2.28.2011
È solo lunedì
2.25.2011
Per fortuna siam tutti libici
2.24.2011
Quasi un’antologia
2.23.2011
Tra breve "Lo sguardo di Hermes" ;)
Se tutto diventa astratto
2.21.2011
Surreale
(pl. -li)
Nulla da festeggiare
2.19.2011
Diversamente combattivi
2.17.2011
RICHIESTA DOCUMENTI FALSI
2.16.2011
Non è proprio la favola della buona notte
2.15.2011
E pure Bersani è andato.
Non me la sento di giudicare Bersani, in fondo anche io adotto il suo stesso metodo: quando le cose si fanno troppo difficili, mi invento sempre un modo per scappar via. Poi rinsavisco, mi calmo, torno indietro e riprendo esattamente da dove avevo interrotto. Certo, io a differenza di Bersani non rappresento l’ultima speranza di un ritorno al futuro, per un intero popolo che vaga scalzo e perso. Questo ho pensato oggi, con un po’ di umana pietà, leggendo le dichiarazioni del segretario del PD, che tanto mi hanno dato il senso della disperazione in cui certamente versa l’uomo e il politico.
“So che la lega non è razzista” ha detto Bersani rispondendo ad una lunga intervista rilasciata a “La Padania” – una roba tipo giornale per la diffusione della propaganda nazista della Lega – durante la quale, il messia del PD, è riuscito anche a proporre un patto di collaborazione per l’attuazione del Federalismo, che a sua detta sarebbe una cosa serissima oltre che auspicabile.
Ogni volta che ho scritto su questo blog, o in altri miei interventi pubblici, che mai avrei votato PD, l’obiezione ricevuta è sempre stata la stessa, ovvero che così facendo avrei favorito il prolungamento dell’epoca berlusconista, e che comunque è necessario turarsi il naso e scegliere il meno peggio, per poter fare un passo avanti.
Dopo queste dichiarazioni di Bersani, non solo ribadisco che mai voterò per il PD, ma non voterei neppure per il migliore dei candidati, quello che ancora forse nemmeno esiste, che decidesse di allearsi con un partito così inconcludente ed inutile. Magari domani salterà fuori la classica smentita, forse Bersani dirà di essere stato frainteso, male interpretato, opportunisticamente sfruttato dallo scaltro giornalista padano, ma non ci cascherò. Perché la coerenza e il buon senso per me non son solo parole.
Quattro bambini sono morti incendiati qualche giorno fa, e la prima cosa che si è scoperta è che i quattro bimbi erano stati foto segnalati e schedati dal comune di Roma, proprio in virtù delle leggi razziali volute dal ministro per il razzismo maroni, che forse Bersani confondendosi, ha collocato durante la sua intervista in un partito “popolare” anziché “populista”.
Qualche giorno fa, le coste di Lampedusa sono state prese d’assalto da migliaia di disperati esuli tunisini, e le primissime azioni del ministro per il razzismo maroni sono state tre: rifiutare l’aiuto della Commissione Europea, rinchiudere i migranti in uno stadio strizzando l’occhio – forse – all’ abominevole tradizione cilena, e pretendere di invadere la Tunisia con l’esercito italiano.
Questo è dunque il “partito popolare” col quale ci si dovrebbe accordare per riportare un minimo di decenza in Italia? Crede davvero Bersani che io possa cambiare idea rispetto alla sua dabbenaggine, sapendo che per garantirsi il voto di un manipolo di bifolchi con l’elmetto cornuto sulla testa vuota, svende una volta ancora l’ideale di democrazia e libertà che nonostante tutto ci unisce e ci tiene resistenti?
Preferisco pensare che le parole del segretario del PD nascano davvero da quella disperazione che ci lascia inermi e arresi, che ci induce a voltare le spalle e scappare per guadagnarci un attimo di respiro e sollievo. Spero che voglia tornare al più presto in sé, e rendersi conto del punto in cui siamo sprofondati. E spero vivamente che si smetta di accontentarsi di stare con la merda fino al ginocchio, dicendosi che tutto sommato è meglio che averla ben oltre il collo.
Rita Pani (APOLIDE)
2.14.2011
E bravo cretino!
«Quella delle donne è stata una mobilitazione faziosa, vergogna. Le dimissioni sono una proposta irricevibile, non ho tradito il mandato elettorale né ho tradito le riforme».
[Quel tizio debosciato del Consiglio]
E bravo cretino! Sputa ancora addosso, a chi ti vomita in faccia tutto il disprezzo, fallo ancora un po’ perché non è bastato. Vergogna? Detto da un Pacciani dilettante non è nemmeno un’offesa risibile, semmai un’onta, un’altra, che si aggiunge a tutte le altre di cui prima o poi dovrà rendere conto.
Per quanto io non mi sia mai detta fortemente rapita dall’iniziativa di ieri, non convinta né delle motivazioni, né del metodo, non posso accettare l’ennesimo insulto di un uomo da nulla che sempre più dà i segni dello squilibrio che lo attanaglia nel suo mondo surreale, dominato dal potere del danaro, capace di corrompere chi ha messo in vendita tutto di sé, compresa la dignità.
E bravo cretino! Ha dovuto invitare milioni di donne a vergognarsi, lui che non sa cosa sia la vergogna. È un sentimento che dovrebbero provare i suoi figli pensandolo rinchiuso in un bunker sotterraneo, dove con la sua follia non pensa a conquistare o distruggere il mondo, ma guarda donne poco più che bambine, strusciare il culo contro un palo. Ed è diversa da quella vergogna che certi figli provano davanti a un padre che non riconoscono, perso a vagare per strada in pigiama e pantofole, abbandonati dai loro pensieri. Non è quella tenerezza che forse solo assomiglia alla vergogna, quella che dovrebbero provare i suoi figli, ma è l’orrore di avere un maniaco come padre, pericoloso per sé e per il suo patrimonio, deleterio per un’intera popolazione e che, se fossero furbi, provvederebbero a far interdire.
Sono una donna, una persona imperfetta, ma non accetto che mi si dica che in quanto donna io debba vergognarmi, perché le donne hanno voluto dire, gridando, che mai si venderebbero a un vecchio maiale, né per un piatto di minestra, né per un posto da ministra. La libertà, quella che la sua mente malata e i suoi pubblicitari ci hanno rubato, è un bene che non si compra ma si conquista. La libertà, quella vera, quella nostra lui ce la dovrà rendere prima o poi.
Cretino! Non c’è proprio nulla per cui ci si debba vergognare, se non quella di aver troppo tardi iniziato ad alzare la testa, impegnati come eravamo a combattere altre lotte, come quelle per il lavoro o la sopravvivenza, che abbiamo sempre perso proprio perché nulla si può contro i cretini. Non c’è verso di indurli alla ragione, non si può spingere un cretino a guardare alle cose con un altro occhio, con una diversa prospettiva. Un cretino è un cretino. E quel tizio è il primo dei cretini, che paga qualcuno per pensare per lui.
Non c’è vergogna a tener alta la testa. Non c’è vergogna nell’accorgersi pian piano che è giunto il momento di farsi valere per ciò che siamo – non solo donne – ma esseri umani. L’unica vergogna che son disposta a concedermi è quella di sapere che non farò mai abbastanza per far sì che un cretino, megalomane, maniaco sessuale e drogato di sé stesso, continui a gettare le vite di persone per bene nella consunzione in cui le ha gettate, di povertà e disperazione, di tristezza e solitudine.
Forse proprio le giornate come quelle di ieri fanno sì che si possa credere, forse solo per un istante, che è possibile smettere, finalmente, di vergognarsi.
Rita Pani (APOLIDE)
2.12.2011
Il burattino di gomma
L’Italia è una Repubblica vergognosamente fondata sulla televisione, per colpa del cerchiobottismo e del disinteresse – o interesse – del centrosinistra, che mandato al governo in nome della democrazia e della civiltà tradì la volontà popolare di quelli come me, che solo per responsabilità accettarono di votare “contro natura” per una coalizione con a capo un democristiano come Prodi.
Scrivere di televisione, oggi, è come dare la ricetta per le uova al tegamino; ma lo si deve fare con la speranza che le parole varchino il recinto della nicchia del Web e arrivino laddove, purtroppo, il computer è visto ancora come strumento diabolico o come un’immensa rivista pornografica, alla portata di chiunque non debba più avere paura di vergognarsi, davanti alla signora che vende i giornali nell’edicola all’angolo della piazza.
Sono molte le comparazioni che si fanno in questi giorni, tra il film di Nanni Moretti “Il caimano” e la realtà, e molto si è scritto sulle similitudini degli accadimenti narrati sulla pellicola e sui fatti che tutti subiamo o per i quali ci indigniamo. La nota scena finale del film, sembra quasi passare al rallentatore davanti ai nostri occhi. Il fuoco che pericolosamente lambisce il giudice che condannò il caimano. I commenti a seguire sono di stupore e sgomento, sinceri ma ingenui.
Penso che l’unica cosa di veramente simile che esiste tra il film e la realtà, sia solo il prezzo pagato per gli attori e le comparse. Così come la produzione del film scritturò gli attori per recitare la parte del rivoltoso popolo, allo stesso modo il padrone delle televisioni e della Repubblica su esse fondata, ha pagato le comparse per la protesta delle donne contro i giudici a Milano. Esattamente come nel film l’attore principale, in questo caso la sottosegretaria in Moplen, avrà avuto un compenso della vecchia signora agitata, che leggo, ha fatto parte svariate volte del cast di quella trasmissione per donne sottosviluppate “Uomini e donne”.
Non mi lascia sgomenta vedere un centinaio di comparse di Mediaset pagate per fingere la rivolta contro i giudici; mi lascia sgomenta, semmai, la polizia che le protegge. Non mi preoccupa minimamente “il gregge berlusconiano”, mi preoccupa semmai chiedermi quanti servizi segreti ci siano dentro, quanti specialisti dell’eversione nera italiana stiano lavorando per rendere il criminale del consiglio, libero di dare gli ultimi colpi di coda per garantire a se stesso e ai suoi mandanti l’impunità totale da tutti i reati commessi in associazione a delinquere.
Il vecchio maiale che si è impossessato dello stato, non è altro che la punta dell’iceberg di questo sistema criminale e mafioso che governa, dà fastidio solo a noi con il suo esercito di troie e di servi, ma nel contempo sta rendendo il suo ultimo servigio alla mafia – quella vera sullo stile della P2. Ogni vittoria del burattino criminale è un passo avanti per la criminalità organizzata che questo debosciato lo ha usato al pari di un cavallo di troia, per poter avere la certezza di mettere le mani sul potere, quello vero, che è quello di poter controllare l’economia del paese e di riscrivere le leggi.
Se dovessi scriverlo io, un film, su ciò che sta accadendo in Italia, rappresenterei una sala fumosa, con una decina di persone – ma forse anche meno – sbracati su una poltrona, con la cravatta allentata. Tutti intenti a guardare in televisione la ridicola faccia di gomma di quel vecchio ormai decomposto che sbraita di giudici, di famiglia e di peccato. Soddisfatti si stupiscono della loro fortuna: mai nemmeno loro avrebbero osato sperare che la loro marionetta potesse dargli tanta soddisfazione. Poi sì, magari per arrivare alla vittoria finale potrebbe esserci pure il fuoco che avvolge un palazzo di giustizia, ma in quel caso non potrei certo far credere a nessuno che ad appiccarlo sia stata “la cubista settantenne” che anziché essere internata in un manicomio veniva pagata da Maria De Filippi per rendersi ridicola in TV, e far sì che milioni di donnette frustrate ed ignoranti, si sentissero fortunate per vivere la loro mediocrità.
Rita Pani (APOLIDE)
2.10.2011
Troppi modi per sentirsi offese.
Il nord Sardegna è invaso dall’olio combustibile. Sulle coste è moria di alghe, pesci e uccelli. Il mare è nero lo stato italiano dice che non c’è emergenza, che per fortuna tutto si è risolto.
Io mi sento offesa come sarda.
Sullo stile di un summit mafioso, elementi mafiosi e criminali del governo di riuniscono con i loro avvocati deputati, per riscrivere le leggi del codice penale e salvarsi – loro e la mafia – dalla galera.
Io mi sento offesa come persona onesta.
Marchionne si impossessa della FIAT, annulla i diritti sindacali degli operai in attesa che arrivi il 2013 e sia libero di smantellare l’industria italiana, senza alcun intervento dello stato a tutela dei lavoratori italiani.
Io mi sento offesa come lavoratrice.
Per evitare altri processi, il governo tenta di far passare il decreto sulle intercettazioni telefoniche, che di fatto legherebbe le mani alla magistratura e agli ultimi baluardi della stampa libera, ufficiale e no.
Io mi sento offesa come persona libera.
Muoiono al rogo quattro bambini, ed esponenti politici italiani si rifiutano di commemorarli o si lasciano andare a dichiarazioni degne del più orrido nazifascismo.
Io mi sento offesa come persona civile.
Che ci piaccia o no, ricorrono i 150 anni dell’Unità d’Italia. Lo stato italiano in mano ai secessionisti leghisti proibisce di fatto la celebrazione della ricorrenza.
Io mi sento offesa come cittadina italiana.
L’Italia raggiunge tassi di povertà come nell’immediato dopo guerra, la fame torna tra le famiglie italiane, e come nel dopo guerra la povertà uccide uomini, donne e bambini in Italia, mentre il governo ci ricorda che siamo cittadini ricchi.
Io mi sento offesa come persona che sopravvive a fatica.
Il patrimonio artistico e culturale italiano si disintegra quotidianamente grazie all’incuria di un ministro incapace. Roma studia progetti di cartone da esporre a Circo Massimo, cede il Colosseo a un fabbricante di scarpe e in Sardegna si ricoprono di terra le necropoli appena scoperte per mancanza di soldi.
Io mi sento offesa come persona civile.
La cultura finanziata in Italia è solo quella che passa per le mani del governo – nel senso stretto della proprietà – e per mettere le mani sui soldi dello stato, ci sono donne e uomini pronti a prostituirsi – non solo fisicamente – che come avvoltoi girano intorno ai milioni di euro del piano fiction della RAI. I tagli all’editoria (che non sia di proprietà del governo) rendono difficile la sopravvivenza delle case editrici libere. I nuovi talenti italiani, sono al 99% prodotti berlusconiani, oppure non esistono schiacciati dai servi berlusconiani.
Io mi sento offesa come scrittrice
La scuola italiana sottomessa al volere di una ministra idiota, e talmente brutta che è difficile immaginarla inginocchiata sotto una scrivania a far carriera. Una scuola mortificata dai tagli economici e culturali, dove insegnanti coraggiosi si industriano per resistere e dare il massimo che possono per l’educazione dei nostri figli.
Io mi sento offesa come madre.
Basta per favore. Non sono e non vorrò mai essere “solo una donna”. Voglio valere di più di un’etichetta, voglio essere in grado di non scordare mai che il motivo per cui siamo ridotti così come siamo, più ridicoli di una barzelletta raccontata male, è che l’ignavia italica ha regalato a quel criminale debosciato la certezza di poter fare e disporre delle nostre vite, restando sempre e comunque impunito.
Che si riempiano le piazze mi sta bene, ma che si riempiano davvero, non per chiedere cortesemente al dittatore di farsi da parte, ma per esigere che se ne vada esule o a morir’ammazzato dove preferisce; che sia Antigua o in Siberia, per me pari è.
Rita Pani (APOLIDE NERVOSA)
2.09.2011
Non riesco nemmeno a trovare un titolo
Ieri a Palazzo Grazioli si è svolto un vertice per la riforma della giustizia, ci ha informato Il fatto Quotidiano. Erano presenti il tizio capo del governo, la giudice moglie di bruno vespa, cosentino detto ‘O americano, e verdini la lavatrice di danaro sporco e massone della nuova P2. Hanno partecipato anche il ministro della giustizia e gli onorevoli avvocati del tizio.
Non è satira. Non è qualcosa di spiritoso che vuole strappare un sorriso. È la triste e cruda realtà. È una di quelle cose alle quali ormai sembriamo essere abituati, una di quelle cose che non è stata in grado fino a oggi, di farci abbastanza repulsione da spingerci alla ribellione. Una notizia che forse scritta in un altro modo potrebbe farci sorridere.
Che ne so? Per esempio, si potrebbe aggiungere che dell’utri era assente perché mandato in missione a Palermo, per fare a qualcuno “un’offerta che non potrà rifiutare”, o che forse stava in una scuderia a scegliere il cavallo al quale tagliare la testa da infilare, nottetempo, nel letto di Ilda Bocassini. Volendo, si potrebbe trovare una battuta anche per l’assenza di Totò Cuffaro, al quale l’esito della riunione verrà trascritto su un “pizzino”. È così che abbiamo imparato a proteggere le nostre intelligenze dall’insulto costante di questa feccia malavitosa che ci governa, in fondo: sorridendo.
Lo so, dobbiamo proteggerci. Sono io la prima a farlo, perché è troppo quel che tutti i giorni ci piove addosso. È talmente tanto che se non riuscissimo ad alleggerire i nostri pensieri, ci ritroveremo tutti in perenne crisi isterica, abbandonandoci ai nostri peggiori istinti o alla schizofrenia collettiva. Però non credo che davanti a un accadimento tanto grave si possa fingere che nulla sia accaduto. Quindi è bene sintetizzare la storia: ieri a Palazzo Grazioli si è tenuto un summit di mafiosi che insieme al ministro della giustizia e un paio di avvocati pagati anche dallo stato, tentano in ogni modo di riscrivere il codice penale.
Dell’italica ignavia non mi va più di parlare, e nemmeno di scrivere quella domanda che ormai, posta così tante volte, lascia solo il suono della vuota retorica: “Come è stato possibile?” la risposta la sappiamo fin troppo bene, ormai. Non mi sento nemmeno di chiedermi più se ci sia un modo per venirne fuori, per porre fine a tutto questo. In un contesto normale, d’altronde, sarebbe bastata una retata della DIA. Non ho alcuna intenzione di sforzarmi più a trovare risposte vagamente intelligenti da dare.
Mai nella vita avrei pensato di dire: “è vero, serve un altro Prodi.” Dando così ragione a Veltroni. Anche se, a ragion veduta, oggi potrei dire con molta tranquillità che se non fosse un altro Prodi, potremmo accontentarci di un altro Andreotti, Forlani o anche un redivivo Bokassa, che comunque nonostante il suo vizietto di mangiare carne umana, sarebbe stato più presentabile e credibile del non governo che abbiamo.
Rita Pani (APOLIDE)
2.08.2011
Il quarto mondo schizzinoso
È da ieri sera che ci penso, da quando volendo riposare gli occhi troppo pieni di parole, ho deciso di guardare su Internet la puntata di domenica di Presa Diretta che si occupava dei rifiuti di Napoli. Non sono riuscita ad andare oltre i primi venti minuti. Ho chiuso la pagina e ho cercato ristoro altrove. Però mi è rimasto il disagio; mi è rimasto il senso di sconforto appiccicato alla pelle. Mi sembra persino ingiusto chiamarli “rifiuti di Napoli”, perché pure noi che siamo sardi, per esempio, sappiamo che i rifiuti che arrivano come i turisti, sulle navi cariche, non sono “rifiuti sardi”, ma spesso veleno prodotto nel ricco nord prepotente, convinto di poterci ancora colonizzare e trattare come una Somalia o un Eritrea qualunque.
Anche stamattina ho gli occhi pieni di parole, e di punti e di virgole, e ho anche qualche lacrima come spesso mi capita in periodi stressanti e troppo pieni di cose. Così per non pensare al mio sono andata a leggere i giornali, ed ho trovato ancora “i rifiuti di Napoli”. Leggendo gli stralci delle telefonate tra Barni e Mascazzini, profumatamente pagati dallo stato per occuparsi dei rifiuti, mi è tornato il pensiero che per tanto tempo mi ha assillato ieri sera.
Forse sarebbe davvero il caso di una riforma della giustizia. Forse è giunto il momento di pretendere che le cose vengano chiamate col proprio nome. Visto che in Italia, una cosa come “disastro ambientale” non è considerata poi così grave, poiché da troppi anni c’è chi con la spazzatura si è fatto ricco, così ricco da comprarsi una compagnia aerea, ed è rimasto candido come una vergine; così vergine da poter partecipare alla spartizione dei danari per il fantomatico ponte sullo stretto, o il miracolo dell’Aquila, e allora sarebbe il caso davvero di cambiare.
Con una riforma della giustizia questa gente potrebbe essere condannata per il reato che veramente sta compiendo: strage. La gente muore, come nel quarto mondo e dopo lunga sofferenza. Spesso muore senza neppure l’assistenza, e certo senza potersi permettere di pagare i luminari della scienza, che per altro a volte, sono loro stessi invischiati nel giro del potere del malaffare, sempre in nome del dio danaro da far passare di mano in mano, sempre le stesse di chi dà e di chi prende. Metterli in galera e gettar via la chiave, però non soddisfa in pieno il mio senso di giustizia, davanti a tanta barbarie.
È sempre più difficile conservare il pensiero pulito mentre si uniscono i tasselli delle nostre esistenze e delle nostre r-esistenze. È difficile non soffermarsi almeno un attimo a pensare alla regola dell’occhio per occhio. Riportare a Brescia i rifiuti tossici nocivi e gettarli con gli idranti addosso a chi li ha mandati in Sardegna. Prendere i due funzionari dello stato e gettarli come FOS nelle discariche di Terzigno, dove oggi sappiamo, la “gente è diventata schizzinosa”. Far fare un bel massaggio a bertolaso da un auto compattatore in perizoma.
È sempre più difficile non cedere alla tentazione, sapendo quel che sappiamo. Ma dobbiamo r-esistere ancora e mantenere viva la nostra civiltà.
Rita Pani (APOLIDE)
2.07.2011
Quando muoiono quattro bambini
Stanotte a Roma son morti quattro bambini di una morte orribile. In vero non c’è morte che non lo sia, quando muore un bambino. Quattro bambini son morti, arsi vivi, davanti agli occhi di chi li amava e che nulla ha potuto contro le fiamme. Ogni volta che accade – perché ogni tanto accade – tutti sperano che sia l’ultima volta, tutti chiedono che questo non avvenga più, e i sindaci, persino quelli fascisti si recano mesti sul luogo della tragedia, a giurare davanti a una telecamera che tutto sarà fatto perché un bambino non debba mai più morire così.
Lo ha fatto anche il sindaco di Roma, “E' una tragedia veramente terribile per la nostra città”. Ha detto Gianni Alemanno, accorso alla baraccopoli dei nomadi di Tor Fiscale. “E' la tragedia di questi maledetti campi abusivi - ha continuato - noi avevamo lanciato l'allarme molte volte perché sono pericolosissimi”.
A me avrebbe fatto piacere porre una domanda al sindaco Alemanno, dopo queste sue accalorate dichiarazioni, per esempio gli avrei chiesto cosa intenda fare ora che chiederà “poteri speciali” contro questa che temo, visto l’avvicinarsi di una nuova campagna elettorale, tornerà ad essere una delle italiche emergenze da affrontare di petto. Probabilmente, in un momento di recuperata sensibilità, mi avrebbe risposto che già tanto è stato fatto, ma non tutto il possibile e non tutto quello che si poteva fare.
Mi spiace che davanti a quattro cadaverini carbonizzati, nessuno abbia sentito la necessità di ricordare quali siano state le politiche sociali del comune di Roma, rispetto ai rom. Ricordo le ruspe al Prenestino che una mattina all’alba spazzarono via “le case” di centinaia di persone, e i loro sguardi persi mentre in fila reggendo bustoni di plastica e con i loro bimbi appesi al collo, sotto gli occhi della polizia e dell’esercito schierato, salivano sugli autobus che li avrebbero deportati dove non si seppe mai. Se quelle immagini fossero state in bianco e nero, pensai allora, avrei potuto confonderle con quelle a noi note (soprattutto il 28 Gennaio giorno della memoria) della deportazione degli ebrei. E lo fece ancora il sindaco Alemanno, al Laurentino o sulle sponde del Tevere, dove non solo i bimbi rom muoiono di freddo o incendiati, ma anche quel signore che ci parcheggiava l’auto o la donna che curava il vecchio vicino di casa.
Non so quanto durerà lo sdegno della società civile per la morte di quattro bambini, e non so nemmeno quanto durerà quello del sindaco. Forse un attimo prima che cali il velo dell’oblio mediatico sulla vicenda, un’altra volta ancora vedremo le ruspe in azione, i giochi dei bimbi schiacciati tra cartoni e legno compensato, e qualcuno avrà ancora il coraggio di dire che bisogna “consentire a queste comunità presenti sul nostro territorio di vivere in contesti sicuri e dignitosi” mentre in realtà, lasciati senza più un riparo, non potranno far altro che costruirsene un altro al più presto, fino al prossimo morto o fino al prossimo sgombero.
Quando anche questo piccolo campo sarà sgomberato, a nessuno forse verrà in mente di dire o ricordare che i quattro fratellini morti questa notte, furono già sgomberati da un altro campo abusivo, in nome della propaganda sulla sicurezza e sul decoro urbano della Capitale. D’Altronde basta salire su un treno qualunque e guardare dal finestrino in prossimità delle stazioni delle grandi città. Le baracche delle nostre favelas son là col fumo dei fuochi accesi tra lamiere e cartoni, tra teli di plastica e panni di bimbi stesi fra gli alberi e che non asciugheranno mai, avvolti dal silenzio di chi anche guardando non vuole vedere. Fino a quando muore un bambino. Anzi, quattro.
Rita Pani (APOLIDE)
2.06.2011
2.05.2011
Le papi girls
Lo sapete che in Italia le polemiche non bastano mai, quindi oggi eccone un’altra: al reality show dei falsi naufraghi parteciperà anche una “papi girl”. A me non fa né caldo né freddo, dal momento che sicuramente non investirò nemmeno un secondo del mio tempo per guardarne, quello che invece mi fa rabbrividire è aver trovato la notizia nella sezione “cultura” dei giornali on line. Gli stessi giornali che rilanciano le iniziative degli studenti che vorrebbero riappropriarsi della cultura, o quelli che a tambur battente propongono le lodevoli iniziative delle donne per rivendicare la loro dignità. Mi spaventa anche molto che “papi girl” possa diventare, in un futuro immediato, una nuova qualifica professionale, con la quale il pubblico elettore prenderà presto confidenza, fino al punto di ritenerlo un mestiere qualunque e non quello più antico del mondo.
Da qualche tempo ho iniziato a collaborare come addetta stampa con una Casa Editrice di musica classica, e quotidianamente passo per tutte le pagine di cultura dei maggiori quotidiani – evitando ovviamente la carta straccia – sia per ricevere che per inviare notizie. Ogni mattina è così grande lo sconforto che penso ai musicisti o agli artisti, che piano sto conoscendo, con pietoso affetto. Persone che hanno perso l’infanzia o l’adolescenza divorati dalla passione, impegnati a imparare, sacrificati all’arte che è cosa diversa da pestar tasti di un pianoforte o di una tastiera. Ogni mattina sfoglio quelle pagine, leggo le notizie e sgomenta non riesco a trarre la logica delle cose.
Forse perché disincantata come sono, so già che gran parte di quelle donne che oggi si sentono offese per le mortificazioni ricevute da un tizio debosciato e maiale, quando si ritroveranno davanti alle immagini di un teleschermo di proprietà dallo stesso maiale, non riusciranno a resistere alla tentazione di guardarle, di tifare, di immedesimarsi, in quei personaggi che saranno protagonisti della nuova cultura italiana, e che attraverso le loro gesta, accultureranno i milioni di telespettatori che avranno liberamente scelto di stare ad osservare.
Se la pagina cultura di un quotidiano ignora un mio comunicato stampa, col quale informo della presenza di un evento culturale in un teatro, e nel mentre pubblica l’evento di Rimini in cui si esibisce Ruby Rubacuori l’antesignana di tutte le papi girls, ha senso che lo stesso giornale indaghi sulla moralità di un maiale debosciato?
Pare che sia una questione di marketing, per cui è diventata culturalmente apprezzabile solo ogni opera che porti lettori e clienti, e anche qui non comprendo. Se è vero come è vero che siamo stanchi abbastanza da chiederci “Se non ora, quando?”, anche quella logica di marketing dovrebbe venire a cadere. Meno lettori per i giornali, zero spettatori per i reality show, e soprattutto le pagine della cultura nuovamente dedicate alla cultura reale, e non a quella imposta dal regime che ha decerebrato almeno due generazioni di italioti.
Ma questa è utopia, lo so bene. Nella vita reale torneremo presto a votare, e in lista troveremo anche la beata gioventù del prossimo governo del fare, e ci sarà chi traccerà la ics a cuor leggero, convinto che sia sempre meglio una giovane puttana di un comunista. Perché tutto sommato non si sa mai, il dubbio che si possa essere costretti un domani a studiare seriamente, guardare solo film tipo La corazzata Potëmkin, o perdere la proprietà privata, resta.
Rita Pani (APOLIDE)
2.03.2011
Sono persona e dico basta da almeno 10 anni
Su Repubblica on line, sono più di 1500 le adesioni alla campagna “Sono donna e dico basta”. È divertente sfogliare a caso gli album delle foto. Ci sono visi di quelli come il mio, che alla mattina appena alzata non si capiscono. Poi ci sono immagini di donne con i cartelli che dicono basta, e poi … poi …
Poi ci sono i visi che non mi lasciano sperare e che mi fan comprendere quanto possa essere difficile avere nel cuore il senso di una lotta, che potrebbe divenire l’ultimo dei passatempi internettiani, pilotati dall’ufficio marketing di una multinazionale qualunque, come quella per esempio, che qualche giorno fa ci invitava a scendere per strada con pentole e coperchi. Davvero spaventevole per il governo dei fatti ormai noti.
Insomma, quale logica può mai spingere una donna a cedere alla tentazione di mostrarsi, con la bocca a cuoricino (o culo di gallina), e lo sguardo ammiccante da aspirante modella, per avere soddisfazione per la sua dignità? Forse – e senza forse - il bacillo inoculato dall’ultimo ventennio di berlusconismo, che davvero in pochi ci ha risparmiato.
Ed è un peccato che l’occasione di riscossa, si tramuti così presto in desolazione, comprendendo che forse anche il termine “dignità” è stato travisato. È desolante comprendere che la “rivoluzione” della donna è stata possibile solo quando ciò che avrebbe dovuto essere noto da quando, metodicamente, i teleschermi degli italiani iniziarono ad essere invasi da abnormi tette posticce, e culetti o culoni in primo piano, quasi che tutti volendo potessero annusarli, ma non toccarli è diventato mostruoso. Persino l’infermiera sexy che all’ora di cena mostrava tutte le sue bravure a chi sbavava con la forchetta che non riusciva ad entrare all’angolo della bocca. La logica berlusconiana della donna, che ha insegnato alle donne ad indebitarsi per la chirurgia plastica “che aiuta a trovare lavoro”, e sulla quale oggi i genitori investono più che per gli studi delle figlie. Sì, la logica del mostrare di sé quel che si presume un uomo voglia vedere, anche per chiedere – come in questo caso – più dignità. Chiedere di smettere di essere oggetti, proponendosi proprio come tali.
Se non ora quando? recita un’altra lodevole iniziativa che viaggia su Web. Ed anche questa è una bella domanda, ma purtroppo sortita dalle ultime incessanti rivelazioni sulla vita e le opere di quel tizio debosciato che ormai vittima del suo stesso delirio di onnipotenza, ha solo smesso di fare attenzione, credendo davvero di essere riuscito ad imbonire tutto il popolo, probabilmente convinto da uno dei suoi servi che per anni ha confezionato falsi sondaggi per ingraziarsi il re.
Siamo abituati al meno peggio, siamo vittime del meglio di nulla, e quindi ben venga una piazza che chiede le dimissioni di un criminale. Peccato però che nel frattempo tutto il resto passi in sordina, come per esempio le dichiarazioni rese oggi dal pentito Gaspare Spatuzza: “Mi fa il nome delle persone: mi menziona berlusconi, gli dissi se era quello di Canale 5 e lui mi conferma e mi dice che nel mezzo c'è anche dell'utri, un compaesano. A quel punto che avevamo ottenuto tutto, io cerco di spingere la questione personale con Contorno. Graviano mi dice che l'attentato contro i carabinieri si deve fare perchè bisogna dare il colpo di grazia. "berlusconi e dell’utri sono gli interlocutori, attraverso queste persone ci siamo messi il Paese nelle mani", mi dice.”
Se solo ci fossimo ricordati di questo particolare, purtroppo noto ben prima di oggi, forse saremmo scesi in piazza senza pentole e coperchi, lasciando che fosse la DIGOS a farci le fotografie, solo per richiedere indietro la dignità per poter essere cittadini di uno stato civile, governato dalla politica e non dalla mafia e dal malaffare.
Rita Pani (APOLIDE)
2.02.2011
Scossa all'economia ... era ora!
Meno male, si torna a parlare di politica: il tizio è apparso al TG1 per dire che farà crescere l’economia italiana del 3 o del 4%. Sono buone notizie che ci aiutano a stare bene, e sono sicura che da qui a domani, il popolo avrà già relegato all’oblio il periodo di fighismo minorennitario, appena trascorso. Ovviamente il miracolo economico avverrà senza tassare gli italiani, magari utilizzando il metodo di Cana, già usato da un suo predecessore in occasione di un banchetto dal catering scarso, in cui moltiplicò pani e pesci.
Meno male. Stamani ho avuto paura che fosse stata scritta la storia per il prossimo trimestre, quando ho appreso che anche la madre dell’ormai anziana Noemi Letizia, risultava a libro paga dell’utilizzatore finale di minorenni, invece eccolo riapparire vestito da Premier con indosso anche le mutande, pronto a duettare col Presidente della Repubblica, che con piglio deciso invitava tutti a uno “stop alle contrapposizioni.” Si è detto concorde, il tizio, e a sua volta ha invitato tutti a non tenere “comportamenti antistituzionali.”
È così bello tutto questo, che sembra un anticipo di primavera. Sentir parlare d’economia proprio il giorno in cui l’ISTAT ammette una certo impoverimento delle famiglie italiane soprattutto del nord è come sentir rinascere la speranza. Ci voleva perché ci è mancato, bersagliati quotidianamente dalla nuova moralità introdotta da questo governo con tenacia ed abnegazione. Ci voleva perché noi, che i diciotto li abbiamo passati da molto non avremmo davvero saputo a chi sbatterla in faccia. E a dire il vero, ci è voluto, anche perché pensare di aver generato delle bambine ci faceva vivere con una certa ansia. Insomma, da dove vengo io non si dette nemmeno l’oro alla Patria, figuriamoci una figlia!
Meno male. Politica con la P maiuscola, e meno tasse, e scossa all’economia. In effetti, se il tizio fosse stato più servitore della Patria, e avesse devoluto i milioni di euro che ha risparmiato negli ultimi 15 giorni, dopo lo “stop alle posizioni” imposto dalla magistratura che indaga, avremmo risanato gran parte del bilancio dello stato, ma non possiamo certo pretendere un sacrificio così estremo. Finalmente un po’ di politica, e proprio il giorno in cui vengono resi noti i dati sulla disoccupazione giovanile italiana – boom di rispetto – con un dato che si attesta al 29%. Non è chiaro se la dismissione del parco troie del tizio abbia influito nel calcolo statistico.
Forse ci conviene approfittare e far finta, per le prossime due ore, di vivere in un posto normale, in cui il governo governa, e l’opposizione si oppone. Far finta che un tizio così abbia ancora la minima credibilità di chi governa un paese. Solo per consolarci un po’, noi che i sogni sappiamo chiamarli incubi. Facciamo finta di non sapere che senso abbia la parola “riforma” pronunciata da quel tizio debosciato, che vorrebbe tanto essere un dittatore e invece è solo un megalomane nevrotico. Facciamo finta che possa permettersi il lusso di invitare gli altri a rispettare le istituzioni, lui che dovrebbe essere in galera per aver tradito la Costituzione Italiana.
E a proposito, giusto perché siamo in un paese normale, un professore in pensione di Gallarate ha deciso di anticipare il carnevale, girando mascherato da “Cavaliere delle zoccole”, per il paese. Un cavallo di cartone azzurro e un mantello azzurro. È stato prontamente identificato e denunciato da una pattuglia del Commissariato, per vilipendio alle istituzioni. Ma se si pensa che il tizio Culo Flaccido è un’istituzione, allora viene male anche far finta che …
Rita Pani (APOLIDE)
2.01.2011
Culture di destra
Pare che barbareschi sia stato ad Arcore per parlare di cultura col tizio. E i casi sono due, o è l’unico cretino che va in casino per non avere un rapporto sessuale, o mente spudoratamente; un po’ come se vi dicessero che gasparri è stato allievo di Werner Karl Heisenberg.
Ci ho viaggiato accanto alla cultura di destra oggi, e in realtà ci ho viaggiato anche di fronte, visto che di rientro da Milano, avevo il tavolino del treno imbandito dalle letture dei miei tre vicini che hanno sfoderato nell’ordine: il giornale, libero e il tomo di bruno vespa, ad occhio un migliaio di pagine di minchiate cosmiche, assai più ostiche della meccanica quantistica.
La signora di fronte a me, però, aveva anche – e senza vergogna alcuna – una copia di “Chi”, organo ufficiale del PDL. La cultura di destra è strana, infatti prevede la sola lettura dei titoli, poi un sonno lungo due ore e mezza, e l’utilità del libro di vespa è quella di poggiarci sopra il Nokia ultima generazione che però suona come un vecchio telefono verde, a disco, di quando ancora in Italia c’era solo la SIP.
La signora, dei tre, era quella più acculturata. Vecchia come una mummia egizia, aveva le labbra gonfie e gli zigomi giovani in vera cartapecora ed è anche l’unica che ha letto il titolo in grassetto: “Marrazzo ci ricasca. Di nuovo con un trans” (se non ricordo male). Sotto, piccolo piccolo, come in un bugiardino delle supposte, che spiega ai malati del pdl l’utilizzo per via rettale e non orale c’era anche scritto che i giudici di Milano avrebbero chiesto per il tizio il processo per rito immediato, ma che si pensava al rito abbreviato – e non è esattamente la stessa cosa.
La cultura di destra è il polsino sbottonato, per lasciar vedere il Rolex che ha stampigliato un numero al bordo della cassa. La cultura di destra è il giornale posato a favore di chi passa nel corridoio per andare alla carrozza ristorante, e di volta in volta guarda storto o compiaciuto a seconda del suo grado di cultura. I due uomini colti, come detto, hanno dormito parecchio, e solo alla fine del viaggio e molti squilli di telefono arcaico, hanno preso a parlare del loro viaggio culturale.
Un imprenditore – accanto a me – e un castigamatti di fronte a lui, che senza pudore e col tono di voce di un pescivendolo rauco, spiegava le sue tecniche di persuasione, fatte di ex pugili che da anni collaborano con lui sulla piazza di Roma, o di ex maestri di Karate, che non lo diresti mai che all’occorrenza sono anche meglio di un avvocato.
“Perché vedi, caro, gli avvocati sono proprio l’ultima spiaggia. Se proprio questo domani mattina ci dice che non ha i soldi che ti deve – e stai tranquillo che se mente ce ne accorgiamo - potresti anche andare dall’avvocato, ma per come è messa la giustizia italiana, quando li vedi i soldi?”
La cultura di destra parla sempre di economia; d’amore o di economia. Il tizio accanto a me non ci sta a perdere “la cifra con molti zeri” che ha appuntato su un foglietto bianco, e che mostra al suo amico specificando che sarebbe stato fifty-fifty. “Perché questi romani vogliono fare i furbi e io il lavoro l’ho fatto, e ora mi devono pagare e non mi interessa se dicono di essere ridotti al fallimento. Mi devono pagare e basta, che la crisi è per tutti mica solo per loro. O vogliono trascinare anche noi nel loro fallimento?” E di nuovo, guarda un po’, la giustizia che non funziona, e che è inutile tanto prima che la causa finisca ci passano gli anni.”
La signora con gli zigomi nuovi, che sembrano deturpare lo sfacelo dell’età ad un certo punto annuisce, forse annoiata dal mio silenzio e dal mio sguardo sempre più indagatore, e posa il suo sull’uomo del Rolex, il quale, dopo aver tranquillizzato qualcuno al telefono riprende a parlare: “Ma sai caro, in fondo questa crisi a noi ha portato bene. La mia società è diventata leader nel settore. D’Altronde se mi hai chiamato è stato perché Saverio ti ha parlato benissimo di noi. Lasciali stare gli avvocati, che quella è davvero una razza maledetta.”
Il treno è poi arrivato in orario. E a me secca sempre un po’, lo sapete. Mi fa pensare d’esser tornati al fascismo.
Rita Pani (APOLIDE)