2.29.2012
Già che lei è professore, caro Monti, perché non ci spiega un paio di cose?
È vero,
siamo menti semplici e non riusciamo nemmeno a immaginare i grandi numeri di
cui voi vi occupate, anzi, ammetto candidamente che probabilmente non saprei
nemmeno scriverli correttamente, ma c’è una cosa che non capisco: come c’entra
la crisi economica globale, nella carestia italiana?
Le
spiego, affinché lei abbia la pazienza di insegnarmi.
La
crisi economica globale, è un dato di fatto anche se ancora – mi creda – per molti
di noi è difficile comprendere come un immobiliarista americano (per altro
condannato a un centinaio d’anni di galera) abbia potuto mettere in ginocchio
il globo, senza che nessuno, nemmeno una delle menti illuminate che governano
il destino di tutti i popoli, avesse mai sniffato l’odore di bruciato. Ammettendo
per assurdo che questa crisi economica sia reale, e non l’ultima arma in mano
ai capitalisti per poter continuare a compiere i massacri di cui sappiamo,
restando impuniti o essendo addirittura
acclamati come salvatori delle patrie, che c’entra l’Italia?
È di
questi giorni la notizia secondo la quale, il suo predecessore alla presidenza
del consiglio, ha evaso circa una trentina di milioni di euro al fisco
italiano, riciclandoli ai Caraibi. Di questi giorni anche la notizia dei
superesperti assunti e pagati a peso d’oro dalla presidenza del consiglio
(messi poi alla porta dopo l’insediamento dei tecnici), tra cui anche una
manciata di agopunturiste, che probabilmente avevano l’obbligo di indossare gli
stessi perizomi delle fisioterapiste che massaggiavano bertolaso senza
preservativo. Sappiamo che lo stato, nelle persone di qualche ministro o
sottosegretario, sperperava danaro
pubblico in mignotterie spicciole, inserite a bilancio come “consulenze”. Sapendo quel che sappiamo, e limitandoci a
questi piccoli esempi, per non stilare una lista troppo lunga da tollerare, ma
senza scordare gli appalti truccati, la corruzione, il nepotismo, il
ladrocinio, la mafia e quant’altro le possa venire in mente di putrido e marcescente,
le domando: “Che c’entra la crisi globale?”
Posto
che guadagno 352 euro netti al mese (ci pago le tasse), quindi assai meno di un
pulitore di cessi (con tutto il rispetto dovuto alla categoria) di un
Autogrill, e posto anche che non so nemmeno bene fino a quando continuerò a
guadagnarli, mentre lo stato per anni (almeno 17) ha foraggiato con i soldi
nostri, i vizi privati di una cosca malavitosa, perché non è stata nemmeno
ventilata l’ipotesi di un’inchiesta tesa a trovare, processare e condannare gli
autori della strage?
Perché
un’idea non mi abbandona, ossia quella che per ogni uomo o donna che si uccide,
che muore per disperazione, per ogni vecchio malato di Alzheimer che muore in
solitudine, per ogni malato terminale che muore senza assistenza, per ogni
disabile abbandonato al proprio destino, per ogni senzatetto che muore di freddo,
in Italia, la colpa non sia della crisi, ma di chi di questa crisi s’è fatto
alibi e coperta. Siano essi politici, imprenditori, mafioso, amici degli amici,
faccendieri, piduisti, intermediari, “asuoinsaputisti” … chi ha colpa deve
pagare.
Si
chiama responsabilità, può essere sia penale che civile.
La
stessa che vi accingete a discutere in Parlamento per la Magistratura.
Ci
insegni anche questa Professore.
Rita
Pani (APOLIDE)
2.28.2012
Non c'è bisogno d'eroi
Luca
Abbà non è un eroe. Non è nemmeno un “cretinetti” come scrivono quei servi
tristi del giornale. Luca Abbà è una vita umana prima di tutto, poi un
combattente. Un vero credente. Sì perché questo mondo è cambiato al punto che
ormai, i credenti, sono quelli che ancora combattono per un ideale, per
qualcosa in cui credono, e non – come hanno insegnato gli ultimi anni di
devastazione culturale – quelli che sperano che il loro Dio ci metta una pezza,
anche rimondando le coscienze svendute in cambio di danaro.
Luca
Abbà, semplicemente crede che un territorio non debba essere devastato per
favorire l’arricchimento della solita mafia, quella che scava, quella che
smaltisce i materiali tossici o inquinanti, quella che gonfia i prezzi dei
binari, quella che ricicla vecchi treni da demolire e li vende per nuovi. La
mafia del marketing, degli spot da rilanciare nelle televisioni appese nelle
stazioni, e tutte le mafie di stato o private, che sulla pelle dei cittadini si
arricchiranno ancora. Per credere che tutto questo non debba essere favorito
non c’è bisogno di essere eroi; semplicemente bisogna essere possessori di una
coscienza, meglio ancora se anche civile.
Si è
eroi in Italia quando ogni mattina prendi un treno regionale o locale per
andare a lavoro. Un treno che si riempie di neve, d’acqua, di polvere e sole, a
seconda del tempo che fa. Un treno che ti porta a lavoro – se arriva – con ore
di ritardo. O si ferma in mezzo alle campagne innevate d’inverno o assolate d’estate.
Si è eroi quando si sceglie di andare dal centro al sud, col treno. O quando
scegli di usare il treno per sportati nel sud, o nelle isole – che se vai a
piedi, sei sicuro che se non muori almeno arrivi, là dove stai andando.
Chi
lotta è un eroe per quelli che vorrebbero essere a sinistra, un coglione per
quelli di destra. Questa è storia, anche se una volta forse anche a destra si
rispettava l’idea dell’ideale. I giornali, anche di destra erano veri giornali,
con gente pagata per scrivere. Una volta i giornali di destra avevano
giornalisti che non si sono piegati al mafioso, che non lo hanno servito per
garantirgli di mangiarsi il paese intero, e le sue valli, e le sue coste, e le
bellezze naturali che potrebbero farci ricchi più dei paesi produttori di
petrolio, con il vantaggio che nessuno ci avrebbe mai bombardato per potercele
rubare.
Chi
oggi lotta, è una persona. È uno che ha compreso che nonostante tutto si ha il
dovere morale e civile di non rendersi complici di questo sistema famelico, che
tutto vuole e nulla ridà indietro. Chi lotta è l’unico che continua
imperterrito ad andare avanti, guardando al futuro, avendo contezza di ciò che
potrebbe diventare se fossimo tutti fermi, idioti e schiavi.
La
lotta in nome di un ideale, è la base della civiltà. È l’unico modo per uscire
dallo stato di imbarbarimento che troppo a lungo abbiamo dovuto sopportare.
Eroico
sarebbe per gente come quella merda di feltri o quell’ebete di belpietro, quel
coglione di castelli o un leghista pezzente qualunque, comprendere il senso di
quel che ho scritto.
Rita
Pani (APOLIDE)
2.27.2012
Professori sobri e probi
Magari,
stamattina, i ministri si sono incontrati. Sobri e probi come conviene loro,
che son professori e mica professionisti della politica, mangiapane a
tradimento, si son seduti tutti intorno al tavolo in cui giorno dopo giorno
pensano a come lavorare per salvare la vita altrui. Solo il tempo di un saluto,
uno di quelli del lunedì che s’usano per sapere che ne è stato della domenica,
del riposo, del relax e del meritato riposo, forse un caffè e un cornetto, e
poi al lavoro!
Pensano.
Soprattutto ora che hanno scoperto che i salari italiani sono, e sono stati in
anni non sospetti, persino più bassi di quelli della Grecia. Hanno scoperto –
incredibile! – che siamo almeno un pochino più pagati dei portoghesi. Certo,
sono professori, mica peracottari come quelli che c’erano prima, insieme ai
leghisti, che parlavano di cose serie senza nemmeno sapere il significato delle
parole; e allora che male c’è se per capire che il primo problema dell’economia
è l’impossibilità del consumatore di consumare, hanno avuto bisogno di leggere
le tabelle degli studi ufficiali?
Già.
Se avessero vissuto anche loro nel mondo reale, forse se ne sarebbero accorti
prima, ma tant’è. Pazienza.
Pensano
per noi, che siamo inquinati addirittura dalle ideologie. Pensano in vece
nostra che siamo rimasti indietro a percorrere strade differenti, alla ricerca
del filo spezzato dell’esistenza sostenibile, della politica (che non è una
bestemmia). Dicono che è giunto il momento di scardinare il sistema che ha
portato a sottopagare gli schiavi, a “proteggere il lavoro e non il lavoratore”.
Ogni
santo giorno, questi uomini e queste donne vanno al lavoro, e il loro lavoro
siamo noi. Detto così, però sembrerebbe una sorta di paradosso bokassiano,
forse sempre per la stessa logica per cui è difficile prendere sul serio un
ciccione sazio che ti racconta la fame altrui. O anche perché di solito, la
fine della giornata lavorativa dei professori (e degli inetti megalomani e
malavitosi che gli hanno preceduti) finisce con una conferenza stampa, durante
la quale fingendo anche commozione, impegno, solerzia e dedizione, sparano
quattro “supercazzole” che nulla dicono, ma tanta speranza infondono.
Salvo,
quando salta fuori il cretino (ne hanno sempre uno pronto all’uso da utilizzare
come catalizzatore di maledizioni e indignazione collettiva) a dirti che: chi
si laurea dopo i 28 anni è uno sfigato, come colui che guadagna 500 euro al
mese, o cose così. Tanto per farci arrotare i canini e scordare.
Ora
a me piacerebbe davvero che i professori imparassero. Una faccia, una qualunque
che avesse il coraggio di sedersi al tavolo – quello sotto la tetta fatta
ricoprire dal maniaco sessuale – e spiegasse alle famiglie che hanno perso un
padre, un figlio o un marito, perché il loro amato ha dovuto suicidarsi. Spieghino
a chi resta senza nulla con cui vivere, come lo stato intende “scardinare il
sistema”. Imparino i professori a ridare valore alla vita umana. Comprendano –
prima di spiegare – a chi rivolgono le loro parole addobbate di vuoto. Chi c’è
dall’altra parte dello schermo, quando si affacciano a chiedere il sacrificio
ultimo di un essere umano.
Ieri
è stata arrestata una donna italiana, che viveva per strada, per aver
abbandonato la sua bambina ritrovata in uno stato di grave ipotermia. Un
imprenditore si è ammazzato. Un operaio si è sparato. Venga avanti
sottosegretario Martone, e abbia il coraggio di spiegarcelo lei questo
sacrificio, ci dica della sfiga di certe vite umane. È professore, no?
Rita
Pani (APOLIDE Schifata)
2.24.2012
Domani, è un altro giorno?
Una volta tanto, cosa che non faccio mai, domani lascerò la
televisione accesa e tenderò l’orecchio, in attesa che un telegiornalista
qualunque dia notizia della sentenza Mills. Non spero che quel tizio corruttore
venga condannato – non mi appartiene la speranza – ma lo esigo nella logica di
uno stato di diritto, dato che l’avvocato Mills, è già stato condannato per
aver intascato i soldi che il tizio gli diede per corromperlo.
Ma non è solo una questione di giustizia, è per molti motivi
che attendo domani, per vedere se anche in Italia potrà esistere un altro
giorno. Il rancore, per esempio o il senso di giustezza che do alle cose. Il
significato del termine che riesco a dare a termini come responsabilità. Deve
essere condannato, perché è colpevole in primo luogo, e poi perché è colpevole,
e colpevole ancora, anche per aver corrotto le menti degli italioti che riescono
a trovare pace addebitando qualunque cosa, all’italianità.
E se domani non sarà un altro giorno, ma uno proprio uguale
a quelli che già abbiamo vissuto, per favore, non lamentate: “Siamo in Italia. Si
sapeva, funziona così. Siamo italiani.” Non è così. Saremmo, al limite, nell’Italia
che qualcuno (non tutti e io certamente no) ha lasciato che proprio quel tizio
corruttore plasmasse, con le leggi illegali, con la tutela del patrimonio
personale, con la corruzione istituzionalizzata, con l’abolizione di leggi a
tutela del cittadino, del diritto stesso e lesive della democrazia.
Sia domani un altro giorno, uno di quelli che sappiano dire
ai cittadini “onesti” – ma onesti davvero – che in fondo abbiamo fatto bene a
conservarci così, a continuare a resistere giorno dopo giorno, mentre tutto
intorno si faceva il vuoto. Mentre venivi additato per essere un coglione, solo
perché mai nella vita avresti prostituito la tua coscienza, la tua etica e la
tua morale, per andare a raccogliere le briciole dalla tavola di chi
banchettava, senza nemmeno curarsi di te.
Non mi importa che vada in galera – grazie alle leggi
scritte dai suoi avvocati portati a corte a servizio del re, in galera non ce
lo vedremo mai. Voglio, anzi, esigo che sia scritta una condanna, anche di un
giorno soltanto che lo allontani per sempre dalla politica e dalle cose dello
stato, e che gli impedisca di arrivare un giorno a coronare il suo sogno: avere
gratis il palazzo del Quirinale, che non è in vendita (ancora per fortuna no)
dove trasferire i suoi pali per la lap dance e i tavoli di cristallo da
strisciare.
Voglio, esigo che da domani in Italia, quelli come me – che sono
tanti, ma non ancora troppi – che negli ultimi dieci anni non hanno mai piegato
la testa, che hanno sempre continuato a pensare per poter lottare, che hanno
lottato per poter sopravvivere, che hanno pianto, che sono stati oltraggiati,
umiliati domani possano sentirsi finalmente appagati, per non aver ceduto mai,
nemmeno di un millimetro, e che soprattutto non si sono mai resi complici di
questo stato di cose, vergognosamente pietoso, mortificante per la vita di chi la
vita stessa più di una volta se l’è sentita scivolare via.
Una giusta condanna, ad accarezzare quell’odio profondo – sì
odio – che ci ha alimentato e che vorremo finalmente lasciar andare, senza però
mai dimenticare la fatica che abbiamo fatto a conservarci resistenti in questo
paese che prova ancora ad ucciderci, togliendoci le piccole cose della vita,
quelle poche che ci sono rimaste, dopo averci privato di quelle più grandi che
forse non avremo più, tranne che la dignità. Quella non me l toglieranno mai,
anche se domani non fosse un altro giorno.
Rita Pani (APOLIDE?)
2.22.2012
Una donna in coma
Fa
orrore immaginare una donna in coma, legata a una barella e parcheggiata in un
pronto soccorso. Fa orrore sentirsi raccontare i dettagli di quei legacci,
fatti di vecchie lenzuola strappate. Una donna che da quattro giorni, in attesa
di un letto in reparto, non viene alimentata – ci dicono.
Si
resta sbigottiti (per poco, in vero) e ci si domanda: “Ma com’è possibile?”
È una
domanda retorica, ovviamente, una di che ci poniamo senza voler davvero dare
una risposta, che risulterebbe troppo banale di fronte alla straordinarietà del
fatto, di quella donna lasciata là, in coma e senza alimentazione.
L’indignazione
sale, le parole si sprecano, i collegamenti televisivi in diretta dal luogo
dell’accaduto, la frenetica ricerca delle risposte da parte degli operatori
sanitari del pronto soccorso, del direttore dell’ospedale, che viene
tacitamente accusato di essere un codardo, solo perché ha affidato la risposta
all’ufficio stampa, e non ha avuto il coraggio di metterci la faccia.
Ma
com’è possibile?
E
scendiamo dalla montagna del sapone, scivolando fino a valle, sorpresi per
essere caduti. Indignati, come solo noi sappiamo essere.
Allora
non solo è possibile, ma era del tutto normale che accadesse e assolutamente
prevedibile, dal momento che negli ultimi dieci anni, e con picchi sempre
maggiori, la sanità italiana è stata devastata insieme a tutto il resto del
paese.
C’era
davvero qualcuno che pensava che i posti letto si sarebbero moltiplicati,
tagliandoli? Si poteva pensare davvero che la situazione della sanità pubblica
sarebbe migliorata, in Italia, dopo essere stata sottoposta alla
cannibalizzazione di cui tutti dovremmo essere a conoscenza?
Scandalo
dopo scandalo, che hanno reso normale ciò che normale non è, solo la crudezza
dell’immagine narrata di una donna legata alla barella, avrebbero potuto
sortire l’effetto desiderato, ossia puntare il dito sul disastro annunciato ma
ignorato.
Fa
impressione, dicono, che sia successo a Roma, la capitale. Fa impressione che
sia successo ora, nel 2012, che siamo tutti civili ed evoluti. Fa impressione,
che faccia impressione solo perché qualcuno, ora si è svegliato. Fa ancora più
impressione sapere già oggi che domani non accadrà nulla di diverso e migliore,
ma semplicemente la situazione andrà a peggiorare e sempre per lo stesso motivo
per cui tutto peggiorerà. Perché non c’è volontà politica di far sì che le cose
migliorino. Perché la sanità è un business che fa gola sempre ai soliti che
hanno in mano il settore e foraggiano la non politica delle mogli e dei parenti
di, che si spartiscono la torta dei soldi pubblici.
Quando
si chiudono gli ospedali, è normale che i malati siano portati dove ne resiste
uno aperto. Quando non si assumono medici e infermieri è normale non essere
curati. È normale persino morire in una sanità pubblica resa scientemente inefficiente
per veicolare i malati verso quella privata, così che gli amici degli amici si
possano arricchire, succhiando via la vita altrui.
Ecco,
mi spiace per la signora, ma io per questo mi indigno. Perché mi ricordo – per esempio
– che per aver meno problemi di controllo e poter continuare a foraggiare l
ricerca privata sull’elisir di lunga vita per un tizio megalomane, per qualche
tempo l’Italia non sentì nemmeno l’esigenza di avere il Ministero della Salute.
Ma questa è storia, e ho scoperto che la storia annoia i lettori.
Rita
Pani (APOLIDE)
2.21.2012
Il tizio e Uolter: ritorno al futuro
Così, ieri notte, prima di andare a letto ho dato l’ultimo
sguardo ai giornali, e dopo aver letto questo meraviglioso articolo sulla CRONACA
POLITICA del Corriere della Sera mi sono rincuorata. Yuppi! Mi son detta. Si torna alla politica reale, quella
vera fatta di passione e di popolo. Sono imminenti le elezioni amministrative,
i partiti si ricompattano, contano i danni e riordinano i fili delle nostre
esistenze.
Reduce dalle numerose giornate della tournee nel tribunale
di Milano, con addosso la richiesta di cinque anni di galera, dopo aver
nuovamente sputato addosso ai giudici, dopo aver avuto la faccia di culo di
chiedere l’intervento del Presidente Napolitano, per impedire l’ennesima
persecuzione giudiziaria da parte del Partito dei Giudici Comunisti, dopo aver
depredato le ultime risorse dalle casse dello stato, dopo aver demolito tutti i
cardini della macchina dello stato, dopo aver devastato la scuola, la cultura,
la sanità e il lavoro, dopo aver portato l’Italia in recessione e dopo averla
fatta regredire ai livelli medioevali, dopo aver abolito la libertà di stampa e
di pensiero, torna il Pdl in tutto il suo splendore, e con delle novità che
difficilmente non riusciranno ad irretire il popolo italiano stremato dalla
fatica di vivere: “Il nuovo inno!”
Mavaffanculo!
Niente. Nulla serve a niente. Avete presente una lavatrice
in centrifuga, quando il cestello si appresta a compiere gli ultimi giri, prima
di fermarsi, e il rumore come un fischio diventa un sibilo e poi si fa
silenzio? Ecco, è così che me lo immagino, uscire dalla lavatrice, rimettersi a
posto i peli di pube femmineo che gli ricoprono la calotta cranica, scuotersi
un po’ per riassestare il grasso posticcio delle guance: “Ed eccomi qua. Son
tornato!” tanto ci sarà chi gli batterà le mani.
Diciamo la verità – che non guasta mai: non si è messi
meglio dall’altra parte, visto che è persino spuntato Uolter che con le sue
dichiarazioni ha fatto sorgere nel popolo che attende, dubbi amletici di difficile
soluzione: “Monti è una cosa di destra o di sinistra?” Non è ancora dato
sapersi, ma quel che si sa è che ora, la politica italiana si impegnerà per
conquistare Monti, che ad oggi secondo i sondaggisti, rappresenterebbe la
sicura vittoria delle prossime – ipotetiche – elezioni. Uolter quindi, che non
è un fesso, ha giocato d’anticipo: “Il governo Monti è di sinistra.” (Puzza!
Puzza! Tana libera tutti!)
Mavedideannàfanculo!
Tornando a bomba: «Noi siamo
il Popolo della Libertà, gente che spera, che lotta e che crede nel sogno della
libertà»
Tuttavia da scrittrice e
amante della semantica, quale io sono, non potevo esimermi dal fermarmi a
riflettere sulla strofa resa nota dall’articolista del Corriere – uno scoop
esagerato - e trovo che in effetti, il
testo sia davvero rappresentativo del momento storico vissuto dal padrone del
pdl: gente che spera, che lotta e che crede nel sogno della libertà. Non fa una
grinza. Il PM ha chiesto cinque anni di galera, dopo i processo Ruby e quello
Mediatrade che vede implicato anche Piertizio… Ci sarebbe la mafia e dell’utri …
sognare la libertà è normale.
Rita Pani (APOLIDE)
2.20.2012
La vita umana? Non sia più un tabù
Forse domani si alzerà qualcuno di quelli che non hanno
vergogna, e davanti a un microfono decreteranno la caduta di un altro tabù: la
vita umana.
La notte del 22 Ottobre scorso, Rossella Urru, cooperante
italiana (sarda) è stata sequestrata nel sudest dell’Algeria da un commando
armato. Dopo la rivendicazione del gesto da parte del gruppo che la tiene in
ostaggio, avvenuta a Dicembre, della giovane donna, ufficialmente, non si è più
parlato. Ufficialmente significa sui giornali o sui telegiornali, perché tranne
che nell’immediatezza del fatto, la Farnesina ha sempre taciuto, fedele al vuoto
politico e istituzionale che ci circonda.
C’è da dire, o è bene ricordare, che la ragazza in Algeria
si occupava della distribuzione del cibo in un campo profughi che trabocca
miserabili vite umane. Era andata là in pace, a portare il suo tangibile
contributo pacifico.
L’altro giorno, nello svolgimento del loro dovere di guerra
in tempo di pace, due militari italiani, pacificamente addetti alla scorta del
Dio Petrolio a bordo di una nave battente bandiera italiana, hanno sparato
uccidendo due pescatori indiani. Arrestati dalle autorità indiane per omicidio,
è scoppiato subito il caso diplomatico, con ben due ministeri impegnati strenuamente
giorno e notte per riportare a casa i due eroi. A detta della politica
istituzionale italiana, i due militari avevano l’immunità, ed essendo a bordo
di una nave italiana, la competenza delle indagini sarebbe della nostra
nazione. Ufficialmente se ne parla, sui giornali e sui telegiornali spuntano le
foto dei due militari con le loro barbe,
la diplomazia fibrilla, e non si lascerà nulla di intentato. Certo rischiano la
morte i due, ed è grave.
I due ci erano stati mandati a scortare il petrolio, questo
bene così prezioso che ci dà vita. Rossella Urru, invece c’era andata di sua
spontanea volontà a dar da mangiare a chi, senza, la vita l’avrebbe persa. Questo
probabilmente è il limite che segna il peso e il valore delle vite umane, che
non sono tutte uguali – non più – nemmeno rispetto alla morte, che per inciso è
il rischio uguale che accomuna i due episodi così diversamente pesanti in
questo nostro piccolo e mostruoso paese.
Ed oggi, a guardar bene, altre tre vite se ne sono andate
per nulla. Sui social network e sui giornali, rimbalza la morte di tre militari
italiani in Afghanistan, anche loro diversi da Rossella Urru, anche loro
impegnati in questa strana e inutile operazione di pacificazione attraverso i
blindati, le armi e le bombe. Morti per un incidente stradale non saranno fatti
eroi, solo disgraziati morti di lavoro. Come tanti di cui presto non si
ricorderà né un nome né un volto, che saranno sui giornali solo mezz’ora, per
essere poi ingoiati da altre notizie da altri fatti.
So che sono facili parallelismi, che sembra retorica
demagogica, ma in fondo è con questo nulla che da molto controllano le menti
deboli di chi non ha più voglia di guardarsi intorno. Sui giornali, ancora oggi
scrivono parole sulla farfallina inguinale mostrata da una squinternata un po’
zoccola, che per far vedere le sue mutande invisibili (che vanno a ruba su
Internet) ha preso più soldi di quelli che ce ne stanno nel bilancio di un
piccolo paese africano. Ma pare che fosse una mossa studiata, per provocare.
Che bella provocazione sarebbe stata, quella di mostrare, invece, la foto di
una ragazza che la sua vita la rischia in pace. La foto di una donna italiana,
che evidentemente non merita l’interesse delle istituzioni perché anziché
uccidere dava vita.
Rita Pani (APOLIDE)
2.17.2012
Slitta il decreto anti corruzione. Strano!
Ecco, finalmente anche il pdl si accorge che forse al suo
interno c’è il rischio di infiltrazioni mafiose, e per ovviare a questo
pericolo è stata istituita una commissione col ruolo di vigilanza. A capo della
commissione è stato messo Denis Verdini.
L’articolo potrebbe finire qui. Perché non c’è tanto da
aggiungere senza correre il rischio di essere prolissi e inutilmente
ridondanti. Il partito della mafia, creato da dell’utri, il senatore condannato
per mafia, sospetta di avere infiltrazioni mafiose e lascia il compito della
vigilanza a un ladro patentato, socio di dell’utri e …
Siamo a vent’anni da mani pulite. In TV si vede spesso un
giovane Di Pietro. Com’era buffo in quel suo modo di fare! L’ex poliziotto che
ce l’aveva fatta, che aveva indagato craxi, che aveva scoperto le porcherie che
tutti sapevano, di quei ladri che governavano, ma che però, a differenza di
questi non erano così ingordi da risucchiare anche le briciole.
Vent’anni. Poi venne quel tizio, quello del partito della
mafia, il palazzinaro rozzo, che si era arricchito con i soldi di craxi e le
sue televisioni, lo stesso che per anni ci ha oltraggiato governando un paese
come se fosse cosa sua, e che ha cambiato le leggi perché si potesse alla fine rubare
e restare impuniti.
Vent’anni, ma è ora di cambiare. Roma 2020 non si farà, per
i costi che non si potrebbero sostenere, dicono in italiano elegante, senza il
coraggio della verità. Roma 2020 è un rischio che non si può correre perché la
corruzione è così dilagante che in otto anni, i soliti imprenditori mafiosi o
collusi, ruberebbero pure i camion con l’asfalto scadente, o i il cemento
armato senza ghiaia che verrebbe utilizzato per le opere faraoniche destinate a
creparsi sotto la prima pioggia.
Roma 2020 è stato il primo no alla mafia di stato che è
diventata insostenibile per lo stesso stato, ma senza velleità moralistiche,
solo per le congiunture astrali sfavorevoli, e per altro dobbiamo ancora
iniziare a pagare alla mafia la penale per il “Ponte sullo stretto” che la mafia non farà.
Potrei smettere qua di scrivere le ovvietà che scappano
dalle dita.
Non c’è nulla di strano in fondo. Siamo un paese in cui un
partito mafioso affida una commissione interna di vigilanza a un malavitoso. Siamo
un paese in cui in parlamento siedono i malavitosi; un paese che ha partiti
politici nati da costole di bande criminali, gente che riderebbe in faccia a
Craxi per la sua ingenuità, gente che è andata oltre il furto per il partito,
ma ruba per sé stesso (anche se a volte a sua insaputa) e allora, di grazia,
avrebbe senso far discutere di cibo a un anoressico? Davvero siamo così ingenui
da poter pretendere di affidare la nostra salute alimentare a Giuliano Ferrara?
L’educazione delle nostre figlie alla Santanchè?
Ma chissà, forse avremo davvero un giorno una legge contro
la corruzione, una legge seria che aprirà le galere. Magari l’avremo il giorno
dopo del decreto che farà pagare l’ICI alla chiesa.
Sognare è ancora gratis.
(Walff il presidente tedesco si è dimesso per un mutuo
agevolato. Quel tizio pluripregiudicato continua a strillare come una vecchia
isterica per la persecuzione dei giudici.)
Rita Pani (APOLIDE)
2.15.2012
Adriano Celentakis
Sogniamo
tutti la Rivoluzione ,
però per fortuna tutti dopo ci svegliamo. Negli ultimi tre anni abbiamo
guardato scorrere il sangue altrui, pensando che magari sarebbe stato bello
vederne sgorgare un po’ dal corpo del nemico; poi si spegneva la Play Station e si riprendeva a
vivere, in attesa della prossima battaglia da assaporare in diretta tv e dopo
da dimenticare. Per esempio, che ne è stato della Libia nessuno se lo chiede
più, anche se la camicia insanguinata di Gheddafi è stata venduta ad un’asta
sul web.
“Ci
vorrebbe la Rivoluzione ”
è diventata una sorta di mantra. È quel condizionale che fa la differenza, che
ci protegge. Come ci dà sicurezza avvolgerci di pacifismo, di bontà e di
solidarietà. “No, mai la guerra!” si sente dire, perché noi siamo evoluti,
perché noi siamo meglio, perché noi abbiamo la democrazia, e il voto. Ed ora
abbiamo anche le primarie che faranno fuori il PD, finalmente, che riporteranno
l’Italia e il mondo a sinistra, là dove si deve stare per uscire dalle logiche
capitalistiche che ci hanno ridotto così. Nella merda.
È chiaro
che sto scrivendo stronzate, che Vendola con una sciarpa arancione al collo mi
lascia perplessa quanto un altro a caso, che dovesse mostrare una maglietta
viola. È chiaro che devo essermi persa qualcosa in questa vita irreale fatta di
sogni spezzati da bruschi risvegli.
Sarà
banale, ma ve lo ricordate quel negozio che stava in fondo alla via? Quello
dove da bambini ci mandava la mamma a far le commissioni, quello dove c’era la
commessa bona, quel negozio dove se ci andavi presto non trovavi la coda? Ecco,
se quel negozio non c’è più, un pezzo della nostra vita è andato via insieme ad
esso.
Una
città messa a ferro e fuoco è un simbolo del mondo che cambia, della rivolta di
chi non ne può più, dell’esasperazione che solo la fame e la perdita del
diritto alla vita può innescare. Ed è un peccato, perché per come stanno le
cose oggi, dovremmo aver capito che a guidare le rivoluzioni, troppo spesso non
è la disperazione, ma il potere ancora più forte dei poteri forti. No, forse
non è il caso della Grecia – popolo che ha davvero da insegnare – ma è per
esempio il caso delle rivoluzioni nordafricane, quelle che oggi tacciono della
miseria e della tragedia, della libertà che non c’è, dello strapotere dei
petrolieri e dell’avvoltoio americano.
Guardiamo
la Rivoluzione
come se fosse un film, poi cambiamo canale, e troviamo il Festival di Sanremo.
Io no – ci tengo a dirlo – ma se leggo che ieri sera sono stati in 14 milioni
gli spettatori di quella puttanata, allora è giusto il noi, e tutto lo
sconforto che ne segue.
Ogni
volta che intorno a te muore un festival, un pezzo della tua vita se ne va. Se
ne va l’occasione di sapere, di vedere, di sentire la musica. Se ne va il
lavoro dei musicisti, dei compositori, dei macchinisti, del proprietario del
Teatro, dell’omino che stacca i biglietti. Ogni giorno in Italia muoiono decine
di Festival, che non hanno i soldi per sopravvivere. Sanremo no. Sopravvive e
sempre più diventa simbolo di quella Rivoluzione che tutti sogniamo, che tutti
aneliamo. L’anno scorso dissero, per esempio, che la vittoria di Vecchioni
aveva dato inizio alla Rivoluzione. Inorridii e mi dissero che non capivo, che
ero catastrofista, e che Vecchioni era un compagno (sic!) Oggi è il turno del
Molleggiato, che con soli settecentocinquantamila euro, e tutti i comfort è
diventato il nostro Mikis Theodorakis. (Mi vergogno)
Ed
ecco! È questo il brusco risveglio. E mi riprendo, e me ne torno nel mio nulla,
perché sennò ci sarebbe anche da aggiungere che il serio governo Monti, in
occasione di Sanremo ha inviato la
Finanza a controllare gli scontrini.
Sì
torno a dormire …
Rita
Pani (APOLIDE)
2.12.2012
Nomeless
Forse è normale così, che quando si finisce per vivere per strada, e non si possiede più nulla di troppo ingombrante che non possa entrare in una sporta di plastica, si finisce per perdere anche il proprio nome, o la voglia di dirlo. Chissà, magari perché cancellando la propria identità, forse si crede di conservare la propria dignità.
Però succede che si muoia, all’improvviso, incendiato o assiderato, malmenato o solo di stanchezza, e nessuno saprà mai chi è morto.
Come succede in questi giorni – che l’inverno è arrivato rigido come sa essere l’inverno – che si contano i morti, e non si sa chi sono. Un clochard, un senza tetto. Nemmeno più barbone, si dice, che il termine non è elegante e forse troppo brutale. Stranamente, a noi che tanto ci piace l’America e l’americanità non ci riusciamo a chiamarli homeless. Meglio essere francesi.
Numeri che saranno sepolti con un numero inciso su una lapide di cemento, o una croce, fotografati nella speranza che qualcuno prima o poi vada a chiedere di un tale, alto più o meno così, robusto o zoppo, che aveva un tatuaggio, che era un padre, un marito o un fratello. O una donna, minuta e vecchia, persa da tempo e ingoiata dalla folla che non la vede nemmeno quando le calpesta gli angoli di una coperta che le fa casa.
E in questi giorni in cui fa freddo e i telegiornali ci fanno sopra le inchieste speciali, in questi giorni di sindaci spargisale, di emergenze affrontate come se fosse una campagna elettorale, con i set adibiti alle trasmissioni di propaganda con i soldati spalatori, e i blindati cingolati, il corpo degli sciatori inviato in diretta tv a portare il pane a una famiglia intrappolata nel cuore dell’Abruzzo, dove c’è ancora chi vive nei “moduli abitativi provvisori” (che container anche, non è elegante come homeless) la signorina educata stringe un poco gli occhi per dirti che a Roma oppure a Milano, a Perugia come a Cagliari, è morto un clochard. E poi di nuovo il sindaco, che personalmente controlla lo stato dei sanpietrini, senza fascia tricolore, ma con l’elmetto di sicurezza stringe le mani degli operai sorridenti e pronti – anche loro pala in mano.
Ma chi è morto? Come si chiamava? Quanti anni aveva? E soprattutto, come e perché è finito per strada diventando così un “Nomeless”?
Chi gli ha tolto la possibilità di conservare il suo nome? E quanti diventeremo, così, odiosi se pure invisibili, simboli di degrado (come ha detto il ballerino Bolle) avvolti nei cartoni fuori dai teatri o dentro le stazioni. Scacciati dalle ruspe guidate da un altro sindaco leghista, che personalmente ha voluto abbattere l’edificio occupato da “criminali e senza casa”, in questo Febbraio d’inverno eccezionale?
Per fortuna che però, ogni tanto, almeno un soprannome glielo diamo. Qualcuno, per fortuna, lo riconosciamo.
Rita Pani (APOLIDE)
2.10.2012
Tutta la neve, minuto per minuto
Quando questi fascistelli di mezza tacca vennero sdoganati
dal tizio che dell’Italia molto aveva capito – glielo devo – alemanno divenne
ministro per l’agricoltura. Dovendo recarsi in vacanza in montagna per la
settimana bianca, pretese (ma non ricordo se ottenne) che una troupe del TG1 lo
seguisse nelle sue ardimentose passeggiate, bardato da montanaro della
domenica. Si perfezionava la non politica dei proclami e delle apparenze, con
la complicità di una stampa serva e prona. I fascistelli poi son cresciuti,
hanno annusato la beatitudine del potere e si son mangiati il paese, e Roma.
Tutti più o meno atteggiati come il duce, sembravano
somigliare molto a podestà, che di solito erano degli imbecilli arrivati alla
seggiola battendo tacchi e leccando culi. Poi uno è arrivato a ricoprire la
carica di sindaco di Roma, e si pensava che dato il grado di inettitudine e
stupidità non sarebbe durato tre giorni.
Inutile dire che mi sbagliavo, sta ancora là a deliziarci
con le emergenze. Spala la neve, sparge il sale, controlla il traffico, va in
televisione, si fa fotografare, e piagnucola. Fino a qui, nulla di speciale.
Tutte cose note.
Ora però sono stata sul sito di Repubblica, dove c’è
addirittura una diretta speciale per la “neve su Roma”.
Non sto molto bene in questi giorni, sorrido, ma non ho poi
tanta voglia di ridere e me ne dispiace. Credo che se avessi letto la sequenza
delle notizione minuto per minuto nei giorni scorsi, mi sarei ribaltata.
Per esempio: ore 14.54. Neve è caduta anche in diversi altri quartieri di Roma,
dall'Aurelia a Trionfale, fino a Boccea e Borghesiana. Prima, dopo e anche con
i fiocchi, pero', e' caduta pure la pioggia che ha impedito che attecchisse a
terra.
E dopo ancora: ore
14.56. "Per il montaggio delle catene dovremmo avere
un'aderenza di almeno 4/5 cm di neve sull'asfalto, altrimenti si rovinano le
gomme e la strada".
Dopo di ché l’apoteosi, quella appunto che avrebbe potuto
risollevare la mia giornata: "Sappiamo che la macchina è in
piena mobilitazione. Non abbiamo aree che non siano monitorate. Tutti i mezzi,
tutti i mezzi, tutti gli uomini sono tutti operativi. Spero che questo ci
consenta di ridurre al minimo i disagi di una situazione metereologica del
tutto straordinaria". Lo ha detto l'amministratore unico di Anas, Pietro
Ciucci, durante un sopralluogo nella sala operativa nazionale. Ciucci ha,
inoltre, aggiunto che ci sono 1070 mezzi con sistema Rmt (Road Management
Tool), di cui 50 nel Lazio.
Ora, a prescindere dal fatto che si scrive meteorologica e
non metereologica, c’è davvero di che restare basiti. Scappano
via i pensieri, viene da porsi domande avendo il terrore di darsi una risposta.
Essere cretini, paga?
Stando così le
cose, ci sarebbe da sperare nell’Emergenza Maya. Creperemo tutti, ma almeno lo
faremo ridendo.
Rita Pani
(APOLIDE)
2.07.2012
Le ministre
Il problema più grosso, urgente e importante, la vera
emergenza di questo paese mutilato è il distacco dalla realtà, la
dissociazione, che vive la classe dirigente. Questo problema però, non vedrà
soluzione, perché è simile a una psicopatologia. Nessun malato di mente –
arrivato a uno stadio così grave della patologia - sarà in grado di
riconoscerlo autonomamente, e di conseguenza scegliere di essere curato.
Una volta si diceva “Potere al Popolo.” Oggi bisognerebbe
esigerlo in maniera più decisa, senza troppi strilli, senza perdere la voce. Aggredire
la Fornero ricordandole
che la figlia è stata la vincitrice di due preziosissimi e illusori “posti
fissi” è quasi banale. Obbligarla ad infilarsi le nostre scarpe, per farci
dentro un giretto lungo qualche anno, sarebbe una giusta condanna. Credo che
arrivati a questo punto di non ritorno non sia più sostenibile che si lasci
parlare della nostra fame, chi è gonfio di cibo, chi gira satollo ruttandoci in
faccia il suo “troppo pieno”.
Non è più tollerabile l’insulto dell’ipocrisia, l’arroganza
dell’ignoranza, intesa proprio come non conoscenza. Non è più pensabile che si
possa restare in attesa del domani, ponendo fiducia in chi vive benissimo l’oggi.
E meno che mai – da donna e madre – posso tollerare che ad oltraggiarmi sia un’altra
donna e madre.
Di solito, quando si resta allibiti davanti all’arroganza
del potere ignorante, si tende ad augurarle, le cose. Ma l’augurio è come un
sogno che non si avvera mai. La maledizione è lanciata per consolare noi
stessi, per sfogare la rabbia, per rimetterci in pace. Non è più tempo di
auguri: dovrebbe essere davvero quello delle condanne, migliori di un carcere
più o meno comodo a seconda di quanto si possano pagare le guardie, o gli
arresti domiciliari nei superattici del centro di Roma. Una di quelle condanne
alla vita reale, una di quelle che dice: “Benvenute nel mio mondo, signore
ministre!”
Ho visto mia figlia partire quando era poco più alta della
valigia che si portava appresso, l’ho vista sparire tra la folla di un
aeroporto, e io quell’immagine non me la scordo mai, dopo che aveva studiato e
faticato in quest’Italia che si era scordata di dirle che la sua fatica valeva
meno di nulla, perché l’Università italiana non prevedeva di poterle dare
davvero una laurea. Così è dovuta andare dall’altra parte del mondo anche per
finire i suoi studi, e non vicino a una madre che un giorno sarebbe diventata
ministra, e che si sarebbe arrogata il diritto di oltraggiare tutte le madri
come me, che prima ancora di veder sparire le figlie, hanno dovuto partire loro
stesse, per provare almeno a prendersi il diritto alla vita.
L’altro giorno ho sentito la Fornero rivendicare il
fatto di aver gettato solo una lacrimuccia, e di non essere – come certa stampa
l’aveva definita – una fontana di lacrime. Ecco, scrissi in tempi non sospetti
che quella lacrima era un oltraggio, e mi spiace non essermi sbagliata. Se
fosse eseguita la condanna, la
Fornero piangerebbe eccome. Come ho pianto io, così tanto da
averle finite le lacrime, svegliandomi ogni giorno, e andando a dormire ogni
giorno, pensando a mie figlie che avevo lontano.
Questa gente non conosce vergogna e non conosce pudore. Traducono
la vita in numeri, in fantasia. Come sempre e meglio di sempre, fingono di
pensare come svedesi, ma governano l’Italia nella piena tradizione dell’italianità
più becera e amorale.
Soltanto in Italia è lecito sputare addosso a chi fatica per
respirare. Soltanto in questo paese corrotto peggio di un paese latinoamericano
o dell’Europa dell’est, puoi sentirti dire che è giusto che il padrone licenzi
a patto però che trovi un altro lavoro al licenziato.
E tutta questa imbecillità, alla fine è lecita perché
nessuno dirà mai alle signore ministre che sono idiote quanto i loro
predecessori, e quanto loro impresentabili, vergognose e urticanti.
Io le condannerei davvero alla vita. A vita.
(Io non riconosco questo stato. Io non riconosco queste
istituzioni.)
Rita Pani (APOLIDE)
2.06.2012
Un cretino a Roma
L’anno scorso a Febbraio presi un Freccia Rossa a Milano,
uno di quelli che senza fermate intermedie promettevano di portarti a Roma in
tre ore. Abitavo ancora in Umbria e arrivai a casa con ventuno ore di ritardo. A
Roma, in effetti, ci arrivai dopo sei ore, il doppio di quanto previsto, poi
scoprii che il treno per Ancona che avrei dovuto prendere per arrivare a Terni,
era bloccato non si sa dove. Aveva nevicato, e la neve era diventata, come
sempre, un’emergenza.
Anche se piove è emergenza in Italia, e anche quando fa
caldo è sempre un caldo eccezionale ormai da anni. Pressappoco da quando l’ingordigia
dei potenti ha perso il limite della decenza; da quando la mazzetta, la
corruzione, la malversazione sono diventate leggi – non scritte – di questo
stato.
Sarà anche vero che non esistono più le mezze stagioni –
signora mia! – ma è più vero che i cretini, abbondano, e che sarà arduo
liberarsene ora che hanno assaggiato il potere e non ci vogliono rinunciare.
Suonerà forse come un “ve lo avevo detto io”, cosa
detestabile, ma cosa pensavano i romani, quando spinti dalla tifoseria destra
contro sinistra, hanno designato un inetto come alemanno a guidare la loro
città? Si dovevano battere i comunisti, c’era quel tizio che a braccio teso
arringava i tifosi in piazza, promettendo il ritorno agli antichi splendori. A
sinistra mai più, dicevano, ed ora leggo i romani sconsolati: “Persino Rutelli
era meglio di questo cretino.”
Lo so, è odioso, ma … Io, ve lo avevo detto.
Potrebbe essere utile guardare la neve che cade a Roma come
al sud, e pensare a quanto sarebbe normale la neve d’inverno, se la politica
fosse diventata cosa seria, anche per quelli che ancora pensano, invece, che la
politica sia qualcosa che “non interessa” o dalla quale è meglio star lontani.
La politica non è quella cosa che fa arrivare i treni in
orario, dovrebbe essere quella che i treni li fa semplicemente arrivare, perché
magari anziché eliminare le tratte, le intensifica, e mantiene i binari
efficienti, e le stazioni aperte, e abbassa le tariffe per incentivare l’utilizzo
dei mezzi di trasporto alternativi alle auto.
La politica dovrebbe essere un sindaco preoccupato dei
propri cittadini, che se non è in grado di leggere un bollettino meteo, si fa
aiutare da un letterato, che sa cosa sia la protezione civile, e quale il suo
compito istituzionale. Il sindaco di Roma, se non fosse un cretino, per esempio
saprebbe che il sale da gettare sulle strade per evitare il ghiaccio, è un
composto di sale grezzo e sabbia, con effetto antisdrucciolo. Ma il sindaco di
Roma, quello eletto dalla politica non politica berlusconista, del tifo da
stadio e dei tassisti col braccio teso, è prima di tutto un cretino fascista,
cresciuto con il mito di quel bastardo di mussolini, quello degli aerei di
cartone, e delle foto a dorso nudo intento alla mietitura – uomo forte e duro:
maschio.
Quindi, se nevica a Roma, prima di tutto la propaganda, ed
eccolo il sindaco della capitale, che sparge il sale comprato al “Sali e
Tabacchi”, quello per le olive o il pesce da essiccare, col suo elmetto in
testa, pronto a dare l’esempio con la pala in mano.
Se la politica fosse politica, e fosse rimasta una cosa
seria, chi ha votato alemanno prenderebbe sul serio e quell’esempio lo
seguirebbe davvero, andandosi a sotterrare.
È Febbraio, fa freddo, piove e nevica. D’estate farà caldo,
fidatevi, e ve lo dico col cuore in mano, non perché io sia contro il sistema;
sono sicura. D’estate suderemo.
Rita Pani (APOLIDE)
2.03.2012
I piccoli schiavi nella stiva della nave
Il giorno dopo del disastro della Concordia, un uomo
telefonò per denunciare lo sfruttamento del lavoro minorile. In vero disse
anche di cercare i corpi nelle stive. Se fosse vero che la pancia della
Concordia nasconde ancora il sacrificio di quelle giovani vite, le domande da
porsi sarebbero tante. Per esempio sarebbe bello chiedere a quei deficienti che
ci si fanno fotografare davanti, quale sia il senso, quale il ricordo che
quella foto evocherà.
Sarebbe interessante la spiegazione della Costa, sulle spese
e sui profitti, sulle superofferte pubblicizzate in televisione, con gente
triste per la quotidianità che beata torna a sorridere sopra la nave, al bordo
della piscina, o nella cabina con la tenda candida gonfiata dalla brezza del
mare.
Ora hanno smesso di cercare i dispersi, per via della
situazione meteorologica avversa, e anche i turisti del macabro, per questo,
sono diminuiti.
Temo che però non sapremo mai, se sia vero oppure no, che
come altre navi di molto tempo fa, anche la Concordia conserva il
suo carico di schiavitù nel ventre. Forse non verranno nemmeno più cercati quei
corpi che probabilmente nemmeno esisteranno sulle liste ufficiali, di
passeggeri o personale. E poi immagino che quelle vite non siano italiane,
tedesche, americane o giapponesi. Le immagino vite così, di quelle che non
importa a nessuno, di quelle vite nate per soffrire e per faticare. Quelle vite
che non si annoieranno mai con un lavoro monotono, sempre uguale e ben
retribuito.
Dicono che in fondo non c’è nulla di strano. Dicono che da
sempre il mondo va così, con chi può e chi non può e che quindi non ci resta
nulla da fare perché nulla si può fare. E quindi quando la Costa si riprenderà dalla
perdita (sua) e riproporrà in tv le allettanti superofferte, si sarà portati a
pensare che la lezione è stata impartita, che le “rotte dell’inchino” non ci
son più, e che per quel pezzo è possibile anche realizzarlo il sogno di
normalità. Quel viaggio che aiuta l’italiota a fingere di essere un po’ più
uguale agli uguali, distinguendosi così dal resto del popolo diverso e intriso
di realtà. Si guarderà con sospetto al Capitano, immaginando che abbia una
piccola puttanella russa nascosta nell’armadio, e si terranno d’occhio le
tresche tutt’intorno d’equipaggio e viaggiatori.
A nessuno verrà in mente di andare a vedere se nella stiva,
insieme ai rifiuti e alle cisterne dell’acqua potabile, ci siano i piccoli
servi impegnati a favorire la falsa felicità.
Rita Pani (APOLIDE)
2.02.2012
Che due palle il lavoro!
Ieri
notte, leggendo i lanci di agenzia, ho trovato la dichiarazione del Professor
Monti, e aggiornando il mio status su Facebook, ho ceduto al turpiloquio. Ora
davvero vorrei scusarmi, ma non posso. Ho scritto “Monti: "Che monotonia il posto fisso I giovani si
abituino a cambiare" ... [Così, va ... nemmeno più un poco di pudore.
Brutto figlio di troia!]”
Credo, in fondo, che il nostro cedere al
turpiloquio sia ancora la salvezza per gente così. Ci accontentiamo di augurare
male, di mandarli là dove dovrebbero andare, e a volte quando ci assiste la
fantasia, riusciamo ad immaginare scenari più apocalittici, vederli arrancare
nella vita, tali e quali a noi. È la loro fortuna, perché una parolaccia non gli
ammazzerà.
Oggi mi scrivono che è vilipendio, che non
devo permettermi, che comunque è meglio di quell’altro tizio, e che almeno il rispetto
è dovuto alle istituzioni. Rispetto? Nemmeno un po’.
È sì vilipendio, ma vilipendio al
cittadino. Al lavoratore, a chi fatica, al giovane a cui è impedito di sognarsi
una vita possibile. Con Monti non si tratta più di arroganza del potere, ma di
semplice fantascienza, una sorta di delirio di onnipotenza, di chi sa di avere
carta bianca, di poter fare esattamente qualunque esperimento sulla pelle di
cavie innocenti – e le cavie siamo noi. Testano il sistema, spingendosi fino al
limite, stando in attesa di vedere la corda spezzarsi, e anche quel giorno
sperimenteranno ancora, magari la repressione, l’esercito, gli arresti di
massa. E in effetti lo stanno facendo già.
Il nonno bonario si affaccia alla
televisione per annunciare uno dei suoi già famigerati slogan: salva Italia, cresci
Italia e ora la “monotonia del posto fisso”. E sai che palle avere un lavoro di
routine, che ti devi alzare la mattina per andare a lavorare, e che poi a fine
mese ti danno uno stipendio col quale puoi addirittura pagarti l’affitto e il
riscaldamento, il canone della RAI, e le sigarette. Che due palle, sapere che
lavorerai ogni giorno della tua vita, fino ad arrivare alla pensione! Meglio
cambiare in nome della mobilità tutta italiana: lavori tre mesi al calla center
e poi ti licenziano, fingono di far fallire la ditta e ti riassumono il giorno
dopo sempre per tre mesi ma con un contratto sempre più sfavorevole, con la
nuova formula contrattuale che recita: “se ti va è così o sennò pigliatela in
culo, che tanto fuori di morti di fame come te, c’è una fila.”
La politica non politica ora siede in
Parlamento, fortemente voluta da tutti i partiti italiani – anche quelli come
la lega che hanno fatto finta di fare opposizione – per fare il lavoro sporco,
quello che tutti si son guardati dal fare, dire e persino pensare. Il nonno non
politico, il professore che sembra essersi laureato da Vanna Marchi, coadiuvato
dai suoi maghi Do Nascimento sputano in faccia al volgo, certi di restare
impuniti, perché appunto, oltre che mandarli a fare in culo, che si fa?
Non mi stancherò mai di dire che la vera
Rivoluzione Italiana, sarebbe quella di prenderli uno per uno e condannarli a
finire i loro giorno vivendo. Vivendo la vita che loro hanno destinato a noi,
di fame e precariato, di pensioni minime che ti obbligano all’assistenza della
Caritas, di denti che cadono senza poter essere rimessi in bocca, di calzini
bucati e scarpe consumate. E per le signore l’eleganza a cinque euro comprata
dai cinesi, le borse di Dolce e Poiana comprate dal negretto al mercato dopo
lunga contrattazione. Poco pane e poca pasta, e non perché sei a dieta, ma
perché di più non ne puoi comprare.
Gente così, mi vilipende ogni volta che
respira. E ribadisco: gli fosse rimasto almeno il pudore. Dovrebbero andare in
televisione con un paio di mutande sulla testa, per poter parlare con me.
Rita Pani (APOLIDE)
2.01.2012
Beneficienza
Fa
molto freddo anche qua al sud, eppure, se guardo dalla finestra vedo i mandorli
in fiore. E quei fiori un po’ bianchi e un po’ rosa, nella tristezza del cielo
cupo sembrano l’emblema di questa poverissima Italia impazzita.
Non
è più una commedia degli equivoci, non è un film demenziale, e nemmeno una
sceneggiatura scritta male questa nostra vita. È ormai follia collettiva.
C’è,
per esempio, molta soddisfazione per le dichiarazioni di Adriano Celentano, che
dopo innumerevoli peripezie, discussioni pesanti e accuse infamanti, accetterà
di partecipare al Festival di Sanremo. Il cantante ha infatti deciso di
devolvere totalmente il suo compenso in beneficienza, versandolo a Emergency. Ebbene
sì, è un gesto che lascia il segno. Un bel gesto che riempie di gratitudine l’associazione
benefica che con quei soldi aprirà un ospedale in Africa.
È fantastico!
Perché ormai, appunto, la follia è collettiva.
350
mila euro a serata, e ancora non si sa quante saranno.
Tre
appartamenti (bilocale) in un paesino del centro Sardegna. Una decina di
automobili utilitarie. Lo stipendio mensile di 30 operai. Una cifra che, tutta
insieme, la maggior parte di noi non vedrà mai.
Eppure,
c’è grande soddisfazione per il gesto del Molleggiato … La voce discordante in
questo coro italico. Lui che ha preso le parti del popolo, che ha contrastato
il governo di berlusconi: il paladino degli oppressi dalla mancanza di
democrazia.
Leggo
queste cose e poi vedo i mandorli in fiore, nel gelo inconsueto di questo sud
che non è attrezzato per gelare. E tutto mi sembra normale, al punto che mentre
batto questi tasti, mi chiedo se abbia senso continuare a pensare, se non
sarebbe meglio cedere alla tentazione di farsi ammorbare.
350
mila euro per una serata, ma siccome Celentano non fa parte della “casta”, va
benissimo così. Perché tutti coloro che ormai ringhiano solo e soltanto
dinnanzi allo sproposito che guadagnano i politici, non riescono a mettere
insieme i tasselli, capendo che anche quei soldi usciranno esattamente da dove
escono quelli per pagare i privilegi dei politici?
Perché
ormai il non pensiero italiota viaggi su binari unici. Su quelle rotte che il
pifferaio magico di turno riesce a fischiare dal suo flauto. Il problema è la
casta, anzi sono le caste. Quelle si devono combattere senza sapere il perché.
Perché son ladri o tutti uguali, perché è così che ha detto Grillo (che di
cazzate ne spara almeno una al giorno, per garantirsi anche lui il tornaconto).
Perché
Sanremo è Sanremo, finiranno per dirsi coloro che alla sera si metteranno là a
guardar abiti lussuosi, ed ascoltare oche starnazzanti. Perché in fondo (cito)
Sanremo dopo più di mezzo secolo rappresenta la tradizione del “bel canto” in
Italia.
Ora
dovrei scrivere un altro post, per spiegare il significato di “bel canto” al
giornalista che l’ha scritto, poi però penso che io sto scrivendo gratis,
levando tempo ai personaggi del mio libro, che appesi nelle pagine attendono,
che lui è giornalista e io no, che lui è pagato profumatamente e che quindi –
ignorante – fa parte di una piccola casta pure lui, e io mi dovrei incazzare.
E
non mi va, perché si gela, ma fuori ci sono i mandorli in fiore.
Rita
Pani (APOLIDE)