5.29.2012
Spacciatori di sogni
C’è
sempre che siamo in Italia, e che è molto difficile mettere d’accordo i dieci
partecipanti alla riunione di condominio. Ci sono coloro che si preparano le
armi la sera prima, che hanno cassetti pieni di carte bollate, chiodi accanto
alla finestra e lo stereo pronto da accendere quando il vicino tornerà. Tovaglie
da sbattere sui panni stesi altrui, e acqua da gettare dal balcone. Perché? Perché
una volta, l’animale del terzo piano, rientrando, non s’è degnato di dire
buongiorno, o perché ieri la zoccola della moglie del secondo ha parcheggiato
male l’automobile, e ha fatto perdere almeno un minuto di tempo prezioso a
quello del quinto. I nodi verranno al pettine alla prossima riunione di
condominio, quando ci sarà da decidere il rifacimento del tetto che sta crollando:
ci sarà da divertirsi, perché il voto suo sarà contrario. Perché? Per
principio.
Se
avete partecipato almeno una volta ad una riunione di condominio, allora
comprenderete anche voi perché il “grillismo” è solo un grande sogno; uno dei
tanti che l’Italia ha saputo vendere ai suoi cittadini, dopo aver affinato le
tecniche apprese dal ventennio barbaro berlusconista, che tanto ha fatto per
radicare il cancro che temo, non riusciremo ad estirpare facilmente.
E di
sogni, nel tempo ce ne hanno spacciato tanti. Mi ricordo per esempio come
sarebbe stato semplice salvare la
Fiat : sarebbe bastato chiamarla Ferrari. O il sogno Alitalia,
la grande compagnia aerea italiana del: “sono italiano, volo italiano” – o qualcosa
di simile. Il ponte sullo Stretto, il sogno per antonomasia, e quello poi dell’abrogazione
delle tasse, che per ognuna che spariva dieci ne arrivavano; bastava cambiare
il nome. Recentemente, vi ricordo la geniale trovata dello spacciatore di
sogni, che finse di credere che anche gli italioti avrebbero creduto che l’IVA,
essendo un Imposta, non era una tassa. Ma anche ai sognatori bisogna dare un
briciolo di soddisfazione al risveglio, e fu così che abolirono l’ICI. Nessuno
però, nemmeno tra i più accaniti adepti del tizio riuscì mai a rispondere a una
domanda semplice: “Da dove pensi di prendere i soldi che mancheranno nelle casse
dei comuni?”
Ora
arriva l’IMU, e così avendo ieri l’opportunità di scambiare due chiacchiere con
un grillino, ho posto la stessa domanda alla quale mi è stato risposto pressappoco
così: “noi pensiamo ad una economia locale, che attraverso la moneta locale sia
in grado di baipassare le banche …” [CIT]
Il
bossi l’aveva detto già, faccio notare. Risposta: “ma non l’ha mai fatto!”
Tuttavia,
dopo poche battute ecco che mi son ritrovata nel mezzo della riunione di
condominio, col signore del terzo piano che conserva l’acqua sporca nel
secchio, e l’altro con i chiodi sul davanzale della finestra, e al tentativo di
tornare al punto in ordine del giorno da discutere – il rifacimento del tetto –
risponde che i comunisti come me dovevano andare affanculo, che avevamo
governato l’Italia per trent’anni e non avevamo fatto un cazzo, e che la nostra
era tutta invidia da blogger che non avevano avuto il successo di Beppe Grillo.
Non
ho citato la Casaleggio ,
il marketing, lo sfruttamento indegno che si fa di giovani per bene e puliti,
dell’impegno sprecato a fingere che non sia “politica” impegnarsi per la cosa
pubblica, dato che il tizio e il vate hanno insegnato che la politica è tutta
merda. Non ho fatto altro che rinchiudermi in una triste e malinconica
nostalgia. Quella dei bei tempi del NG Politica.it, che alla sera quando la
bimba dormiva frequentavo come un tempo la piazza del paese, a ridere e
chiacchierare. Capitava che ad un tratto arrivava il leghista, o il
berlusconista e ci faceva divertire con le teorie preformate da chi all’epoca
gettava i semi del futuro. Ridevamo. Abbiamo riso tanto, ma solo perché in
fondo non avevamo capito che non c’era nulla da ridere.
Rita
Pani (APOLIDE)
5.28.2012
Figurati! Pure io ho un amico gay
Francamente non so dove l’ho sentita, ma è una frase che mi
piace: “Io non sono razzista; sei tu che sei negro.” Mi piace perché è una di
quelle frasi di plastilina che se cambi solo un aggettivo, assume il senso di
tutta l’ipocrisia che ci circonda.
Per esempio: io non sono omofobo; sei tu ad essere gay!
Sì perché in effetti funziona pressappoco così, il
perbenismo dilagante che fa dire alle persone le peggiori cose con le migliori
intenzioni, come per esempio quando le persone per spiegarti “di non avere
nulla contro i gay” ti dicono: “Ho anche un amico, gay!”
A che servirebbe spiegare che non esistono motivi per “averci
qualcosa contro”? A nulla, immagino, perché non si demolisce in un istante un’era
intera di condizionamenti mentali. Si potrebbe provare a spiegare che l’identità
sessuale di una persona non è affar nostro, non è una malattia, non è un
crimine, esattamente come non potrebbero esserlo i tratti somatici di una
persona, i deficit fisici, sia essa la calvizie o l’obesità. Ma a quel punto
qualcuno guardandoti con gli occhi candidi ti direbbe: “Lo so, infatti io ho
anche un amico gay!” E ricomincerebbe il giro.
Insomma, se fosse vero che a nessuno importa dell’identità
sessuale altrui, i gay non sarebbero discriminati. E se fosse vero che abbiamo
ormai raggiunto un livello accettabile di educazione civile, in fondo, non lo
sarebbero nemmeno gli obesi. È che la civiltà esiste solo nelle parole che si
usano per abbellire il proprio aspetto, e troppo di rado invece sono quelle
capaci di mostrare agli altri quel che siamo davvero. Le parole sono come un
coprente per le rughe, che se esageri o non stai attenta a metterlo, le mostra
ancora di più. Come quando si firmano gli appelli contro la piaga dei “femminicidi”,
e poi si applaude alla donna che ha torturato e ucciso il marito infedele: “Brava!
Ha fatto bene!” Servirebbe spiegare che l’ omicidio è un omicidio a prescindere
dal sesso del morto?
Siamo in Italia, civile per finta, ed è peggio di un mondo
che almeno ha il coraggio di ammettere tutta la sua brutalità, perché almeno in
un paese brutale conosci il nemico e lotti per abbatterlo, mentre in Italia tutto
è più subdolo e ipocrita.
Il paese dei giovanardi non direbbe mai che i gay son da
uccidere come fanno in Iran, ma da curare e riportare alla “normalità”; poi si
finge di impegnarsi per non discriminare, compiendo di fatto una
discriminazione, così come si discrimina la donna imponendo ministeri per le
pari opportunità – oddio, anche guidati da una zoccola – quasi come ci fosse
bisogno di una legge speciale che dica che uomo e donna pari son, perché se non lo
dice la legge …
Al paese dei giovanardi, e del Papa virilissimo è meglio non
far sapere di essere gay, perché potrebbe sorgere un problema, per esempio, se
un gay si candidasse ad essere preside di una scuola. Assai meglio un
condannato per reati sessuali, è più accettabile dall’ipocrisia italiana, dato
che si è tollerato persino di essere stati governati da un maniaco sessuale in
odore di pedofilia, che però, almeno, non era gay e pure al problema della
calvizie aveva posto rimedio.
Viva il paese di Dio, di Santa Romana Chiesa, che violenta i
bambini ma detta i canoni della nostra moralità: se non siamo cattolici non
possiamo peccare, dato che nessuno monderà la nostra anima, condannandoci alle
fiamme eterne dell’inferno. Loro possono, ma in silenzio e che non si sappia in
giro. Viva il paese della verginità con le camiciole a fiori, che ruba il
danaro pubblico, che non si dimette se non si dimostra tutta la sua disonestà,
che predica la morigeratezza ai convegni di Comunione e Liberazione, salvo poi versare
una somma corrispondente a 11 anni di stipendio, al suo … coinquilino …
Rita Pani (APOLIDE … che anche io amici ne ho tanti, vivono
le loro vite quali che siano. Qualcuno è persino felice)
5.26.2012
2013 il tizio è presidente
Maggio
2013, oggi l’Italia per la prima volta ha votato l’elezione diretta del
Presidente della Repubblica, attraverso il voto elettronico, o il televoto sia
da rete fissa che mobile attraverso SMS. Dal Quirinale, in una nota, si
ringraziano 100 milioni di italiani che hanno partecipato in massa alla nuova
tornata elettorale, che alla fine ha visto eletto il Cav. Dott. Debosc silvio berlusconi,
che come annunciato assumerà il nome di Tizio
Maniac 1 Proto Debosciato, con 95 milioni di voti. Il nuovo Presidente, oltre
il Quirinale, si è aggiudicato il potere assoluto di governare col nuovo
sistema democrattoriale, ossia una democrazia dittatoriale fondata sul suo
piacimento, grazie anche alla recente riforma costituzionale, fortemente voluta
dal precedente governo Monti e partorita dal comitato dei saggi.
Molti
i nomi noti che hanno lavorato alla riscrittura ed ammodernamento del
fondamento della nostra Repubblica. Guidati dalla brillante mente di Maria De
Filippi, si sono ritrovati a villa Certosa, la Minetti , vestita da
giudice della Corte Costituzionale, Noemi, Lilla, Pussyfrit in perizoma
piumato, Maraia Chip travestita da Umberto Eco, e Mutanga Buzir consulente per
i diritti degli extracomunitari superdotati.
Commovente
il momento dell’incoronazione, quando il tizio affacciatosi al balcone di Piazza
Venezia, dinnanzi alla folla inferocita, non ha potuto fare altro che darsi
alla figa, protetto dalla scorta di Amazzoni sottratte a mo’ di trofeo al
Colonello Gheddafi, dopo averlo fatto sterminare.
Al
termine della prima giornata di lavoro, il Presidente attorniato da uno stuolo
di Corrazzierine si è presentato alla conferenza stampa che diventerà un
appuntamento settimanale sulle sue televisioni personali, il sabato sera subito
dopo le notizie della propaganda, e che avrà per traino la nuova trasmissione: “Chi
vuol esser violentata?” gioco a quiz dedicato alle donne anziane dai 25 ai 35
anni, e che in caso di vittoria, farà vincere alla malcapitata un incontro con
Mutanga Buzir e i suoi cugini che la violenteranno nella Sala degli Specchi,
sotto lo sguardo attento di un’altra commissione di Saggi ottantenni.
Come
riferito dall’Ape Regina del Quirinale, la prima conferenza stampa del Tizio
Maniac è stato un successo, e sono stati elencate le prime urgentissime
disposizioni della Presidenza.
- Saranno ripristinati i casini di
caccia dell’epoca fascista, ma per non urtare la suscettibilità degli
animalisti, quali la brambilla, si chiameranno solo Casini.
-
Viene abolito il concorso “Il
bambino più buono d’Italia”, e sarà sostituito da: “La bambina più bona d’Italia”
al quale potranno partecipare solo bambine dai 12 ai 15 anni, possibilmente
vergini e già dotate di protesi al seno. La vincitrice diventerà proprietà
della presidenza della repubblica per tre anni e ai genitori sarà attribuito il
titolo di ex autista di Craxi, oltre che una discreta somma di danaro, il cui
importo resterà segretissimo.
- La sala degli specchi sarà
ristrutturata dalla ditta Anemone ad insaputa del Tizio; è previsto il
montaggio di pali da lap dance, strumenti di tortura per il sadomaso, e gli
specchi posizionati orizzontalmente potranno essere usati per una migliore
assunzione delle piste di cocaina.
Come detto dallo stesso Tizio, tutto questo come primo ed
ineluttabile impegno teso a risoluzione della crisi economica, e grazie al
volere del popolo della libertà. Il Tizio, inoltre, pungolato dalle difficili
domande di Alfonso Signorini, che gli chiedeva quale fosse il segreto della sua
indiscutibile giovinezza, bellezza, signorilità e virilità, pur apparendo in
evidente difficoltà non ha esitato a rispondere … “Devo ringraziare il mio
amico abbronzato Mutanga … mi ha aperto. Un mondo.”
Rita Pani (Che però non ho molta voglia di ridere, APOLIDE)
5.24.2012
Terremoti e Terremonti
Rita Pani (APOLIDE)
5.21.2012
Il Deficiente del Senato
"Credevo che in una giornata come questa il
Paese potesse dimostrare di essere unito" … [L’improbabile
presidente del Senato, schifani.]
Ha espresso così il disappunto per i fischi ricevuti
dall’Inno Nazionale, che ha preceduto la disputa della finale di Coppa Italia
Napoli – Juventus, allo stadio Olimpico.
Perché l’idiozia del nostro paese è ormai consolidata
al punto di essere tradizione, uso e costume. Un giorno verrà scritta anche sui
libri di storia, e non sarà difficile datare la nascita del periodo che magari
chiameremo “L’assurdismo”.
Che peccato, signor Deficiente del Senato, non aver
colto l’occasione per tacere! Se solo avesse attivato il cervello prima di dar
fiato alle fauci avrebbe ricordato come il paese si è immediatamente unito dopo
l’omicidio di Brindisi. In tante città di questo paese che si conserva
nonostante voi, la gente è scesa per strada a manifestare contro la violenza e
contro la criminalità – anche la vostra. Migliaia di cittadini hanno camminato
in silenzio per commemorare la vita di una ragazza, sprecata in nome di chissà
cosa. Molti altri, nel chiuso delle proprie esistenze hanno trascinato passi
stanchi, guardando fuori dalla finestra, come se dal mare potesse arrivare la
risposta che stanno cercando, sul senso delle cose, anche le più orribili,
quelle che una risposta non l’avranno mai.
Ma vi è ignoto il silenzio, vi è distante il rispetto,
siete ormai pregni della vostra arroganza che vi proibisce di comprendere come
ancora tra noi – gente normale – ci sia chi non è disposto a indietreggiare.
C’è stato un terremoto, signor Deficiente! Noi lo
sappiamo, ce lo diciamo, ce lo raccontiamo. Noi non ridiamo. Non ci freghiamo
le mani fiutando l’affare che verrà. Nemmeno voi, in vero, ora che non c’è
speranza di vedere il danaro correre a fiumi, dato che non ce n’è, ora che ve
lo siete rubato tutto. Noi siamo uniti, a volte anche nel silenzio che rispetta
le cose che si possono tacere, come il dolore, non solo per la perdita delle
vite umane, ma anche dei pezzi di storia cancellati dalla furia della terra,
che si ribella anche lei.
Noi siamo uniti, perché sappiamo che – terremoto! Governo
ladro!
Trema la terra, piove, tira vento, scorreggia una
formica e la storia se ne va, e sparisce per colpa vostra che non avete
investito, che non avete messo in sicurezza i territori, che avete fatto in
modo di lasciare che le mafie se li spartissero. Voi che avete lucrato sul
cemento, sulle strade impossibili da realizzare, sulle montagne da scavare, sui
rifiuti da seppellire.
Il popolo pensante per fortuna è ancora unito, e non
lo avrete mai, signor Deficiente del Senato. Siamo uniti del silenzio che ci
rigenera, che ci lascia a pensare, che ci impone di ignorare una partita di
pallone, sedativo naturale per un popolo da domare.
Se è stato fischiato in uno stadio, pensi un po’ che
accoglienza se mai le venisse in testa di andare a fare l’avvoltoio in Emilia,
o a Brindisi, o dove la vita arranca sempre più accanita e stanca.
Io, per esempio, le sputerei in faccia.
Rita Pani (APOLIDE)
5.17.2012
Al legaiolo non far sapere, quanto son buone le pere nel sedere
(Il
titolo non c’entra nulla, ma tant’è.)
Ora
vorrei dirti, legaiolo padano: “Complimenti!”
Le
mie più sentite congratulazioni a te e famiglia, per aver abdicato l’ultimo
sprazzo della tua intelligenza al potere leghista del bossi. Quante volte negli
anni, ho letto le vostre elucubrazioni idiote restando stupita dinnanzi alla
vostra stupidità! Eppure mi dicevo che un senso dovevate averlo – anche se non
l’ho mai trovato – che in fondo eravate capaci di credere in qualcosa, e poco
importava che fosse il dio Po.
Complimenti!
Avete tolto i vostri figli da scuola a 14 anni, e gli avete insegnato quel che
vi diceva il bossi, ovvero che per fare grande il nord dovevate lavorare,
lavorare e lavorare. Avete fatto crescere i vostri figli nell’ignoranza e nella
fatica da placare con l’alcol del sabato sera, che però garantiva di stare alla
guida di una bella auto, e costruire la villetta a schiera col giardino davanti
e di dietro, segno del benessere padano del sogno realizzato.
Bravi!
Come un piccolo esercito vi siete prestati alle parate ridicol-chic, che era
sempre carnevale, con indiani padani, celti padani, crociati padani, giussani
padani, e i miei sempre amati elmetti cornuti. Anche i bambini, tunica e
spadoni, per imparare che bossi prima o poi vi avrebbe portato alla secessione,
al distacco dall’italica civiltà italiana, di roma ladrona, delle mafie del sud
del parlamento italiano su cui bisognava sputare.
Voi
sotto il palco ad osannare quel che restava di bossi, e del figlio – il principe
ereditario – la trota che sarebbe diventata un delfino; calderoli e l’abominevole
sacco di merda borghezio, il lombrosiano maroni, e il cota, lo zaia, il tosi,
la rosi mauro. Il vostro governo promesso, del parlamento che non c’era. Tutti
eccitati ad applaudire le sparate dei vostri condottieri, sulle pallottole e
sulla guerra di secessione, sui ladroni di Roma, e sui soldi padani che
dovevano restare in padania. Le vostre tasse e i vostri sacrifici, che dovevano
restare a casa vostra. La vostra patria.
Quella
patria da difendere cacciando indietro il nemico in palandrana “i islamici”, “i
zingari” da incendiare. I bambini negri da lasciar senza cibo nelle scuole
padane, che insegnavano la fantastica storia di una nazione inesistente, creata
appositamente per voi in una baita di Ponte di legno, dove scorrevano fiumi di
vino e mari di polenta taragna, alla faccia vostra, della vostra fatica, e del
vostro credo malato.
Complimenti!
Siete stati degli ottimi soldati. Avete lavorato indefessamente, avete
sfruttato gli edili albanesi prima e i romeni dopo. Avete sfruttato le donne
russe alle quali avete affidato la cura dei vostri parenti, avete abusato
(spesso ucciso) le puttane nigeriane, e tutte le altre razze “inferiori” a
borghezio, in base alle loro peculiarità. Avete messo al bando il kebab,
imposto il maiale (cannibali) nelle mense scolastiche, e salvaguardato la
vostra discendenza ariana persino con il tiro alla fune e il lancio del porco
nelle pozze di fango.
Bravi!
Il vostro sacrificio è stato ripagato, anzi “ripaghettato”, con tutto quel che
oggi emerge dalla marea nera di merda che avvolge la vostra famiglia reale. Ladri,
profittatori, predoni, malfattori. Un partito politico creato solo ed esclusivamente
per arricchire un manipolo di ladri, bugiardi, usi a fingere di avere una
laurea o di comprarne una in Albania. Gentaglia che per farvi credere di avere
un’idea andava in Austria a dar lezioni di nazifascismo. Ignoranti beceri che
pur avendo sputato sopra all’odiata Italia, non se la sono sentita di
abbandonare la stanza della cassaforte da depredare, riportando sì i soldi
italiani in padania, ma a casa loro, nelle loro tasche, nel loro benessere da
ladri, e dei loro figli – principi ereditari – che non solo sono ignoranti, ma
non hanno nemmeno un callo sulle mani, a dispetto dei vostri figli educati,
almeno, alla fatica.
Ma i
miei complimenti più sentiti vadano agli operai delle fabbriche. Tutti quelli
che ebbero il coraggio di ammettere di aver passato una vita ad adorare
Berlinguer, e che poi, un giorno, staccati dalla catena di montaggio, nel
chiuso della cabina elettorale, ebbero il coraggio di fare la ics sul simbolo
della Lega.
Vi
auguro con tutto il cuore di poter sempre pensare e ricordare che ogni euro
tolto dalle vostre buste paga, dalle vostre tasche, e dalla vostra vita è
andato a fare d’oro la vita di gente come quella che ho nominato fin qui. Trota
compreso, con la sua paghetta mensile – argent de poche – di 5.000 euro.
Agli
altri legaioli auguro il coraggio di andare a Gemonio, guardare sulla collina e
percepire la villa gialla alla stregua di un campo rom da liberare.
Rita
Pani (APOLIDE del SUD)
5.16.2012
L'ineluttabile fine
Parlano,
dichiarano, spiegano e persino si incazzano; e ogni volta penso che non ne
abbiano il diritto. La totale mancanza di rispetto che il potere ha, nei
confronti del cittadino, è segno evidente di come la democrazia, ormai, sia
soltanto una parola.
Proprio
ora, mentre scrivo, Monti spara a raffica concetti edificanti per l’italica
civiltà: dobbiamo rispettare Equitalia e i suoi dirigenti che “rischiano” la
vita, dice. Dobbiamo rispettare le istituzioni.
Sarebbe
giusto, condivisibile e rispettabile in un paese normale, ma ormai è noto che l’Italia
tutto è tranne che un paese normale.
Monti
dimentica i morti per fame? E pare aver dimenticato anche la storia di
Equitalia, dalla sua nascita al suo divenire. Una sorta di castigamatti di
stato, l’agenzia di strozzinaggio che guarda caso spezza le gambe al povero
disgraziato, e non tocca chi il fisco lo evade davvero. Basta una multa non
pagata per vedere una vita distrutta, mentre i grandi capitali volano oltre
confine, a comprare case ad Antigua.
Non
hanno il diritto di imporre nulla, lo hanno perso da tanto e lo perdono ogni
volta che perseguono nell’insulto, nell’umiliazione delle istituzioni che
dovrebbero rappresentare. È davvero così stupido chiedersi perché noi si debba
morire mentre sono incapaci di legiferare in materia di corruzione? È un
pensiero prodotto dal populismo e dalla demagogia, è solo una miserabile
questione di buon senso?
È come
il padre che dà uno schiaffo al figlio perché lo vede fumare, mentre con l’altra
mano regge la sigaretta.
Non
c’è nessuna volontà politica di riportare il paese ad una parvenza di civiltà,
c’è solo l’intento sempre più arduo di sostenere l’economia delle banche e del
capitalismo mai domo, fino alla fine, fino all’ultimo possibile arricchimento. Il
resto è solo un blaterare noioso e mortificante per ciò che resta della nostra
intelligenza.
Non
c’è decenza nell’arroganza – ma l’ho scritto inutilmente troppe volte.
Potrebbe
essere serio e condivisibile il concetto espresso da Bersani: “Niente ambulanze
a chi non paga le tasse”, ma il problema è che siamo nel paese in cui, l’ambulanza
fu utilizzata da un senatore della Repubblica alla stregua di un taxi. Il
senatore, poi, non sentì nemmeno l’urgenza di scusarsi o di dimettersi. Tutto è
lecito per i malfattori, quelli seri.
Non
c’è decenza nell’utilizzo dello spauracchio del terrorismo, in uno stato in cui
a distanza di decenni nulla si sa delle stragi, se non che il mandante era lo
stato.
Non
ci sarebbe rimasto null’altro da fare se non far sentire la nostra voce in una
silente coda agli sportelli delle banche, per ritirare quel poco che ancora, a
qualcuno è rimasto. L’unico grido e l’unica battaglia rimasta: togliere l’ossigeno
ai predatori. Accelerare l’ineluttabile fine.
Ma
siamo in Italia, che tutto è tranne che un paese normale.
Rita
Pani (APOLIDE)
5.13.2012
Salvate il soldato Embrione
Amo
i bambini. Amo gli animali. Detesto il genere umano, ma ho rispetto della vita.
Si
può fare tutto ormai, in questo mondo folle. Sfilare per strada in favore della
vita mentre tutto, intorno, muore. La vita intesa come l’embrione, ovviamente,
quello che non si vede, che Dio ha creato e messo dentro la pancia della donna
che poi partorirà con dolore. Quella vita non vita, sospesa, che si farà. Forse
si farà, perché non è più certo che possa evolversi e farsi uomo. Non è detto
che possa sopravvivere.
È facile
proteggere le vite non ancora nate. Impossibile pare poter salvare quelle ormai
divenute adulte, che si impiccano e si sparano, che uccidono con armi
intelligenti in nome di una pace che puzza di danaro. Piangere un aborto e
tollerare l’eccidio infinito delle guerre, dichiarate e non.
Queste
manifestazioni che puzzano di fascismo, con quei valori fasulli che negano ogni
libertà anche quella di scegliere – con tutto il dolore possibile – di non
aggravare questo mondo di un altro essere che dovrà lottare per strapparsi i
pezzi di vita a morsi, come il pane che probabilmente non avrà. In questo tempo
in cui, responsabilità del genitore sarebbe quella di non procreare, per non
provare il rimorso di non essere riuscito nemmeno a consegnare una vita degna di
essere vissuta a quel bimbo a volte desiderato. Nemmeno più si corre il rischio
di procreare, proprio per non essere costrette a confrontarsi con questo mondo
che aggira le leggi costringendoti a volte alla clandestinità dei diritti ormai
negati.
Pure
quel fascista del sindaco di Roma, in pompa magna, con la sua fascia tricolore
e la rimpatriata con i suoi camerati, proibiti dalla nostra Costituzione,
eppure vegeti e di nuovo pronti a trascinarci nel medioevo dell’inciviltà.
Verrebbe da urlare l’ultimo insulto, ma questo è il mondo che confonde i valori
con la demagogia, la dittatura con la democrazia. Non siamo nuovi a queste
trovate, siamo in fondo il paese del family day, il giorno in cui sfilarono
preti pedofili, presidenti pedofili, presidenti fedifraghi, nani, puttane e
ballerine, per dare a noi la lezione di famiglia e moralità.
Non
posso neppure ridere per la loro incoerenza, per la loro ignoranza o
strafottenza. Non posso ridere pensando a gente come questa, che la notte
incendia i campi rom e di giorno salva l’embrione. Questa gente che per salvare
la Patria
ucciderebbe i clandestini, e poi sfila per strada per salvare l’embrione.
Questa feccia immonda, che ha contribuito a creare il baratro in cui le vite
umane sono finite, e ha così tanto a cuore una vita mai nata.
Ma
ci sta, in questo paese indifferente, che non si guarda più negli occhi quando
s’incontra per strada. Questa nostra epoca che fugge dall’odore della fatica
della vita altrui, che nega l’altrui dolore, incapace di compiere un gesto
caritatevole e che anche quando lo compie spera di trarne profitto. È un mondo
in cui da lontano salviamo le vite ai cani, ai gatti e persino ai ratti, ma non
dividiamo il cibo con nessuno.
Amo
i bambini, quelli già nati. Quelli malnutriti, quelli infreddoliti. Gli ultimi
bambini del mondo, quello che non giocano alla guerra perché non ne hanno il
tempo, dato che la guerra la fanno davvero. Amo i bambini che mitragliamo in
tempo di pace. Amo i bambini, tutti i bambini, anche quelli molestati dal
cattolicesimo che ci impone di non gettar via un embrione. Amo i bambini nati,
e poi abortiti dalle barche, dispersi e dimenticati in fondo al mare.
La
vera marcia per la vita, sarà quella con i forconi, che salverà le nostre. Sarà
da festeggiare il giorno in cui, spazzata via questa feccia, potremo di nuovo
avere la libertà di desiderare un figlio, e poi, arrivata sera, farlo con
serenità.
Rita
Pani (APOLIDE)
5.11.2012
Portateci alla guerra
Non
hanno imparato nemmeno il coraggio di dichiararci la guerra. Questo stato si
tiene pronto per spararci addosso, e lo fa sempre alla stessa maniera:
rispolverando pezzi di storia mai dimenticata, o inventandone delle nuove, magari
più adatte al tempo che si è evoluto.
Lo
fanno sempre, ogni volta che si spingono oltre il limite della decenza, per
potersi spingere più in là oltrepassando la democrazia, che in vero, da tempo
non esiste più. A questo serve la riesumazione delle Brigate Rosse, o la
nascita di nuove e improbabili single di terroristi dell’ultima ora: “Gli anarchici informali.”
Mi
sembra di vederli, ragazzetti con i jeans firmati, l’iPhone nella tasca, la
bomba in mano che se ti parlano ti danno del tu, anche se hai i capelli
bianchi. Gli anarchici formali, forse, hanno la cravatta e ti stringono la mano
mentre dichiarano le proprie generalità, prima di piantarti un coltello tra le
costole.
Che
brutto copione questa storia in cui vogliono gettarci; così vecchia e troppo
vissuta da annoiarci ancor prima di essere letta. Rivendicazioni e vecchie
fotografie iniziano a riempire i nostri monitor, ed ogni volta mi sembra di
sentire il rumore del ciclostile, di vedere la manovella girare e i fogli
uscire da sotto la macchina, come la sfoglia di pasta per le lasagne che faccio
di inverno quando mi va.
Suvvia,
abbiate il coraggio di dirci che la guerra è iniziata, che non c’è più spazio
per tutti, che il petrolio sta finendo, che i soldi ve li state spartendo e che
non vi bastano più a garantire le poche ricchezze che vi siete votati a
proteggere. Diteci che avete bisogno di coloro che potranno restare in piedi
nonostante voi, quelli che potranno continuare a favorire la vostra economia. Quel
popolo nato e marchiato dal codice a barre, che non è più uomo o persona, ma
solo un numero o un consumatore.
Basta
con la farsa delle gambizzazioni e poi perché? Per una teoria pro nucleare
archiviata tempo fa non tanto per volontà dei cittadini, ma perché è caduto il
governo del Ponte sullo stretto di Messina, la più grande farsa del secolo, o
meglio: il colpo del secolo dei soliti noti.
È comprensibile
che non si sappia come uscire da questa cosa che vi ostinate a chiamare crisi e
che crisi non è, ma il frutto di un ventennio si furti, ruberie e speculazioni,
ma noi siamo un po’ più intelligenti di quel che pensate. Non si può nemmeno
credere che ci sia una volontà politica di migliorare le sorti di questo paese
miserabile, dato che la politica la fanno gli antipolitici, comici volontari o
a loro insaputa, puttane e debosciati, mafiosi o criminali.
Diteci
che è giunta l’ora dello sterminio di massa e noi comprenderemo. La verità,
anche quella più devastante è sempre meglio della menzogna. La santanché
candidata premier, Renzi che sfida Bersani, l’economia della signora Concetta,
i leghisti e il complottiamo, i fascisti libertari, gli anarchici informali e
le BR.
Ma
chi ve li scrive i testi, Moccia?
Rita
Pani (APOLIDE)
5.09.2012
Le conseguenze umane
«Le conseguenze umane» della crisi «dovrebbero far
riflettere chi ha portato l'economia in questo stato e non chi da quello stato
sta cercando di farla uscire».
Si vergogni
Professore. So che dopo ha provato a correggere il tiro, nella migliore
tradizione italiana, con la quale si sputa in faccia al cittadino e alla sua
dignità, da pusillanimi arroganti gonfi del potere che vi ubriaca, quali siete;
ma le parole restano, e pesano. Purtroppo solo sulle nostre coscienze non
ancora del tutto sopite. «Non
parlavo di suicidi, ma di conseguenze umane».
Ci spieghi meglio, Professore, quali sarebbero le
conseguenze umane della crisi? La difficoltà di sopravvivere? Di campare una
famiglia? Di passare una giornata di riposo dopo una settimana di lavoro? L’impossibilità
di innamorarsi, metter su casa, fare figli? La tragedia di non poter curare una
malattia, rinunciare alle medicine, ai dentisti, agli oculisti. Le proibizioni
che dobbiamo imporre ai nostri figli, compresa quella di poter studiare?
La conseguenza umana della crisi – abbia coraggio – la chiami MORTE. Sterminio o strage. Non ci
sono eufemismi che tengano, non ci sono dolcificanti o deodoranti che possano
rendere meno orribile la realtà.
È vero, bisognerebbe trovare i responsabili e
costringerli a pagare. Io so, lei sa e tutti sappiamo chi sono i responsabili
del disastro. Sono i capitalisti, i padroni, le banche, i “poteri forti”, altro
eufemismo che rende tutti colpevoli e nessuno colpevole.
Noi siamo gente semplice, Professore, tecnici ormai
della sopravvivenza spicciola, luminari dell’arrangiarsi. Noi eravamo anche
quelli che gridavano: “Noi la crisi non la paghiamo”, perché forse non avevamo
capito che Noi, la crisi, l’avremmo pagata con la vita. Noi siamo quelli che “le
conseguenze umane” della crisi ce l’hanno stampata in faccia ogni giorno che ci
avviciniamo ad uno scaffale del supermercato, che decidiamo se comprare o no un
paio di scarpe o che impariamo a tagliarci i capelli in casa. Che abbiamo
imparato a rammendare, a vestirci con abiti usati, a leggere libri con le
pagine ingiallite, ad ascoltare la musica di un concerto da lontano. E noi,
siamo quelli più fortunati, perché ancora a morire per la fame non ci pensiamo.
Poi ci siete voi, ed anche voi con le vostre
conseguenze: dovete studiare un modo giusto per risparmiare i nostri soldi. Dovete
discutere sei mesi per capire se sia possibile ridurre i vostri emolumenti. Dovete
studiare e studiare per comprendere se sia possibile smettere di finanziare il
ladrocinio di stato. Dovete essere prudenti per non urtare le suscettibilità
dei padroni con i quali fate affari – con i nostri soldi – dovete tagliare le
spese sulle nostre vite, che le vostre son preziose. Dovete favorire i
criminali che, appunto, queste conseguenze le hanno create. La disperazione e
la morte, la strage che resterà impunita.
Forse non siete stati voi, è vero, ma ora almeno siete
complici dello sterminio.
Ieri una bambina di 15 anni ha tenuto le gambe del
padre che si era impiccato, ed è stata così fino a quando la madre e la nonna
sono arrivate ad aiutarla a salvare la vita a suo padre. Così c’era scritto sul
giornale, senza indugiare sullo strazio delle urla, sulla disperazione che io
ho potuto immaginare, di quegli attimi concitati e terribili, che la morte te
la fanno vivere sulla pelle, con un brivido che non cessa mai.
Qualche giorno fa, il figlio di un tizio imprenditore
e malfattore criminale, erotomane e maniaco sessuale, colpito dalla crisi della
sua azienda Mediaset, ha lasciato la presidenza per andare ad occupare una
sedia in Mediobanca.
Professore, ci venga a spiegare quali sono le
conseguenze umane della crisi, perché forse non abbiamo ancora compreso, nella
nostra volgare semplicità.
Ascolti le urla di quella bambina, e poi la prego, ce
lo venga a ridire che non parlava di strage, e che il suo è l’unico modo
possibile per tornare a respirare.
Rita Pani (APOLIDE)
5.07.2012
Ci vorrebbero le parole giuste
Così
a volte si ha la sensazione d’aver perso le parole, davanti alla vita che ti
viene proposta come fosse un film, persino da chi la vive; in modo che non ci
faccia troppo male, in modo che la si possa sopportare.
Resti
a guardarla senza riuscire a urlare, senza reagire. La guardi scorrere accanto,
sperando che come un fiume in piena non ti porti via, come un ruscello
ingrossato non ti bagni i piedi e un poco più su.
Pure
la morte scansiamo, che grazie a Dio è altrui. La si ripone da parte
accompagnandola con un sospiro: “Poveretto!” E il giorno dopo un’altra ancora
ben ripiegata come gli strofinacci nei cassetti della cucina, uno sopra l’altro,
fino a quando son troppe e allora si spinge il cassetto un poco di più.
Arriverà
il giorno in cui quelle morti saranno così tante da non saperle più
dimenticare? Forse no, forse saremo così bravi da trovare posto in un’altra
scansia.
Muore
l’imprenditore, l’impiegato e l’operaio cassintegrato. Muore il disoccupato, e
tutti noi senza lavoro ci sentiamo fortunati. Perché noi almeno siamo vivi.
Tristi, persi, che ci riconosciamo dal sorriso che non ci illumina lo sguardo,
dal passo stanco che non sa dove andare; ma siamo vivi, o almeno così sembra di
noi.
Si è
sparato, si è impiccato, si è gettato giù dal ponte, dicono le cronache
accalorate che parlano un linguaggio astruso, di quelli inventati per
edulcorare la realtà che si tende a non sopportare: “Poveretto!” rispondiamo
noi - che siamo ancora vivi – come l’Amen
al termine di una litania, che rende forza a non so quale preghiera.
Poi
ci incontriamo la mattina per strada o dentro un autobus affollato, che puzza
di varie e differenti umanità, e parliamo di Borse, di Spread, di Rating e di
Economia. Bestemmiamo le tasse e i governi, malediciamo il passato e il
destino. Ma dei morti no, non riusciamo a parlare, perché in fondo temiamo che
possa diventare un’epidemia, e che un giorno l’idea possa sfiorare anche noi,
quando la vita reale presenterà il conto di bollette da pagare, di figli da
vestire e da calzare, da crescere ed attrezzare per guadare quella vita che
potrebbe bagnarli oltre le scarpe e ancora più su.
Ce
la faremo! Lo dicono tutti in giro: “Hai
visto in Francia? Ha vinto Hollande!” E provo a far memoria per ricordare dove
ho messo le parole che non mi vengono per urlare.
“Ragiona!”
mi esortano. “In fondo la storia del trota che si laurea a Tirana è talmente
idiota che sembra un complotto.”
Non
mi ricordo più dove ho messo le parole, quelle più care che suonano come
parolacce.
“Populista
sarai tu, perché Grillo è un ex comico, e tu sei invidiosa.” (Giuro che me lo
hanno scritto)
Non
mi ricordo dove ho posato le parole, ne avevo delle belle. C’erano quelle che pressappoco
dicevano così: “Vaffanculo a tutto il mondo!”
Se
solo la trovassi, ora, ci starebbe a pennello.
Rita
Pani (APOLIDE)
5.04.2012
Odio la lega con tutti i legaioli
… Odio i leghisti, perché odio i razzismi …
Odio,
sì, perché bisogna avere anche il coraggio dei sentimenti, e per questo non a
caso, pur sapendo quanto in quest’epoca di falso buonismo il termine odio sia
orripilante per certe orecchie, io lo uso. Odio perché non dimentico.
Non
dimentico per esempio, le campagne di radio padania contro gli albanesi. Quando
ancora bossi ce l’aveva duro ed era quasi comprensibile nelle sue sparate
razziste, quando i legaioli esultavano davanti alle geniali idee dei borghezi, dei
maroni, o dei calderoli. Bisognava sparare piombo contro le navi dei migranti,
bisognava affondarli, bisognava cacciarli indietro verso la loro povera Tirana.
Odio
i legaioli, popolo demente. Ignoranti manovrati da un grumo di nazisti
imbecilli, rozzi e cafoni, incapaci di esprimere una frase di senso compiuto,
che al posto della punteggiatura usano suoni gutturali, e anziché enfatizzare
con gli aggettivi utilizzano dita medie e gesti da manico d’ombrello. Ho sempre
avuto repulsione per l’ipocrisia della lega e dei suoi sudditi, che a Roma
scrivevano e approvavano le leggi razziali che ci hanno fatto vergognare
davanti a tutto il mondo (e che sono ancora in vigore) mentre in padania,
schiavizzavano gli albanesi – muratori capaci, operai indefessi.
Gran
parte dell’economia padana, per anni, è stata tenuta insieme dal lavoro nero
degli albanesi, reclutati come puttane all’angolo di strada, la mattina quando
ancora il sole non illuminava le coscienze, e scaricati la sera, ancora avvolti
dal buio. Piccoli imprenditori, piccoli vermi nazisti, hanno gonfiato le loro
tasche speculando sulla vita di era dovuto scappare dal suo paese per
sopravvivere. Odio i legaioli che andavano a comprare le bambine albanesi,
quelle “femmine” di cui nessuno parla più, per le quali nessun appello è stato
firmato, pur sapendo che molte di loro, femminucce più che femmine (bambine più
che donne) sono state rubate, sfruttate e poi uccise.
Odio
i legaioli, i leghisti, i razzisti e i fascosti. Odio i cretini che per avere
le briciole di un benessere inventato dalla propaganda, hanno contribuito allo
sfascio e all’imbarbarimento di una nazione che poteva essere civile, libera e
democratica.
Godo.
Godo fisicamente, mentalmente; mi sprizza di gioia il cuore, la mia anima balla
la samba ogni volta che un pezzo di verità emerge dal mare di merda padana. Ogni
volta che dal coperchio che non regge più il ribollire di tanta merda, scappa
fuori qualcosa. Dai soldi in Tanzania, alla ristrutturazione a sua insaputa,
dai 50 euro fottuti all’autista, alle cure dentarie del giovane trota. Fino
alla sua laurea “conseguita” a Tirana. Godo ogni volta che quel che resta di
bossi grida al complotto (ossignore, tesi avvallata anche da Grillo!) ogni
volta che un legaiolo tenta di arrampicarsi sugli specchi. Godo ogni volta che
si parla di lega e ‘Ndragheta. Ogni volta che vedo la faccia lombrosiana di
Belsito.
Rido!
Vi immagino e rido, putridi legaioli. Rido forte e sogno una troupe televisiva
di Tele Tirana, che porge un microfono albanese al Dottor Trota. Dottore in
Albania. Rido pensando ai vostri figli ariani laureati a Milano, che invidiano
l’albanese che dopo tanto sfruttamento è riuscito a crearsi un angolino in cui
vivere dignitosamente. Rido del vostro sacrificio umiliato dalla feccia
leghista che non molla e non demorde, e che si ripresenterà tutta uguale alle
prossime elezioni.
Rido,
perché ancora li voterete.
Rita
Pani (APOLIDE oggi albanese)
5.03.2012
Donne massacrate ... Donne uccise ... Donne ammazzate
Mai,
nemmeno una volta ho chiamato bianca la morte che ha ucciso un lavoratore. Ho
sempre scritto che era stato ammazzato. La morte in guerra per esempio, di
persone innocenti che fossero bambini, uomini o donne, non avrei mai potuto
chiamarla “effetto collaterale”, o “vittime di dannati calcoli errati di armi
più o meno intelligenti”. Nemmeno ora scriverei di dramma e disperazione,
dinnanzi alle persone che si uccidono per la mancanza del lavoro, perché
impossibilitati a garantire un’esistenza dignitosa a loro stessi e alle loro
famiglie. La chiamo strage, carneficina, ne denuncio – a mio modo – i responsabili.
Mai
una volta ho detto che una donna uccisa era stata vittima di un dramma della
gelosia, ma ho sempre scritto che una donna era stata ammazzata.
La
morte non è cosa che si possa edulcorare con la gentilezza della parola.
16
inviti per firmare un appello, l’ennesimo, che io non firmerò per ottenere l’ovvietà
in questo mondo che attraverso la “neolingua” ha controllato e controlla le
menti di chi della comodità semplificante ha fatto religione. Bisogna far
sapere ai giornalisti, che di fronte al cadavere di una donna non si dovrà più
parlare di dramma della gelosia, ma di “femminicidio”.
Con
l’appello, quindi, si chiede di non utilizzare un termine cretino, per sostituirlo
con uno stupido.
Femminicidio
è la parola di oggi, che gira sui social network, che viene accompagnato da
immagini più o meno toccanti di donne livide e massacrate. L’immagine è
fondamentale per ricordare di cosa stiamo parlando, perché le parole donna-massacrata
non basterebbero nell’epoca della multimedialità feisbucchiana.
Femminicidio
non vuol dire nulla, però è bello, nuovo, ha presa.
Vogliamo
parlare di donne massacrate nelle loro case? Parliamone con le stesse donne che
subiscono silenti le violenze quotidiane, quando nei pomeriggi d’estate si
chiudono le finestre per non sentire le urla che arrivano dal piano di sopra o
di sotto; dalla casa accanto. Si abbia il coraggio di riconoscere gli occhi
delle nostre amiche, figlie, vicine di casa che si spengono giorno dopo giorno.
Riconosciamo i volti spaventati e gli sguardi persi che chiedono un aiuto che a
volte si preferisce non dare, non domandando per non sapere. Impariamo a
guardarci negli occhi, a non aver paura di sapere. Ricordiamo cosa è stata la
nostra vita per riuscire ad essere utili in quella degli altri.
Occupiamoci
delle donne vive, così che non diventino “femmine morte” da piangere e
rimpiangere.
Occupiamoci
di quelle donne che non ridono più e nemmeno piangono, che non hanno lividi da
mostrare, ma cicatrici nell’anima che non guariranno mai, violentate
psicologicamente, vessate, rese incapaci di essere vive oltre alle necessità
del padrone da soddisfare. Perché anche loro un giorno potrebbero scegliere di
morire, solo per essere finalmente libere.
Se
bastasse davvero firmare un appello per rendersi partecipi a un cambiamento, a
un miglioramento, a un qualunque tipo di ritorno alla civiltà mi slogherei il
polso. Già, ma che dico! Non si fa tanta fatica, basta un click.
Rita
Pani (APOLIDE)