2.28.2011

 

È solo lunedì

È lunedì e si ricomincia. Mi sembra uno di quei giorni dopo festa, che ci si sveglia persi nel caos, e ci si guarda in giro cercando di capire da dove iniziare a mettere ordine, con la testa pesante dei postumi di una sbronza, o la gola secca per il troppo fumo, con l’unica differenza che non ci siamo divertiti per nulla.

Si potrebbe iniziare da un primo dato di fatto: l’Italia è più unita da nord a sud di quanto non si creda. Le bambine vengono uccise a sud come a nord, e il dolore è uguale a nord come a sud. La gente sente l’esigenza di recarsi in pellegrinaggio sulle “scene del crimine” (come ci ha insegnato a dire la tv ) e di portare anche i bambini, a fare ciao ciao con la manina, verso la telecamera che finge di indagare sui volti dei curiosi, con sguardo sdegnoso e interrogativo. Finge, sì, perché anche il bravo giornalista in cuor suo finalmente potrà accantonare tutto l’altro schifo e sguazzare un po’ su questo, che dovrebbe restarsene in silenzio. Ma anche un “Angelo” da salutare aiuta, in quest’epoca di nulla, ha quasi la funzione sociale di renderci un poco di umanità.

Lunedì, ricominciamo dalle certezze. Torino ha un candidato sindaco per una nuova epoca di rinnovamento: Piero Fassino. Un giovane, finalmente, che si è distinto per le sue dichiarazioni fraintese o smentite sull’affaire Marchionne. Una figura carismatica che certamente potrà segnare l’inizio di una nuova epoca politica italiana. C’è dell’ironia, e mi fa triste doverlo sottolineare. Non c’è coraggio in Italia, non c’è spirito di sacrificio, non c’è la volontà di abdicare. Non posso e non voglio credere che nel PD torinese, non esista un nome ignoto che meritasse di spalancare le finestre e di lasciar entrare un po’ di aria fresca. O forse anche per Torino vale la regola che unisce l’Italia: candidarsi per perdere le elezioni in modo tale che non si debba correre il rischio di dover governare le casse vuote e la disperazione che verrà.

È stato un po’ lunedì, anche ieri che era domenica. In fretta e furia siamo stati chiamati con procedura d’urgenza a firmare un appello a favore della scuola pubblica, per lavare l’onta delle ultime farneticanti dichiarazioni idiote del tizio pervertito del consiglio, ormai sempre più simile a un fantoccio di memoria brezneviana. Una sorta di cadavere da esporre come in quel divertente film “Weekend col morto”. Ho firmato, certo, l’appello dell’Unità, con quel senso di amarezza simile a quello provato davanti alla rivalsa della donna offesa nella sua dignità. Perché siamo sempre più rapiti da questa sorta di follia collettiva, che ci fa indignare più per le cose che l’idiota dice, di quelle che invece ha fatto, per mano della sua serva ministra. Oh no, non possiamo sopportare che un ridicolo vecchio debosciato dica che la scuola pubblica italiana sovverta gli insegnamenti dati dalla famiglia, inculcando “il comunismo”, ma sopportiamo benissimo le leggi che di fatto la scuola pubblica la smantellano, costringendo quei pochi insegnanti resistenti rimasti, a lottare soli e abbandonati a loro stessi tra le macerie rimaste in piedi dopo il passaggio della barbarie berlusconiana. Noi ci ribelliamo alle parole con le parole, e facciamo il callo alle mazzate.

S’è fatto Lunedì anche in Sardegna, finalmente. Con sorpresa e sgomento si apprende che la procura di Lanusei ha trovato delle casse di uranio a Perdasdefogu, indagando sulla sindrome di Quirra che tanta leucemia ha donato alla sua popolazione. Però, siccome devo mantenermi in forza per andare ancora più avanti, è meglio non ricordo da quanti anni, in Sardegna si denuncia e si dibatte questo ennesimo esempio di schiavitù, svendita e colonizzazione militare americana. Non posso, perché oggi è solo lunedì, e se inizio così è difficile che arrivi a domenica.

Buona settimana
Rita Pani (APOLIDE)


2.25.2011

 

Per fortuna siam tutti libici

È bello essere cangianti. Una mattina ci svegliamo tutti iracheni, poi una mattina siamo tutti afghani o palestinesi. Ora siamo africani – e per me è come coronare un sogno – e siamo diventati egiziani, tunisini e anche libici. Per fortuna riusciamo a farci mordere dalla coscienza, per fortuna riusciamo a sentire sulla nostra guancia lo schiaffo dato sulla guancia altrui, come ci ha insegnato Che Guevara.

Quel che non comprendo, però, è perché nessuna mattina ci svegliamo sentendo sulla nostra pelle l’onta d’essere diventati “italiani”. L’altro giorno quasi ci avevo sperato, quando la CGIL finalmente aveva parlato di sciopero generale e generalizzato, ma oggi ho scoperto che al congresso di Rimini, alla domanda “se non ora quando?” la CGIL ha risposto: - “Boh!” Sì, si farà uno sciopero generale e generalizzato, ma regionale, di quattro ore, e solo se avanza tempo e le condizioni meteo favoriranno un sabato da passare da Ikea, dove se arrivi presto, la colazione è gratis.

Ora siamo libici, e quindi c’è da attendere ancora per essere italiani. Siamo così libici che i politici italiani possono mandare i loro emissari di terz’ordine in televisione a parlare di guerra, senza che si faccia una piega, nonostante l’articolo 11 della Costituzione. Ci vuole poco, in fondo, a farci digerire. Le televisioni che fino a ieri chiamavano Gheddafi “Il Colonnello”, hanno sostituito il termine con un più comodo “Dittatore”, e soprattutto riportano in auge la figura del terrorista islamico, pronto a sostituire il terrorista fine a sé stesso che è stato il Rais Dittatore, ma solo perché non ha potuto nascondere il sangue.

Non possiamo svegliarci italiani, perché ci sono troppi italioti. L’unico problema è chiedersi quanti barconi di clandestini – né profughi, né disperati ma clandestini – arriveranno in Italia, e soprattutto quanti tra loro saranno terroristi. Non siamo italiani, perché finalmente dopo anni e anni, siamo diventati europei. Anche la Lega, che nelle primissime ore della ripresa degli sbarchi massicci a Lampedusa, l’Europa l’aveva snobbata, ora rivendica il posto occupato in Europa; l’Europa del sud che è quasi Africa.

È comodo, anche perché pure l’Europa inizia a parlare di guerra – umanitaria ovviamente – perché non si potrebbe mai ammettere spudoratamente che c’è preoccupazione per il petrolio e per il gas, che se finisse in mano ai legittimi proprietari, che si sono ribellati sarebbe un po’ un casino per tutta la nostra economia. Quindi sì, siamo libici per i dieci mila morti, e per le fosse comuni che però, ci fa notare il governo per bocca di quella cosa squallida che è giovanardi, proprio comuni non sono: sono solo tombe scavate e foderate di cemento, ha detto l’imbecille di turno. Ma a noi libici ci fanno impressione ugualmente.

Le altre no, quelle che il mare non scava ma ingoia insieme a tutta la barca. Quelle ci faranno meno impressione, perché alla fine potranno essere parte della risoluzione del problema: l’immigrazione clandestina.

Insomma, tutto sommato meglio essere libici che italiani. Il compito è assai più lieve.

Rita Pani (APOLIDE)


2.24.2011

 

Quasi un’antologia


Scrivo. Scrivo per passione, scrivo per mestiere, e ho imparato a scrivere anche per dovere. Ho raccontato in questo blog dieci anni di vita, che all’inizio pensavo fosse solo la mia. Non sapevo, o forse non mi rendevo conto, di quanto questa fosse simile a quella di molti di noi che iniziavano a perdersi nella solitudine dello sconforto.

Dieci anni di vita fanno storia. Quasi 500 pagine fanno un’antologia. Certo non è la storia che siamo abituati a leggere, di date e accadimenti di noiose citazioni eroiche; è la storia che ci guarda, e che a volte ci addita riconducendoci alle nostre responsabilità.

E pure per me, che quotidianamente l’avevo raccontata, non è stato facile ripercorrerla, passeggiarci sopra con leggerezza. Molti sono stati i momenti di smarrimento, quando rimettendo insieme i pezzi mi son trovata dinnanzi alla realtà che continuamente si ripropone a noi, sempre uguale a sé stessa, che ci induce sempre la stessa rabbia, con gli stessi sentimenti di rivalsa e l’orgoglio della R-Esistenza.

Ho impiegato molto tempo, ma alla fine ce l’ho fatta. Indigesta più della Divina commedia, spessa come un tomo. Non ha pretese questo mio lavoro, se non quello di farmi sentire utile per aver contribuito, in qualche modo, a preservare la memoria di cui abbiamo bisogno e alla quale, temo guardando agli accadimenti di questi giorni e queste ore, dovremo presto fare ricorso.

So che non sarà una facile lettura, e per questo vi prego di leggere bene il “Foglietto illustrativo interno”; lo so perché non è stata lieve la vita in questi ultimi dieci anni. Lo so perché la mia – la nostra – non è stata una bella storia da raccontare.

Potrete accedere al file per la lettura on line da questo link, o scaricare la “quasi antologia” in formato zip da qui.

Buona lettura.

Rita Pani (APOLIDE)

2.23.2011

 

Tra breve "Lo sguardo di Hermes" ;)


 

Se tutto diventa astratto

Qualcuno dovrebbe dire a Bersani, che se oggi l’opposizione andasse in Parlamento e si dimettesse, domani starebbe al governo. Bersani poi, dovrebbe trovare il coraggio della verità: dire ai cittadini italiani, che governare è un rischio che non si sente di correre. Quale folle potrebbe sentirsi pronto ad assumersi la responsabilità di prendere in mano il destino delle macerie di questa nazione devasta tata dalla criminalità che l’ha spolpata, svenduta ed uccisa nell’ultimo decennio?

Lo diciamo spesso tra noi: “Non c’è nessuno a cui affidare le nostre sorti”. Non c’è perché nessuno può essere così pazzo da dire: “Eccomi! Vado io”, e Bersani è molte cose, ma di certo non uno stupido.

Poi ci siamo noi, come frutti dentro una cesta che piano marciscono stando in mezzo al marciume. Ogni volta che scendiamo in piazza è come se asportassimo quel pezzetto di muffa che iniziato a divorarci, sapendo però che ancora dovremo amputarci altri pezzi bacati, altri pezzi di noi.

Lo diciamo “Basta!” e lo diciamo veramente perché crediamo sul serio che sia ora di fermare lo scempio, ma che senso ha dire basta quando nessuno raccoglie il tuo grido? Avete fatto caso? I politici delle opposizioni – nella fattispecie il PD – è sempre con noi nelle piazze quando la protesta è astratta. Per esempio quando da donne si è sentita l’esigenza di rivendicare la dignità. Non c’erano però ai funerali dei diritti dei lavoratori, quando a gran voce si chiedevano “pane e lavoro”. E queste sì che sono richieste tangibili, urgenze da colmare, non come la dignità, che ho scoperto ci son persone che neanche la riescono a definire.

Così anche le proteste concrete diventano astratte perché cadono o restano avvolte e sospese nel silenzio; l’unica cosa che le accoglie. Un silenzio di cui dovremmo chiedere conto.
Quindi anche il 12 marzo, quando torneremo nelle piazze per difendere la Costituzione, l’ultimo baluardo della democrazia che questa cupola di governo si appresta a smantellare, è bene essere coscienti del fatto che probabilmente anche la Costituzione diverrà qualcosa di astratto.

Ci sarebbe da fermarsi a riflettere, magari chiedendo a Bersani e Di Pietro, di definire meglio per noi, il concetto di dignità. Perché sì, noi il favore glielo abbiamo reso, quando da donne ci siamo affrancate da un sistema che guarda alla donna come una puttana, ma come la mettiamo con la dignità della persona nella sua interezza?

In Italia non ci sarebbe bisogno di finire morti come i tunisini, gli egiziani o i libici; noi gli strumenti li abbiamo tutti: la democrazia, la Costituzione e le opposizioni. Quel che non abbiamo è un governo. Allora, in Parlamento a cosa ci si oppone? Alle regole scritte dal malaffare per l’interesse privato di un criminale? Che senso ha opporsi e partecipare al governo di una nazione che non governa, lasciando così che il paese muoia?
È solo di un governo che l’Italia avrebbe bisogno, e di persone coraggiose, che dicano chiaro quanto triste è l realtà contro cui prima o poi, dovremo per forza andare a scontrarci, dopo essere stati devastati, ipnotizzati, lobotomizzati, derubati e rosicchiati fino all’osso da questi predatori criminali.

E il coraggio maggiore, come sempre, dovremo averlo noi.

Rita Pani (APOLIDE)

2.21.2011

 

Surreale


[sur-re-à-le]
(pl. -li)
A agg.
Che supera la dimensione del reale

Eppure sento che questo aggettivo non basta più. Lo sento da un paio di giorni, da quando ho iniziato a leggere da più parti, i commenti alla vittoria di Vecchioni al Festival della canzonetta italiana. Una prima botta di surrealismo quando ho letto che “finalmente in Italia iniziava la Rivoluzione”, la seconda con annunci in maiuscoletto: “Compagni! Finalmente un comunista ha vinto il Festival”. La terza botta, quella dello smottamento e della frana di ogni miserrima certezza, quando mi son trovata davanti alla dichiarazione d’orgoglio: “Ha vinto Vecchioni e io ho votato” proprio come se avesse partecipato alla battaglia, e avesse potuto dire a chi lo ama che “lui c’era”.

Ma questo era sabato, e anche domenica. Oggi è lunedì, quella rivoluzione è stata archiviata e si passa alla prossima: “Tutti in piazza il 12 marzo a Roma, per difendere la Costituzione.” E se per la rivoluzione sanremese mi sono astenuta non permettendo così alla RAI, e alle compagnie telefoniche di rubarmi un paio d’euro, per la difesa della Costituzione non mi asterrò. In effetti, non mi astenni nemmeno quando fummo chiamati qualche anno fa a votare un Referendum per difenderla veramente la Costituzione. Vincemmo, ovviamente, ma a quanto pare oggi non se ne ricorda nessuno, nemmeno il governo di malavitosi che a tutti i costi vuol essere libero di salvaguardare la propria malavita abrogando i nostri diritti e i nostri doveri.

Non può bastare l’aggettivo surreale, bisognerebbe coniare un neologismo capace di esplicare meglio lo stato da fantascienza fumettistica nel quale viviamo o vegetiamo. Per esempio abbiamo nuovamente una guerra civile alle porte di casa, ma non pare essere un problema per nessuno, se non per il ministro del razzismo che si dice preoccupato. E la Libia di tanto in tanto un po’ di preoccupazioni le ha date all’Italia. Dato che abbiamo scordato di aver votato per vari referendum, è probabile che si sia scordato anche di tutte le volte che Gheddafi ha puntato i missili contro l’Italia. Ma ora è diverso, perché al Viminale non temono i missili che potrebbero arrivare, ma i clandestini.

E assai più che surreali sono le figure indegne che l’Italia continua a fare davanti al mondo intero. Se non erano bastate le immagini del tizio  che a mo’ di mafioso bacia le mani del colonnello libico, o le dichiarazioni umilianti del debosciato sulla saggezza di Mubarak davanti all’Europa riunita a Bruxelles, probabilmente tese a farsi perdonare di averne trascinato il nome in uno degli innumerevoli scandali italiani, oggi è il giorno del ministro degli esteri più inutile che l’Italia abbia mai avuto. Mentre la Libia è in fiamme, ed è difficile apprendere quale sia il numero reale della popolazione ammazzata per strada, il ministro italiota sempre a Bruxelles, conferma la leale amicizia tra Italia e Libia avallando le spaventose dichiarazioni del figlio di Gheddafi, rese ieri nella TV di stato libica. Lavorare per la pacificazione e una nuova Costituzione. E della promessa di guerra fino all’ultimo uomo, fino all’ultima donna e fino all’ultimo proiettile, da italioti ce ne possiamo anche fottere. È sempre meglio non disturbare un dittatore che lavora, l’importante è che si possano continuare a respingere i migranti per lasciar fare il lavoro sporco ad altri. E poi c’è anche da ammirare – visto che tutto è surreale – la lealtà e il grande senso d’amicizia. Meglio ribadire anche davanti all’Europa l’immensa gratitudine a Gheddafi per aver condiviso la pratica del bunga bunga.

E ora immersa come sono nella fantascienza, mi sono un po’ persa perché non è arte per me. Meglio fare uno sforzo e tornare alla realtà. Ci saranno ancora molte Rivoluzioni da fare, e dovrò decidere presto se partecipare o astenermi, come spesso mi capita – purtroppo – di fare. Ora per esempio non so davvero se mettere la coccarda tricolore al petto il prossimo 17 marzo. Mi sono arrivati i primi appelli che esortano ad essere coraggiosi.

Non so davvero se potrò osare tanto.

Rita Pani (APOLIDE sconfitta)


 

Nulla da festeggiare

Nulla da festeggiare

2.19.2011

 

Diversamente combattivi

Credo che la Libia, se avesse ancora il collegamento a Internet, in queste ore ci guarderebbe con invidia. Muoiono come tutti i popoli che vogliono liberarsi, e conoscendo il loro re, sanno che moriranno ancora. Eppure insistono a lottare.

Noi no, siamo diversi e diversi resteremo. Diversamente liberi, ci liberiamo diversamente. Ci invidiano perché sanno che noi  non rischieremmo mai di morire per la libertà. È un concetto che ci è caro solo quando cantiamo a voce alta “Bella Ciao” e solo perché qualcuno vorrebbe proibirci di cantarla. Noi facciamo le proteste alternative dalle quali poi ci dissociamo, se la polizia carica e ci spacca la testa, o ci arresta come fossimo in Iran.

Se la Libia potesse vedere il coraggio italiano, in queste ore, proverebbe moltissima invidia. 200 coraggiosi eroi sono andati a Trigoria per un attacco di guerriglia contro i vertici della Roma, e non intesa come città sede del governo, ma come AS Roma Calcio. E non è stato il capo del governo di Roma a dire che stoicamente resisterà saldo al suo posto, ma l’allenatore, e scusatemi ma non mi ricordo il suo nome.

Siamo un popolo strano, diversamente patriota. Io lo sono. Ieri qua su dove vivo, distante dalla mia isola ho visto su un balcone sventolare i Quattro Mori, ed è stato un tuffo al cuore. Mi son fermata e so che ci ripasserò davanti molte e molte volte. Non mi succede mai quando vedo il tricolore, perché so che sta esposto nei balconi quando l’orgoglio ci ritorna da un campo di pallone. Però ora che si avvicina il 150° anniversario dell’unità d’Italia, patrioti ci sentiamo tutti almeno un po’. Ma è solo per dovere.

Perché siamo diversamente civili e i leghisti ci stanno sul cazzo – e scusate se non trovo un eufemismo. Meglio di così non si può dire.  Perché se avessimo l’orgoglio della verità ci dovremmo cospargere il capo di cenere ed ammettere che dell’Inno di Mameli non ce n’è mai fregato nulla, e nemmeno lo conosciamo se non per quella prima strofetta che, guarda caso, sentiamo cantare sempre e solo sui campi di pallone, e a volte quando ci torna indietro un morto decorato, un eroe di quelli che elargiamo all’imperialismo americano, a mo’ di scambio merce: qualche morto in cambio di qualche barile di petrolio.

Però poi se Benigni (che io adoro) ce lo spiega lui, alla fine siamo contenti e sempre perché in qualche modo abbiamo schiacciato un leghista.

Potremmo anche noi liberarci diversamente, dei leghisti, dei nani e delle ballerine, e senza morire. Basterebbe stare fermi, davanti a palazzo Chigi, troppi per essere dispersi, troppo fermi per essere sparati. Immobili a gremire la piazza, per ore, per giorni e giorni per vederli tornare tutti da dove son venuti. Ma non è cosa da noi.
Noi dalla Libia abbiamo importato il bunga bunga, e non è stato nemmeno gratis. Lo pagheremo per i prossimi 28 anni. Così come volle il tizio, quando per favorire gli interessi suoi e quelli del suo amico dittatore, stipulò un mutuo trentennale per risarcire il paese dal colonialismo fascista.
 
(E comunque – digressione – quel tizio porta davvero sfiga). Son felice d’essergli nemica, che gli amici suoi non è che stiano tanto bene. Dicono che uno sia persino morto …

Rita Pani (APOLIDE)


2.17.2011

 

RICHIESTA DOCUMENTI FALSI

Al Tizio del Consiglio
Palazzo Chigi    -  ROMA     
Oggetto: RICHIESTA DOCUMENTI FALSI

Illustrissimo Tizio del Consiglio,
mi chiamo Rita Pani e sono disgraziatamente una cittadina italiana, se pure da tempo mi stia industriando per cancellare quest’infamia dalla mia identità.

Non riuscendo a guarire dalla patologia mentale che mi costringe quotidianamente a tenermi informata sulle questioni storiche e politiche, relative al periodo di decadimento prodotto nell’ultimo ventennio dalla sua incessante opera criminale, sono giunta a conoscenza dell’ultima sua meritoria e caritatevole opera verso le persone bisognose, ovvero la facilità con la quale lei, volendo, fornisce a chi ne avesse bisogno, non solo protezione, danaro, Audi e appartamenti, ma anche documenti falsi.

Per invogliarla nel proseguo della lettura di questa mia missiva, voglio fin d’ora tranquillizzarla sulla modestia della mia richiesta: non essendo una troia non ho bisogno di un protettore. Tempo fa, in vero, avrei avuto bisogno di una casa, ma preferii rivolgermi all’Agente immobiliare di Bertolaso,  il Cardinale Sepe, che però non rispose, nonostante la disperazione del mio caso. Nemmeno mi trovo a scriverle per ottenere da lei danaro o un posto fisso in Parlamento, avendo io da molto superato l’età per partecipare al Concorso per titoli, non considerandomi idonea per abilità, ed essendo succube di principi etici e morali, quali la dignità e l’onestà.

Mi rivolgo a lei, perché a seguito dello sfratto e del mio successivo trasloco ho perso molte delle cose che erano di mia proprietà, compresa gran parte dei miei effetti personali e tra questi la tessera cartacea (librettino verde) attestante la mia registrazione presso il ministero della salute e della sana e robusta costituzione. Ora, mi dicono agli uffici di competenza, che mi sarà impossibile ottenere l’assegnazione di un altro medico di famiglia se non provvederò alla riconsegna del documento perduto.

Per questo mi trovo costretta a chiederle un poco della sua caritatevole bontà, e di intercedere presso la stamperia di sua fiducia, per farmi ottenere una nuova tessera sanitaria falsa, che mi dia diritto ad averne una vera dallo Stato Italiano da lei altruisticamente lasciato in balia di esimi scienziati quali sacconi e brunetta.
Nel ringraziarla per il suo eventuale interessamento, resto a disposizione per inviarle i miei dati anagrafici, e la fotografia di un organo sessuale femminile, certa di fare cosa gradita.

Saluti,
Rita Pani (APOLIDE)                                                   

2.16.2011

 

Non è proprio la favola della buona notte

Lo so, bisogna distrarsi ogni tanto. Si deve alleggerire la vita perché ci opprime. Lo faccio spesso, infatti non mi sono azzardata di scrivere di quel povero disgraziato che si è ucciso – uno dei tanti – l’altro giorno per povertà. È come quando andavo dal parrucchiere, e fissando un punto sul muro, pensando ai fatti miei, annuivo verso la signora che standomi seduta accanto chiedeva a me pareri o risposte su quello che vedeva sul giornale che teneva in grembo, uno di quelli – non so se si usa ancora – che davano la data di nascita e il segno zodiacale del protagonista della storia raccontata per immagini. Le didascaliche avventure del figo di turno. Meglio distrarsi, quindi, e per questo forse intere pagine di giornali riportano notizie con le quali possiamo ancora indignarci, perché tanto è sempre propaganda fascista, sia che due professioniste dello spettacolo si bacino a Sanremo o che il direttore della RAI chiami un reality show, sia che imponga la satira bipartisan a Sanremo – e dicono i giornali che il diktat sia stato accolto, o che finalmente arrivi alla ribalta la escort specializzata in giocatori di serie A.

E mentre stiamo distratti il governo incassa la fiducia al decreto “mille proroghe” il tomo annuale meglio noto come “assalto alla diligenza”, dove si può infilare di tutto, persino le tasse che il governo giura di non aumentare mai. Già l’altro giorno avevo letto qualche anticipazione, come quella che prevedeva la tassa sul cinema: un euro a biglietto per reintegrare i fondi tagliati. Ma il peggio doveva ancora venire e puntualmente è arrivato, tra un bacio a Sanremo e una chiamata al telefono di un servo, uno qualunque, e sempre, sempre con contorno di patata e volendo abbondare anche piselli: quello di Vendola, per esempio, ma di una trentina d’anni fa, così che i ben pensanti possano dire che tutti alla fine, dentro le mutande sono uguali. (E questo al tizio piacerebbe)

Il peggio da nascondere è quel capitolino legale che interessa l’Abruzzo, per esempio, che per reperire un po’ di quei soldi che non sono mai arrivati dopo il terremoto, sprecati con le case futuristiche costruite col cartone, e pagate come se fossero oro, solo per far arricchire un manipolo di ladri, potrà aumentare la tassazione per i suoi cittadini, anche aumentando le accise della benzina. E per risanare un altro miracolo berlusconiano, la Campania potrà invece aumentare le bollette della luce dei suoi cittadini, così da poter finanziare ancora e meglio la camorra dei rifiuti.

Lo so, l’ora è tarda. È quella in cui di solito si raccontano le favole ai bambini, o le televisioni trasmettono sedativi luccicanti e sorridenti per il popolo intristito da giornate pesanti. Non dovrei proprio continuare a raccontarvi di questo decreto passato nel quasi totale silenzio, non facile da digerire come le patate e i piselli. Ma è che c’è un altro codicillo davvero interessante, ignobile proprio come solo questo governo di nani e ballerine sa essere. È quello che riguarda i malati di SLA, che dovettero andare a protestare al ministero delle Finanze per vedere reintegrati i fondi per la loro assistenza. Il ministro decise di prelevare i fondi direttamente dai contributi versati volontariamente con il 5 per mille, tagliando l’unica fattiva solidarietà di una miriade di Onlus e Associazioni che si occupano del sociale. 100 milioni di Euro, si decise. Ora invece nel decreto è bastato aggiungere una nuova formula: “fino a 100 milioni” per dire ai malati di SLA che possono anche morire senza cure e senza assistenza, perché con un minimo di buon senso, “fino a 100 milioni” vuol dire anche 20 euro.

Scusate, non volevo disturbare, è che non riesco a dormire.

Rita Pani (APOLIDE)

2.15.2011

 

E pure Bersani è andato.

Non me la sento di giudicare Bersani, in fondo anche io adotto il suo stesso metodo: quando le cose si fanno troppo difficili, mi invento sempre un modo per scappar via. Poi rinsavisco, mi calmo, torno indietro e riprendo esattamente da dove avevo interrotto. Certo, io a differenza di Bersani non rappresento l’ultima speranza di un ritorno al futuro, per un intero popolo che vaga scalzo e perso. Questo ho pensato oggi, con un po’ di umana pietà, leggendo le dichiarazioni del segretario del PD, che tanto mi hanno dato il senso della disperazione in cui certamente versa l’uomo e il politico.

So che la lega non è razzista” ha detto Bersani rispondendo ad una lunga intervista rilasciata a “La Padania” – una roba tipo giornale per la diffusione della propaganda nazista della Lega – durante la quale, il messia del PD, è riuscito anche a proporre un patto di collaborazione per l’attuazione del Federalismo, che a sua detta sarebbe una cosa serissima oltre che auspicabile.

Ogni volta che ho scritto su questo blog, o in altri miei interventi pubblici, che mai avrei votato PD, l’obiezione ricevuta è sempre stata la stessa, ovvero che così facendo avrei favorito il prolungamento dell’epoca berlusconista, e che comunque è necessario turarsi il naso e scegliere il meno peggio, per poter fare un passo avanti.

Dopo queste dichiarazioni di Bersani, non solo ribadisco che mai voterò per il PD, ma non voterei neppure per il migliore dei candidati, quello che ancora forse nemmeno esiste, che decidesse di allearsi con un partito così inconcludente ed inutile. Magari domani salterà fuori la classica smentita, forse Bersani dirà di essere stato frainteso, male interpretato, opportunisticamente sfruttato dallo scaltro giornalista padano, ma non ci cascherò. Perché la coerenza e il buon senso per me non son solo parole.

Quattro bambini sono morti incendiati qualche giorno fa, e la prima cosa che si è scoperta è che i quattro bimbi erano stati foto segnalati e schedati dal comune di Roma, proprio in virtù delle leggi razziali volute dal ministro per il razzismo maroni, che forse Bersani confondendosi, ha collocato durante la sua intervista in un partito “popolare” anziché “populista”.

Qualche giorno fa, le coste di Lampedusa sono state prese d’assalto da migliaia di disperati esuli tunisini, e le primissime azioni del ministro per il razzismo maroni sono state tre: rifiutare l’aiuto della Commissione Europea, rinchiudere i migranti in uno stadio strizzando l’occhio – forse – all’ abominevole tradizione cilena, e pretendere di invadere la Tunisia con l’esercito italiano.

Questo è dunque il “partito popolare” col quale ci si dovrebbe accordare per riportare un minimo di decenza in Italia? Crede davvero Bersani che io possa cambiare idea rispetto alla sua dabbenaggine, sapendo che per garantirsi il voto di un manipolo di bifolchi con l’elmetto cornuto sulla testa vuota, svende una volta ancora l’ideale di democrazia e libertà che nonostante tutto ci unisce e ci tiene resistenti?

Preferisco pensare che le parole del segretario del PD nascano davvero da quella disperazione che ci lascia inermi e arresi, che ci induce a voltare le spalle e scappare per guadagnarci un attimo di respiro e sollievo. Spero che voglia tornare al più presto in sé, e rendersi conto del punto in cui siamo sprofondati. E spero vivamente che si smetta di accontentarsi di stare con la merda fino al ginocchio, dicendosi che tutto sommato è meglio che averla ben oltre il collo.

Rita Pani (APOLIDE)


2.14.2011

 

E bravo cretino!

«Quella delle donne è stata una mobilitazione faziosa, vergogna. Le dimissioni sono una proposta irricevibile, non ho tradito il mandato elettorale né ho tradito le riforme».

[Quel tizio debosciato del Consiglio]

E bravo cretino! Sputa ancora addosso, a chi ti vomita in faccia tutto il disprezzo, fallo ancora un po’ perché non è bastato. Vergogna? Detto da un Pacciani dilettante non è nemmeno un’offesa risibile, semmai un’onta, un’altra, che si aggiunge a tutte le altre di cui prima o poi dovrà rendere conto.

Per quanto io non mi sia mai detta fortemente rapita dall’iniziativa di ieri, non convinta né delle motivazioni, né del metodo, non posso accettare l’ennesimo insulto di un uomo da nulla che sempre più dà i segni dello squilibrio che lo attanaglia nel suo mondo surreale, dominato dal potere del danaro, capace di corrompere chi ha messo in vendita tutto di sé, compresa la dignità.

E bravo cretino! Ha dovuto invitare milioni di donne a vergognarsi, lui che non sa cosa sia la vergogna. È un sentimento che dovrebbero provare i suoi figli pensandolo rinchiuso in un bunker sotterraneo, dove con la sua follia non pensa a conquistare o distruggere il mondo, ma guarda donne poco più che bambine, strusciare il culo contro un palo. Ed è diversa da quella vergogna che certi figli provano davanti a un padre che non riconoscono, perso a vagare per strada in pigiama e pantofole, abbandonati dai loro pensieri. Non è quella tenerezza che forse solo assomiglia alla vergogna, quella che dovrebbero provare i suoi figli, ma è l’orrore di avere un maniaco come padre, pericoloso per sé e per il suo patrimonio, deleterio per un’intera popolazione e che, se fossero furbi, provvederebbero a far interdire.

Sono una donna, una persona imperfetta, ma non accetto che mi si dica che in quanto donna io debba vergognarmi, perché le donne hanno voluto dire, gridando, che mai si venderebbero a un vecchio maiale, né per un piatto di minestra, né per un posto da ministra. La libertà, quella che la sua mente malata e i suoi pubblicitari ci hanno rubato, è un bene che non si compra ma si conquista. La libertà, quella vera, quella nostra lui ce la dovrà rendere prima o poi.

Cretino! Non c’è proprio nulla per cui ci si debba vergognare, se non quella di aver troppo tardi iniziato ad alzare la testa, impegnati come eravamo a combattere altre lotte, come quelle per il lavoro o la sopravvivenza, che abbiamo sempre perso proprio perché nulla si può contro i cretini. Non c’è verso di indurli alla ragione, non si può spingere un cretino a guardare alle cose con un altro occhio, con una diversa prospettiva. Un cretino è un cretino. E quel tizio è il primo dei cretini, che paga qualcuno per pensare per lui.

Non c’è vergogna a tener alta la testa. Non c’è vergogna nell’accorgersi pian piano che è giunto il momento di farsi valere per ciò che siamo – non solo donne – ma esseri umani. L’unica vergogna che son disposta a concedermi è quella di sapere che non farò mai abbastanza per far sì che un cretino, megalomane, maniaco sessuale e drogato di sé stesso, continui a gettare le vite di persone per bene nella consunzione in cui le ha gettate, di povertà e disperazione, di tristezza e solitudine.

Forse proprio le giornate come quelle di ieri fanno sì che si possa credere, forse solo per un istante, che è possibile smettere, finalmente, di vergognarsi.

Rita Pani (APOLIDE)


2.12.2011

 

Il burattino di gomma

L’Italia è una Repubblica vergognosamente fondata sulla televisione, per colpa del cerchiobottismo e del disinteresse – o interesse – del centrosinistra, che mandato al governo in nome della democrazia e della civiltà tradì la volontà popolare di quelli come me, che solo per responsabilità accettarono di votare “contro natura” per una coalizione con a capo un democristiano come Prodi.

Scrivere di televisione, oggi, è come dare la ricetta per le uova al tegamino; ma lo si deve fare con la speranza che le parole varchino il recinto della nicchia del Web e arrivino laddove, purtroppo, il computer è visto ancora come strumento diabolico o come un’immensa rivista pornografica, alla portata di chiunque non debba più avere paura di vergognarsi, davanti alla signora che vende i giornali nell’edicola all’angolo della piazza.

Sono molte le comparazioni che si fanno in questi giorni, tra il film di Nanni Moretti “Il caimano” e la realtà, e molto si è scritto sulle similitudini degli accadimenti narrati sulla pellicola e sui fatti che tutti subiamo o per i quali ci indigniamo. La nota scena finale del film, sembra quasi passare al rallentatore davanti ai nostri occhi. Il fuoco che pericolosamente lambisce il giudice che condannò il caimano. I commenti a seguire sono di stupore e sgomento, sinceri ma ingenui.

Penso che l’unica cosa di veramente simile che esiste tra il film e la realtà, sia solo il prezzo pagato per gli attori e le comparse. Così come la produzione del film scritturò gli attori per recitare la parte del rivoltoso popolo, allo stesso modo il padrone delle televisioni e della Repubblica su esse fondata, ha pagato le comparse per la protesta delle donne contro i giudici a Milano. Esattamente come nel film l’attore principale, in questo caso la sottosegretaria in Moplen, avrà avuto un compenso della vecchia signora agitata, che leggo, ha fatto parte svariate volte del cast di quella trasmissione per donne sottosviluppate “Uomini e donne”.

Non mi lascia sgomenta vedere un centinaio di comparse di Mediaset pagate per fingere la rivolta contro i giudici; mi lascia sgomenta, semmai, la polizia che le protegge. Non mi preoccupa minimamente “il gregge berlusconiano”, mi preoccupa semmai chiedermi quanti servizi segreti ci siano dentro, quanti specialisti dell’eversione nera italiana stiano lavorando per rendere il criminale del consiglio, libero di dare gli ultimi colpi di coda per garantire a se stesso e ai suoi mandanti l’impunità totale da tutti i reati commessi in associazione a delinquere.

Il vecchio maiale che si è impossessato dello stato, non è altro che la punta dell’iceberg di questo sistema criminale e mafioso che governa, dà fastidio solo a noi con il suo esercito di troie e di servi, ma nel contempo sta rendendo il suo ultimo servigio alla mafia – quella vera sullo stile della P2. Ogni vittoria del burattino criminale è un passo avanti per la criminalità organizzata che questo debosciato lo ha usato al pari di un cavallo di troia, per poter avere la certezza di mettere le mani sul potere, quello vero, che è quello di poter controllare l’economia del paese e di riscrivere le leggi.

Se dovessi scriverlo io, un film, su ciò che sta accadendo in Italia, rappresenterei una sala fumosa, con una decina di persone – ma forse anche meno – sbracati su una poltrona, con la cravatta allentata. Tutti intenti a guardare in televisione la ridicola faccia di gomma di quel vecchio ormai decomposto che sbraita di giudici, di famiglia e di peccato. Soddisfatti si stupiscono della loro fortuna: mai nemmeno loro avrebbero osato sperare che la loro marionetta potesse dargli tanta soddisfazione. Poi sì, magari per arrivare alla vittoria finale potrebbe esserci pure il fuoco che avvolge un palazzo di giustizia, ma in quel caso non potrei certo far credere a nessuno che ad appiccarlo sia stata “la cubista settantenne” che anziché essere internata in un manicomio veniva pagata da Maria De Filippi per rendersi ridicola in TV, e far sì che milioni di donnette frustrate ed ignoranti, si sentissero fortunate per vivere la loro mediocrità.

Rita Pani (APOLIDE)


2.10.2011

 

Troppi modi per sentirsi offese.

Il nord Sardegna è invaso dall’olio combustibile. Sulle coste è moria di alghe, pesci e uccelli. Il mare è nero lo stato italiano dice che non c’è emergenza, che per fortuna tutto si è risolto.

Io mi sento offesa come sarda.

Sullo stile di un summit mafioso, elementi mafiosi e criminali del governo di riuniscono con i loro avvocati deputati, per riscrivere le leggi del codice penale e salvarsi – loro e la mafia – dalla galera.

Io mi sento offesa come persona onesta.

Marchionne si impossessa della FIAT, annulla i diritti sindacali degli operai in attesa che arrivi il 2013 e sia libero di smantellare l’industria italiana, senza alcun intervento dello stato a tutela dei lavoratori italiani.

Io mi sento offesa come lavoratrice.

Per evitare altri processi, il governo tenta di far passare il decreto sulle intercettazioni telefoniche, che di fatto legherebbe le mani alla magistratura e agli ultimi baluardi della stampa libera, ufficiale e no.

Io mi sento offesa come persona libera.

Muoiono al rogo quattro bambini, ed esponenti politici italiani si rifiutano di commemorarli o si lasciano andare a dichiarazioni degne del più orrido nazifascismo.

Io mi sento offesa come persona civile.

Che ci piaccia o no, ricorrono i 150 anni dell’Unità d’Italia. Lo stato italiano in mano ai secessionisti leghisti proibisce di fatto la celebrazione della ricorrenza.

Io mi sento offesa come cittadina italiana.

L’Italia raggiunge tassi di povertà come nell’immediato dopo guerra, la fame torna tra le famiglie italiane, e come nel dopo guerra la povertà uccide uomini, donne e bambini in Italia, mentre il governo ci ricorda che siamo cittadini ricchi.

Io mi sento offesa come persona che sopravvive a fatica.

Il patrimonio artistico e culturale italiano si disintegra quotidianamente grazie all’incuria di un ministro incapace. Roma studia progetti di cartone da esporre a Circo Massimo, cede il Colosseo a un fabbricante di scarpe e in Sardegna si ricoprono di terra le necropoli appena scoperte per mancanza di soldi.

Io mi sento offesa come persona civile.

La cultura finanziata in Italia è solo quella che passa per le mani del governo – nel senso stretto della proprietà – e per mettere le mani sui soldi dello stato, ci sono donne e uomini pronti a prostituirsi – non solo fisicamente – che come avvoltoi girano intorno ai milioni di euro del piano fiction della RAI. I tagli all’editoria (che non sia di proprietà del governo) rendono difficile la sopravvivenza delle case editrici libere. I nuovi talenti italiani, sono al 99% prodotti berlusconiani, oppure non esistono schiacciati dai servi berlusconiani.

Io mi sento offesa come scrittrice

La scuola italiana sottomessa al volere di una ministra idiota, e talmente brutta che è difficile immaginarla inginocchiata sotto una scrivania a far carriera. Una scuola mortificata dai tagli economici e culturali, dove insegnanti coraggiosi si industriano per resistere e dare il massimo che possono per l’educazione dei nostri figli.

Io mi sento offesa come madre.

Basta per favore. Non sono e non vorrò mai essere “solo una donna”. Voglio valere di più di un’etichetta, voglio essere in grado di non scordare mai che il motivo per cui siamo ridotti così come siamo, più ridicoli di una barzelletta raccontata male, è che l’ignavia italica ha regalato a quel criminale debosciato la certezza di poter fare e disporre delle nostre vite, restando sempre e comunque impunito.

Che si riempiano le piazze mi sta bene, ma che si riempiano davvero, non per chiedere cortesemente al dittatore di farsi da parte, ma per esigere che se ne vada esule o a morir’ammazzato dove preferisce; che sia Antigua o in Siberia, per me pari è.

Rita Pani (APOLIDE NERVOSA)


2.09.2011

 

Non riesco nemmeno a trovare un titolo

Ieri a Palazzo Grazioli si è svolto un vertice per la riforma della giustizia, ci ha informato Il fatto Quotidiano. Erano presenti il tizio capo del governo, la giudice moglie di bruno vespa, cosentino detto ‘O americano, e verdini la lavatrice di danaro sporco e massone della nuova P2. Hanno partecipato anche il ministro della giustizia e gli onorevoli avvocati del tizio.

Non è satira. Non è qualcosa di spiritoso che vuole strappare un sorriso. È la triste e cruda realtà. È una di quelle cose alle quali ormai sembriamo essere abituati, una di quelle cose che non è stata in grado fino a oggi, di farci abbastanza repulsione da spingerci alla ribellione. Una notizia che forse scritta in un altro modo potrebbe farci sorridere.

Che ne so? Per esempio, si potrebbe aggiungere che dell’utri era assente perché mandato in missione a Palermo, per fare a qualcuno “un’offerta che non potrà rifiutare”, o che forse stava in una scuderia a scegliere il cavallo al quale tagliare la testa da infilare, nottetempo, nel letto di Ilda Bocassini. Volendo, si potrebbe trovare una battuta anche per l’assenza di Totò Cuffaro, al quale l’esito della riunione verrà trascritto su un “pizzino”. È così che abbiamo imparato a proteggere le nostre intelligenze dall’insulto costante di questa feccia malavitosa che ci governa, in fondo: sorridendo.

Lo so, dobbiamo proteggerci. Sono io la prima a farlo, perché è troppo quel che tutti i giorni ci piove addosso. È talmente tanto che se non riuscissimo ad alleggerire i nostri pensieri, ci ritroveremo tutti in perenne crisi isterica, abbandonandoci ai nostri peggiori istinti o alla schizofrenia collettiva. Però non credo che davanti a un accadimento tanto grave si possa fingere che nulla sia accaduto. Quindi è bene sintetizzare la storia: ieri a Palazzo Grazioli si è tenuto un summit di mafiosi che insieme al ministro della giustizia e un paio di avvocati pagati anche dallo stato, tentano in ogni modo di riscrivere il codice penale.

Dell’italica ignavia non mi va più di parlare, e nemmeno di scrivere quella domanda che ormai, posta così tante volte, lascia solo il suono della vuota retorica: “Come è stato possibile?” la risposta la sappiamo fin troppo bene, ormai. Non mi sento nemmeno di chiedermi più se ci sia un modo per venirne fuori, per porre fine a tutto questo. In un contesto normale, d’altronde, sarebbe bastata una retata della DIA. Non ho alcuna intenzione di sforzarmi più a trovare risposte vagamente intelligenti da dare.

Mai nella vita avrei pensato di dire: “è vero, serve un altro Prodi.” Dando così ragione a Veltroni. Anche se, a ragion veduta, oggi potrei dire con molta tranquillità che se non fosse un altro Prodi, potremmo accontentarci di un altro Andreotti, Forlani o anche un redivivo Bokassa, che comunque nonostante il suo vizietto di mangiare carne umana, sarebbe stato più presentabile e credibile del non governo che abbiamo.

Rita Pani (APOLIDE)


2.08.2011

 

Il quarto mondo schizzinoso

È da ieri sera che ci penso, da quando volendo riposare gli occhi troppo pieni di parole, ho deciso di guardare su Internet la puntata di domenica di Presa Diretta che si occupava dei rifiuti di Napoli. Non sono riuscita ad andare oltre i primi venti minuti. Ho chiuso la pagina e ho cercato ristoro altrove. Però mi è rimasto il disagio; mi è rimasto il senso di sconforto appiccicato alla pelle. Mi sembra persino ingiusto chiamarli “rifiuti di Napoli”, perché pure noi che siamo sardi, per esempio, sappiamo che i rifiuti che arrivano come i turisti, sulle navi cariche, non sono “rifiuti sardi”, ma spesso veleno prodotto nel ricco nord prepotente, convinto di poterci ancora colonizzare e trattare come una Somalia o un Eritrea qualunque.

Anche stamattina ho gli occhi pieni di parole, e di punti e di virgole, e ho anche qualche lacrima come spesso mi capita in periodi stressanti e troppo pieni di cose. Così per non pensare al mio sono andata a leggere i giornali, ed ho trovato ancora “i rifiuti di Napoli”. Leggendo gli stralci delle telefonate tra Barni e Mascazzini, profumatamente pagati dallo stato per occuparsi dei rifiuti, mi è tornato il pensiero che per tanto tempo mi ha assillato ieri sera.

Forse sarebbe davvero il caso di una riforma della giustizia. Forse è giunto il momento di pretendere che le cose vengano chiamate col proprio nome. Visto che in Italia, una cosa come “disastro ambientale” non è considerata poi così grave, poiché da troppi anni c’è chi con la spazzatura si è fatto ricco, così ricco da comprarsi una compagnia aerea, ed è rimasto candido come una vergine; così vergine da poter partecipare alla spartizione dei danari per il fantomatico ponte sullo stretto, o il miracolo dell’Aquila, e allora sarebbe il caso davvero di cambiare.

Con una riforma della giustizia questa gente potrebbe essere condannata per il reato che veramente sta compiendo: strage. La gente muore, come nel quarto mondo e dopo lunga sofferenza. Spesso muore senza neppure l’assistenza, e certo senza potersi permettere di pagare i luminari della scienza, che per altro a volte, sono loro stessi invischiati nel giro del potere del malaffare, sempre in nome del dio danaro da far passare di mano in mano, sempre le stesse di chi dà e di chi prende. Metterli in galera e gettar via la chiave, però non soddisfa in pieno il mio senso di giustizia, davanti a tanta barbarie.

È sempre più difficile conservare il pensiero pulito mentre si uniscono i tasselli delle nostre esistenze e delle nostre r-esistenze. È difficile non soffermarsi almeno un attimo a pensare alla regola dell’occhio per occhio. Riportare a Brescia i rifiuti tossici nocivi e gettarli con gli idranti addosso a chi li ha mandati in Sardegna. Prendere i due funzionari dello stato e gettarli come FOS nelle discariche di Terzigno, dove oggi sappiamo, la “gente è diventata schizzinosa”. Far fare un bel massaggio a bertolaso da un auto compattatore in perizoma.

È sempre più difficile non cedere alla tentazione, sapendo quel che sappiamo. Ma dobbiamo r-esistere ancora e mantenere viva la nostra civiltà.

Rita Pani (APOLIDE)


2.07.2011

 

Quando muoiono quattro bambini

Stanotte a Roma son morti quattro bambini di una morte orribile. In vero non c’è morte che non lo sia, quando muore un bambino. Quattro bambini son morti, arsi vivi, davanti agli occhi di chi li amava e che nulla ha potuto contro le fiamme. Ogni volta che accade – perché ogni tanto accade – tutti sperano che sia l’ultima volta, tutti chiedono che questo non avvenga più, e i sindaci, persino quelli fascisti si recano mesti sul luogo della tragedia, a giurare davanti a una telecamera che tutto sarà fatto perché un bambino non debba mai più morire così.

Lo ha fatto anche il sindaco di Roma, E' una tragedia veramente terribile per la nostra città”. Ha detto Gianni Alemanno, accorso alla baraccopoli dei nomadi di Tor Fiscale. “E' la tragedia di questi maledetti campi abusivi - ha continuato - noi avevamo lanciato l'allarme molte volte perché sono pericolosissimi”.

A me avrebbe fatto piacere porre una domanda al sindaco Alemanno, dopo queste sue accalorate dichiarazioni, per esempio gli avrei chiesto cosa intenda fare ora che chiederà “poteri speciali” contro questa che temo, visto l’avvicinarsi di una nuova campagna elettorale, tornerà ad essere una delle italiche emergenze da affrontare di petto. Probabilmente, in un momento di recuperata sensibilità, mi avrebbe risposto che già tanto è stato fatto, ma non tutto il possibile e non tutto quello che si poteva fare.

Mi spiace che davanti a quattro cadaverini carbonizzati, nessuno abbia sentito la necessità di ricordare quali siano state le politiche sociali del comune di Roma, rispetto ai rom. Ricordo le ruspe al Prenestino che una mattina all’alba spazzarono via “le case” di centinaia di persone, e i loro sguardi persi mentre in fila reggendo bustoni di plastica e con i loro bimbi appesi al collo, sotto gli occhi della polizia e dell’esercito schierato, salivano sugli autobus che li avrebbero deportati dove non si seppe mai. Se quelle immagini fossero state in bianco e nero, pensai allora, avrei potuto confonderle con quelle a noi note (soprattutto il 28 Gennaio giorno della memoria) della deportazione degli ebrei. E lo fece ancora il sindaco Alemanno, al Laurentino o sulle sponde del Tevere, dove non solo i bimbi rom muoiono di freddo o incendiati, ma anche quel signore che ci parcheggiava l’auto o la donna che curava il vecchio vicino di casa.

Non so quanto durerà lo sdegno della società civile per la morte di quattro bambini, e non so nemmeno quanto durerà quello del sindaco. Forse un attimo prima che cali il velo dell’oblio mediatico sulla vicenda, un’altra volta ancora vedremo le ruspe in azione, i giochi dei bimbi schiacciati tra cartoni e legno compensato, e qualcuno avrà ancora il coraggio di dire che bisogna consentire a queste comunità presenti sul nostro territorio di vivere in contesti sicuri e dignitosi” mentre in realtà, lasciati senza più un riparo, non potranno far altro che costruirsene un altro al più presto, fino al prossimo morto o fino al prossimo sgombero.

Quando anche questo piccolo campo sarà sgomberato, a nessuno forse verrà in mente di dire o ricordare che i quattro fratellini morti questa notte, furono già sgomberati da un altro campo abusivo, in nome della propaganda sulla sicurezza e sul decoro urbano della Capitale. D’Altronde basta salire su un treno qualunque e guardare dal finestrino in prossimità delle stazioni delle grandi città. Le baracche delle nostre favelas son là col fumo dei fuochi accesi tra lamiere e cartoni, tra teli di plastica e panni di bimbi stesi fra gli alberi e che non asciugheranno mai, avvolti dal silenzio di chi anche guardando non vuole vedere. Fino a quando muore un bambino. Anzi, quattro.

Rita Pani (APOLIDE)


2.06.2011

 

2.05.2011

 

Le papi girls

Lo sapete che in Italia le polemiche non bastano mai, quindi oggi eccone un’altra: al reality show dei falsi naufraghi parteciperà anche una “papi girl”. A me non fa né caldo né freddo, dal momento che sicuramente non investirò nemmeno un secondo del mio tempo per guardarne, quello che invece mi fa rabbrividire è aver trovato la notizia nella sezione “cultura” dei giornali on line. Gli stessi giornali che rilanciano le iniziative degli studenti che vorrebbero riappropriarsi della cultura, o quelli che a tambur battente propongono le lodevoli iniziative delle donne per rivendicare la loro dignità. Mi spaventa anche molto che “papi girl” possa diventare, in un futuro immediato, una nuova qualifica professionale, con la quale il pubblico elettore prenderà presto confidenza, fino al punto di ritenerlo un mestiere qualunque e non quello più antico del mondo.

Da qualche tempo ho iniziato a collaborare come addetta stampa con una Casa Editrice di musica classica, e quotidianamente passo per tutte le pagine di cultura dei maggiori quotidiani – evitando ovviamente la carta straccia – sia per ricevere che per inviare notizie. Ogni mattina è così grande lo sconforto che penso ai musicisti o agli artisti, che piano sto conoscendo, con pietoso affetto. Persone che hanno perso l’infanzia o l’adolescenza divorati dalla passione, impegnati a imparare, sacrificati all’arte che è cosa diversa da pestar tasti di un pianoforte o di una tastiera. Ogni mattina sfoglio quelle pagine, leggo le notizie e sgomenta non riesco a trarre la logica delle cose.

Forse perché disincantata come sono, so già che gran parte di quelle donne che oggi si sentono offese per le mortificazioni ricevute da un tizio debosciato e maiale, quando si ritroveranno davanti alle immagini di un teleschermo di proprietà dallo stesso maiale, non riusciranno a resistere alla tentazione di guardarle, di tifare, di immedesimarsi, in quei personaggi che saranno protagonisti della nuova cultura italiana, e che attraverso le loro gesta, accultureranno i milioni di telespettatori che avranno liberamente scelto di stare ad osservare.

Se la pagina cultura di un quotidiano ignora un mio comunicato stampa, col quale informo della presenza di un evento culturale in un teatro, e nel mentre pubblica l’evento di Rimini in cui si esibisce Ruby Rubacuori l’antesignana di tutte le papi girls, ha senso che lo stesso giornale indaghi sulla moralità di un maiale debosciato?

Pare che sia una questione di marketing, per cui è diventata culturalmente apprezzabile solo ogni opera che porti lettori e clienti, e anche qui non comprendo. Se è vero come è vero che siamo stanchi abbastanza da chiederci “Se non ora, quando?”, anche quella logica di marketing dovrebbe venire a cadere. Meno lettori per i giornali, zero spettatori per i reality show, e soprattutto le pagine della cultura nuovamente dedicate alla cultura reale, e non a quella imposta dal regime che ha decerebrato almeno due generazioni di italioti.

Ma questa è utopia, lo so bene. Nella vita reale torneremo presto a votare, e in lista troveremo anche la beata gioventù del prossimo governo del fare, e ci sarà chi traccerà la ics a cuor leggero, convinto che sia sempre meglio una giovane puttana di un comunista. Perché tutto sommato non si sa mai, il dubbio che si possa essere costretti un domani a studiare seriamente, guardare solo film tipo La corazzata Potëmkin, o perdere la proprietà privata, resta.

Rita Pani (APOLIDE)


2.03.2011

 

Sono persona e dico basta da almeno 10 anni

Su Repubblica on line, sono più di 1500 le adesioni alla campagna “Sono donna e dico basta”. È divertente sfogliare a caso gli album delle foto. Ci sono visi di quelli come il mio, che alla mattina appena alzata non si capiscono. Poi ci sono immagini di donne con i cartelli che dicono basta, e poi … poi …

Poi ci sono i visi che non mi lasciano sperare e che mi fan comprendere quanto possa essere difficile avere nel cuore il senso di una lotta, che potrebbe divenire l’ultimo dei passatempi internettiani, pilotati dall’ufficio marketing di una multinazionale qualunque, come quella per esempio, che qualche giorno fa ci invitava a scendere per strada con pentole e coperchi. Davvero spaventevole per il governo dei fatti ormai noti.

Insomma, quale logica può mai spingere una donna a cedere alla tentazione di mostrarsi, con la bocca a cuoricino (o culo di gallina), e lo sguardo ammiccante da aspirante modella, per avere soddisfazione per la sua dignità? Forse – e senza forse - il bacillo inoculato dall’ultimo ventennio di berlusconismo, che davvero in pochi ci ha risparmiato.

Ed è un peccato che l’occasione di riscossa, si tramuti così presto in desolazione, comprendendo che forse anche il termine “dignità” è stato travisato. È desolante comprendere che la “rivoluzione” della donna è stata possibile solo quando ciò che avrebbe dovuto essere noto da quando, metodicamente, i teleschermi degli italiani iniziarono ad essere invasi da abnormi tette posticce, e culetti o culoni in primo piano, quasi che tutti volendo potessero annusarli, ma non toccarli è diventato mostruoso. Persino l’infermiera sexy che all’ora di cena mostrava tutte le sue bravure a chi sbavava con la forchetta che non riusciva ad entrare all’angolo della bocca. La logica berlusconiana della donna, che ha insegnato alle donne ad indebitarsi per la chirurgia plastica “che aiuta a trovare lavoro”, e sulla quale oggi i genitori investono più che per gli studi delle figlie. Sì, la logica del mostrare di sé quel che si presume un uomo voglia vedere, anche per chiedere – come in questo caso – più dignità. Chiedere di smettere di essere oggetti, proponendosi proprio come tali.

Se non ora quando? recita un’altra lodevole iniziativa che viaggia su Web. Ed anche questa è una bella domanda, ma purtroppo sortita dalle ultime incessanti rivelazioni sulla vita e le opere di quel tizio debosciato che ormai vittima del suo stesso delirio di onnipotenza, ha solo smesso di fare attenzione, credendo davvero di essere riuscito ad imbonire tutto il popolo, probabilmente convinto da uno dei suoi servi che per anni ha confezionato falsi sondaggi per ingraziarsi il re.

Siamo abituati al meno peggio, siamo vittime del meglio di nulla, e quindi ben venga una piazza che chiede le dimissioni di un criminale. Peccato però che nel frattempo tutto il resto passi in sordina, come per esempio le dichiarazioni rese oggi dal pentito Gaspare Spatuzza: “Mi fa il nome delle persone: mi menziona berlusconi, gli dissi se era quello di Canale 5 e lui mi conferma e mi dice che nel mezzo c'è anche dell'utri, un compaesano. A quel punto che avevamo ottenuto tutto, io cerco di spingere la questione personale con Contorno. Graviano mi dice che l'attentato contro i carabinieri si deve fare perchè bisogna dare il colpo di grazia. "berlusconi e dell’utri sono gli interlocutori, attraverso queste persone ci siamo messi il Paese nelle mani", mi dice.”

Se solo ci fossimo ricordati di questo particolare, purtroppo noto ben prima di oggi, forse saremmo scesi in piazza senza pentole e coperchi, lasciando che fosse la DIGOS a farci le fotografie, solo per richiedere indietro la dignità per poter essere cittadini di uno stato civile, governato dalla politica e non dalla mafia e dal malaffare.

Rita Pani (APOLIDE)


2.02.2011

 

Scossa all'economia ... era ora!

Meno male, si torna a parlare di politica: il tizio è apparso al TG1 per dire che farà crescere l’economia italiana del 3 o del 4%. Sono buone notizie che ci aiutano a stare bene, e sono sicura che da qui a domani, il popolo avrà già relegato all’oblio il periodo di fighismo minorennitario, appena trascorso. Ovviamente il miracolo economico avverrà senza tassare gli italiani, magari utilizzando il metodo di Cana, già usato da un suo predecessore in occasione di un banchetto dal catering scarso, in cui moltiplicò pani e pesci.

Meno male. Stamani ho avuto paura che fosse stata scritta la storia per il prossimo trimestre, quando ho appreso che anche la madre dell’ormai anziana Noemi Letizia, risultava a libro paga dell’utilizzatore finale di minorenni, invece eccolo riapparire vestito da Premier con indosso anche le mutande, pronto a duettare col Presidente della Repubblica, che con piglio deciso invitava tutti a uno “stop alle contrapposizioni.” Si è detto concorde, il tizio, e a sua volta ha invitato tutti a non tenere “comportamenti antistituzionali.”

È così bello tutto questo, che sembra un anticipo di primavera. Sentir parlare d’economia proprio il giorno in cui l’ISTAT ammette una certo impoverimento delle famiglie italiane soprattutto del nord è come sentir rinascere la speranza. Ci voleva perché ci è mancato, bersagliati quotidianamente dalla nuova moralità introdotta da questo governo con tenacia ed abnegazione. Ci voleva perché noi, che i diciotto li abbiamo passati da molto non avremmo davvero saputo a chi sbatterla in faccia. E a dire il vero, ci è voluto, anche perché pensare di aver generato delle bambine ci faceva vivere con una certa ansia. Insomma, da dove vengo io non si dette nemmeno l’oro alla Patria, figuriamoci una figlia!

Meno male. Politica con la P maiuscola, e meno tasse, e scossa all’economia. In effetti, se il tizio fosse stato più servitore della Patria, e avesse devoluto i milioni di euro che ha risparmiato negli ultimi 15 giorni, dopo lo “stop alle posizioni” imposto dalla magistratura che indaga, avremmo risanato gran parte del bilancio dello stato, ma non possiamo certo pretendere un sacrificio così estremo. Finalmente un po’ di politica, e proprio il giorno in cui vengono resi noti i dati sulla disoccupazione giovanile italiana – boom di rispetto – con un dato che si attesta al 29%. Non è chiaro se la dismissione del parco troie del tizio abbia influito nel calcolo statistico.

Forse ci conviene approfittare e far finta, per le prossime due ore, di vivere in un posto normale, in cui il governo governa, e l’opposizione si oppone. Far finta che un tizio così abbia ancora la minima credibilità di chi governa un paese. Solo per consolarci un po’, noi che i sogni sappiamo chiamarli incubi. Facciamo finta di non sapere che senso abbia la parola “riforma” pronunciata da quel tizio debosciato, che vorrebbe tanto essere un dittatore e invece è solo un megalomane nevrotico. Facciamo finta che possa permettersi il lusso di invitare gli altri a rispettare le istituzioni, lui che dovrebbe essere in galera per aver tradito la Costituzione Italiana.

E a proposito, giusto perché siamo in un paese normale, un professore in pensione di Gallarate ha deciso di anticipare il carnevale, girando mascherato da “Cavaliere delle zoccole”, per il paese. Un cavallo di cartone azzurro e un mantello azzurro. È stato prontamente identificato e denunciato da una pattuglia del Commissariato, per vilipendio alle istituzioni. Ma se si pensa che il tizio Culo Flaccido è un’istituzione, allora viene male anche far finta che …

Rita Pani (APOLIDE)


2.01.2011

 

Culture di destra

Pare che barbareschi sia stato ad Arcore per parlare di cultura col tizio. E i casi sono due, o è l’unico cretino che va in casino per non avere un rapporto sessuale, o mente spudoratamente; un po’ come se vi dicessero che gasparri è stato allievo di Werner Karl Heisenberg.

Ci ho viaggiato accanto alla cultura di destra oggi, e in realtà ci ho viaggiato anche di fronte, visto che di rientro da Milano, avevo il tavolino del treno imbandito dalle letture dei miei tre vicini che hanno sfoderato nell’ordine: il giornale, libero e il tomo di bruno vespa, ad occhio un migliaio di pagine di minchiate cosmiche, assai più ostiche della meccanica quantistica.

La signora di fronte a me, però, aveva anche – e senza vergogna alcuna – una copia di “Chi”, organo ufficiale del PDL. La cultura di destra è strana, infatti prevede la sola lettura dei titoli, poi un sonno lungo due ore e mezza, e l’utilità del libro di vespa è quella di poggiarci sopra il Nokia ultima generazione che però suona come un vecchio telefono verde, a disco, di quando ancora in Italia c’era solo la SIP.

La signora, dei tre, era quella più acculturata. Vecchia come una mummia egizia, aveva le labbra gonfie e gli zigomi giovani in vera cartapecora ed è anche l’unica che ha letto il titolo in grassetto: “Marrazzo ci ricasca. Di nuovo con un trans” (se non ricordo male). Sotto, piccolo piccolo, come in un bugiardino delle supposte, che spiega ai malati del pdl l’utilizzo per via rettale e non orale c’era anche scritto che i giudici di Milano avrebbero chiesto per il tizio il processo per rito immediato, ma che si pensava al rito abbreviato – e non è esattamente la stessa cosa.

La cultura di destra è il polsino sbottonato, per lasciar vedere il Rolex che ha stampigliato un numero al bordo della cassa. La cultura di destra è il giornale posato a favore di chi passa nel corridoio per andare alla carrozza ristorante, e di volta in volta guarda storto o compiaciuto a seconda del suo grado di cultura. I due uomini colti, come detto, hanno dormito parecchio, e solo alla fine del viaggio e molti squilli di telefono arcaico, hanno preso a parlare del loro viaggio culturale.

Un imprenditore – accanto a me – e un castigamatti di fronte a lui, che senza pudore e col tono di voce di un pescivendolo rauco, spiegava le sue tecniche di persuasione, fatte di ex pugili che da anni collaborano con lui sulla piazza di Roma, o di ex maestri di Karate, che non lo diresti mai che all’occorrenza sono anche meglio di un avvocato.

“Perché vedi, caro, gli avvocati sono proprio l’ultima spiaggia. Se proprio questo domani mattina ci dice che non ha i soldi che ti deve – e stai tranquillo che se mente ce ne accorgiamo - potresti anche andare dall’avvocato, ma per come è messa la giustizia italiana, quando li vedi i soldi?”

La cultura di destra parla sempre di economia; d’amore o di economia. Il tizio accanto a me non ci sta a perdere “la cifra con molti zeri” che ha appuntato su un foglietto bianco, e che mostra al suo amico specificando che sarebbe stato fifty-fifty. “Perché questi romani vogliono fare i furbi e io il lavoro l’ho fatto, e ora mi devono pagare e non mi interessa se dicono di essere ridotti al fallimento. Mi devono pagare e basta, che la crisi è per tutti mica solo per loro. O vogliono trascinare anche noi nel loro fallimento?” E di nuovo, guarda un po’, la giustizia che non funziona, e che è inutile tanto prima che la causa finisca ci passano gli anni.”

La signora con gli zigomi nuovi, che sembrano deturpare lo sfacelo dell’età ad un certo punto annuisce, forse annoiata dal mio silenzio e dal mio sguardo sempre più indagatore, e posa il suo sull’uomo del Rolex, il quale, dopo aver tranquillizzato qualcuno al telefono riprende a parlare: “Ma sai caro, in fondo questa crisi a noi ha portato bene. La mia società è diventata leader nel settore. D’Altronde se mi hai chiamato è stato perché Saverio ti ha parlato benissimo di noi. Lasciali stare gli avvocati, che quella è davvero una razza maledetta.”

Il treno è poi arrivato in orario. E a me secca sempre un po’, lo sapete. Mi fa pensare d’esser tornati al fascismo.

Rita Pani (APOLIDE)


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