2.28.2013

 

Pretendere rispetto


Peer Steinbrueck candidato alla Cancelleria tedesca, commentava il risultato delle elezioni italiane dicendosi "inorridito dalla vittoria di due clown". E per non lasciare dubbi aveva spiegato che si riferiva al "comico di professione Beppe Grillo, mentre l'altro è uno che agisce sotto l'impulso del testosterone", cioè silvio berlusconi.

"Noi rispettiamo profondamente la Germania per i suoi successi, ha saputo risorgere dalle rovine e costruire una nuova Europa insieme all'Italia. Noi la rispettiamo, ma esigiamo rispetto per il nostro Paese". Rispondeva il Presidente Giorgio Napolitano …

Belle parole, signor Presidente; belle ma disoneste. Cosa c’è di falso nelle parole del politico tedesco? L’unica cosa, forse, è che in realtà i rappresentanti ridicoli e clowneschi eletti in Italia sono almeno quattro, derivati da un sistema buffonesco, votati da un popolo ancora succube della buffonaggine che regna sovrana.
La comprendo, e rispetto addirittura il suo ruolo che forse le ha imposto di difendere l’indifendibile, con il moto d’orgoglio proprio di chi difende il campanile. Come sempre, quando qualcosa è troppo distante da me, ho provato a guardare con i suoi occhi, e chissà, forse in quella circostanza avrei provato anche io ad imporre un rigurgito d’orgoglio. Ma anche no, signor Presidente. Perché è difficile non ammettere che siamo un paese ridicolo, ed è ancora più difficile esigere rispetto per un paese del quale, anche i propri cittadini si vergognano profondamente.
Comprendo quanto possa essere umiliante sentirsi urlare in faccia quella verità che tutti quanti sussurriamo tra noi, con un mezzo sorriso e tanto sconforto, ma forse, per esigere il rispetto bisogna prima rispettarsi profondamente. Noi italiani e italioti, del rispetto per noi stessi facciamo a meno, ogni volta che siamo chiamati ad esigere che siate voi – istituzioni – i primi a rispettarci. Ma son sempre quelle chiamate che non avranno mai risposta. (Questa la vostra fortuna)
Sì, sono belle parole, quelle che chiunque avrebbe preteso da un Presidente della Repubblica, sincere in quel momento, opportune. Ma che suono triste usciva dalla sua voce stanca!
Il rispetto, signor Presidente, è qualcosa di prezioso e tagliente, che si può esigere solo quando lo si merita. La nostra non è terra che merita rispetto, perché noi per primi manchiamo nei nostri confronti, e soprattutto abbiamo mancato nei confronti del sangue della storia. Un piccolo e mostruoso esempio, signor presidente, il clown del testosterone ce lo diede nella giornata della memoria, esattamente un mese fa: mentre l’Europa rabbrividiva ancora – forse per convenienza o per tradizione, ma non è importante – il clown debosciato inneggiava al fascista mussolini.
Quindi, Signor Presidente, quale rispetto mai si potrà elemosinare, fin tanto che non riprenderemo a rispettare davvero noi stessi, impedendo a gente come questa di affacciarsi sulla scena internazionale, insinuando l’idea distorta che tutti gli italiani siano in realtà degni proprio di questo circo?
E signor Presidente, anche il termine dignità è prezioso, e andrebbe usato con cautela. Perché anche la dignità è qualcosa che avete provato a sottrarci in questi anni di trapezisti, nani, ballerine ed ora anche buffoni. Ma la dignità di gran parte di questo popolo, per fortuna è incedibile.
Provi a pensare, signor Presidente, se per caso in questa Italia per la quale lei esige rispetto, domani al suo posto dovesse esserci proprio quel buffone debosciato … Ci pensi un po’ e poi me lo venga a raccontare, il sacrificio dell’Italia, e dei suoi figli migliori. Venga ancora a dirci che siamo una grande nazione. Ascolti il futuro che ci si prospetta, di gente che continua ad avere a cuore il bene proprio, le proprie mire dittatoriali, le sedie del potere … mentre noi qua si muore, di fame o di lavoro.
Prima di esigere il rispetto del mondo, per una volta dovreste provare a rispettare noi. Almeno quelli – e siamo tanti – che il rispetto per voi, per i buffoni, per la mafia, e per lo stato l’han perso da un pezzo.
Rita Pani (APOLIDE) 

2.27.2013

 

Ma ti rendi conto?


“Sa qual è l’anagramma di Antonio Ingroia? ‘Ora ti inganno’. Ingroia era davvero la figura più inquietante di queste elezioni, pensi che voleva fare una legge per arrestare gli evasori fiscali. Ma si rende conto? Qui, andiamo tutti in galera!” marcello dell’utri … statista condannato mafioso

È che dovrei spiegarlo al mio amico, studioso americano, col quale da anni, nelle occasioni in cui l’Italia si veste a festa per il derby elettorale, intrattengo una relazione epistolare divertente, inquietante, mortificante e troppo spesso umiliante: il perché.
Puntuale come la morte, anche questa volta Michael ha inviato la sua mail, candida e divertita, una riga e mezza scarna che finiva con OMG (Oh My God!)
Proprio OMG my dear friend … Organismi Modificati Geneticamente.
Sto raschiando anche io il fondo del barile, alla ricerca di parole che non trovo, che hanno perso senso e che soprattutto non servono più. Sono lise, consumate, persino ammuffite, troppo usate, sempre le stesse che non calzano più. E nemmeno se ne possono inventare di nuove, perché non c’è più nemmeno la fantasia.
Dovrei inventarmi una storia di fantascienza, una di quelle che finiscono bene, con un mare di cadaveri alieni da incendiare, che se spremuti lasciando andare dello schifosissimo liquido verde, ma non è così. I giornali anche oggi continuano a parlare della “sorpresa Grillo”, e a questo punto mi sorge il dubbio che sia io, quella finita nell’universo parallelo sbagliato, e che il giusto sia tutto dall’altra parte. Noi degli alieni non ci libereremo mai, anzi, ne faremo venire avanti altri.
Mi sento al contrario, perché sì, lo ammetto, per me la sorpresa sono i numeri di un partito come quello di cui fa parte l’esimio esponente mafioso che ho su citato.
Come glielo spiego, al mio amico americano,  che anni e anni di sfottò non erano poi sbagliati? Che in fondo non siamo cambiati molto dal baffo nero, la pizza e il mandolino? Perché quello è. La Lombardia che elegge il padrino del Trota alla sua presidenza, non è forse perfettamente “italiano”?  
Una Calabria devastata dall’incuria, dalla povertà che non riconosce i suoi figli migliori (gente che vorrebbe tagliarsi i baffi) che elegge scilipoti, con quali parole si potrebbe spiegare al mio amico divertito? O L’Aquila che rivota quel tizio malavitoso, che ha fatto scempio del danaro destinato alla ricostruzione post terremoto, e che ha promesso la restituzione dell’IMU anche a chi da anni una casa non l’ha più, e vive ancora guardando le macerie di quel che resta immobile, come lo stato, come la vita che al massimo frana, ma non vive più. …
Caro Michael, non so che dirti. Purtroppo in questo momento l’Italia è molto preoccupata per le sorti del Papa Emerito, al quale sarà proibito vestirsi di bianco, mentre risalirà il monte a cui Dio lo ha chiamato. Le elezioni passano in secondo piano, rispetto alla gravità della situazione vaticana, e mentre si fa incetta di biglietti aerei per Roma, in modo tale da avere la fortuna di assistere alla fumata bianca, attendiamo speranzosi la diretta televisiva dell’entrata dei Cardinali nella Cappella Sistina, che per fortuna, essendo di proprietà della chiesa, ancora non è crollata.
Ecco. Mi sa che me la sfango così.
Rita Pani (APOLIDE) 

2.25.2013

 

Riflessioni a bassa voce


L’Italia è un paese in cui i giudici anti mafia sono stati massacrati. A volte ridotti in pezzi così piccoli da dover essere raccolti con cura e delicatezza. Staccati dai muri. Si ricordano i giudici ammazzati una volta all’anno, in ricorrenza dei tristi anniversari. Sono quei giorni in cui il pensiero altrui viaggia veloce sui social network e ci ricordano di ricordare. È un appello al quale poi, tutti ci sentiamo di partecipare. Poi dimentichiamo.
L’Italia è un paese in cui i giudici antimafia, da sempre saltano per aria con le loro scorte, con le loro famiglie, nelle loro case, eppure … si può rompere il silenzio elettorale proprio raccontando ai giornalisti, che in Italia, la magistratura è peggio della mafia. Si può anche continuare a votare chi insieme a qualche suo sodale, più volte è stato almeno sospettato d’aver fatto parte di quel gruppo che poi, i giudici, li ha fatti esplodere.
E’ un grande paese fatto di tante buone volontà. Di gente per bene che fatica, che dona di sé il tempo e l’entusiasmo, a volte anche solo per dare una mano gratis, per il karma o la coscienza. È un paese che contiene tanta umanità, che si commuove e che si dispera e lo fa in silenzio, senza mai raccontare agli altri che alleviando l’altrui disperazione, quieta anche la sua.
Però è anche il paese in cui, fa più gola un condono tombale che la partecipazione alla vita dello stato. Irretisce di più sognare di poter avere le briciole del pasto spartito dal potere, che non lottare per conservare il diritto alla dignità. Un paese che piange i poveri quando si uccidono, e che però sperano di poter battere equitalia per mano di chi, quello strumento di estorsione e taglieggio l’ha messo a punto, scatenandolo contro di noi. I miserabili.
Questo è il paese della Rivoluzione di chi la rivoluzione non sa cosa sia. È il paese che ancora sogna il capovolgimento della realtà andando a votare, perché so – lo comprendo – è difficile ammettere che si è potuto cedere anche quell’ultimo diritto, che se pure il voto lo compravano, almeno si sapeva a chi lo si stava vendendo, e potevi farti fregare una volta soltanto.
Forse – spero – oggi che in tanti si sono avvicinati alle urne, spinti dalla necessità, dopo anni e anni di astensione, di non partecipazione, di qualunquismo, sarà finalmente più chiaro che noi, il diritto di voto non lo abbiamo più, e che l’unico voto utile davvero, sarebbe quello dell’alzata di mano, per stabilire chi parteciperà all’assalto del palazzo. Se non è chiaro, vi prego, perdete un poco del vostro tempo per leggerla quella legge porcellum, che regala i voti a seconda di ciò che accade nelle regioni (di solito quelle ad alta densità mafiosa, come la Lombardia) e comprenderete anche voi, che sicuramente una buona legge elettorale non sarà quella che (non) uscirà da questo Parlamento d’emergenza, che ci riporterà a votare dopo aver eletto il prossimo presidente della Repubblica (e signore iddio si accettano scommesse).
Quindi? Quindi le risposte non le ho. Per logica, mi verrebbe da augurare una bella guerra civile. Ma poi i dubbi della ragione. Chi sarebbero i miei compagni d’armi? E mi dovrei fidare? Non rischierei di dovermi guardare le spalle dai nemici e dagli amici? Perché l’Italia oggi mi sembra un po’ così: piena di belle persone e stracolma di profittatori. Vivere coerente, d’altronde, non è vivere quando continui a credere che sia bene distinguere … tra il bene e il male, il lecito e l’illecito, l’onestà e il malaffare … e tutto ciò che può venirvi in mente ora.
Rita Pani (APOLIDE e che te lo dico a fa?)

2.21.2013

 

La preziosa busta


“Signor Pani, apra subito questa busta! Contiene un assegno da 2 milioni per lei”. Erano le buste di Selezione del Reader’s Digest che puntualmente arrivavano a casa quando ero bambina, e che altrettanto puntualmente mio papà si affrettava a gettare nella spazzatura. Quando facevo in tempo ad esigerla, la prendevo e ritagliavo “lungo le linee tratteggiate” con molta attenzione, l’assegno, e mi inventavo un gioco.
Immagino che tanti come mio padre allora, abbiano oggi cestinato con disgusto le nuove buste inviate dal malavitoso di Arcore, persino ai morti, contenente gli stessi soldi falsi. Tanti ma non tutti, visto che i sindacati e i patronati lamentano le code di poveretti speranzosi, che attendono con pazienza di sapere come dovranno compilare il modulo per rientrare in possesso dei soldi pagati per l’IMU.
Fa un’enorme tristezza, fa persino molta rabbia, ma nello stesso tempo è un accadimento che porta un rigurgito di onestà intellettuale che impone l’ammissione del vero.
Non è la prima truffa alla quale gli italioti abboccano come pesci imbambolati. Sono vent’anni almeno che a quel malavitoso è dato prendere gli italioti per il culo, proprio perché purtroppo un po’ per ignoranza, un po’ per disperazione non vi è nulla a cui ci si possa attaccare, se non la speranza e l’illusione.
Ci si pone di fronte a questo ennesimo insulto con sentimenti contrastanti; da un lato si vorrebbe consolare quei poveri vecchi che attendono in coda, dall’altra verrebbe voglia di guardare cosa gli è rimasto dentro la testa, in mezzo alla crusca ammuffita.
D’altronde siamo il paese in cui Vanna Marchi ha potuto costruire un patrimonio grazie proprio alla disperazione di chi comprava sale a peso d’oro per guarire dal cancro o per far tornare un amore, per uccidere qualcuno a distanza o per trovare un lavoro. Disperazione, ma perdonatemi, anche stupidità.
Fino a quando ci saranno persone disposte a farsi rapinare, sarà difficile esigere l’altrui onestà. E di rapine nel tempo ne abbiamo subite a iosa; ci siamo fatti rapinare dallo stato, ci siamo fatti rapinare dello stato, dalle banche, dalla vita e soprattutto c’è chi si e fatto rapinare del pensiero per pigrizia e comodità. Delegare, in fondo, ci solleva dalla responsabilità.
C’è chi col suo voto ha permesso a un malavitoso che si presentava loro con i tratti travisati da una calzamaglia di arrivare fino ad oggi, fino alla truffa palese (e con tariffa postale ridotta, che pure questa dovrebbero spiegarci) fino all’oltraggio dei più deboli, dei più disperati. Ha fatto bene Ingroia a denunciare, se non altro per ribadire che le leggi esistono e dovrebbero essere rispettate, anche se sappiamo già che non accadrà nulla. Bene si farà a rispedire indietro la missiva con tanto di insulti – che servirà almeno a darci un attimo di soddisfazione – e meglio si farà ad incoraggiare i vecchi a recarsi a esigere il loro credito, per prendere la verità in faccia come uno sputo. Lo sputo di un bastardo che dovrebbe essere in galera.
Male ha fatto Bersani, a restare molle nel suo “imbroglione”, che detto a un malavitoso di razza è poco più di una carezza.
Attendiamo ora che il Parlamento si apra come una scatoletta di tonno, ma ricordiamoci che i coperchi dei barattoli sono molto taglienti, e possono provocare ferite che faticano a rimarginarsi.
Rita Pani (APOLIDE)

2.19.2013

 

Vecchio bavoso


Sai che c’è, vecchio bavoso? Che a leggere le tardive e rozze scuse, consigliate dai curatori della tua immagine di gomma, alla signora che hai offeso pubblicamente in una delle tue uscite da ridicolo comico fallito, si prova più ribrezzo che per il gesto in sé.
Non sei uomo che possa parlar di donna, malato come sei di un sesso che patisce dell’amnesia. Non dovrebbe esserti dato nemmeno di nominarla una donna, che non fosse tua figlia o tua sorella, tua madre o tua zia, le uniche forse per le quali ancora potresti avere un minimo di rispetto. Potresti, visti i precedenti e l’uso improprio che hai sempre fatto anche degli affetti più cari.
Dovrebbe esserti proibito per legge di avvicinarti a una donna, di nominarla e persino di pensarci, perché saresti in grado di lordarla anche con uno sguardo di sottecchi. Ci vorrebbe una sorta d’interdizione.
Non esiste al mondo donna che possa essere divertita dal tuo atteggiamento da maniaco sessuale, impotente e bavoso. Non esiste donna che possa esserlo gratuitamente, nemmeno la vecchia che ti sorrise solo perché sperava in una dentiera nuova.
Non è certo evitando di leggere un giornale, che si può smettere di provare lo schifo e il disagio di essere trattate come merce esposta nella vetrina di un macellaio, ma bisognerebbe proibire che un uomo possa esibirsi in spettacoli di così pessimo gusto, aberranti, medioevali, degni della tua caratura morale praticamente inesistente. Una donna pagata è una donna acquistata, la donna conquistata è altra cosa, che per fortuna mai nella vita conoscerai.
Forse è vero, come dice la signora molestata pubblicamente, che è stato difficile reagire in quel contesto, mentre tutti i tuoi accoliti bavosi battevano le mani, ma sono sicura che se ti avesse assestato un ceffone, facendoti sputare fard e cerone, travisando i tratti restaurati da una bravissima visagista, forse gli applausi e la stima per la signora sarebbero stati di più.
Forse è questo quello di cui ci sarebbe bisogno, per dar l’esempio una volta per tutte: ci sarebbe bisogno della pubblica ribellione della tua prossima vittima, quella che non si farà acquistare, né da due mila euro né da un oggettino di bassa bigiotteria.
Essere donna è qualcosa di troppo alto perché tu lo possa anche solo immaginare, è qualcosa contro la quale, evidentemente, non hai mai battuto contro. Possedere la dignità, poi, è qualcosa che non ti apparterrà mai, proprio come il Quirinale perché non è in vendita e non si venderà mai.
Una cosa mi consola: nessuno ti ama. Non hai nemmeno l’amore dei tuoi figli accanto a te, perché se i tuoi figli ti avessero amato, ti avrebbero curato, tenendoti buono a diventar sanamente vecchio impedendoti queste ridicole figure di un povero vecchio ormai bavoso e in disarmo. A me non fai nemmeno pietà.
Rita Pani (APOLIDE)

 

Nudi al museo


Voglio mettere da parte le dotte disquisizioni parapolitiche che incombono sulle nostre teste, malgrado noi e dedicarmi a un pensiero più alto, dopo aver letto una notizia di quelle capaci di lasciarmi appesa tra i pensieri:
Vienna, il museo apre ai nudisti: senza abiti per la mostra "Nude man". Un gruppo di visitatori nudi osserva le opere in mostra al Leopold Museum di Vienna nell'ambito della mostra "Nude men, from 1800 to today", esposizione dedicata al nudo maschile nell'arte moderna e contemporanea. In occasione della mostra il museo ha dedicato una giornata speciale agli "amici del nudismo" che sono potuti entrare senza abiti nelle sale . (ap)
Ecco, ora mi domandavo: “Perché?” come faccio sempre di fronte a quelle cose che non riesco a comprendere e per le quali necessito di una risposta, che esuli anche dal mio modo di vedere. E di perché me ne son sorti parecchi.
Innanzi tutto non è chiaro se la dedica era rivolta anche alle donne, e se per questo si possa lamentare una palese discriminazione tra sessi. Poi, perché andare nudi a vedere dei nudi?
Qui le risposte sono molteplici. La prima che mi sovviene è che sia stata una sorta di manovra consolatoria; notoriamente le statue di uomini nudi non sono particolarmente “dotate”, per cui – ho pensato – qualunque uomo ponendosi di fronte a un Marte qualunque, si sentirebbe gratificato. Certo c’è il contro. Il pisello delle statue, è sempre marmoreo, ma le ridotte dimensioni annulleranno il deficit umano.
Fortunatamente, da tempo, è impossibile trovare anche nei musei le statue di Priapo, sparite dal mercato e ormai reperibili solo in una casa privata di Arcore, e visibili solo a una cerchia ristretta (migliaia) di ragazzine anche loro senza mutande.
Vienna. La città di Mozart dove a Febbraio ci fa un freddo boia. Immagino che il museo sia riscaldato e quindi decisamente più confortevole di un parco pubblico, dove aprire l’impermeabile per mostrare la propria mercanzia al passante occasionale. Perché un perché non riesco a trovarlo davvero.
Probabile che non riesca ad affrancarmi dal mio limite e quindi il mio ragionare sia viziato, ma mi domandavo se per esempio, dedicare una giornata ai nudisti per osservare statue di uomini nudi, non potesse portare un domani, a dedicare una giornata agli amputati per l’esposizione della Venere di Milo, o ai deformi per un “vernissage” di Picasso.
Temo che questa volta, le domande, faranno a meno di avere risposte.
Rita Pani (APOLIDE)

2.15.2013

 

Sfatta l'Italia


2.12.2013

 

Non possumus


Mi piace pensare che un giorno, dentro le mura vaticane, il vecchio Papa si sia svegliato dopo una notte sudata dagli incubi, e trovandosi dinnanzi alla sua tazza di latte e il panino con i wurstel, abbia guardato fuori dalla finestra, tremante, e si sia domandato: “Perché?”  
Mi piace pensare che, finita la colazione e rientrato dentro le sue comode ciabattine rosse, sia andato alla scrivania, e ritrovandosi solo, davanti a una montagna di carte da legge e firmare, ancora una volta abbia guardato fuori, e con un impeto cristiano, abbia lanciato il tavolo per aria, lasciando che quelle carte piene di melma, di sangue, di affari, di mafie ricadessero scomposte sul pavimento.
Mi piace pensarlo, perché mi piacciono ancora i cartoni animati, e mi piace fuggire spesso dentro alla fantasia capace di ripulire un po’ la realtà dal manto di tristezza che la avvolge.
Quella realtà diversa, che anche se un domani diventerà nota non sarà mai data per certa e resterà appesa là, ad esser poco più che un’illazione, come lo Ior, come Marcinkus, come le gesta poco edificanti del papa Santo subito, che a colpi di bonifici bancari devastò un intero continente, come quelle papali amicizie con dittatori e carnefici, che la storia travisata ci ha restituito come caritatevoli gesti tesi alla conversione del male in bene, e che invece altro non erano che solidi e sordidi accordi politici ed economici.
Mi piace pensare con un’aura quasi romantica al gesto di questo umile servitore nella vigna del Signore, che posa la zappa quando si accorge che la terra è ormai troppo bassa per la sua vecchia schiena, perché forse io son stufa della povertà della realtà.
Non è bastato far pagare il conto al maggiordomo, questa volta. E nemmeno servirà leggere bene le righe di quella lettera latina che almeno ha il merito  d’aver interrotto per un giorno solo, la pioggia di idiozie para elettorali dalle nostre vite.
Mi piace pensare che in quella lettera, ci fosse scritto che in un momento d’incontro con la propria coscienza, il Papa abbia ricordato che per la chiesa, la vigna si può zappare meglio con la preghiera che con la zappa. Che è meglio continuare a suonare il pianoforte e leggere libri di teologia, che è faticoso muoversi stando ricoperti da ori e monili, e che nulla di Cristo si può ritrovare in una chiesa d’affari e banchieri.
Non lo sapremo mai, e alla fine troveremo consolazione in quella che appare l’unica possibile verità: non si è fatto ammazzare. Perché la storia insegnava che nulla era certo quanto il destino di un Papa, l’unico lavoratore che aveva come contratto: fine pena mai.
(Molto altro ci sarebbe da dire delle dichiarazioni più o meglio ufficiali che hanno seguito l’evento mediatico del secolo, ma mi rifiuto. Mi conservo.)
Rita Pani (APOLIDE)

2.08.2013

 

Metti che muore nonna


E alla fine, si andrà a votare portandosi dietro il depliant delle offerte, esattamente come si va a far la spesa. “Solo per oggi: Internet gratis, 4.000.000 di posti di lavoro, buoni sconto per un valore pari a quanto versato di Imu.” Dal 20, al 31 Febbraio, inoltre, condono tombale, ammortizzatori sociali anche per precari, assunzioni solo a tempo indeterminato, e per i primi cento un buono omaggio per un elettrocardiogramma ante mortem.
Perché non hanno capito nulla, e pure noi non siamo troppo svegli.
L’unico investimento certo per il nostro futuro, a mio avviso, è l’acquisto di un congelatore a pozzetto abbastanza capiente, che non si sa mai: “metti che muoia nonna”.
Dirò di più: lo stato dovrebbe incentivare l’acquisto degli elettrodomestici, risollevando l’economia di chi li produce, di chi li vende, e di chi domani ci infilerà dentro il caro estinto, uno di quei fortunati possessori di pensione.
Perché se muore nonna, cari miei, so’ cazzi! Non solo perché verrebbe a mancare ancora l’unica fonte di reddito capace miracolosamente di campare due o tre famiglie, ma anche perché non è più nemmeno pensabile morire. Un funerale ormai costa quanto un’automobile, e non si può nemmeno prendere a leasing.  Neppure si può acquistare l’eterno involucro dalla concorrenza cinese, o optare per un falò tra amici in spiaggia, o la sepoltura privata nel giardino di casa.
Mi pare di sentirvi grattare. Ma il problema sussiste eccome. Se muore nonna, che con i suoi risparmi ci ha comprato le scarpe ai figli, i libri, le medicine, ha pagato le rette degli asili, l’affitto, l’iPhone, la carne, l’olio, il pesce, chi le pagherà il funerale?
E i vecchi se lo domandano, soprattutto quando la televisione racconta che le famiglie italiane hanno intaccato i loro risparmi, e mestamente annuiscono imbambolati davanti alla loro scatola magica, unica fonte di conforto e compagnia.
E allora ben venga un congelatore, da tenere là accanto alla TV, dove una volta c’era il divano, con sopra un vaso di fiori sempre freschi e profumati, una candela accesa e una fotografia ala quale rivolgeremo lo sguardo ogni due del mese. Uno sguardo commosso e affettuoso, pieno di gratitudine. Ogni volta che lo spolvereremo con un panno morbido, ci tornerà alla mente la voce di nonna, la sua paura di non poter essere sepolta degnamente, e potremmo rincuorarla mentendo: “Perdonami nonna, ti prometto che appena ti restituiranno i soldi dell’IMU, ti farò un funerale da sogno, proprio come se fosse un matrimonio, che pure la Banda chiamerò a suonare per te.”
Tanto i morti non lamentano, e anzi potremmo immaginare – che la coscienza ne ha bisogno – che ella sia là, seduta al freddo ma che ci sorride.
Figlie mie adorate, dovesse morire mamma, invece, fate un bel falò, che duri almeno due giorni. Che un congelatore sarebbe solo corrente elettrica sprecata.
Rita Pani (APOLIDE)

2.05.2013

 

E ridurremo la spesa pubblica


Vivo il mio scrivere quasi come un’umiliazione; è così banale quel che metterò su questo foglio, che mi piange il cuore.
C’era altro di più ridicolo ed oltraggioso, nel discorso choc di quel tizio impresentabile, che la gran cazzata sulla restituzione dell’IMU – in contanti. C’era l’affermazione che recitava pressappoco così: “Abbasseremo le spese dello stato.” Mi conservo pura, e per un attimo ho sperato che qualcuno, un giornalista, un politologo, un cretino qualunque balzasse in piedi puntando il dito: “Zitto un po’, come ti permetti?” – Non è accaduto.
È accaduto di peggio, semmai. Qualche momento dopo, i giornalisti e gli analisti politici, a favore o contro il tizio si sono espressi sull’argomento, con numeri e tabelle, facendo sì che la cazzata cosmica incommensurabile, divenisse una cosa seria.
Qualcuno ha detto persino che in effetti, numeri alla mano, in uno dei precedenti governi malavitosi, la spesa pubblica vide una flessione di quasi due punti.
Se solo ci fosse stato un professionista coraggioso, non asservito, libero mentalmente avrebbe tirato fuori altri numeri, altre tabelle e altre classifiche edificanti per il paese imputridito da un ventennio di malavita al potere. Quelle sulla corruzione.
Come possono ancora parlare di voci di bilancio, di tagli da attuare, di riforme da fare quando è ormai chiaro a tutti che le spese dello stato son cresciute proporzionalmente alla corruzione e al ladrocinio?
Come si può avere l’ardire di continuare a prospettare tagli al bilancio della sanità, per esempio, ed esporli sui giornali, magari accanto alle cronache “formigonesche” della Regione Lombardia? Come possono prospettare la chiusura di aeroporti “non strategici” quando cadono gli aerei romeni taroccati Alitalia, la compagnia di bandiera “salvata” dal tizio che con un lampo di genio riuscì persino a coniare lo slogan che l’avrebbe salvata: “Amo l’Italia volo Alitalia” –
Che prometta di restituire l’Imu, lo so, fa quasi più ridere di quella volta che promise di sconfiggere in cancro in tre anni – con piccole e comodissime rate, senza interessi – ma è assai più interessante che colui che della corruzione ha fatto legge, prometta di ridurre le spese dello stato. Lui che usava gli aerei dello stato per aviotrasportare le truppe di puttane e cantanti alle sue feste eleganti in Sardegna, o lui che ha fatto della bufala del ponte sullo Stretto di Messina, la più grande tangente mai pagata alla mafia da uno Stato sovrano. Tangente che i governi a venire scaricheranno sulle spalle di due generazioni di italiani.
Sentirlo parlare di riduzione delle spese dello stato, avrebbe dovuto essere la molla per una pioggia di sputi in faccia, pensando alla scuola e allo sperpero della gelmini, a Er Batman, ad ogni piccola porzione di paese governato dai suoi accoliti, che in ogni dove hanno legittimato il peculato, la corruzione, il ladrocinio, e la razzia.
Certo, la cazzata sull’IMU è più semplice da elaborare, persino più divertente da poterci ricamare su per giorni, ma la realtà del silenzio che si crea intorno alle altre cose è più preoccupante.
Per fortuna o per disgrazia – ancora non so - nessuno è così stupido da voler davvero governare quel che resta di questo paese, e nessuno è così cretino da rischiare di fartelo capire.
Rita Pani (APOLIDE)

2.03.2013

 

Sull'orlo del baratro


Sarebbe facile lasciarsi andare, seguire l’istinto e scrivere quaranta pagine di invettiva contro il Vaticano, invece per una volta vorrei provare a sviscerare il problema – qualora fosse un problema – e comprendere perché, due gay che si uniscono in matrimonio, sarebbero in grado di portare me sul baratro. Vorrei comprendere, analizzando il punto, cosa s’intenda per baratro.
"Siamo vicini al baratro", ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, "l'Italia non deve prendere esempio da queste situazioni che hanno esiti estremamente pericolosi. Non seguiamone le orme", riferendosi alla coraggiosa e civile posizione del legislatore Francese, che finalmente ha tirato fuori la testa dalla sabbia.
Allora: “Perché legalizzare l’unione civile degli omosessuali dovrebbe essere ciò che porterà la civiltà sull’orlo del baratro?”
Potrei stare un paio d’ore con questo foglio elettronico aperto sul mio monitor, e resterebbe desolatamente bianco e vuoto, perché davvero non c’è un perché. Ci sarà forse quando Giovanardi si esprimerà per l’ennesima volta sull’argomento, dimostrando come si sia già ben oltre l’orlo del baratro, in una società che mistifica tutto, anche la religione, anche quella fede che dovrebbe aiutare a vivere tutti noi in un mondo perfetto, secondo le regole di un Cristianesimo che se applicate, seguite e fatte legge, ci farebbe respirare aria pulita, ci farebbe vivere col sorriso da donare agli altri, ci farebbe ricordare di cosa voglia dire essere caritatevoli, avere a cuore il destino della collettività, prima che il nostro. Ma son tutte balle, e noi lo sappiamo bene.
È più facile e probabilmente anche più utile il ricorso al ragionamento coerente, alla demolizione dell’ipocrisia che governa il clero, in quest’Italia serva di uno staterello criminale, che brandisce crocifissi, che si fa scudo di un Dio che tutto vede, e troppo tollera.
Facile sarebbe far ricorso allo scempio della pedofilia, alla ricchezza di uno stato estero che spadroneggia in territorio italiano, che non paga le tasse in nome di Dio. Ricordare Marcinkus e lo Ior, gli scandali dimenticati che però ancora non si lasciano dimenticare a distanza di oltre trent’anni, di quel Papa fatto santo subito perché c’era necessità di un testimonial che pubblicizzasse al meglio un prodotto ormai scaduto e avariato, quale è la Chiesa degli uomini, più che di Dio. E le vittime che negli anni, in nome del dio danaro del Vaticano sono state prodotte, come Manuela Orlandi, per esempio, della quale a distanza di più di trent’anni nessuno sa nulla, se pure tutti sanno tutto. E molte altre storie si potrebbero raccontare, di un sistema che spesso ha portato l’uomo bel oltre quel baratro ora paventato dalla legalizzazione di un rapporto di coppia, che a nessuno nulla toglierebbe, nemmeno a un Dio misericordioso, qualora ci fosse.
Vorrei davvero riuscire a comprendere il pensiero contorto del cardinale Bagnasco, ma è più facile comprendere perché a un certo punto il Vaticano ha ritirato dalle banche italiane tutto il danaro contante, preferendo depositarlo nelle banche tedesche. È un baratro più semplicemente distinguibile, dinnanzi al quale ci si può fermare in tempo.
L’Italia dovrebbe prendere esempio dalla Francia, almeno un po’; non solo per quanto riguarda la giusta legalizzazione delle unioni civili tra omosessuali, i quali almeno avrebbero qualche briciola di diritto familiare, ma anche dalla storia. Non sarebbe male, per esempio, se si riportassero il Papa ad Avignone, che i Cosacchi, purtroppo, non arriveranno più.
Rita Pani (APOLIDE)

2.01.2013

 

Chi si accontenta gode


Il tetto ai superstipendi nella pubblica amministrazione sarà innalzato a 302.937 euro con un aumento del 3,1% (circa 8mila euro) rispetto al 2012. E’ quanto emerge da una circolare della Funzione pubblica sui limiti retributivi nella quale si ricorda che questo il trattamento annuale del primo presidente della Corte di Cassazione per il 2012. Nel 2011 il trattamento era a quota 293.658 euro (usato come riferimento per il 2012).

Rapporto Eurispes: oltre la metà degli italiani non è più in grado di sostenere la famiglia


Forse sto per scrivere qualcosa di dannatamente ideologizzato, demagogico e pure populista, ma non sarebbe sbagliato che certa gente stesse ora in mezzo alla strada  a raccoglier con le mani, la spazzatura che ci sta ricoprendo.
A questa notizia risponderemo come sappiamo fare noi, tutti insieme al mio tre, come si usa oggi nei comizi post moderni del post politica: “Vergogna!” “Ladri!” “In galera!” e ci sentiremo subito meglio.

La metà degli italiani è una cifra abnorme, ma detto così in una riga sotterrata da altre notizie amene, tra lo strano caso degli occhiali della signora Clinton, e la commozione di Belen, tra la prima cena di Balotelli a Milano e Napolitano che s’impunta: “Nessuno tocchi Bankitalia!” sfugge via, come se non ci riguardasse. Eppure, io ormai da un anno non lavoro più, non guadagno più i 352 euro netti che per undici mesi mi hanno aiutato a campare. Faccio famiglia, ora, una di quelle non più in grado di sostenersi, che hanno intaccato e finito i risparmi, ma che hanno la fortuna di avere un tetto sopra la testa, molte copertine di pile, e i guanti che lasciano libere le dita.

Un aumento del 3,1% per i superstipendi in questo periodo storico? Non è un insulto, ma la giusta punizione per la nostra ignavia, o colpevole stupidità. Un calcio sulle palle per tutti coloro – e tanti ancora ce ne sono – che troppe volte si son detti: “Tanto, peggio di così non può andare, dovrà per forza migliorare.” Ora che è chiaro che andrà ancora e sempre peggio, attendo di sentire la prossima formula magica, capace di continuare a dare la speranza. Ora che è chiaro che siamo poveri anche noi, che pure un panino e un piatto di pasta riusciamo a metterlo sul tavolo, e a volte anche una bottiglia di vino, attendo di sentire il prossimo slogan da strillare.

Si potrebbe forse far ricorso ad una nuova petizione, per far sì che i vecchi non debbano morire. Che a tutti sia dato avere un genitore, un nonno e magari anche un trisavolo da indebitare, per continuare ad avere il diritto di essere consumatori, così come ci hanno insegnato negli ultimi trenta o quarant’anni, oppure imparare le nuove mode alternative, come il baratto delle cose vecchie che non ci servono più o il food sharing, che sempre più prende piede nell’Europa ridotta alla fame.
Iniziano a sorgere i siti Internet dedicati alla nuova tendenza (molto trendy) di cedere qual che ti avanza in frigorifero; un formaggio mezzo ammuffito che non consumerai, le mele rattrappite che fanno impressione solo a guardarle, le sottilette di prossima scadenza, comprate in abbondanza col tre per due, che se ne compri quattro confezioni risparmi un casino, e ti sembra di aver battuto il gigante.

Ecco, perché il problema è proprio questo: la colpevole stupidità. Siamo così impotenti dinnanzi alla realtà che se non ce la trasforma il regime, ce la trasformiamo noi, arrivando persino a far moda della fame. Per questo ci basta strillare. Siamo un popolo che si accontenta e che gode.

Rita Pani (APOLIDE)

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