4.30.2013

 

Padre prostituente


Padre prostituente

Vi voglio bene; sul serio. Molti gli auguri che sto ricevendo in questi giorni, che sento sinceri e che rallegrano il cuore, anche se in molti alla fine leggo quel “richiamo alla responsabilità” che fa sorridere. Inizia sempre con un però. “Però qualcosa ogni tanto dovresti scriverla, perché io i giornali non li leggo …”
Il problema, è che anche volendo, pur riuscendo a trovare i dieci minuti necessari da dedicare alla testa e alla tastiera, non c’è poi tanto da dire. Non c’è nulla di sensato che possa descrivere il tempo insulso che stiamo vivendo. Come si potrebbe parlare di politica, quando la politica è negata?
Continuo a leggere i giornali, molti titoli, pochi articoli e sempre mi chiedo quando verrà fuori il saltimbanco a dirci: “Ooooocaiiii! Questo bellissimo scherzo vi è stato offerto da Findomestic. Vuoi 20.000 euro subito? Chiama il numero verde ottocentoottocentoeccetera!”
Dai! Come potrebbe essere reale, che il Movimento 5 stelle sia pronto a discutere su 10 punti, ora, dopo aver contribuito alla riesumazione della salma della mummia di Arcore? Lo capirete da voi che non può essere reale. Avrebbe potuto discutere su 8 punti con Bersani e lasciare il cadavere al calduccio nel suo mausoleo.
Ma davvero! Come potrei credere che di nuovo ci troviamo con quel debosciato che si offre in qualità di “padre costituente?” Suvvia, sarebbe più semplice credere in un Dio che fa i miracoli, che salva la gente dalla carestia moltiplicando pani e pesci. Sarei più disposta a credere che una Madonna di gesso lacrima sangue. Ma non posso credere davvero che si sia fatto un governo PD/PDL e rimasugli vari, che veda addirittura il prestanome del debosciato come vice premier e ministro degli interni.
“Però qualcosa ogni tanto dovrei scriverla”. Sì, ma io davvero i miracoli non li so fare. E scrivere di politica, oggi, è assolutamente impossibile oltre che inutile.
Dovrei scrivere dell’abbigliamento dell’attentatore? Delle sue origini? Interrogarmi su un attentato che dimostra essere molto all’italiana? O peggio, prendere sul serio il discorso di insediamento del giovane presedente del consiglio che con le parole è riuscito ad accontentare tutte le anime “del parlamento”, tra promesse di miracoli, e salvezza del mondo in 18 mesi?
Finirei per essere la solita Cassandra, quella che è rimasta comunista del fronte del “no”, che non ha capito che il nuovo non ci deve spaventare e che quindi non è strano vedere destra e sinistra che governano insieme. Arriverebbe l’ottimista speranzoso a dirmi: “dagli tempo, lasciali lavorare, magarichissàforsequestavoltaperchénoooooo?” e io mi incazzerei, e non posso.
Alla fine dovrei ricordare a molti di quelli che leggono, che se un domani il debosciato guiderà la commissione per le riforme costituzionali – povera patria – sarà stato solo perché c’è ancora qualche coglione che lo ha votato. Perché ancora una volta, la coalizione ha dimostrato di essere più grossa di quel che pensavamo, e l’unico scopo reale di tutta questa farsa era salvare le chiappe flaccide di un criminale, che probabilmente, cadendo, porterebbe con sé molti sodali.
E non ho voglia di questo schifo …
Sapeste quanto è difficile sposarsi in tempi di crisi … c’è da diventar acrobati, soprattutto per restare sereni.

Rita Pani (APOLIDE)


4.28.2013

 

Utility


Ero scappata fuori dal mondo, ieri, perché non volevo sapere più nulla, delle cose che si compiono malgrado noi, le nostre coscienze e le nostre volontà. Questa mattina, svegliandomi, le notizie mi hanno raggiunto ugualmente, infischiandosene del mio non voler sapere. Scoprendo che Al Fano era diventato ministro degli interni ho sorriso, e da malfidata quale sono, ho pensato che solo una nazione che si avvicina alla guerra avrebbe digerito uno schifo così. Poi è passata qualche ora ed è giunta anche la notizia del folle, no, folle no! Del calabrese, sì ok è anche un po’ italiano. Del disperato, no forse disperato non è. Dell’utile idiota, o forse solo un imbecille che ha avuto troppa fretta di sparare, e mi son detta: “Va bene, mi consolo. Non sono malfidata, solo un po’ scafata.”
Il boccone avvelenato ce lo faranno ingoiare per forza. La rivolta è stata repressa prima ancora d’essere pensata.
Poi mi son ricordata di me, che di cose belle ora ne avrei. Mi sto per sposare, ho tante cose da fare, quelle piccole i dettagli, le quisquilie, come per esempio essere abbastanza serena da poter sorridere un po’.
E allora per un po’ dico basta. Perché mi devo bastare.
Perché arriva il momento in cui bisogna depurarsi, alleggerirsi, e imparare a trarre godimento dalle piccole cose, che poi se ti cambiano la vita, tanto piccole non sono.
Il resto tanto si compirà malgrado me, malgrado le certezze, le storie troppe volte vissute, viste e riviste, così scontate che non stupiscono più.
Cos’altro potrebbe farmi questo Stato, che già non mi abbia fatto, se non impedirmi di sorridere per un attimo alla vita?
Credo di aver guadagnato e meritato quel poco di serenità che serve per ordinare una torta da sposi, per trovare una composizione floreale che possa abbellire il tavolo di una sala consiliare, e persino convincere lo sposo che le scarpe se le deve proprio comprare.
Ho bisogno di riprendermi questo piccolo tempo, per far sì che quel giorno, così importante per la mia vita, io lo possa ricordare col sorriso. Voglio far sì che possa essere una sorta di rifugio per l’inverno che verrà.
E non potrei farlo, se continuassi a raccontare tutto ciò che alla fine, nessuno vuole veramente vedere. Come potrei disegnare il mio futuro con i colori tenui della primavera, visto che tutto è triste, nero e tetro? Non potrei, e neppure voglio.

Mi riprendo … con affetto

Rita Pani (APOLIDE)

4.27.2013

 

Spero che giunga la fine


Fa male pensarlo, dirlo è terribile, ma lo farò: non vedo l’ora che il dramma si compia, che arrivi il giorno in cui si debba ammettere – finalmente – di essere nella identica situazione di Cipro. Il giorno in cui non saranno più pagati gli stipendi della Pubblica Amministrazione, che le banche chiudano, che si creino le file davanti ai bancomat. Non vedo l’ora che arrivi il giorno in cui finisca questa lenta agonia. Solo quel giorno, finalmente, cesseranno le falsità che oggi ancora alimentano le nostre esistenze.
Oggi è il giorno in cui verremo assoggettati al nuovo padronato chiamato “governo”, il giorno in cui una marea di parole verranno scritte su nulla, con la pretenziosità con la quale si scrive un sacro testo. Ci saranno i buoni e i cattivi, ci si insulterà toccando i parenti più prossimi e via, via fino almeno alla terza generazione. Si inventeranno neologismi di accuse e difese. Si perderà ancora tempo prezioso ed energia combattendo battaglie dialettiche, schierati in questo o quell’esercito.
Attendo il giorno in cui, sarà dichiarato il giorno della fine, perché credo che solo allora potrà esserci il giorno della riscossa. Sarà quello in cui non ci saranno più soldi da consumare, quello in cui, anche chi ancora si ostina a guardare a chi sta peggio per farsi coraggio, per sentirsi – almeno – fortunato, si sentirà parte integrante della società. Davvero cittadino di un popolo.
Non che la strage non si compia già, ma è sempre la solita storia: se ne muoiono cento in trecento giorni, dopo i primi cinquanta cadaveri l’occhio sarà abituato. Se ne muoiono cento in un colpo solo, allora è sdegno, cordoglio e dolore. Lo spettacolo della vita, a questo ci ha educato.
La strage si compie già, muoiono i malati che non si possono curare, e non lasciano traccia del loro dolore. Muoiono in silenzio, accuditi dai loro familiari, pianti dagli amici, ma è morte naturale. Il fatalismo e Dio servono a nascondere la responsabilità. Nessuno è colpevole se la volontà è di Dio, se la vita, si sa quando inizia ma non quando finirà.
Si uccidono le persone che la vita non possono più attraversarla con dignità, uno oggi, un altro un po’ più in là, a farci dire: “Poveretto! Meno male che ho ancora il pane.”
C’è perplessità per un tale che ieri ha detto a un suo parlamentare: “noi non facciamo politica”. E che c’è di strano? Perché, gente come berlusconi, o bossi, o D’Alema, o La Russa, o Renzi, fanno forse politica? Se avessero fatto politica, oggi non avremmo bisogno di ratificarla la non politica. Oggi non avremmo tanta gente convinta dell’utilità di cancellare ogni fondamento politico. Se avessimo avuto un sistema politico democratico, a questo punto non ci saremmo arrivati mai.
Faranno un governo che sarà una sorta di consiglio d’amministrazione aziendale, forse faranno addirittura una nuova legge elettorale che garantirà la loro permanenza alla guida dell’azienda, e noi non saremo contemplati, e nemmeno tutelati, perché non è certo a colpi di atti dimostrativi che finalmente ci faranno sentire più vivi e dignitosi.
Un bel gesto quello di abbassarsi lo stipendio. Apprezzabile, meritorio e inutile. “Abbiamo aperto un conto corrente nel quale versare le eccedenze.” Bello! E poi?
Ma non sarebbe stato meglio salvare delle vite? Se guadagno mille, quando cento mi bastano, non avrei potuto investire i novecento restanti, per salvare una vita? Se ognuno di quei probi che alimenteranno la banca di Montecitorio, con filiale interna, avessero “adottato” una mensa scolastica, una mensa della Caritas, una famiglia senza reddito, un malato che non può pagarsi le cure, una famiglia che rischia di perdere la casa perché non ha più un lavoro per pagare un mutuo, o una cosa qualsiasi? … No, troppo banale, un esempio concreto può essere frainteso, può addirittura essere malvisto in una società che l’elemosina la tiene segreta, per decenza.
Non vedo l’ora che arrivi la fine, così che finalmente si possa fare l’unica cosa che è da fare: “Fargli paura, sul serio.” La rivoluzione non è un pranzo di gala …
Per me il peggio è già. Ho preso un impegno che voglio assolutamente rispettare, ma assolto questo io qualcosa farò, perché ieri ho aperto un foglio bianco, ho sistemato le cose come faccio sempre quando voglio immergermi nel mondo lontano di chi si accinge a scrivere una storia nuova da raccontare. E ho pianto, dicendomi che tanto, sarebbe stato inutile. Un'altra fatica sprecata, in questo tempo che inaridisce ogni vita. Anche quella che non lo sa.

Rita Pani (APOLIDE)

4.26.2013

 

Sapere salva la vita. Digli di ignorare


Apprendo con il grande senso di nausea che accompagna, ormai, la lettura dei giornali mattutini, che l’Italia perderà lo spazio espositivo, presso il campo di concentramento nazista di Auschwitz, già chiuso da due anni perché mal curato, vecchio, illeggibile e fuori contesto.  Il giorno dopo il 25 Aprile, la notizia appare ancor più nauseabonda, ma in fondo, davvero ci si potrebbe aspettare qualcosa di diverso da questo paese votato all’autodistruzione?
Il non attendersi altro è forse già il segno della fine, ma come non essere intellettualmente onesti? Il Presidente dell’ANED, ex deportato, fa sapere che nulla potrà essere fatto in mancanza delle sovvenzioni dello stato italiano. E questa ormai sembra la risposta preconfezionata a qualunque domanda, un po’ come quelle che ricevi dal risponditore automatico di e-mail.
Lo stato non finanzia la cultura. Lo stato non finanzia il sapere, e tantomeno gli incentivi alla civilizzazione del popolo. È uno dei pochi “tagli” scientifici apportati negli ultimi nefasti anni di decadimento.
Non facciamo finta che il problema sarà affrontato con la decenza che merita, semplicemente verrà sepolto da tutte le altre notizie più idonee a tener alto il morale degli italioti.
L’Italia è l’unico paese europeo che ha tagliato la cultura, essendo proprietario di un immenso patrimonio culturale, che avrebbe potuto concorrere a risanare la carestia dovuta al ladrocinio capitalista radicalizzato dalle mafie al potere. Di qualche tempo fa la notizia dei “guadagni” del Louvre, che solo quelli superavano di gran lunga gli introiti annuali di “tutti” i musei pubblici italiani; notizia che non ha fatto inorridire, e non ha mosso a Rivoluzione (notoriamente i musei son pieni di vecchiume).
L’Italia è il paese che ha cancellato l’insegnamento della musica dalle scuole pubbliche, mentre in Venezuela con la musica si sono salvati i bambini di strada (ma Chavez era un dittatore), chiudono i conservatori. E in Italia chiudono i teatri, le biblioteche e le librerie (tanto i libri si vendono anche al supermercato).
In Italia c’è gente delle istituzioni, che levato l’elmetto cornuto dalla testa e ripristinate così le sinapsi, si chiede: “Perché mai regalare soldi a Pompei, per quel cumulo di pietre?"
E si potrebbe allungare la lista delle brutture, e dell’abbrutimento arrecato dalla devastazione del nostro patrimonio culturale e dell’abolizione del sapere, fino ad arrivare ai giorni nostri, quello del nuovo che avanza, e dell’imperativo assoluto: NON SPRECARE.
Così che in Toscana, salta su l’ultimo arrivato, il probo, che propone di tagliare lo spreco: niente più finanziamenti per “i viaggi della memoria” ad Auschwitz, appunto, per i ragazzi delle scuola; ma per fortuna la richiesta è restata inascoltata.
Quindi, oltre la nausea, nessuno stupore. Se così non fosse stato, se il decadimento culturale non fosse una sorta di arma di distruzione di massa, certa feccia ce la saremo tolta di torno molto tempo fa. Sarebbero rimasti al chiuso delle loro fogne, e non sarebbero tornati mai in superficie.
E nemmeno possiamo incoraggiarci a riprendercela la cultura, perché questo sì, non ce lo faranno mai fare. Questo sì, potrebbe essere pericoloso. Sapere, studiare, conoscere, potrebbe anche salvarci la vita.

Rita Pani (APOLIDE)

4.25.2013

 

Ora e Sempre


È dura. Scrivessi “Ora e sempre Resistenza”, dopo dovrei aggiungere: “Ma non è vero.” E non lo è già da un po’. È rimasta una cosa da tenere nell’intimità di noi stessi, nelle nostre nostalgie, nelle nostre malinconie. Una sorta di rimpianto doloroso, che fa sentire impotenti quando ci si approccia alla realtà italiana, becera e ignorante, arrogante e disonesta.
È una giornata strana. Avrebbe dovuto essere una di quelle giornate senza se e senza ma; una di quelle forse un po’ retoriche, che odorano di corone d’alloro, e risuonano di fanfare ma capaci di unire un popolo nel ricordo della storia che sembra ormai lontana e che invece è solo ieri. Invece è una giornata assurda che il popolo lo frammenta in tante piccole realtà.
Coloro che non si arrendono, e che andranno sui luoghi del sangue e della memoria, che depositeranno fiori ai piedi della stele. Coloro che con pudore terranno i pensieri stretti in sé. Coloro che – fascisti – non hanno nulla da festeggiare e tantomeno da ricordare. Poi, ancora, quelli ormai devastati dall’ignoranza che nega la capacità di pensiero, e che preferiranno non schierarsi né da una parte né dall’altra, convinti che la Resistenza sia simbolo di vecchiume partitico. Poveretti.
La Resistenza …
È dura sapere che si dovrebbe spiegarne il senso. È triste. Dovrebbe essere ormai qualcosa di dogmatico. Una di quelle cose che non hanno bisogno di ulteriori spiegazioni, di essere ancora vivisezionate e analizzate. Scopo della Resistenza fu quello di liberare l’Italia dal fascismo … Lo fecero ragazzi poco più che ventenni. Morirono in tanti. Dai resti di quelle vite perse a vent’anni nacque la Repubblica Italiana. Dopo che i partigiani liberarono l’Italia dal fascismo, nacque la Costituzione, quella stessa che avremmo dovuto difendere con le unghie e con i denti, e che invece lasciamo sia calpestata da chi, proprio grazie alla Costituzione può ancora esprimere la sua idea – per quanto peregrina- proprio dentro i palazzi delle istituzioni.
Ci son voluti tanti anni e tanta pazienza per stravolgere il senso della storia, per fare della storia una storiella, ma alla fine il delitto s’è compiuto.
Molto più sanguinoso di quel che pensassi, e me ne accorgo scrivendo e rendendomi conto che son passati 13 anni, e che per tutto questo tempo, ogni 25 Aprile, ho provato a dire sempre le stesse cose, lo stesso dolore cambiando le parole. Ma quest’anno sento che fa meno male, quel rimpianto doloroso che riesco finalmente a tenere stretto in me. La Resistenza è un valore su cui poggia ogni Esistenza

Io Resisterò sempre.

Rita Pani (APOLIDE)

4.21.2013

 

A noi, non resterà nulla


E quando l’atto sarà compiuto, Napolitano, per raggiunti limiti di età si dimetterà, e a noi non resterà nulla, nemmeno un orto di guerra. No, non è un delirio di onnipotenza, e il mio schifo che detta …
Perché si è vero, ieri è stata scritta la pagina più patetica della non politica italiana; scritta a più mani da molti autori. Io vorrei tenere per me le ultime righe, quelle che nessuno ha voluto leggere se non pochi sconclusionati come me. Le righe che narrano dell’ultima labile occasione che il tempo ci consegna, e che temo non riusciremo a cogliere nemmeno questa volta. Il bisogno di sinistra, e la possibilità di averla, anche per coloro i quali nemmeno sanno di avere a cuore questa speranza, continuando a confonderla con qualcosa che a sinistra non ci sarà mai.
Fossi qualcuno, ora, farei appello alle ultime briciole sane di questa società, dagli intellettuali agli operai, da chi ancora riesce a campare a chi si vorrebbe sparare: riprendiamoci la sinistra. Ma io so’ io e quindi non sono un cazzo.
Il resto che potrei aggiungere, sarebbe solo nausea ridondante …
Che tristezza persino quelle chiamate alla guerra, così tanto ripetute da esser diventate routine. Son riusciti a svilire anche il termine Rivoluzione, Protesta, Manifestazione … “Ammazziamoli tutti!” gridavano in piazza.
Che farà questo popolo tra qualche mese, quando si troverà davanti ai Bancomat fuori servizio?
La domanda è retorica, e la risposta dentro di me, dice: “nulla”. Saremo già stanchi di non aver combattuto tutte le non guerre e le non rivoluzioni.
Null’altro da dire, è troppo lo sconforto.
Buona domenica

Rita Pani (APOLIDE)


4.19.2013

 

Noi siamo Popolo


So che a volte mi si guarda con quel mezzo sorriso che si dedica pietosamente, o teneramente, ai puri, ma non mi importa, perché so anche che la vera utopia che mi pervade non è il fatto di continuare a dichiararmi ostinatamente comunista, ma altresì quella di continuare a sperare in un moto d’orgoglio di ogni singolo cittadino italiano.
Questo ho sperato ieri, mentre assistevo mortificata all’indicibile spettacolo di questa Repubblica devastata.
Non ci sarà nessuna ribellione, nulla andrà oltre le grida internettiane lo strepitar di mouse, e peggio ancora il rifugiarsi tra le fila di altri imbonitori, quelli che ci sono e quelli che verranno.
Lo diremo mille volte ancora che la misura si è passata, che il limite è superato, e ci basterà averlo detto per sentirci meglio, attivi e partecipanti.
Ora noi vogliamo Rodotà, e lo ripetiamo come un mantra senza più pensare ai fatti, alle cose e alla vita, la nostra. Abbiamo bisogno di una battaglia da combattere, e ci armiamo non appena se ne trova una facile da fare.
Firma l’appello: Rodotà presidente! E una volta premuto il tasto invio, tronfi torniamo alla vita.
Lo sento il moto d’orgoglio, e lo ricaccio indietro col rimpianto: è troppo tardi per me, per lasciare questo paese, per sparire, per trovare un luogo nel quale sentirmi in pace con la fatica di vivere in maniera dignitosa.
“Ci vuole un presidente che metta d’accordo tutte le forze politiche”, ci dicono. E mi offendono.
“Ci vorrebbe un Presidente che riuscisse ad avere a cuore l’ordinamento dello stato, che si facesse garante delle istanze dei cittadini, che ripristinasse l’ordine democratico delle istituzioni, che fosse capace dell’orgoglio della sua responsabilità istituzionale.”
Ci vorrebbe la rivolta popolare, quella vera, quella di strada. L’invasione pacifica delle piazze di un gregge veramente libero, che non ha bisogno di pastori, che non è attratto da un comizio/spettacolo gratuito dell’uomo venuto dalla televisione, che arriva a nuoto e se ne va in barca a vela.
Ci vorremmo noi, seduti per terra davanti al parlamento, incatenati l’uno all’altro, irremovibili, o con un cartello al collo: “Se vuoi spostarmi da qua, abbi il coraggio di spararmi.”
L’unica istanza, quella di essere riconosciuti come parte fondamentale della nazione.
Perché quel che ci imbroglia è solo la bassa concezione che abbiamo di noi. L’Italia cambierà il giorno in cui smetteremo di pensare a noi stessi come se fossimo merda, e troveremo il coraggio di rivendicare la nostra identità di Popolo.
Noi siamo il popolo, e al regime serviva farcelo scordare. Se ci fossimo ricordati, Bersani non avrebbe abbracciato la feccia del pdl, quel tizio non starebbe barattando la sua impunità con un altro pezzo della nostra vita, Grillo continuerebbe a starsene a casa sua a far ridere nessuno, i giovani in vent’anni si sarebbero fatti adulti imparando dalla storia ad essere uomini migliori, e noi potremmo sentirci grati e ancora vivi.
Sì … Viva l’utopia, e pure la malinconia.
Rita Pani (APOLIDE)


4.17.2013

 

Cambiati le mutande!


L’urlo di mia madre dalla cucina, mentre tintinnavano le tazze della colazione, e l’odore del caffè si spandeva per tutta casa, arrivava quattro volte ogni mattina. Ogni volta che la porta del bagno si apriva e si richiudeva, figlio dopo figlio: “CAMBIATIIIII LE MUTANDEEEE”.
Poi c’era quella frase che è rimasta nel mio cuore, e che ancora mi fa sorridere ogni volta che indosso un paio delle mie mutande da mercato “6 paia 5 euro”: “Cambiati le mutande, non sia mai, succedesse qualcosa …”
E la mia risposta, sempre uguale: “Che vuoi che succeda? E se mi schiacciasse un pullman, credi che starei a preoccuparmi delle mutande bucate?” Già, perché io femminuccia le mutande le cambiavo anche se mamma non avesse urlato, solo che non ne ho mai tenuto troppo all’estetica dell’indumento, e non era bello – diceva mamma – andare in giro con le mutande bucate. Ma erano comode.
Vecchiume. Sovrastrutture delle quali, a quanto pare, dobbiamo liberarci istituzionalmente. Dati i tempi di follia collettiva nei quali annaspiamo, in realtà mi stupisce il fatto che la gente non abbia ancora invitato alla firma dell’appello per una legge di iniziativa popolare sui tempi legali di cambio di mutande, per un uso consapevole e responsabile delle risorse idriche. È il ministro che ce lo chiede!
Sì, una buona idea del ministro Clini per risparmiare l’acqua? Cambiarsi le mutande ogni quattro giorni. E io, avrei voglia di stringergli la mano; complimentarmi con lui per l’impegno profuso durante il suo mandato tecnico e di prorogatio.
Perché l’ambiente è importante, e noi che ci vantiamo di far parte di quella società civile che tanto si agita e combatte, lo sappiamo benissimo. Noi che veniamo dalla terra di Sardegna, che facciamo i conti ogni estate con la siccità, col fuoco che desertifica la nostra terra, con l’uranio impoverito dei soldati americani o israeliani che uccidono le nostre genti con tumori innovativi e devastanti, l’ambiente lo abbiamo a cuore. Come lo hanno a cuore i cittadini di Taranto, per le loro deformità, per i loro record di tumori, per i fumi velenosi. L’ambiente è importante. E la TAV, e il dissesto idrogeologico, e le discariche abusive, e la spazzatura per le strade sono tutte quelle cose che ci fanno imbestialire. E noi ci proviamo a rispettarlo questo ambiente mortificato dalla disumanità dell’uomo d’affari che lo ha reso devastato. Noi lo abbiamo sempre voluto un ministro attento, uno che “sapesse il fatto suo” uno che finalmente riuscisse anche a spiegarmi perché nel 2013 alle sei del pomeriggio i rubinetti di casa mia restano secchi, ed è proibito persino fare la cacca.
Grazie ministro Clini, per la sua genialità. Sia più ardito, si faccia più spavaldo e vada oltre in una sorta di ministero “No Limits”: ce lo dica che oltre che cambiarci le mutande, dovremmo anche lavarci il culo ogni quattro giorni. Vuol mettere la soddisfazione di risparmiare un po’ di più?

Io davvero non so, dove finisca la realtà e inizi la fantasia in questo paese votato alla follia.

Rita Pani (APOLIDE)


4.13.2013

 

Onlain



È difficile scrivere con le molle. Si sospira prima e si desidera fortemente d’essere compresi, almeno nella sostanza delle parole che verranno. Così è, almeno, quando non si ha l’intento di offendere o denigrare, ma soltanto quello di provare a spiegare un punto di vista personale e quindi certamente opinabile.
Forse cerco un modo pacato per ribadire  un po’ la stessa cosa, ossia che mi spiace sempre quando scorgo il pericolo dell’abuso della credulità popolare.  Più la gente ha bisogno ed è disperata, più salterà fuori il mago dei miracoli possibili. C’è chi lo chiama “populismo” ma non son d’accordo; è un termine legato comunque a fenomeni alti e importanti, quali la politica, cosa che ormai in Italia non c’è più.
Sarebbe facile lasciarsi andare a battute ironiche o sarcastiche sul primo tentativo di votazione del Presidente onlain. Sarebbe facile aggregarsi alla satira che imperversa sul web, e anche aizzare una di quelle discussioni inutili, che finirebbero con assurdi insulti neologistici, ripetuti fino alla nausea come le cantilene dei giochi dei bambini. Servirebbe a nulla.
Quel che mi disturba di questa nuova farsa è proprio quell’abuso di credulità popolare che ci scorgo, nel sopruso dello sfruttamento della speranza altrui, del desiderio di tanti di sentirsi finalmente partecipi di un sistema che non gli apparterà mai, nemmeno nell’attimo stesso di quel click del mouse che in teoria – e solo in teoria – lo rende un elettore.
Onlain in questo povero paese in cui anche le comunicazioni ufficiali tra Enti passano attraverso una Posta devastata dalla falsa privatizzazione, spolpata da quelle operazioni di revisione dei costi che significa sempre meno personale, e meno mezzi. Onlain come fossimo seri, onesti e professionali come gli svedesi. Onlain come se pure mio nonno sapesse accendere un computer, così che avesse lo stesso diritto del nipote che è nato col joystick in mano.
Siamo il paese di Pasolini e Berlinguer, mi sento spesso dire con quella rabbia orgogliosa che alcuni di noi conservano; ed è vero, quanto è vero che siamo il paese di Vanna Marchi, quel tizio di Arcore, bossi e maroni, borghezio o calderoli. Venditori di pozioni magiche per allungare il pene, per avere la secessione, per essere ricchi, per essere impuniti, per curare il cancro – non lo posso proprio scordare – e talvolta anche per essere immortali.
L’Italia è il posto dove onlain non è un’invenzione di due proprietari di marchio, ma un’operazione vecchia quanto il cucco, che va avanti da anni, da tutti quelli in cui a botte di televisione, si è educato un popolo all’ignavia e alla comodità. Lo si faceva con SMS, con il telefono poi col tasto verde del telecomando, e dopo solo con un click. E immagino – la storia ce l’ha insegnato – che i risultati fossero dati solo e soltanto dalla volontà patronale. L’unica cosa che cambia, forse, è che almeno con un click non si spendono i soldi dell’sms, o dell’abbonamento al canale – forse.
Il resto è uguale: spacciatori di sogni democratici onlain. Utili a nulla, se non a buggerare un popolo che per saziare la fame di normalità, finge di credere di trovarsi innanzi a tanta straordinarietà.

Rita Pani (APOLIDE)

4.11.2013

 

Sentirsi vivi


Ogni giorno, almeno una volta al giorno, leggo i moniti di questo o quello: “Attenzione, perché poi si rischia la violenza!” Sono balle, purtroppo, perché chi lo dice sa che siamo un popolo di codardi e fancazzisti, che la massimo la violenza la rivolge contro sé stesso, privandosi della vita dato che alla vita, quest’esistenza sempre meno somiglia.
Non ho mai avuto una brillante intelligenza economica, anzi! Mi riconosco un’ignoranza abissale in materia. Sono ancora convinta che la soluzione della crisi più che matematica sia elementare aritmetica: tu produci, io lavoro, tu mi paghi, io consumo, tu fai profitto, io vivo. Una sorta di circolo virtuoso banale quanto sensato. Invece no. L’economia è quella cosa confusa della quale alla fine riusciamo a comprendere solo l’essenza: chi ce la fa sopravviva, e il resto vada pure a morire ammazzato. Suicida, meglio, così a nessuno potrà essere ascritta la responsabilità. Nessuno si lorderà le mani del sangue altrui.
Vogliamo lavoro! Si è sempre gridato nelle piazze. E altre cose che suonavano dignitose, come “pane e lavoro” lavorare meno lavorare tutti. Poi le cose son cambiate come sappiamo, grazie a ciò che sappiamo, e soprattutto grazia alla maestosa opera di demolizione della coscienza civile di un’intera popolazione, che ancora dimostra di non aver capito che non è accontentandosi del “meno peggio” che si ristabilirà il minino della giustizia e della riscossa collettiva.
“Quel lavoro non lo voglio!” si urlerebbe oggi nelle piazze, se ancora ci si andasse come ci si dovrebbe andare, magari con le tette coperte e una mazza chiodata tra le mani, perché il lavoro è la base fondante di questa dannata repubblica delle banane. Invece no. Siamo arrivati vergognosamente quanto silenziosamente alle proposte di lavoro “a costo zero”, dove unica retribuzione per i collaboratori occasionali, persino di comuni o enti pubblici, sarà la menzione in curriculum. “ Lo schiavo Pinco Pallo, ha avuto l’onore e la fortuna di prestare gratuitamente la sua opera per il Comune di … per la Provincia di …” e farà titolo, per la candidatura al concorso che non si terrà mai, e favorirà l’accesso al lavoro che non troverai mai. Non è uno scherzo, per quanto possa sembrarlo, è la realtà di questo paese che prende il peggio delle idee innovative di qualunque meno peggio si affacci alla ribalta della non politica italiana. Sono quelle notizie che passano in sordina, che a nessuno conviene urlare, come quando si “ricercano figure professionali con esperienza” per un compenso pari a 2,50 euro l’ora. Però poi, quando qualcuno si ammazza, ecco riesplodere la rabbia collettiva, la sete di sangue e vendetta che porterà l’allarme sociale per una nazione che non si ribellerà mai, nemmeno denunciando chi anziché il lavoro, gli offrirà un comodo posto da schiavo.
L’altro giorno con l’espressione sbigottita e divertita, seguivo una preoccupata indagine giornalistica sul boom (tutto ormai è boom tranne le esplosioni) sul nuovo fenomeno dell’emigrazione. Il commentatore avvilito snocciolava numeri da dopo guerra, e quasi sembrava non riuscisse a spiegare il perché. Proprio come se non facesse parte di questo nostro piccolo e miserabile mondo, in cui il deserto avanza rischiando di portarsi via tutti quelli che non riusciranno a procurarsi un pezzetto d’ombra.
Ma non è tempo ancora per questi discorsi, la violenza di strada è una possibilità troppo remota. Vien prima la possibilità di governare senza governo, trovare il candidato per la Presidenza della Repubblica, la battaglia finale tra Bersani e il figlio putativo del tizio di Arcore, e il grande sogno del reddito di cittadinanza, che allora sì che finirà il tormento di sperare un giorno di poter lavorare, essere produttivi, vivere la dignità d’essere utili alla società. Sentirsi vivi.
Rita Pani (APOLIDE)

4.09.2013

 

Il compromesso


Certo non si può dire che il Presidente della Repubblica abbia detto eresie, ma fare ricorso alla storia, senza un minimo di obiettività o onestà intellettuale, può risultare micidiale. È tutto vero, Presidente, nel 1976 si arrivò al compromesso storico, e bla, bla, bla … c’erano le condizioni, sì, è vero anche questo, ma c’erano altre persone, c’era ancora la politica e per quanto ci fosse già la Democrazia Cristiana, lo scandalo Locked e le altre immense porcherie, c’era comunque ancora quella sorta di pudore istituzionale, che ogni tanto si ricordava di non esagerare con l’arroganza del potere.
C’era Enrico Berlinguer a capo del P.C.I che era il partito degli operai, e c’erano anche gli operai. Dall’altra parte, c’era Aldo Moro, c’era Zaccagnini; c’era persino Andreotti, ma immagino che quello ci sarà anche dopo di noi.
Mi ha fatto quasi tenerezza, signor Presidente. La ascoltavo e dicevo: “Che pure per lui il tempo stia tornando indietro, così come capita agli anziani?”
Quale sarebbe oggi il “compromesso storico” da proporre a questa classe di diseredati e disperati che la politica non politica della mafia e della massoneria ha creato e sta ultimando?
Da vecchia comunista il mio pensiero su Moro è quasi inesprimibile, ma sarebbe stupido non riconoscere all’uomo il rispetto che merita se non altro per la sua integrità e caratura morale, figlia forse anche di un rigore religioso che non è da discutere ma da rispettare. Da vecchia comunista, è altrettanto inesprimibile il pensiero che ho di Bersani, ma anche in questo caso, forse per via della politica schiava del “meno peggio” non mi sento nemmeno si paragonarlo o avvicinarlo a quelli che oggi dovrebbero rappresentare la “Responsabilità” di questo paese immondo.
Signor Presidente, davvero pensa che l’unica cosa buona per questo nostro stato disarmato potrebbe essere accordarsi con quel tizio immondo che è berlusconi? Siamo seri, Presidente, e soprattutto rispettiamo la storia.
Quale tipo di compromesso storico dovremmo ingoiare, ancora, dopo l’ignobile farsa delle ultime elezioni fasulle, di facciata, che son servite solo a calmierare gli animi bolliti di una popolazione assoggettata e tenuta sotto scacco dagli spacciatori di democrazia?
Un governo Bersani-berlusconi per le riforme?
Ma ci faccia il piacere, Presidente, ne racconti un’altra, una più divertente, una più credibile, una che non ci faccia ridere fino alle lacrime; che già ci bastano così le dichiarazioni politiche italiane, del bamboccio vestito da Fonzie, dei cittadini ribelli che okkupano il Prlmnt della Ka$ta e contano le caramelle accorgendosi che votare a Giungo sarebbe uno spreco, ma sempre impegnati a non volere un governo, a voler addirittura governare senza un governo, in attesa di avere un nuovo Presidente della Repubblica, che potrà finalmente alleggerire lei delle Responsabilità mai assunte, e fare finta ancora una volta che questo è un paese normale.
Fortuna vostra, la maggioranza degli italiani è pronta a qualunque compromesso. Fortuna nostra, Bersani dimostra di aver senso del pudore – se non proprio dello stato – e fino ad oggi pare resistere dallo sputtanamento globale. Voglio credere che sia rimasta almeno un po’ di serietà.
Rita Pani (APOLIDE)

4.06.2013

 

Povero Pacciani, che non ha più occhi per piangere


Ed ecco qua, l’apoteosi. Qualche giorno fa avevo sorriso davanti a un’altra immaginetta che istigava alla ghigliottina, che recitava pressappoco: “Vedi quest’isola che sembra un paradiso? È di proprietà di D’Alema …” poi elencava anche i modi per raggiungerla a bordo di barche a vela, piccoli aeroplani e via discorrendo. Leggere i commenti è stata forse la cosa più divertente. Grondava il sangue rivoluzionario, che per fortuna non ha bisogno di ferite per sgorgare.
Oggi è la volta dell’apoteosi! Testimonial del dolore e della vessazione il decano dei contadini. Colui che fu antesignano di tutti i mostri sbattuti in TV, intervistati e coccolati dalla nuova generazione di giornalisti avvoltoi: Pietro Pacciani, alias Il mostro di Firenze. Come scordare il siparietto con la pornostar inviata speciale, che ne avrebbe voluto indagare le perversioni?
Ma evidentemente nonostante la Rete sia capace di conservare in eterno le informazioni, la storia, i fatti e gli accadimenti, al solerte creatore dell’immaginetta di denuncia e di protesta, è bastato cercare su Google: “Vecchio contadino”, per trovare la faccia giusta da contrapporre alla Kasta. Il rubicondo Monstro di Firenze, che per 50 anni ha sì lavorato la terra, oltre aver massacrato 16 persone, violentato le figlie, abusato della moglie e un sacco di altre cose bellissime.
Non ci sarebbe nulla di male, anzi, potremmo anche farci una sonora risata sopra l’imbecillità colpevole del divulgatore impegnato, ma … non c’è nulla da ridere.
Sembra che questo nuovo modo di fare politica, ormai  sia l’unico rimasto. Molto più comodo che stare per ore in ginocchio su un pavimento ad imbrattare gli striscioni per la manifestazione. Molto meno faticoso di andar per strada a fare volantinaggio, o stare per ore seduti a scrivere testi brevi ma significativi, che possano aiutare chi legge a pensare. Per far politica oggi basta un programmino per il ritocco delle immagini, e un computer. E siamo tutti pronti per la politica, che commento dopo commento si trasformerà in Rivoluzione, dato che a commento di questa immagine pateticamente ignorante, c’è chi inneggia alla ghigliottina, e non per Pacciani, che comunque è già abbondantemente morto.
E a furia di credere che questa fosse politica, siamo arrivati fino a qui. Ad accontentarci di sentire ed osannare gente che sbraita, contro tutto e contro tutti, ad esigere che venga tolto tutto a tutti, a sperare nella “decrescita felice” (come se la miseria potesse davvero donare serenità), a tollerare la schiavitù sempre guardando con occhi torvi alle altrui ricchezze. È una storia che viene da lontano, dai libri neri sul comunismo che mangiava i bambini e quelli un po’ duri li usava per concimare il terreno, da Roma ladrona e il sud parassita, (lasciando liberi i fascisti di scorrazzare e i leghisti padani di ingrassare). Siamo arrivati a flash mob, che surclassano o sostituiscono le manifestazioni – vecchiume per nostalgici della vecchia politica – i comizi non esistono più, meglio uno spettacolo gratuito che se c’è il cantante è pure più figo.
Siamo arrivati fino all’ignoranza radicale che fa di Pacciani un povero disgraziato; ma in fondo, ora che ci penso, eravamo già arrivati al punto di ventilare la candidatura di Zio Michele nel partito dei pensionati …
Siamo arrivati alla nuova non politica, dei non partiti, della strana democrazia dal basso, all’elogio dell’ignoranza e alla sua orgogliosa ostentazione; e se non ti adegui sei Kasta.
Intanto tutto intorno, si continua a morire per disperazione. Ma non temete, anche su questo, da stamani gira un link, su Facebook. Condividerlo aiuta ad alleggerire la coscienza.
A pugno chiuso.
Rita Pani (APOLIDE)

4.04.2013

 

Un pensiero depresso


Come se fosse una primavera che i fiori, anziché sbocciare volessero seccare. Questa sembra la vita che scorre veloce come le auto a zig zag tra i cumuli di spazzatura. E dove non c’è spazzatura, c’è quel vecchio che tiene nascosta la bottiglia dietro il cassonetto, e beve come un ladro per conservare la sua dignità. La vita scorre veloce, come la madre che si lancia dal balcone, dopo aver avvelenato la figlia. E la vita cade senza potersi più rialzare.
Veloce, come il tempo che passa mentre stai disteso a letto, al buio, a dormire senza sognare perché tanto in piedi, pure se c’è il sole non avresti nulla da fare. Ti giri due volte e già s’è fatta sera.
La vita scorre veloce, in quel vecchio malato che ormai è arrivato così lontano che il tuo viso non lo ricorda più. Conserva solo il tuo nome nella memoria scomparsa, ma non sa più di che colore sono i tuoi occhi, perché il tempo è passato ed è andato troppo lontano. Non sa più quale sia il suono della tua voce, se non quello squittio con cui lo chiamavi da bambina.
E noi siamo qua, e corriamo stando immobili, aprendo finestre in un mondo fasullo che basta ad accontentarci, a dirci tutto quello che potremmo essere ma non saremo mai. Ci basta o ce lo facciamo bastare.
Non esigiamo più nulla, ci siamo arresi alle brutture che ci circondano. Il vecchio con la bottiglia nascosta ritrae le gambe sul marciapiede per far passare le signore che vanno di fretta, e poi le allunga ancora riprendendosi lo spazio, e io sono certa che se pure restasse disteso, nessuno lo calpesterebbe, invisibile com’è.
La donna che si è gettata dal balcone, per fortuna è morta, così nessuno le potrà mai scavare l’anima per scoprire quale fosse la sua disperazione, quale fosse il suo dolore, quale sia stato il suo martirio da offrire in pasto a chi si sentirà fortunato al punto di posare le labbra sul capo del proprio bimbo, ringraziando un dio qualunque per non aver provato lo stesso bisogno.
Il vecchio forse scorderà anche quel modo vezzoso in cui una bambina, gli correva incontro ogni giorno squittendo: “Paaapaaaa”, o scorderà la tenerezza delle manine che frugavano nelle tasche della sua giacca, in cerca della meraviglia di trovarci qualcosa. E non saprà cosa è diventato vivendo la vita sua, ormai distante da tutti, amato da pochi, dimenticato dal mondo.
Circondati dalla spazzatura, dai monumenti che crollano, dal degrado urbano, dal degrado morale e culturale, continueremo a sbagliare persino i sogni da fare.
Non più che il domani sia migliore per tutti noi, ma nefasto e devastante per tutti loro … e i sogni non si avverano mai.
…  Nemmeno quello di esigere la vita. Ne abbiamo diritto ancor prima di vagire. Dicono.

Rita Pani (APOLIDE)



4.01.2013

 

Direttori epilettici, suonatori stanchi


Succede sempre più spesso che saltando di notizia in notizia, così come è possibile fare sul Web, alla fine mi senta pervadere da un grande sentimento di tristezza e sconforto. Da tempo non succedeva di sentirmi gli occhi riempirsi di lacrime. Oggi è accaduto; da domani cercherò il modo che non accada più, perché è spreco.
Tutto parte da una bella intervista rilasciata dal maestro Muti al Corriere della sera, che parte come un racconto di cui cogli il suono pacato delle parole, e finisce alla risposta che il Movimento tirato in ballo dà, (sul sito italiaincrisi) su quella “metafora” del 100%  (metafora?) con l’invito al Maestro di rispondere ancora, di dire ancora, di ravvedersi – forse.
E poi ti imbatti sui commenti. Voglio riportarne due – un botta e risposta – fautori della mia tristezza (sintassi compresa):
[muti è un gran paraculo come lo sono tutti i direttori d'orchestra; furbetti che si spacciano per musicisti anche se non sanno suonare e non hanno mai suonato alcun strumento; non hanno mai composto nulla di proprio e spesso sono pure stonati. Nonostante tutto si sanno vendere molto bene e sfruttando l'ingenuità altrui si spacciano per grandi artisti, intascando un sacco di soldi e per lo più credendo di essere chissà chi. muti va' pure a f............!!!!]
[Giustissimo …… pigliano migliaia di Euro per agitarsi un paio d'ore come degli epilettici mentre gli altri suonano, ma chi volete prendere in giro? Sarei propio curioso di vedere quando guadagna un direttore d'orchestra in paesi civili come l'Islanda o la Scozia e paragonarlo con quello che pigliano in Italia, poi vediamo se Muti parla ancora o si sta finalmente MUTO]
D’istinto vorrei strillare per richiamare l’attenzione di questi due rivoluzionari stellati, ma il mio grido non avrebbe alcun suono, sarebbe sì, muto. Inutile. Sprecato. Vorrei dire: “Attenzione! Sapete quale sia il sacrificio dello studio della musica? Sapete …
Sapere, che bella cosa è. Certo che non sanno, è evidente. Ma peggio è sapere che di sapere non gli importa nulla. Queste persone sono il prodotto della devastazione della cultura, scientemente e meticolosamente apportata in anni e anni di seni siliconati, mutande succinte, e induzione alla consumazione che hanno reso l’italiano quel che è.
 È così triste quel “agitarsi come degli epilettici”, è così indicativo della miseria mentale dell’autore del commento che muove quasi a pietà; per lui e per noi, che volenti o nolenti, proprio come epilettici continuiamo ad agitarci tra la folla, tentando di lasciare un nostro piccolo contributo che vada a colmare questo abisso culturale che ci ha reso così deboli.
Sono molte le cose che ci sarebbero da dire: del bimbo che nel grembo della madre viene cullato dalle sinfonie di Mozart, della capacità che hanno certe sinfonie di placare l’ansia, del piacere che si può provare a lasciarsi trasportare dalle note, quando fuori è buio anche se c’è il sole. Ma non servirebbe a far sapere.
Voglio solo dire una cosa: Nella democratica e meravigliosa America, per ovviare al problema delle stragi degli studenti nelle scuole, in alcuni stati si è deciso di insegnare alle maestre elementari l’uso delle armi, così che possano insegnare ai bambini. Così che si possano difendere in caso d’attacco.
Nel Venezuela del “dittatore” Chavez, ai bambini di strada da molti anni or sono, si regalano strumenti musicali, così che si possano formare delle orchestre, che poi andranno in giro per il mondo a suonare la musica e la cultura. L’anno scorso a Vienna, il concerto di Capodanno, per la prima volta è stato diretto da uno di quei bambini, divenuto uomo, divenuto artista.
Scusate, la lunghezza, peraltro –temo- inutile.
Rita Pani (APOLIDE)

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