che vogliono morire.
Che
si potrebbe aggiungere quindi allo squallore?
La
consolazione, forse, di pensare che per fortuna è solo la sentenza di primo
grado. La speranza nel secondo, o nella cassazione. Ma ultimamente perdiamo
troppo del nostro tempo a sperare sogni che non si avverano mai.
Un
pensiero caro e di solidarietà alla famiglia Cucchi, vergognandomi di questo
paese infame.
Rita
Pani (APOLIDE)
6.04.2013
Anche i ricchi piagnucolano
Ho
sempre sostenuto che certa gente, in galera, non ci debba andare. Siamo in
Italia, l’Italia che nonostante tutto continua a votare quel vecchio
debosciato. L’Italia in ostaggio delle mafie, del crimine organizzato, dei
venditori di fumo, degli urlatori isterici e dei peracottari.
Certa
gente, in galera, sarebbe come Don Raffaè … servito e riverito dalle guardie in
attesa delle briciole, di una mancia per arrotondare, di un favore per il
figlio o per il nipote. Certa gente, in galera, godrebbe del privilegio che dà
una “certa” notorietà, quella stessa che spinge la gente a farsi fotografare
con la feccia più odiosa che c’è, con un sorriso grande stampato in faccia da
rigettare immediatamente sui Social Network per avere quei tre minuti di
notorietà riflessa. Siamo l’Italia che quando muore un tale famoso si accalca
fuori dalla camera ardente non per il rispetto dovuto alla salma, ma con la speranza
di trovare un microfono al quale donare la propria voce addolorata: “Per me
Little Tony era tutto.”
E
già scrissi tempo fa della nostra semplicità: quella che ci fa gridare “In
galera! In galera!”
Poi
leggi il lamento di emilio fede, povero diavolo, che non riesce ad arrivare
alla fine de mese con la ridicola pensione che Mediaset gli paga: 15.000 euro
al mese. Stretto dalle spese per gli avvocati pagati per difendersi in un
tribunale per essere stato un servo infedele di un vecchio maiale, “assaggiatore
di ragazzine” per l’imperatore, piagnucola la sua povertà.
“In
galera!” continua a gridare la semplicità, pur sapendo che dati i suoi 80 anni,
in galera non ci andrà mai, e quindi resterà, poveretto ed impunito.
Certa
gente merita la pena giusta. Condannati a vivere con 800 euro al mese, in una
casa in affitto, in un posto freddissimo d’inverno e rovente d’estate. Magari,
data l’età, con il coniuge affetto da Alzheimer, che fugge via da sé stesso
ogni giorno più lontano. Trovarsi solo, nella povertà reale di milioni di noi,
che hanno imparato l’arte di riciclare anche il pane duro, perché ha capito che
il cibo vale più di un monile. Vivere la vita semplice di chi anche dopo aver
lavorato una vita, non avrà la pace che merita dal riposo, dalla semplicità di
una passeggiata al tramonto, o una serata passata a leggere un libro bevendo un
bicchiere di vino.
Non
vi sarebbe galera più dura e crudele per questa gentaglia che la semplicità
della vita nella quale troppi di noi ormai si trascinano. Perché la differenza
tra noi e loro è che almeno noi, tutto sommato, sappiamo ancora gioire del
nulla, per loro sarebbe solo disperazione, fino all’ultimo giorno della vita,
che mi augurerei fosse lunghissima.
Rita
Pani (APOLIDE)
6.01.2013
Poi, quando muore un Compagno ...
“Noi
siamo convinti che il mondo, anche questo terribile intricato mondo di oggi,
può essere conosciuto, interpretato, trasformato, e messo al servizio dell'uomo,
del suo benessere, della sua felicità. La lotta per questo obiettivo è una
prova che può riempire degnamente una vita.”
Noi,
siamo i comunisti; la frase è di Enrico Berlinguer.
Erano
altri tempi, diranno certi uni; e certo che erano altri, visto che Enrico non c’è
più, ma era un tempo che avrebbe portato altro tempo: il nostro. Quel tempo in
cui annaspiamo, ci trasciniamo reduci e dispersi, annichiliti nel vuoto creato
nelle coscienze. Stanchi, soli, incapaci di riporre la speranza sul futuro,
arresi al punto di gettarla via, regalandola al primo che passa, capace di
irretire come un bravo venditore.
Quando
muore un Compagno, allora ci ritroviamo, ci riconosciamo, ci commuoviamo
accompagnati dalle note di canzoni di nostalgia, dal rosso che ostentiamo o che
offriamo come fosse un fiore da gettare sul feretro al suo passaggio, in segno
d’amore o rispetto. Quando muore un comunista, si torna ad essere comunisti per
un attimo, in memoria.
Don
Gallo: Bella Ciao! Franca Rame: Bella Ciao! E mille bandiere rosse. Idealmente
c’era la mia voce, la mia bandiera, il mio pugno chiuso era là. Senza amore, ma
con rabbia. Quel sentimento che tiene vivo l’impegno di una vita, quell’impegno
che può rendere dignitoso continuare a vivere sentendosi un po’ meno reduci e
dispersi.
Si
chiama “ideale”, e senza averne uno è difficile potersi dichiarare vivi. Per
questo hanno insegnato il contrario, per questo hanno fatto credere alle nuove
generazioni che non avesse senso credere in qualcosa di diverso da Dio. Credere
nella capacità dell’uomo di conoscere i riconoscere l’altro uomo, di farsi
parte di uno e di tutto, di lottare per la giustizia sociale, per l’uguaglianza
e per la libertà dell’uomo è un ideale al quale non mi son mai sentita di
rinunciare, nonostante la propaganda abbia insegnato ai più a deridere – quando
non insultare – chi ancora oggi ha il coraggio di ostinarsi a dichiararsi
comunista, anche quando i Compagni vivono, o lottano, o muoiono uccisi dal
lavoro, dalla disperazione data dal fallimento di un sistema capitalistico, che
poteva esser vinto con la giusta reazione, ma che è stato riesumato e
peggiorato grazie proprio alla demolizione e demonizzazione degli IDEALI.
Quando
muore un Compagno ci ricordiamo di tutto, di ciò che eravamo, dei nostri sogni
abbandonati, delle lotte vinte e poi perdute, dei diritti e persino dei doveri.
Onorato un Compagno, si torna alla vita di rimpianto, al lamento del “se”, all’’impegno
che si potrebbe anche profondere ma che tanto sarebbe inutile. Alle bandiere
rosse ripiegate con cura nei cassetti, insieme alla nostalgia della maglietta –
sempre quella come una divisa – e delle scarpe comode riposte come una reliquia
– caso mai ci fosse ancora da manifestare.
Credo
che se volessimo onorare davvero Enrico, Don Gallo, Franca – e tutti i compagni
che ci hanno lasciati da quando l’altro tempo diventava il nostro, basterebbe
ricordarsi che essere comunisti non è altro che l’essenza stessa de nostro
essere esattamente ciò che siamo. Compagni.
A
Pugno chiuso,
Rita
Pani (APOLIDE COMUNISTA)