8.30.2012

 

Ma dei minatori non dici nulla?


Oggi mi ha chiamato un amico, che non sentivo da un paio d’anni e mi ha chiesto come mai non avessi detto nulla sulla situazione della mia terra, del Sulcis e le sue miniere. Gli ho detto che forse era meglio così, perché tanto si era espresso anche Napolitano. Poi a dire il vero, io del mio territorio ne ho scritto su due libri, che però non avevano sfumature di colore, così che potessero restare a memoria. E non si trovano, i miei libri all’Autogrill.

Ma io che ne penso del sindacalista che si taglia il polso in TV?

Male ne penso. Molto male.

Lo scopo lo ha raggiunto, e di questo dobbiamo renderne merito: ora in Italia si sa che esiste anche il Sulcis, ma a quale prezzo? Al prezzo di sempre, quello della svendita, della colonizzazione, dello sfruttamento e del successivo abbandono. È facile che per un po’ gli operai della Carbosulcis conserveranno il loro posto, perché l’elemosina al Sulcis l’hanno sempre fatta, da quando c’è la storia, ma un’elemosina non è per sempre, non costruisce, non fa radici.

Ma sono sotto con l’esplosivo. Lo dicono in TV con l’aria di signorine molto preoccupate.

E quindi? Fai saltare la miniera con te dentro? Bravo coglione che non sarai né martire né eroe, o solo eroe per la moda di Facebook, che durerà fino al prossimo cagnolino da salvare. L’esplosivo è cosa seria e doveva stare fuori dalla miniera, doveva far saltare chi col carbone, negli anni, le mani non se le è mai fatte nere, ma verdi di danaro.

Lavoro! Lavoro! Lavoro!

Sì, Lavoro. Quale? Quello che i sindacati regalavano ai loro parenti quando si ventilava l’ipotesi che le ditte facessero ricorso alla Cassa Integrazione. Così lo si voleva il lavoro, che durasse due giorni e poi si fosse assistiti, mentre i lavoratori quelli veri sputavano sangue a pulire gli altiforni o si bucavano le carni con la soda caustica, lavorando per ditte esterne, quegli appalti e subappalti, e sub subappalti. Perché i sindacalisti nel Sulcis – ammettiamolo – sono stati davvero la mosca sulla merda per anni e anni, e francamente spero oggi non sia più così.

Rita, Compagna, ma non dici nulla delle miniere?

Sì, dico che mio nonno c’era già nello sciopero del 1920, ma aveva senso. Loro esigevano di essere riconosciuti come lavoratori. Loro aprivano la strada a quello che sarebbe stato dopo il 1970 e quello che ci ha consegnato la storia, che da noi in Sardegna è sempre stata scritta in maniera diversa da come si scriveva in Italia.

Leggo che si vuole la riconversione della miniera, e allora dico che quelli come mio nonno, se potessero tornare dovrebbero prenderci a schiaffi tutti quanti. I minatori del Sulcis dovrebbero chiedere di essere riconvertiti loro, e non la miniera. Dovrebbero esigere il lavoro laddove si potrebbe investire per costruire in un regime finalmente di autarchia, in un territorio che tanto potrebbe dare se rispettato per le sue peculiarità.

Finirà con la stessa elemosina di sempre, che darà la sensazione d’aver avuto un minimo di respiro, mentre sempre i soliti noti, con le loro grandi aziende arriveranno a colonizzare quel poco che ci sarà ancora da sfruttare.

Tutta la mia solidarietà alle persone disperate che in nome di quella disperazione agiscono, ma anche la speranza recondita che la lotta possa portare ad una nuova e vera rinascita. Per tutta la mia isola.

Rita Pani (APOLIDE SARDA) 

8.29.2012

 

Pari e dispari


Vede professore, non si sa se sia vero che per operare la polverini sia stato chiuso un intero reparto ospedaliero, ma io son malfidata e protendo per l’ipotesi verista. Vede professore, questo è grave, ma di più lo è la risposta non risposta, una di quelle voci che paiono arrivare dagli oscuri corridoi, secondo la quale, non sarebbe poi così strano, dato che sono procedure ormai collaudate, non per trattamenti di favore verso i pari della società, ma a tutela dei dispari. In sintesi, se per operare la polverini fosse stato requisito un intero reparto ospedaliero, questo sarebbe stato a vantaggio del malato comune, affinché non si recasse a lui disturbo.
Vede professore, converrà con me che non sarebbe poi strano, se il parente di un malato ricoverato in un angolo di corridoio, sopra una barella e dimenticato, prendesse bene la mira per essere sicuro di non sbagliarsi, no?
Fino a qualche tempo volevate darci le brioche, ora siete andati un passo oltre. Avete prima abolito le differenze sociali unificando le classi, riducendole a solo due: i pari e i dispari; poi avete creato un modello classista, dove ai pari tutto è garantito e i dispari, volendo, possono pure morire per mano loro.
Vede professore, la vostra fortuna è la nostra disgrazia. L’assoluta certezza che la ribellione sia quella di uniformarsi a nuovi modelli che di ribelle non hanno proprio nulla. Cedere alla tentazione del qualunquismo, istigati dalla vostra arroganza, dai vostri patti clandestini, dalle vostre politiche ricattatorie. Voi potete fare i pari così che la gente sogni di scannarvi, certi che tanto non lo farà mai. Sognano grillo ormai, hanno un nuovo paladino, e son certi che prima o poi arriveranno vittoriosi alla meta.
Io le scrivo perché ho smesso di sognare tanto tempo fa, quando ho iniziato a far la fame pur di non prendere nemmeno una briciola delle vostre brioche avvelenate. È un lusso che posso permettermi perché so che morire non è poi così tragico. Ma c’è chi non lo sa e spera ancora, quindi voi potete. La polverini può.
La vostra fortuna è che noi si ulula alla luna, e tutta la merda della società dei pari, la chiameremo casta. Che importa poi, se il 90% degli italioti usa quel termine senza conoscerne l’origine? Che importa se del restate 10, solo 5 hanno letto il libro? Va bene così, la speranza vive così e si alimenta.
Vede professore, ora abbiamo i minatori del Sulcis e il loro esplosivo. La gente inizia a vedere in loro la nuova rivoluzione, ma io che da quel territorio arrivo, so come finirà: un paio di promesse, molte manganellate, e l’esercito a mostrare i muscoli. Poi arriverà un po’ di danaro, e i pari se lo mangeranno, senza nemmeno gettare le brioche dalla finestra. Perché ogni regione d’Italia ha la sua Salerno Reggio Calabria, e alla Sardegna son toccate le miniere.
Che peccato non poter più sognare nell’attività politica di tante brave persone armate fino ai denti, che vi facciano veramente paura. Lo sognavo già vent’anni fa, ma ormai è tardi; io sono dispari, e i miei 48 anni pesano il doppio dei vostri. Chissà, magari nella prossima vita.
Rita Pani (APOLIDE che comunque, se andrà via qualcuno, almeno, lo porterà con sé)

8.28.2012

 

Il senso della minchia di Henry


Forse anche io sono arrivata al punto di non ritorno. Il fatto è che trovo più sensata la notizia sulla minchia del principe Henry che quella sul “Decretone” sulla salute dello staterello italiano. Henry è un principe, il terzo nella linea di successione al trono d’Inghilterra, e per questo non può eccedere con i suoi divertimenti. La fidanzata, umiliata, l’ha lasciato.
Il decretone sulla salute del governo tecnico, ha stabilito che per promuovere la crescita dello stato si deve puntare su un più alto livello di tutela della salute. Oddio! Scritto così, a parte “Decretone”, potrebbe sembrare anche che un senso ce l’abbia, ma non è così, o almeno non è quello che ci piacerebbe sognare.
Ieri, con le mie orecchie, ho udito il ministro per la salute e la sana e robusta costituzione, spiegare al popolo italiano quanto fantastica sia la prospettiva di ritornare all’intramoenia. La giornalista che lo intervistava ha anche fatto finta di essere una giornalista, paventando il dubbio che con la pratica privatistica all’interno degli ospedali, il cittadino semplice non potesse ricevere le stesse cure del cittadino abbiente. “No, anzi, l’intramoenia sarà una garanzia per tutti i cittadini, perché i redditi dei medici saranno finalmente controllati.”
Ha più senso il clamore sulla minchia di Henry.
Intra o extra moenia in Italia da una vita, dopo la visita medica il  dottore ti dice: “Bene signora, sono 200 senza ricevuta fiscale, oppure 400. Faccia un po’ lei.” Ma questo il ministro non lo sa. Forse il ministro nemmeno sa che ormai le visite specialistiche a pagamento sono riservate solo a chi può ancora pagare oppure indebitarsi. Forse il ministro non sa che chi non può pagare è destinato a morire, o vivere a metà portandosi dietro tutti i suoi guai.
Però avremo l’assistenza sanitaria garantita ventiquattr’ore su ventiquattro, dice sempre il ministro con lo stupore di Alice nel paese delle meraviglie. Una novità assoluta che in Italia non si era vista mai, nemmeno con a guardia medica che copre le assenze dei medici di base. Quei dottori che chiami alle quattro del mattino perché hai mal di pancia e l’insonnia ti lascia sospettare un tumore. Quei medici che non si sono nemmeno presentati al concorso indetto a Milano, perché fare la guardia medica, ormai, è faticoso e antieconomico.
Povero Henry, la fidanzata l’ha lasciato. Perché mai un principe non può essere anche un uomo scapestrato, uno a cui piace divertirsi, bere la birra e magari ruttare?
Mens sana in corpore sano! Migliorare la nostra salute sarà un forte incentivo anche per gli operai dell’Alcoa di Portovesme? Educare i cittadini al viver sano tassando le bibite gassate. Rasenta la genialità nel paese che vive i giorni di Taranto come la più grossa emergenza ambientale d’Europa, non sembra anche a voi? È coerente e sensato educarci a non fumare da ragazzi, a non bere Coca Cola, e prender meno medicine in questo paese dove ogni volta che respiri devi fare un gesto scaramantico per sperare di non esserti preso un cancro.
Poi l’apoteosi della genialità: “I video poker dovranno stare a 500 metri di distanza dalle scuole e dagli ospedali”. E qua, dopo essermi scandalizzata più di una volta per le pubblicità televisive che ti facevano intuire di poter risolvere la tua vita giocando d’azzardo, non posso aggiungere nulla, non trovo nulla di abbastanza insultante da dire. E me ne torno alla minchia di Henry. Quella sì, almeno un senso lo ha.
Rita Pani (APOLIDE)

8.26.2012

 

Come un gelato al lampone


All’inizio della stagione estiva, i venditori di cocco camminavano spediti sulla spiaggia e urlavano: “Cocco! Cocco fresco”, poi a metà della stagione gridavano ancora, con minore convinzione. Qualche tempo dopo, semplicemente lo dicevano: Cocco fresco”. L’altro giorno uno di questi uomini con il frigo sulle spalle e la camicia sudata fino ai pantaloni, mi ha guardato, e ha mosso appena un po’ le labbra: “Cocco.”
Il ragazzo del Senegal che per primo mi disse: “Torno in Senegal a Settembre, che almeno là c’è lavoro”, non lo vedo più dalla fine di Luglio. Mi piace pensare che sia tornato prima al paese suo, e che ogni tanto pensi a noi, poveretti, a come siamo ridotti.
Eppure, a sentir le favole del telegiornale, questo per noi dovrebbe essere il momento della ripresa; hanno detto che mai la storia d’Italia aveva visto un consiglio dei ministri, ad Agosto, protrarsi così a lungo: ben otto ore. Era una cosa importante, e si parlava di noi e della nostra crescita. Per esempio finanziare le grandi opere, defiscalizzarle, il Ponte sullo stretto o la Salerno Reggio Calabria. Cose nuove e mai sentite, cose che davvero lasciano sperare. La mafia. Poi però non se ne è fatto più nulla per fortuna. In otto ore i ministri hanno deciso che per crescere bisogna privatizzare: le poste e la cultura. Bisogna fare un concorso per la scuola, con dodicimila nuovi disgraziati che staranno almeno trent’anni in una graduatoria che non si accorcia mai, e che anzi diverrà sempre più lunga visto che le scuole continueranno a chiudere.
Le favole son belle, perché lasciano in bocca un sapore dolce come il gelato di lampone.
La realtà è amara, quella sì, che non viene bene nemmeno a raccontarla.
Cosa sarà mai la privatizzazione della cultura?
La svendita dell’arte e dei musei, la chiusura delle scuole e il finanziamento alle scuole private che – cosa che non si dice mai – è libera di assumere il corpo docente e trattarlo come il corpo di uno schiavo, sottopangandolo, sfruttandolo e ricattandolo. Perché se vai da un preside di una scuola cattolica a protestare, quello ti mette alla porta, esattamente come accade in un call center o in un supermercato, o in uno di quei posti dove si vendono panini di merda con in regalo il giocattolino per il bambino.
Raccontavano la favola della finanza impegnata in operazioni anti evasione: le merci taroccate erano state sequestrate al porto di Palermo. Tutta merce che veniva dalla Cina, così simile all’originale da poter restare confusi. Gli orologi finto Rolex, dicevano, quelli che in questo periodo si vendono ai turisti sulle spiagge.
Raccontano la favola delle liberalizzazioni, senza dirti che nel mondo reale, quando ti svendi un paese al Fondo Monetario Internazionale, poi il debito lo devi pagare.
All’inizio della stagione, i senegalesi vendevano collanine colorate sulla spiaggia, e accendini, e cavigliere. La stagione, nonostante Beatrice, c’è ancora, ma i senegalesi non ci sono più. Siamo rimasti noi, ed è rimasta la campagna elettorale, son rimaste le elezioni e nessuno da votare.
Rita Pani (APOLIDE)

8.22.2012

 

Come fa la sigla del telegiornale?


Non sono giornalista. Sono una scrittrice.
Mi piace precisarlo prima di iniziare a raccontarvi il telegiornale del paese fantastico che ho visto oggi in televisione. Cronache dall’universo parallelo, poteva intitolarsi. Mi son ricordata di quel giornalista, forse francese, ma sicuramente giornalista, che spiegava la potenza della seconda domanda. Quella che nasce spontanea dopo la prima domanda a cazzo.
In Italia non la fa mai nessuno, anche perché in Italia, esiste la prima domanda che dovrebbe bastare ed avanzare.
La prima notizia del divertentissimo telegiornale, oggi, (Skytg24) era incentrata sui dieci mesi di squalifica dell’allenatore della Juventus Conte. Difficile immaginare di sedersi a tavola non sapendo l’esito del processo d’appello incentrato sul calcio scommesse. La seconda però, come in uno spettacolo comico che si rispetti, annunciava in maniera allegorica – quasi – che la benzina aveva raggiunto un tetto caldissimo. Due minuti e mezzo di tempo per collegare la notizia dell’estorsione di 2 euro per un litro di olio combustibile, democraticamente sottratto ai poveretti giustiziati dalla guerra contro il terrorismo, a lui: Lucifero.
13 minuti e mezzo di tempo prezioso incentrato su una notizia sconvolgente: fa caldo. A Maggio ci stava pure. Era il periodo in cui eravamo stanchi di un inverno troppo rigido, al quale non siamo geneticamente abituati, e attendevamo di poter sudare senza faticare. Ma passato il Ferragosto, ho trovato esilarante la poveretta in collegamento da Roma, che in compagnia dell’esperto annunciava i giorni e i bollini. Poi, proprio come fosse Maggio, la cronista mortificata chiedeva all’esperto come proteggersi dal gran caldo.
Uno scienziato: “Non uscire nelle ore più calde, bere tanta acqua anche se non si ha sete, ed indossare abiti leggeri.” Ecco, qua ho sentito la mancanza del giornalista e della seconda domanda: “Le pare che a qualcuno potrebbe venire l’idea di coprirsi come se fosse inverno?”
Poi Pesaro, perché a Pesaro c’è caldo e c’è pure un incendio.
Un’altra poveretta sta di spalle al mare e da studio le dicono che è fortunata, a stare sotto il sole delle tredici, che almeno è al mare. Lei esordisce con una frase da antologia: “Sì, sono al mare ma fa caldo.” E poi, appunto l’incendio, col comandante della Forestale che quando sta per dire della difficoltà per la mancanza di fondi della lotta antincendio inesistente, viene drasticamente tagliato.
Chissà, forse 13 minuti di nulla parevano troppi anche a loro.
E dopo il bello, con l’ottimismo per questa economia che finalmente vede la possibilità di tornare a respirare, con i morti ammazzati e tutte le tragedie quotidiane, buttate là a caso, fino alla legge porcellum, che ora leggo, forse diventerà porcellinum.
Eh?
Sì … porcellinum.
Da Reggio Calabria è tutto, anzi no. Manca un Vaffanculo!
Rita Pani (APOLIDE)

8.21.2012

 

Il sole va a dormire dietro Messina


In una rassegna stampa serale, sarebbe più facile scegliere le notizie da rilanciare. Son tante quando il sole cala e la luce dalla mia finestra diventa rosa dietro la Sicilia. È però l’ora del relax, quando dalla cucina arriva l’odore della cena che cuoce lenta, e ho anche qualcosa con del ghiaccio in un bicchiere sulla scrivania. In fondo potrei anche evitare, ma è che mi è rimasta una cosa appesa da ieri, e la vado a ricercare.
Ci son tante cose, ma c’è una notizia che non c’è: quella di un altro operaio rimasto senza lavoro, che si è recato in un parco e si è dato fuoco. E di ieri, ma non c’è, perché oggi è già domani, e anche perché c’era scritto che “forse” aveva debiti di gioco. FORSE – dico io – non aveva giocato responsabilmente, come in maniera opprimente e martellante vorrebbero insegnarti dalla televisione, quando la pubblicità ti invoglia a connetterti a siti di poker on line, o di grattare in modo forsennato le cartoline che stanno appese nei tabacchini, dove con la Lottomatica, ormai, puoi scommettere anche ogni cinque minuti, e poi guardare inebetito un altro televisore che presto ti dirà se Monti, a Rimini, ha avuto ragione. Se la tua crisi sta per finire. Insomma, se era oberato dai debiti di gioco, e per questo s’è dato fuoco, cazzi suoi. Questo dice il non esserci della notizia.
Sorseggio. C’è ancora Monti in prima pagina e le sue rassicurazioni sulla crisi che sta per finire. Un passo avanti rispetto a quell’altro tizio idiota che diceva invece che nemmeno c’era. E applausi e premi: oggi Milano è stata la miglior borsa d’Europa. C’è così tanta enfasi negli articoli che ti verrebbe da urlare: “Amore! Usciamo! Andiamo a sputtanarci un centone …” Fortuna che son pigra, sto sorseggiando una cosa e sono in mutande.
C’è ancora Comunione e liberazione con i soliti strascichi di un palco importante, di parole importanti, di una vetrina eccellente nella quale si esibiscono da anni tutti i fenomeni da baraccone italiani. For Minchioni per esempio, che per fino all’anno scorso faceva le sue porche figure, con i soldi intascati a Milano. Ma quest’anno non è stato osannato, e anzi, da Rimini arriva l’ultimo pericolo pestilenziale: la sparizione del genere umano per via della possibilità di far unire due persone dello stesso sesso in matrimonio. Oh sì, sarebbe una tragedia veder calare le nascite dei bambini per colpa degli omosessuali. E a me viene il dubbio che stia sorseggiando qualche allucinogeno.
Ci sono ancora molte notizie, e il sole piano sta andando a dormire là dietro Messina. Ci son altri pericoli: per esempio poter stabilire in casa se il bimbo che porti in grembo, domani, avrà la sindrome di Down. C’è il rischio di un incremento di aborti. Ancora il rischio dell’estinzione della razza umana. E qua però mi devo fermare, perché non mi resta ironia, pensando a quale trattamento riserviamo a queste piccole creature. Amate come ogni altra dai propri genitori, spesso impossibilitati ad andare avanti, perché ad ogni giro di ruota si tagliano i fondi per la sanità. Mancano i mezzi, le cure, l’assistenza scolastica. Manca la possibilità di offrire anche a loro, così come ad un operaio, ad un anziano, ad un precario, a un disoccupato, ad un inquinato la possibilità di guardare sereno a domani.
Ed ecco che torna la pubblicità, quella che è facile connettersi al sito del poker, e vincere così tanti soldi da poter gridare al miracolo, ma mi raccomando, gioca responsabilmente o dovrai fermarti quando avrai abbastanza danaro per comprare una tanica di benzina, che la banca, un prestito non te lo fa.
Il mio bicchiere è finito.
Rita Pani (APOLIDE)

8.19.2012

 

Angelo Di Carlo


Non ci saranno i funerali di stato per Angelo Di Carlo, e nemmeno una prece, dato che ancora sui giornali si domandano quale sia stato il motivo del suo gesto. Non ci sarà nemmeno la retorica politichese, una falsa domanda a cu dare una falsa risposta. Sui social network continua a girare la sua fotografia, sorridente, forse in vacanza, e scritte di quelle che ci fanno sentire tutti meglio, a scriverle cubitali: Assassini, o robe così. Marchiando la foto con i logo dementi che spesso gli utenti s’inventano perché nessuno glieli rubi . quasi fosse davvero arte.
Ho provato a ricordare il nome dell’ultimo disgraziato che si è ucciso, e non ci sono riuscita. Ho provato a ricordare il viso dell’ultimo che si è ucciso. Non sono riuscita nemmeno a far questo. Mi ricordo che in tanti, in troppi si sono ammazzati “senza che si sapesse il motivo”, anche quando era chiaro o palese che tutti erano uniti dal destino di fame e disperazione, legati dalla perdita della possibilità di vivere una vita dignitosa.
E mi spiace anche che oggi, per tutti, l’assassino sia Monti.
Questo vuol dire che allora meritiamo di aver scordato gli altri nomi, e gli altri volti, perché dimenticare ci aiuta a sentirci “nuovi” tutti i giorni. Scordare l’ultimo lento ventennio di storia italiana che ci ha condotto fin qui, fino alla strage degli innocenti, di ogni colore, razza o religione è l’errore peggiore che si possa fare.
Ci proteggiamo, forse, credendo che ogni giorno sia nuovo, che ogni alba ci conservi un destino diverso, perché portare sulle spalle il bagaglio accumulato, potrebbe poi farci sentire stanchi, così stanchi da decidere di darci fuoco davanti al Parlamento.
Angelo Di Carlo è morto oggi e sarà scordato domani, nemmeno diventerà un numero dato che è impossibile stabilire quanti siano fino ad oggi, tra impiccati, sparati, suicidati …
Ed è un peccato che così in fretta ci si possa abituare anche a questo, solo magari ancora una volta per poter trovare un minimo di consolazione, quella che a qualcuno può venire dal pensiero che se l’ha fatto . poveretto – doveva stare un po’ peggio di noi.
E intenti a rassicurarci di poter sopravvivere ci scorderemo anche si esigere, almeno, delle scuse, e il rispetto della nostra identità, del nostro essere umani.
Rita Pani (APOLIDE)

8.18.2012

 

Per fortuna che Monti c'è


Professore, che piacere! È dai tempi in cui il professore era Romano Prodi, che non sentivo così forte l’esigenza di comunicare con voi, tutori del potere.
Per prima cosa la ringrazio di non essersi schierato a favore di un gesto di clemenza verso le Pussy Riot; sarebbe stato come sentirla cantare la musichetta idiota del Pulcino Pio. Poi la ringrazio per la facilità con la quale cede alla tentazione di rispondere a qualunque domanda le venga posta da un giornalista di un qualsiasi giornale.
Le faccio i complimenti, ricchi di tutta l’ammirazione che ho verso coloro i quali riescono a tenere la testa alta nonostante siano l’esempio più eclatante del cerchiobottismo più squallido.
Comprendo che rispondendo alle domande della rivista “Tempi” di orientamento cattolico, non potesse essere blasfemo, ma forse avrebbe potuto conservare un minimo di falsa dignità, così da mostrare a noi ultimi, dimentichi persino di Dio o di chi per lui, che tutto ciò che subiamo e tutte le nefandezze alle quali ci sottoponete, hanno un fine meritorio: sopravvivere. Invece no. Come l’altro giorno la sua collega Cancellieri, anche lei, spinto dalla forza di inerzia che vi dà l’arroganza, si è lasciato andare a sproloqui offensivi per la dignità e l’intelligenza altrui.
Sorvolando sulla promessa fatta in ginocchio ai suoi complici clericali, di non diminuire i finanziamenti per le scuole private, mentre scientemente distruggete e disintegrate la scuola pubblica, annuncia che “L’Italia è in guerra contro l’evasione fiscale.” In un paese civile, il popolo le avrebbe fatto la ola, ma continuando a leggere i suoi accademici sproloqui, scopriamo che l’Italia è in guerra contro gli evasori fiscali, “per il grosso danno che provoca nella percezione del Paese all’estero.” Poi spiega meglio che in pratica, gli evasori fiscali fanno credere al mondo che l’Italia sia un paese ricco che non vuol partecipare al sacrificio. Pur non essendo professoressa – per mia fortuna – spiegherei in maniera più chiara: “Gli evasori fiscali danno ad intendere ai poteri delle banche e al capitalismo che vuole risucchiarci, che non è disposto a cedere anche il proprio capitale.” L’evasione fiscale, fa sì che il grosso ladro capitalista non perda nessuno dei suoi agi, mentre chi vive succube dello stato che lo ha incatenato, non potrà nemmeno tentare di ribellarsi non pagando le tasse che gli estorcete automaticamente sottraendole dalle sempre più scarne buste paga.
Tralasciamo anche le altre piaggerie offerte alla “santa” platea di comunione e liberazione che l’attende domani (mi saluti tanto For Minchioni che di evasione fiscale e corruzione ne sa una cifra), e veniamo alla “Trattativa Mafia e Stato”.  Complimenti professore! Potesse insegnarmi come non inorridire mentre la pronuncia, le sarei grata. Perché sa, forse per via della semplicità, noi popolani, ancora non ci capacitiamo che lo stato sia sceso a patti con la mafia, fino a ripagarla con porzioni di stato e istituzioni, col nostro danaro e spesso con la vita di quei pover’uomini che oggi, calpestati da voi, si potrebbe pure avere il dubbio che fossero dalla parte giusta. Lei, professore, annuncia “grandi novità legislative” e dopo altri sproloqui sprofonda nella melma che le ha lasciato il suo predecessore: gli abusi delle intercettazioni telefoniche. Gli abusi della magistratura. Gli episodi gravi, facilmente riconducibili alle chiacchierate venute fuori dal Quirinale. Non posso aggiungere altro, avendo io rispetto della sua intelligenza.
Complimenti professore. Noi annaspiamo, lei nuota benissimo. Lei non si vergogna nemmeno un po’, noi invece ci aggrappiamo al grande disgusto che non ci fa più sentire vagamente italiani. Lei ha la certezza di poter andare avanti spedito perché non ha altro di cui occuparsi se non la nostra estinzione, noi invece, in modo forsennato, saltiamo da una lotta a una battaglia,come un marinaio su una barca fallata.
E avete vinto voi.
Rita Pani (APOLIDE)

8.16.2012

 

Cervelli in pappa


C’è da ammetterlo è stata una lunga estate calda. Molto calda. Così calda che evidentemente ha mandato in sofferenza gli ultimi neuroni rimasti attivi nei cittadini. In vero, parrebbe che anche qualche sicario di governo abbia avuto una fusione neuronale, ma è solo apparenza. La loro materia grigia è fresca.
Mi piace pensare che si divertano a tirare la corda, certi che mai si spezzerà. Ho smesso di credere che questo possa avvenire per un rigurgito di dignità. Ormai, come in un film di Mel Brooks, i sicari potrebbero sedersi davanti a una telecamera e dirci qualunque sozzeria. Noi staremo a discuterne per giorni, traendo da esse anche qualche insegnamento. Sbagliato.
Cancellieri: “Tagli alle scorte, ma senza ideologie.” Se avesse la pazienza di spiegarmi, sicario ministro, le sarei grata. Cosa significa? Che abbiamo corso il rischio di lasciare liberi i criminali di uccidere “le toghe rosse” per strada? E quindi che esistono le toghe comuniste impegnate a perseguitare l’ex tizio criminale?
Cosa c’entra, signor ministro sicario, l’ideologia politica con una scorta? Vorrà forse dire che c’è rischio che per far dispetto a un ex amico, qualcuno può proporre di eliminare un privilegio? La scorta, non dovrebbe servire a proteggere le autorità che per aver lavorato a tutela delle istituzioni, oggi hanno la vita a rischio?
Sarebbe ideologico, togliere le scorte pagate dai cittadini italiani, a quella feccia di amichetti, complici, affiliati, mafiosi che per anni hanno usato uomini dello stato come gadget di lusso da mostrare come cagnolini in borsetta?
Ci sarà qualcosa di ideologico, sicario Ministro, anche nei guanti dei pompieri che non isolano dal calore, e che hanno provocato gravi ustioni a due vigili del fuoco? (Come gli scarponi di cartone dei minatori sardi, durante il fascismo, che si disintegravano a contatto con l’acqua)
Si divertono, ne sono sicura. E fischiettano sorridenti ad ogni approvazione di decreto. Da oggi i medici, per esempio, dovranno motivare la scelta di un farmaco “non griffato”[cit.] qualora decidessero di prescriverlo a un paziente che ne ha bisogno. Si può anche arrivare al punto in cui, il paziente viziato dalla griffe, decida di pagare la differenza tra la merda di stato e la medicina da ingoiare. Certo che ci ridono dietro, è normale, dato il silenzio.
Soprattutto perché dopo leggi che per salvare l’allora direttore della propaganda di rete 4, oggi siamo costretti a pagare 1.500 euro al giorno al signor Francesco Di Stefano, legittimo proprietario delle frequenze. E perché leggi che nonostante sia palese la bufala del Ponte sullo Stretto, intorno al progetto fantasma nascono nuovi contratti, e nuovi falsi progetti, la cui non attuazione ci costerà domani altre (a l t r e) penali milionarie, che la mafia dello stato italiano, s’impegna a pagare alla Mafia altrui.
Certo che ridono, e sono felici. Come scienziati davanti ad una nuova scoperta, gongolano eccitati, ormai sanno che potranno spingersi ogni giorno più in là, restando impuniti.
Rita Pani (APOLIDE)

8.13.2012

 

E manderemo i ministri a Taranto


Ehi Compagno Ga, ti ricordi quando riuscisti a portare Riva nella tua aula? Qualcuno aveva scritto sul muro dell’Ilva “Riva Assassino”, e lui s’era proprio incazzato.
Tu non ci sei più, Taranto ti ha portato via da chi ti amava, e anche da me. E non lo sai che il vecchio padrone, sporco e capitalista, è agli arresti domiciliari. Poca cosa, lo so, in confronto ai cadaveri accumulati negli anni, ma noi compagni spesso ci siamo dovuti accontentare delle piccole cose.
L’ultima volta che siamo passati con la tua Citroen la dietro il muro dei camini di fumo e di morte, mi spiegasti il ricatto al quale la città sottostava, di quella scelta orribile tra la vita e la morte, che era pur sempre morte, solo un po’ più lenta. C’era ancora tanta gente là dentro che sperava di non perdere il lavoro, ma di più sperava di non doversi ammalare, di non dover vedere ammalarsi i propri figli.
Ti penso spesso in questi giorni, vecchio Compagno. Ti ho pensato molto quando la magistratura ha detto basta, quando gli operai sono scesi in strada, quando i sindacati non si capiva bene da che parte stavano. E mi son chiesta con chi saresti stato tu. Oggi poi mi son risposta, quando un operaio ha spiegato che la saga non è così come ce la raccontano, che finalmente gli operai hanno compreso che se devono scegliere tra la propria morte civile, e la vita dei propri figli, non avranno dubbi: sceglieranno la seconda.
Oggi ti ho rivisto con la toga e ho sorriso, per tutte quelle cose che avevi capito, che mi hai raccontato, e per quelle di cui nessuno parlerà. Tu, prima di tutti sapevi che Riva, l’assassino, non si tocca, perché è uno di loro.
Caro Compagno, se sapessi quanto son cambiate le cose in questo poco tempo, da quando non ci sei più! Ora tutto è alla luce del sole, perché il nuovo governo è così avanti e trasparente che per mettercela al culo non ha più nemmeno bisogno di arzigogolare. Sono i sicari, quelli che come nei film americani resteranno impuniti, sono in missione per conto di Dio, non hanno bisogno nemmeno di nascondersi.
Tu non lo sai Compagno Ga, ma Taranto ha rischiato davvero di cambiare, e di poter tornare a respirare. È durato poco, ma è stato un bel sogno. Un magistrato, ad un certo punto, ha posto sotto sequestro la fabbrica di morte, e come ti dicevo, Riva agli arresti. Poi il pdl, con i soci del pd, si sono opposti, e il governo – quello serio che lavora per noi – è intervenuto: manderanno i ministri in avanscoperta, perché dicono, non si può chiudere l’Ilva, sarebbe un disastro. Sì lo hanno detto davvero, e lo faranno davvero, solo che la gente penserà che deve andar così per avere ancora un po’ di pane, mentre tu avresti ripetuto ancora una volta, che Riva non si tocca … che non si può … perché è uno di loro.
Oggi a me non resta altro da fare se non pensarti con forza, perché sì, tu lo portasti nella tua aula, ad un metro da te e la tua toga, ma poi anche tu da buon Tarantino hai dovuto morire. E in tua memoria firmo gli appelli per salvare altra magistratura, quella che ti somiglia, quella che aveva il senso del dovere e l’ideale dentro il cuore. Oggi tutto è cambiato Compagno, oggi lo Stato non esiste più, è solo un’azienda in mano a un piccolo grumo mafioso, che sacrifica parte di sé, se necessario alla SUA sopravvivenza. Ma tu già, almeno questo del futuro, lo sapevi.
A pugno chiuso, Compagno.
Rita Pani  (A Gastone De Vincentiis grande Uomo)
  

8.12.2012

 

Se fosse un paese normale, non sarebbe l'Italia


Poi, alla fine, tutti concordi a dire: “L’Italia non è un paese normale.” Anche io, colpevole, l’ho scritto più volte, e ora scopro di essere stata vittima della stessa formuletta ripetuta fino alla nausea, proprio come un mantra.
Insomma, è diventato normale, che l’Italia non sia un paese normale, al punto che nemmeno ridiamo delle cose che dovrebbero far ridere o ci indigniamo per quei fatti che dovrebbero destare la nostra indignazione. Allora, siccome non siamo più normali, ma normalizzati, tutti giù a ridere perché quella strana cosa della santanchè, promette per Ottobre, un milione di persone in piazza per “silvio”.
Che c’è da ridere? A mio avviso proprio nulla. Non è strano, non è nemmeno impensabile che l’operazione possa andare a buon termine. Portare e deportare un milione di persone in piazza, oggi, non è difficile: ci riuscirono con 30 euro un panino e una bibita, oggi potrebbero anche abbassare il prezzo, e al posto della bibita dare solo una bottiglietta d’acqua scadente. La gente ci andrebbe, aggiungendovi la speranza di poter vedere da vicino, una di quelle facce che così tante volte hanno visto in televisione. Non importa che piaccia o no, l’importante è la foto scattata col cellulare o poter dire: “Io c’ero. L’ho visto! Ammazza oh! Fa davvero schifo da vivo. E poi mi hanno dato anche venti euro.” Per le deportazioni, sappiamo come funziona: basta una casa di riposo di proprietà di un connivente e qualche pullman con l’aria condizionata. Forse la promessa di una bella gita o di un premio al termine della giornata. Così capita già.
Peccato davvero che l’Italia ormai sia un paese anormale, questo ci ha fatto perdere l’occasione di una sonora risata, una di quelle gratis, che riempie tutta la bocca. C’era ben altro nelle dichiarazioni di quella vecchia cosa lurida, ossia il veto, per Passera, di ricoprire in futuro la carica di Primo ministro. Un sacrosanto divieto dato dall’etica e dalla morale: “Passera – dice la zoccola – è un evasore fiscale.” (Mi asciugo le lacrime, che per fortuna ancora riesco a ridere)
Se l’Italia non fosse stata così tanto normale nella sua anormalità, il giornalista sarebbe saltato sulla sedia: “Ma come? È come se domani, maroni dicesse che borghezio non può essere ministro perché è un razzista. O come se domani un vescovo dicesse che molestare un bambino è reato, oltre che mero peccato. È come se dell’utri si opponesse alla candidatura di cosentino, perché o’americano è vicino al clan dei casalesi …”
Invece no … tutti preoccupati per un milione di morti di fame che venderebbero le proprie figlie per un pieno di benzina. Della dignità e dell’intelligenza, noi ce ne fottiamo.
Perché l’Italia non è un paese normale, e se lo fosse non sarebbe l’Italia.
Rita Pani (APOLIDE)

8.09.2012

 

Medaglie d'oro all'ipocrisia


Oggi non rido perché non ho voglia, e non ho voglia di essere gentile, nemmeno di far finta che tutti quelli che leggono siano in grado di comprendere o di far la rivoluzione. E per la prima volta, rivoluzione lo scrivo minuscolo, perché è solo una parola, una come tante; una di quelle che abbiamo masticato come una cingomma nella bocca di un bambino, così tanto a lungo che non ha più sapore.

Che peccato lo spreco che facciamo di noi, e delle nostre esistenze, bruciate in fretta come un falò d’estate, di legna troppo secca. L’esistenza che s’impara guardando il piccolo schermo di un telefono, il rifugio che si trova celando la propria identità, scordandosi di sé e delle proprie certezze, che di fronte alla vita che ci hanno inventato, paiono nulla, nemmeno degne d’essere vissute.

Siamo un popolo telecomandato, che s’incanta del dolore altrui ma non lo comprende perché dal dolore fugge; s’incanta degli eroismi altrui perché eroe non lo sarà mai, e neppure saprà di esserlo stato il giorno che guardando suo figlio, cresciuto come “una persona per bene” eroe lo sarà davvero, e anche molto fortunato.

Che tristezza l’ammirazione per Oscar Pistorius, le immagini del giovane sudafricano che abbraccia una bimba, anche lei senza gambe. Che amarezza i telecronisti delle olimpiadi che s’interrogano sulla giustezza della sua partecipazione alle gare dei “normali”. Che dolore le sue parole di felicità per essere “arrivato” fino a là. Tutti concordi a riconoscerne l’eroismo, anche noi italiani, che lui ringrazia sempre per essere stato accolto. Il nostro è un paese così, fatto di brava gente che si commuove. Il nostro paese applaude a Pistorius, ma rifiuta il diritto allo studio a una ragazza disabile, maturata col massimo dei voti e con la lode, da casa sua, dal suo letto, collegata via webcam con chi dalla scuola le insegnava. Costa troppo tenerla all’università: una connessione Internet, un computer e una webcam …

E il giovane Schwazer? Da giorni le sue lacrime accompagnano il pentimento mediatico. La sua fidanzata è una ragazza per bene, e non lo lascerà. Ha sbagliato a gonfiarsi in prossimità delle Olimpiadi. L’errore è tutto suo, confessato e perdonato da tutti gli italiani, tutta brava gente capace di comprendere di tendere la mano. Tutta la gente, ma non lo stato. Povero Schwazer, non potrà più essere carabiniere. Lo stato è severo quando si tratta delle sue istituzioni, e un dopato non può certo rappresentarle, non ne può diventare un eroe. La divisa è la divisa e bisogna sempre onorarla, dopo averla indossata anche per giurare la fedeltà allo Stato e a tutti noi.

Povero Schwazer, che voleva solo vincere una medaglia all’Olimpiade. Se solo avesse desiderato di picchiare un ragazzo, di ucciderlo in caserma o per la strada, pestandolo o sparandogli a un posto di blocco, forse noi non lo avremmo perdonato, ma lo Stato, il nostro, decisamente sì. O fosse morto lui, magari di overdose … magari almeno alla brava gente sarebbe dispiaciuto. Solo un po’ che è sempre meglio di nulla.

Rita Pani (APOLIDE)



8.08.2012

 

Ci fosse uno più pazzo di me


Chiedo scusa, sorrido. “La Fornero dice che sarà un autunno caldo”. L’ho appena letto su un quotidiano on line. Vi ricordate? Una volta chi minacciava l’autunno caldo erano i sindacati, gli operai incazzati, gli studenti … altri tempi, verrebbe da dire. Roba da vecchi, da nostalgici comunisti che a nessuno verrà in mente di accusare di mangiare i bambini.

Al massimo ci diranno che se “tornano” al governo i comunisti – proprio come se ci fossero già stati - aboliranno la proprietà privata. E ora mi verrebbe da parlarne dell’abolizione della proprietà privata, ma se lo facessi mi prendereste per matta, perché in realtà nessun comunista ha mai inteso “proprietà privata” qualcosa che fosse del singolo cittadino (l’auto, la casa, il conto in banca), ma la proprietà del capitalismo, derivato spesso dallo sfruttamento del singolo operaio. In realtà era tutto un po’ più complesso di così, ma servirebbe approfondire?

Mi sento vecchia, eppure sorrido. Ci stanno privando della proprietà, e lo fanno con eleganza, usando quei termini nuovi che vanno a sostituire quelli vetusti, proprio come prevedeva la propaganda berlusconiana, con l’ordine di “svecchiare”. Hanno approvato la “spending rewiev”, per esempio, e a sentirla raccontare dai telegiornali, questa legge è indolore: tagli necessari e risparmi sui ministeri. Uno a sentire si sente rassicurato tanto da allentare la stretta delle mutande di lamiera che usa a protezione. Quindi mi domando se sia giusto ricordare a chi ha la bontà di leggere, che “taglio ai ministeri” significa “taglio dei servizi per il cittadino”.

Unico tasto dolente, dicono: la sanità. Bisogna tagliare i posti letto, e le regioni con i deficit maggiori, saranno autorizzate a imporre l’aumento dell’addizionale IRPEF, fin dal prossimo anno. Poi il cronista sorridente dice che “per fortuna è slittato l’aumento dell’IVA”. Non è possibile non sorridere, fosse anche solo per cedere alla stanchezza e allo sfinimento. Hanno anche dato mandato ai telegiornali di spiegare bene ai cittadini quanto costino, per esempio, le intercettazioni ambientali svolte durante le indagini per mafia e corruzione, di modo che sia possibile accontentare quella parte di parlamento mafioso che si tenta di salvare.

Oltre il danno la beffa. Sarà proprio questo manipolo di fascisti, criminali e  capitalisti a privare il popolo della proprietà. Si perde il lavoro, il diritto alla salute, all’istruzione, alla casa, all’esistenza decorosa. Quel che resta di questa farsa politica si ricostruisce una verginità ergendosi a paladini del sacrificio, annunciando “piani antidebito”, perché gli indebitati, comunque, restiamo noi e le prossime due o tre generazioni.

Ci fosse uno che domani, pazzo più di me, dicesse: “Ho un piano: statalizziamo le industrie, la sanità, i servizi – tutti – estromettendo la criminalità dal paese e dalle istituzioni, aboliamo le scuole private e organizziamo un sistema scolastico a cui tutti abbiano non il diritto ma l’obbligo di accedere, investiamo nella cultura, nella scienza, nelle arti …

… Sto esagerando, mi sa …

Rita Pani (APOLIDE)

8.04.2012

 

Torno in Italia e ti spacco il culo - una storia a lieto fine


Non scordiamoci che c’è “la crisi”, che è mondiale. Che nessuno sa bene come uscirne, tranne noi che la paghiamo con la vita. Teniamolo a mente per divertirci mentre rimettiamo insieme i tasselli della storia recente che rischia di diventare quella futura.

Per esempio La Maddalena. La vedi dal mare mentre il traghetto attracca, quella costruzione di metallo e vetro che sembra poggiarsi sull’acqua. Fa male guardarla immaginando cosa poteva essere quella costa prima che l’uomo ne abusasse. Poi leggi sul giornale che quell’obbrobrio costatoci 460 milioni di euro per dare “una casa di vetro a Obama” durante il G8, e un pugno d’onore alla megalomania di un palazzinaro affiliato alla mafia, giace in rovina abbandonato alla mercé del mare e degli uccelli che l’hanno destinato all’uso di cagatoio. Fa malissimo ricordare che in Sardegna qualcuno provò ad opporsi all’ennesimo scempio, ma di più ricordare quanti cialtroni dementi, miei conterranei, all’epoca ringraziarono quel tizio mafioso per “la meravigliosa opportunità” che il G8 rappresentava per la mia terra. Sfumato il meeting mondiale, e trasferita la cassaforte da svuotare a L’Aquila, l’opera faraonica del megalomane venne “regalata” alla Marcegaglia per la trasformazione in albergo e la gestione. Oggi, essendo ingestibile ed essendo  diventato cagatoio di extralusso per gabbiani diarroici la Marcegaglia chiede allo stato 10 milioni di euro per i danni arrecati dalla natura.

Dicono che siamo in pericolo, che la crisi economica ci sta divorando. Sarà che sono “crisi – scettica”  e mi vien da ridere. Al Fano, l’altro giorno, uno di quei giorni in cui al mattino appena svegli abbiamo appreso dell’ennesimo schizzo dello spread, dichiarava: “Stiamo ancora aspettando le scuse per berlusconi, per essere stato accusato ingiustamente dell’elevarsi dello Spread.” Ecco, sì, le scuse mi sembrano un bel modo di proseguire nella nostra storia. Magari in forma solenne, così come si deve agli imperatori, ai re e ai padroni. Con pubblica gogna, magari feste di piazza e ragazzine seminude da offrire in sacrificio.
Verrebbe spontaneo, in fondo, soprattutto leggendo altre cronache, quelle che narrano di un criminale che aveva in pugno le nostre vite, e che per la sua criminalità e il suo malaffare, per la sua collusione mafiosa, i suoi vizi privati che hanno intaccato l’onorabilità di un paese intero, veniva ricattato da chiunque con richieste di danaro multimilionarie. Il mafioso dell’utri, un piccolo esercito di troie, i leghisti cerchiomagicisti e il fantasmagorico Lavitola.

Mi ricordo che tanti anni fa lessi il carteggio Churcill – mussolini e ne restai impressionata. Me li figuravo intenti a ragionare sulla scelta delle parole, mentre parlavano del destino del mondo. Oggi son qua che penso a un mio futuro nipotino, che con lo stesso interesse leggerà la storia d’Italia e i carteggi del tizio con gli altri che questa storia l’hanno fatta: dal culo flaccido, alla cara Betty, dalle compravendite di senatori al magico “ambasciator” Lavitola, il quale scrisse dal suo esilio: “Caro silvio, o mi dai due milioni di euro o torno in Italia e ti spacco il culo.”

Smetto di ridere e ripongo la domanda al Professor Monti: “Per quale strano tipo di motivo, dobbiamo esser noi a pagare con la vita per lo scempio effettuato da questa feccia?” La domanda, ovviamente, non avrà risposta. Lo stato pagherà i danni alla Marcegaglia. Il tizio scagionerà Lavitola e magari diventerà Presidente della Repubblica. Happy end.

Rita Pani (APOLIDE)


8.02.2012

 

Siamo affamati e folli


Steve Jobs oggi sarebbe stato un uomo felice: finalmente siamo affamati e folli.

Ho deciso di smettere di parlare di “Crisi economica”, perché non esiste. E neppure di giustizia, o equità sociale. Son tutte balle; sogni da fare a occhi aperti, magari suggeriti dall’elettrodomestico ipnotizzante, capace di lasciarti ammorbato e annichilito, incapace persino di condurti all’azione o alla reazione.
Siamo decisamente affamati e folli, come gli operai di Taranto. Affamati al punto di difendere la fabbrica che gli uccide, folli abbastanza da scegliere di morire, convinti che quel tipo di morte sia sopravvivenza.  E nemmeno ci si può azzardare a criticare o giudicare, se si pensa che spesso i veleni dell’Ilva sono l’unica fonte di reddito capace di campare una famiglia.

L’altro giorno si ventilava l’ipotesi di impedire ai medici la prescrizione di “farmaci griffati”. L’idea era quella di far prescrivere solo il principio attivo. Fortuna che siamo folli abbastanza da proteggere le multinazionali farmaceutiche, almeno potremo continuare ad avere le medicine, e poco importa se per farlo, per esempio, si dovrà continuare ad ammalarsi all’Ilva. Un giorno o l’altro riusciranno ad essere più chiari, ad avere il coraggio di dire che ai poveri si potranno prescrivere solo pezzuole bagnate e grandi sorsate di acqua fresca, magari di sorgenti inquinate dalle perforazioni della TAV, o dai test delle armi nucleari israeliane effettuati in Sardegna.

La fame porta sempre alla follia. La fame dovrebbe renderci leoni, e invece siamo un branco di coglioni. La fame dovrebbe aiutarci a lavorare per saziarci, invece siam qua a guardare Vendola che vuole candidarsi alle primarie del PD. E se ne discute, così come si discute di crisi economica, proprio come se fosse una cosa seria, e vera. Se ne parla come di Dio o dello sbarco sulla Luna, come l’ennesimo segreto di Fatima, come la profezia dei Maja, o il ritorno del tizio, quello mafioso che finalmente si è convertito anche lui. Pure il Milan ammette la crisi e non comprerà giocatori. E fermentano i tifosi dell’Inter di Moratti, quello che ha anche lui una fabbrica di morte in Sardegna, e che ha venduto un pezzo del suo pallone ai cinesi. Pure questa è follia.
“Crisi Economica” è un modo elegante per dire che siamo troppi e che bisogna sfoltire. Del genere umano resterà solo chi riuscirà ad abboffarsi più degli altri, vomitando quel che è in più, o chi ormai è abituato davvero a far senza, a piegare la schiena non per un padrone ma per sé stesso, procurandosela, la vita, giorno per giorno.

Non è sana la nostra follia, perché è frutto di una fame che ci costa ammettere, come se fosse la sconfitta della vergogna che può provare solo chi ha ceduto alla coercizione del “sogno americano”, di una vita splendida che per viverla tutta, la dovevi inseguire, raggiungerla e chiamarla futuro.

Ha corso più di tutti noi, ma almeno io ho solo camminato.

Rita Pani (APOLIDE)

8.01.2012

 

Là sì che c'è il lavoro (tanto per ricominciare)


Monti, al via la missione finlandese Premier: "La fine del tunnel vicina"
È la prima cosa che ho letto stamattina, riprendendo la vita di sempre, dopo una breve interruzione. Mi è scappato un sorriso acido, che quasi mi ha fatto male. Ho letto ancora dei viaggi e delle “missioni” che hanno portato il Professore in giro per l’Europa, a “lavorare” per noi, e per il futuro di questa Italia. Su un giornale, addirittura, si poneva l’accento sull’operosità dell’anziano premier che nemmeno può permettersi il lusso di pensare a una vacanza. Lo spirito di abnegazione del salvatore della Patria, mostrato con tanta dovizia di particolari, avrebbe dovuto farmi vergognare della mia abbronzatura. Forse.

Il fatto è che per avere contezza del problema – uno qualunque- è sempre importante il lato dal quale lo si osserva. Per esempio, un incendio che brucia il costone di un monte, visto da sotto sarà più impressionante, che visto dall’altro lato dove il vento porta solo fumo e cenere. Per comprendere l’incendio è bene vedere le fiamme. Averne paura.

Francia, Finlandia, America … si va a parlare con gli altri pezzi grossissimi, ci si accorda con le banche, si mettono in gioco le vite umane che dovranno in qualche modo ripagare un debito che non hanno contratto. Ritorna la vecchia ammonizione: “Avete vissuto al di sopra delle vostre possibilità!” e un’anima candida ci pensa. Pensa a quella volta che magari ha fatto un salto mortale per acquistare la maglietta griffata, quando avrebbe potuto prenderne una al mercato, o peggio, l’auto comprata in comode rate e finita di pagare dopo sei anni di sudore, pane e cipolla. Sanno ammonire loro, sanno dove scavare. Peccato però, che l’incendio continui a bruciare quella porzione di monte che nessuno vuole guardare.

Dovrebbe cambiare la rotta del suo viaggio, questo Professore, il sicario inviato a levarci la vita con stile ed eleganza. Potrebbe iniziare con lo stesso tragitto che ho percorso io, e guardare le cose che ho visto. Parlare con le persone con le quali ho parlato. Osservare le parole che la gente lascia andare mentre sta stesa al sole e si rifiuta di pensare.

I campi in Sardegna, di nuovo coltivati. Le pale delle centrali eoliche ferme nonostante il vento, che deturpano per nulla la vista fino al mare: son sotto sequestro – che strano! I negozi chiusi, le vetrine abbandonate. Le strade libere anche di notte, il momento del fresco una volta dedicato al gelato o al divertimento. Gli ombrelloni, al mare, allineati e chiusi non fanno quell’ombra che paghi come se fosse una rapina autorizzata dallo stato. La gente ammassata sulle spiagge restate libere – e son quasi tutti sardi – e allora pensi che aveva ragione la Fornero a non voler pagare la disoccupazione, perché i sardi che non lavorano più, vanno al mare e un pomodoro dell’orto lo mangiano davvero.

Che senso ha, Professore, telefonare ad Obama? Vada a Chia a parlare col giovane senegalese, che ha le borsette appese alle braccia, addobbato come un albero di natale, stanco come un mulo, che nemmeno ci prova ad implorarti per acquistare. Ti guarda, allarga le sue braccia zeppe di borse e ti dice: “Ma nessuno compra nulla? Che lavoro di merda! Ma chi me lo ha fatto fare venire qua che non c’è nulla? Non vedo l’ora di tornare in Senegal. Là si che c’è il lavoro, e il mare … Tu non lo sai cos’è il Senegal.”

Poi se le avanza del tempo – Professore – percorra l’Italia tutta da su a giù. Uno di quei giorni in cui, in altri tempi, il telegiornale ti avrebbe avvisato del bollino nero per il traffico. L’esodo estivo, lo chiamavano; quello che vuotava le  città e riempiva il mare del sud. Si renderà conto che anche in Italia le strade sono libere, che il 31 di luglio non c’è pericolo né di code né di dover attendere di essere soccorsi dalla protezione civile. E soprattutto si accorgerà che nemmeno i camion viaggiano più. La sua intelligenza a quel punto le farà comprendere che non solo le persone non circolano più ma nemmeno le merci, e sono certa che capirà che non sarà con l’innaffiatoio che potrà spegnere l’incendio.

Rita Pani (APOLIDE … tanto per ricominciare. Il resto a piccole dosi) 

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