9.30.2011
Riciccia Cicciolina
Rita Pani (APOLIDE)
9.29.2011
Aridatece i banditi
Resto affezionata alle parole, per il loro suono, per il
loro significato, e per tutto quello che esse sono capaci di evocare di
nostalgia o ricordi. Una volta, per esempio, c’era una parola che veniva usata
per indicare una persona che si nascondeva o fuggiva alle forze dell’ordine:
era latitante.
Quando in Sardegna si sentiva parlare di un latitante non c’era
bisogno di aggiungere altro; non vi erano dubbi sul fatto che si trattasse di
un bandito. E quando c’era un latitante in giro, si guardava in cima ai monti e
si pensava quanto sarebbe stato difficile stanarlo, trovarlo, anche se come
mosche sopra la vetta giravano gli elicotteri, o le camionette della polizia
per tutto il giorno avevano sollevato polveroni sulle strade.
Il latitante era spesso un terrorista, uno di quelli che
aveva partecipato a un attentato – e poco importava se era stato commissionato
da uno stato che incominciava a imputridire – che si nascondeva, che travisava
i tratti del suo viso, che nell’immaginario collettivo viveva in un covo dal
quale non usciva mai, nemmeno per prendere un poco di sole.
Molti romanzi son stati scritti sulla vita dei latitanti,
che avevano tutti qualcosa in comune, ossia la cappa nera che ne copriva le
esistenze da dimenticare. Poi ci sono i latitanti di mafia, quelli che fino a
qualche tempo fa, quando ancora le guardie erano guardi e i ladri, ladri, se
catturati si faceva festa, si applaudiva e si esultava. E poi ci sono le liste
dei latitanti, quelli pericolosi, che quando ne catturi uno si cancella con un
grosso tratto di penna, a rimarcare la soddisfazione. Ci sono stati uomini
latitanti per trent’anni e più, e le loro foto conosciute erano quelle di
quando erano ragazzi, e una volta catturati, ormai vecchi e disfatti, avrebbero
anche potuto ispirare un po’ di pietà.
Oggi è diverso, vivaddio! Oggi essere latitante è una sorta
di mestiere, anche perché può capitare che a fartelo fare, il latitante, sia
stato proprio il capo del governo, che ti esorta a stare là, a nasconderti a
Panama, dove eri stato magari insieme alla delegazione dell’Italia, in viaggio
ufficiale. Un paese ricco di romanticismo, Panama, che ti aveva accolto con l’inno
nazionale e le bandierine tricolore.
Ci sono stati latitanti, sempre vicini a quello che poi
divenne il capo del governo, che nell’arco della latitanza migliorarono la loro
carriera, diventando addirittura esuli, e vivevano in un bel posto in riva al
mare. In questo paese che svecchia le cose, oggi persino una madre potrebbe andare
in giro fiera e orgogliosa del proprio bambino: “Mio figlio? Oh è un bravo
ragazzo, un ricattatore, ora fa il latitante a Panama, guadagna bene ed è
felice.”
Mi spiace per i bambini di oggi, che cresceranno senza un po’
del sano romanticismo delle parole. Per noi il latitante era una foto sfocata e
in bianco e nero che stava su un giornale o dentro un telegiornale. Oggi invece
il latitante è in diretta TV, risponde alle domande dei giornalisti, e
rivendica con orgoglio: “Resterò latitante!” Magari in attesa che si avveri il
prossimo svecchiamento, quando lo stato, anziché lui, perseguirà sé stesso,
cambiando il significato di un’altra parola: “Magistratura”.
Rita Pani (APOLIDE)
9.27.2011
Liberate le puzzole!
Deve essere andata pressappoco
così: hanno convocato una riunione della cupola di governo, perché il padrino
si era seccato di stare tutti i giorni sui giornali, sempre per lo stesso
motivo, i reati connessi alla patonza.
“Cribbio! Basta,
questa fiction sta perdendo di audience, il popolo si annoia, abbiamo bisogno
di un diversivo.”
La preoccupazione
era palpabile, i pensieri rumoreggiavano nella sala: “Mumble mumble, uff, mbhè.” Anche gli affiliati della cosca padana
provarono a pensare: “Burp! Prot! Snork!”
Dopo un po’
qualcuno si accorse che dietro il tavolo qualcosa si agitava saltellante; era
brunetta:
“Io, io, io … ci
penso io… mmmmhhh, aspettate ciò, sto per partorire una cazzata … io sono
capace, ho rischiato anche di prendere un Nobel una volta, sono più bravo di
Monti e Tremonti. Io sono quattro monti.”
Il padrino della
cosca padana, con uno sforzo immane riuscì a enunciare un vocabolo di senso
compiuto, comprensibile a tutti gli affiliati, e dopo aver grugnito disse: “Pirla!”
riportando così tutti alla
concentrazione. “Mumble mumble, uff, mbhè.” “Burp! Prot! Snork!”
“Ci sono!” esclamò
il padrino: “Liberiamo le puzzole!”
Calderoli non capì
e scorreggiò, bossi per ribadire il suo ruolo di comando ne fece due ma non
avendo più il completo controllo dello sfintere, esagerò lasciando andare un
discorso politico complesso ma fluido.
“Cribbio! Ma che
cazzo avete capito? Le puzzole, le bestie, quelle più odiose, quelle che il
popolo le vorrebbe scuoiare per farci pezze. Brunetta! Santaahahahahahanché! Andate
e parlate ai giornali.”
Il mostro piccolo,
incarognito ma felice, si inventò l’abolizione dei certificati compreso quello antimafia;
il mostro grande, quello gonfiabile, rilasciò alcune dichiarazioni sul ruolo
delle donne nell’epoca del governo mafioso, asserendo che, se fosse stato vero
che per ricoprire un ruolo politico certe sue colleghe avessero scambiato
pratiche sessuali con il padrone, sarebbe stato un caso gravissimo che lei non
avrebbe tollerato. Poi finito il lavoro, tornò dentro e ebbe un coito orale col
padrino, così come da contratto d’assunzione a sottosegretario.
E il popolo, per
almeno ventiquattr’ore fu
felice di poter assistere a un colpo di scena in questa fiction che ormai era
sempre uguale a sé stessa. Così uguale da essere noiosa. Così uguale da esser
diventata consueta, come gli gnocchi di giovedì, come la sveglia al mattino,
come la cacca dopo il caffè.
Sì, deve essere
andata proprio così. Anzi: è andata proprio così.
Rita Pani (APOLIDE)
9.26.2011
Tutte lo chiamano amore ... anche brunetta
Al giornalista che gli chiedeva, se il tizio fosse in grado
di risolvere la questione italiana, quella specie di ministro, brunetta, rispondeva
così: «Certo. Anzi, più fa il medico, meglio risponde agli attacchi
forsennati, ingiusti, illegali alla sua persona. Sento dire: è talmente sotto
tiro che sarebbe meglio si facesse da parte. Ma lo attaccano proprio perché non
faccia il premier, per distoglierlo dalla sua carica rivoluzionaria. Come
quando tentano di fermare il goleador ricorrendo al fallo sistematico».
“La sua
carica rivoluzionaria”, deficiente?
Avete
stuprato la parola libertà, sodomizzato democrazia, vi siete puliti il culo con
giustizia, ma Rivoluzione no. Per quel che mi riguarda, non vi permetterò mai
di svilire anche quella, che è termine mio più che vostro; che in bocca a voi è
una bestemmia. La Rivoluzione è morta, uccisa dalla storia, e io ne voglio
tutelare il ricordo e la dignità.
La
Rivoluzione è una cosa seria, che guarda alla salvezza del futuro, che
progredisce che migliora, che combatte per alti principi, per il popolo. La
Rivoluzione è dolore, sangue e fatica capace di lasciare una ricca eredità ai
figli che verranno, tutti i figli del domani liberati in questo mondo che non
lascia più nemmeno la felicità di fare figli.
Involuzione.
Questo è il termine suo, di quel padrone che paga le puttane, e i suoi servi
come altre puttane più volgari e indecenti, nascoste nelle loro camicie celesti
e le cravatte ben annodate. Il tuo padrone, piccolo mostro incarognito dalla
vita, ha al massimo una carica “involuzionaria”, conservatore o reazionario, ma
comunque medioevale.
E in
quelle poche righe che rendono ridicolo non il ministro, ma che ridicolizzano l’Istituzione
rappresentata da cotanta ridicola persona, c’è il peggio dell’epopea medioevale
che stiamo vivendo. C’è il peggio della negazione della dignità della persona.
C’è tutto il trucco pesante degli occhi di una puttana da strada, i suoi abiti
sgargianti, le sue vistose scarpe, e le gambe nude anche quando è inverno, e si
scalda ancora come un tempo, dando fuoco a un copertone, quando s’è fatta
notte.
Alla
peggior puttana da strada, poco importa che un uomo sia bello o brutto, biondo
o calvo, potente o impotente; per la puttana da strada, ogni uomo è “amore” o “tesoro”,
ogni uomo è bello, alto e possente.
Per la
puttana da strada, uno stupido mentecatto, un ladro o un criminale, un mafioso,
un piduista, un erotomane debosciato, sarà medico, rivoluzionario, il goleador
che palla al piede (magari!) corre spedito verso la porta nella quale dovrà
fare gol. Sarà povero e perseguitato, dall’illegalità di uno stato che
dimenticano, queste puttane, di aver demolito proprio ad immagine e somiglianza
del loro amato e indomito paladino.
No, il
concetto di Rivoluzione non si tocca, che la Rivoluzione già se l’è presa l’Amerika.
Il concetto lo tutelo, con tutto il rispetto che ho per tutte le persone che le
loro vite le hanno dovute rivoluzionare davvero, arrivando a trascinare il
passo, a mantenersi in piedi facendo a meno, perdendo tutte le cose, ma
conservando la propria dignità e il proprio valore. Persino il mio, che ti
garantisco è inestimabile rispetto al vostro. Il tuo, piccolo mostro
incarognito, è noto: cinquanta euro a casa, trenta in macchina. Non vali di
più.
Rita Pani
(APOLIDE)
9.25.2011
Uomini in mare
Oggi alle 17, si dovrebbe andare tutti al porto di Palermo,
ma il condizionale è d’obbligo, e “tutti” un’iperbole. Palermo mi è davvero
troppo lontana, diversamente ci sarei per tentare di far saltare il tappo pressato
sui fatti da lasciare in silenzio, quelli che non si devono raccontare. Che
poi, anche a dirli, non è che scoppierebbe la guerra.
Non siamo capaci di combattere per noi, figuriamoci se
davvero saremmo disposti a combattere per altri fratelli, che poi son pure
negri.
Ci sono tre navi, tre bastimenti in mezzo al mare, e sono
carichi, carichi di …
Vite umane, ma di quelle che non contano, quelle che
puzzano, quelle vite ingrate che fan scoppiare la guerra a Lampedusa. Sono vite
inventate dal regime di Gheddafi, racconta la propaganda, terroristi mandati a
Lampedusa per far dispetto al governo che non voleva più baciare l’anello.
Tre navi in cui rinchiudere la vita altrui, quella vita che
fugge dalla guerra santa del petrolio, l’ennesima guerra americana, l’ultima
para-rivoluzione inventata dalla CIA che forse finirà quando si guarderà dentro
la bocca del tiranno, in diretta TV, e si mostrerà il cadavere a dimostrazione
che giustizia è fatta.
Galleggiano in mezzo al mare, e son fortunati, forse, perché
non son finiti come molti di loro, che il mare se li è ingoiati. Sono là, in
attesa di esser destinati, da qualche parte, a casa loro, o in mezzo a un
deserto, ma comunque lontano dagli occhi di chi ha altro da guardare. Senza
poter comunicare all’esterno – i telefoni sono stati sequestrati dalle autorità
italiane – attendono, tolti da una prigione e rinchiusi in un’altra dalla quale
è impossibile fuggire, perché intorno al mare, c’è solo altro mare.
Ci sarebbe da andare tutti a Palermo, questa sera, per
chiedere conto una volta tanto della dignità altrui, che lede e distrugge la
nostra, che di civiltà ci riempiamo la bocca. Siamo cittadini di uno stato che
non rispetta i diritti umani, che confonde la vita umana con la vita animale
destinata al macello, che salva le balene, ma che tratta l’uomo come una
bestia.
Libereremo Lampedusa in 48 ore e non “accoglieremo” più
nessun clandestino, aveva detto il ministro per il razzismo maroni. E se è
questa l’accoglienza, allora è meglio che non sia. È stato di parola, in fondo.
In fondo al mare.
Rita Pani (APOLIDE clandestina)
9.24.2011
Italia Germania 4 a 3 (Una volta, molto tempo fa)
La politica, unita alla democrazia è
anche quando davanti alle proteste dei cittadini, il governo dello
stato ne recepisce le istanze, si ferma a studiarle e le accoglie
migliorando o semplicemente modificando le norme e le regole.
Da qui, l'utilità di unirsi in gruppo
per le rivendicazioni e le proteste. Da qui la conservazione della
dignità dei cittadini. Dalla Germania una semplice lezione.
L'Università pubblica di Amburgo, dopo
quattro anni tornerà infatti ad essere gratuita, e dal primo ottobre
dell'anno prossimo, i nuovi studenti non dovranno più pagare le
tasse. Una vittoria degli studenti, ottenuta, guarda un po', grazie
alle numerose manifestazione dei mesi scorsi, dopo che il governo
aveva deciso di prolungare fino al 2013 il pagamento delle tasse
universitarie, e un ulteriore taglio di spesa.
Sì, la politica dovrebbe funzionare
così, esattamente come un tempo funzionava in Italia, quando ancora
i sindacati sindacavano, i lavoratori lavoravano e gli studenti
studiavano.
Poi venne questa nuova era, e piano
piano ci accomodammo tutti a guardar la vita in televisione finendo
per essere ingoiati tutti in un reality show, dal quale ci si
aspettava sempre il colpo di teatro, quella cosa così inattesa da
lasciarci con la bocca spalancata, di sorpresa in sorpresa.
Anche in Italia gli studenti si sono
organizzati, e hanno protestato, hanno occupato i tetti insieme ai
professori, hanno pianto e si sono disperati davanti a una ministro
che ha l'aria di aver appena scoperto, come mettere in funzione una
lavatrice, quando tenta di spiegare una riforma assurda con un
filmato su youtube. Così gli atenei in Italia falliscono e chiudono,
e il popolo presente e futuro s'impoverisce sempre di più.
D'altronde si ha a che fare con una ministro che rivendica il merito
di aver partecipato fattivamente alla spesa per la creazione del
tunnel che collega il CERN al laboratorio nel quale hanno viaggiato i
neutrini – ma ahimè non il neurone.
Poi si scopre che in Germania i neo
laureati guadagnano il doppio di quelli italiani, e si scopre pure
che le aziende se li vanno a cercare quando ancora nemmeno una laurea
ce l'hanno, ma la promettono col loro rendimento. In Germania lo
chiamano investimento nell'eccellenza, in Italia un'operazione così,
sarebbe solo comunismo, che la meritocrazia è calcolata in base
all'aderenza dell'interno chiappe ad un palo di lap dance.
E in Germania, stranamente, ancora si
lavora. Con tutto ciò che impone la crisi, ma si lavora. In Italia
ia Sindacati sono quelli che hanno permesso a Marchionne di non far
lavorare più gli operai, e pure quelli che ancora un lavoro ce
l'hanno, dovranno imparare prima o poi a farne a meno, se vorrà il
loro padrone. (E lo ha detto un ministro)
È strano prendere d'esempio la
Germania! Ma come non farlo visto che in periodo di crisi nera ha
avuto, per esempio, il coraggio di investire in cultura? Nemmeno
questo si fa in Italia, dove i teatri chiudono e quelli che restano
aperti prima o poi diventeranno tabelloni pubblicitari di quelle
scarpe che respirano e non puzzano.
La Germania! Buffo che sia il paese che
è uscito meglio da questo periodo di speculazione selvaggia. Buffo
davvero, se consideriamo che per altro è governata da una donna, e
nemmeno tanto bella.
Rita Pani (APOLIDE)
9.23.2011
Liberi di pensare
9.22.2011
Milanese salva il culo flaccido del tizio
E così per sette voti, la Camera salva un’altra volta il
culo flaccido del pervertito. Già, perché la galera per Milanese, oggi, non era
altro che l’ennesima operazione “salvo buon fine”. Al solito noi si
inorridisce, ma inizio a sospettare che lo si faccia per abitudine, ormai.
Insomma, davvero si sperava che Milanese andasse in galera?
E per cosa, per aver affittato a sua insaputa un appartamento per il ministro
dell’economia? Per aver negoziato favori in cambio di nomine? No, non in questo
paese in cui i ministri che le case, le comprano, a loro insaputa, possono
permettersi il lusso di far sapere che se chiamati non si presenteranno davanti
ai giudici.
I giudici chi? Gli eversori, gli anti italiani, i
cospiratori che vorrebbero far fuori la classe dirigente che delinque in nome
della legittima difesa? Siamo seri, o per lo meno conserviamo un po’ della
nostra dignità conservando il rispetto delle nostre intelligenze. Milanese, era
solo l’estremo tentativo di far crollare un governo con tutta l’inettitudine
che si porta dietro, fatto di arraffoni e disperati. Disperati soprattutto come
la Lega.
Già la Lega e i legaioli folgorati sulla riva del Po, quei
quattro balordi ignoranti che gridano alla “secessione”, anzi no, al
Referendum. Indire un Referendum su un atto illegale, è qualcosa di quasi
mistico, e anche questo è qualcosa che solo in Italia poteva esistere, e poteva
essere partorito dalla bocca di un ministro della Repubblica. Un po’ come se
fossimo chiamati alle urne per scegliere quale atto terroristico vorremmo fare.
È andata buca allora, e quel tizio pervertito durerà ancora
quanto bossi vorrà, in questa perenne partita a poker col rilancio, in cui il
piatto lo poniamo noi, con la nostra incalzante povertà. L’altra volta fu la
farsa dei ministeri al nord, magari adesso ci sarà l’urgenza di una legge
razzista che possa dare il via libera alla caccia al negro nei mari del sud, o
la nomina del trota a sottosegretario, o l’apparizione dell’altro figlio scemo
di quel che resta dell’idiota padano, roberto libertà.
Indignarsi quindi perché Milanese non andrà in galera? Non
ci penso nemmeno, ho cose ben più gravi per le quali indignarmi, per esempio
che con le leggi vigenti, per questo scritto, io potrei finire in galera, e
senza nemmeno un televoto che mi salvasse il culo.
Rita Pani (APOLIDE)
9.20.2011
Il partito di famiglia
Il prossimo che voterò, avrà il viso sincero di chi ha
vissuto la vita, avrà l’indice consumato per quanti libri ha sfogliato, e gli
occhiali per quante cose ha veduto. Il prossimo che voterò sarà quello che
vedrò per primo a spalar via il letame, di leggi porcate e di porci che fanno
le leggi. Voterò quello che sa rispettare l’importanza vitale che “il cittadino”
ha per lo stato. Quello che spiegherà al cittadino di “essere” lo stato.
Fino ad allora, sulla mia scheda elettorale, continuerò a
scrivere: “Andate a cagare!”
Zitti e fermi, non ci provate a fare ricorso al mio senso di
responsabilità. Se non lo avessi avuto già da tempo starei penzolando appesa ad
un faggio, finalmente beata per il silenzio che arriverebbe ad avvolgere la
vita che se ne va. Invece sto ancora qua, a sorridere ed indignarmi, ad
indignarmi anche col sorriso in questo chiasso da trivio che regolamenta ormai
la fine delle nostre dignità. Sto qua e persevero ad arrogarmi il diritto alla
mia libertà.
Non vi è più il meno peggio, e sempre perché non vi è più la
politica, da quando anziché combattere il berlusconismo, la politica ha assimilato
tutto il peggio che quel ridicolo fenomeno da baraccone ha saputo vendere, di
sogni ed illusioni. In nome di un bipolarismo che non c’è mai stato, la
sinistra ebbe l’arguzia di farsi largo, uccidendo la vera sinistra, che a sua
volta anziché cercare il riscatto dell’orgoglio passando per le idee, ha
tentato a sua volta di far parte del coro di affaristi e prezzolati, che almeno
le briciole avrebbero potuto raccattare.
Oggi ne pagano il conto, almeno quello che io – e molti come
me – hanno presentato. Pagano per l’individualismo necessario in una falsa
politica che è solo spettacolo, nella ricerca di uno spazio per apparire
abbronzati e con i capelli in ordine, alla ricerca di un microfono nel quale
ripetere sempre gli stessi slogan, che spaziano tra la scoperta del fuoco e l’utilizzo
della ruota, arrivando a punte d’eccellenza quando finalmente ci dicono che l’acqua
può essere anche calda.
Non voterò mai per un’azienda familiare, che ha il nome nel
marchio, che decreta la successione come una volta il pastificio o il
calzolaio, che si andava da padre in figlio in un destino già segnato dalla
tradizione e dalla praticità – a volte fortuna – di avere un mestiere da fare.
Non voterò mai per questa politica berlusconiana, che ha insegnato il peggior
carrierismo, quello fatto sulle spalle e sulla fatica di un paese che arranca e
si dimena, perso proprio per la mancanza di un progetto che possa ridare
speranza nel futuro.
Povero Di Pietro! Costretto a spiegare che suo figlio non è
il trota, e che ha fatto la gavetta. Se non mi facesse orrore, mi farebbe pena,
così uguale alle logiche che ha sempre detto di voler combattere. Così distante
da quando uomo per bene faceva il suo lavoro soddisfacente e poco pagato, dopo
aver faticato per affrancarsi da una vita umile e faticosa. È berlusconismo
anche questo, lo sappia Di Pietro. È berlusconismo combattere per avere
semplice il futuro senza fatica, è berlusconismo quando con mezzi discutibili
si spiana la strada ai propri figli. A guardar bene, non è nemmeno confondibile
con l’amore, che invece dovrebbe sostenere, e non spingere e sgomitare. Povero
Bersani, risucchiato anche lui dal più becero berlusconismo, quello inoculato
dalla televisione, che anziché citare aforismi di Gramsci o di Berlinguer, ha
riempito le strade con le frasi di Crozza, rubate proprio dalla TV.
“Andate a cagare!” così voterò, fino a quando non
riconoscerò negli occhi di qualcuno la stessa rabbia che trovo sui miei.
Rita Pani (APOLIDE)
Alberobello presentazione "Lo sguardo di Hermes"
Giovedì 13 Ottobre, alle ore 18, 30
Presso il Palazzo Comunale, Sala consiliare, il Compagno Michelangelo Dragone presenterà "Lo sguardo di Hermes". Sarà presente l'autrice.
Presso il Palazzo Comunale, Sala consiliare, il Compagno Michelangelo Dragone presenterà "Lo sguardo di Hermes". Sarà presente l'autrice.
9.19.2011
Rocco for president
La Rete s’indigna per i tremila euro di pensione che l’onorevole
Cicciolina prenderà di pensione. Io no, era gente seria. Molto spesso mi sento
porre una domanda: “Ma tu, chi vedresti oggi, buono per sostituire quel tizio
che governa? Chi potrebbe essere capace di ridare all’Italia un minimo di
credibilità?” Quando la domanda è sbagliata, la risposta non può essere esatta.
Infatti, io rispondo: “Rocco Siffredi.” Dico Rocco, così, ovviamente, non
sapendo quali altri uomini di ben altro calibro siano sulla piazza e
raggiungano l’eccellenza in materia di accoppiamenti multipli od orgiastici.
Rocco, solo perché è lo scopatore per antonomasia.
Non è il tizio da sostituire, ma l’intero sistema, e per
questo non ci riusciremo mai. Perché un giorno, mentre tutti si guardava
lontano e al futuro, qualche cervello lungimirante ha iniziato a modificare il
significato reale della parola “politica”, trasformandolo esattamente in quello
che oggi, troppi, pensano che sia. La politica, se chiedete in giro, è una cosa
sporca da cui stare lontani. La politica, oggi, è il movimentismo di Grillo, il
Senonoraquandismo, il Violismo, e tutti gli ismi che potranno tornare alla
mente.
Posta l’attuale situazione italiana, in cui la cronaca
politica racconta di un “presidentissimo” vecchio come il cucco, che grazie a
una protesi ad aria compressa dovrebbe essere in grado di trasformare un
lombrico morto in qualcosa di simile ad un pene in erezione, capace di
soddisfare vagonate di ragazzine in calore per lui, un Rocco Siffredi sarebbe più
credibile e capace anche di rappresentare al meglio il paese all’estero.
Fino a quando non comprenderemo che è urgente e necessario
tornare ad occuparci veramente di politica, ossia di noi stessi, è inutile
chiederci chi potrebbe sostituire un maniaco sessuale. Sarà inutile fino a
quando non riusciremo ad entrare nell’ordine di idee, che è urgente sostituire
i criminali, i nani, le ballerine, le puttane di professione e le troie per
diletto, che oggi occupano la nostra vita uccidendo il futuro dei nostri figli
e dei nostri nipoti.
Il ritorno alla politica reale, e la cancellazione di questo
stato onirico, quasi oppiaceo, è l’urgenza che potrà finalmente farci
rispondere in modo esatto alla domanda che finalmente avrà senso d’essere
posta. Possiamo indignarci, strepitare e persino sparare, ma non cambierà nulla
se non torneremo a pensare e a esigere che venga cancellato lo scempio che
quest’epoca ha prodotto.
Non sarà semplice, lo comprendo, tornare alla responsabilità
imposta da uno stato di diritto, in cui le leggi vengono applicate, in cui son
le guardie a dare la caccia ai ladri, in cui la mafia va combattuta, in cui il
lavoratore deve andare a lavorare, lo studente a studiare. Non sarà nemmeno
comodo vivere in un paese di buon senso in cui i ministri saranno uomini e
donne delle istituzioni, è sarà meno divertente, ma se non iniziamo a ragionare
così, allora dovremmo avere almeno la decenza di tacere ed attendere solo il
resto che deve ancora arrivare.
Perché non finirà mai, almeno fino a quando consentiremo a
questa feccia di farci pensare che le loro regole malavitose, siano degne d’esser
chiamate “politica”.
Rita Pani (APOLIDE)
9.18.2011
Sono vecchia
Sono vecchia, è un dato di fatto. Conservo sì delle
regressioni giovanilistiche, figlie dei tempi che ho vissuto. Per esempio il
mio abbigliamento che non sarà mai fatto di un tailleur, le scarpe da tennis
vinte dalla forma del mio piede da non slacciare mai, lasciare andare un rutto
laddove non sia molesto per chi ascolta, e persino farmi una canna in santa
pace, una volta ogni tanto, in compagnia di amici spesso più giovani di me, ma
sani di mente.
Sono vecchia, perché i tempi che evolvono non mi
appartengono, e riconosco in me quel che vedevo nei miei genitori quando
provavo a spiegare che i tempi, appunto, erano cambiati. Per esempio mica
facile far ingoiare il divorzio a una famiglia cattolica! E pure il linguaggio –
che storia! – quando a casa ci scappava di dire che il chiasso era “casino”; ero
abituata, al massimo, a sentir dire che la casa, la nostra, non doveva essere
un postribolo.
Anche la televisione, era diversa e mi faceva ridere. C’era
all’epoca in cui la guardavo io, una volta a settimana il sabato, che domenica
non c’era scuola, quel “bacchettonismo” ridicolo persino ai nostri occhi di
bimbi, che un bacio d’amore finiva sulla cima di un albero o in un fiore con le
gocce di rugiada e i bimbi arrivavano con la cicogna, che due amanti a letto
dormivano beati e lo capivi perché al massimo te li facevano vedere seduti al
tavolo in pigiama con una tazzina di caffè davanti. Eppure la televisione
insegnava.
Non ricordo a che età mi fu concesso di leggere per la prima
volta “Madame Bovary”, ma ricordo che dovetti discutere a lungo col mio censore
letterario. Ho amato molto quel libro, e persino Emma, che poi non finì tanto
bene, povera donna, con i suoi sbocchi di sangue. E altri libri ancora, negli
anni, che mi restituivano la crudezza di un mondo che era bene io sapessi che
esistesse, probabilmente proprio per essere sicura di non caderci mai. A me
insegnarono i libri.
Sono vecchia. Vecchia al punto che ormai so che se tornare
indietro è insano quanto impossibile, e che l’unica speranza è da riporre in
una delle piaghe d’Egitto. La moria del bestiame, per esempio, di vacche e di
tori, di scrofe e maiali. E riprendere così l’allevamento di esseri umani,
imperfetti ma sani.
Persone che fanno sesso per amore – e chi se ne frega se l’uomo
va con l’uomo e la donna con la donna? Che le madri uccidono quando un porco le
tocca la figlia. Che la figlia, se ama, può amare ma senza farsi pagare. Che la
carriera è fatica della mente e non del culo. Che quando invito gli amici a
cena, mi portano una canna o una bottiglia di vino, e non un guerriero mandingo
armato per scopare.
Ci vorrebbe una pandemia, che facesse razzia di queste
mandrie malate, ma una pandemia vera, e non una di quelle inventate dalle case
farmaceutiche delle mogli dei ministri.
Sono vecchia, forse è vero, e ne sono felice, perché non
potrò mai cedere alla tentazione del nuovo che avanza. L’età mi proibisce di
pensare di poter vendere mia madre, e meglio ancora, nemmeno mie figlie, ormai,
potranno cadere in tentazione. Continuerò ad arrancare nella vita, ma salverò
le chiappe.
Vedete che son vecchia? Non ce la potrò mai fare. Continuo a
pensare che sia la virtù del culo, il valore e non il culo stesso. Oltre che
vecchia son pure pietosa. Pazienza!
Rita Pani ( Vetusta APOLIDE)
9.17.2011
Per fortuna ci rispettano
Il Fondo Monetario Internazionale si candida a salvare l’Italia
governata da un tizio che a tempo perso (ipse dixit) fa anche il primo
ministro. Tre o quattro economisti coraggiosi, ignorati dalla stampa, si
domandano se l’Italia, come l’Islanda, avrà il coraggio di dire di no. Io che
non sono né economista, né coraggiosa so bene che la risposta è no. No perché
non c’è governo, e soprattutto non ci sarà nemmeno se le cose, finalmente,
dovessero cambiare. No, perché non siamo in Islanda, ma finiremo presto come
uno degli ultimi paesi dell’est, quelli che avevano tutto tranne la presunta
libertà, ed oggi hanno la libertà di scappare dalla fame indotta dall’essere
stati risucchiati dall’ FMI.
Siamo l’Italia di oggi, purtroppo, il paese che non ha
bisogno di inventare le barzellette; siamo la barzelletta per antonomasia.
Siamo così oltre che abbiamo finito anche gli aggettivi e gli insulti.
Siamo in mano a un paio di malati mentali, ognuno schiavo
della sua psicotica mania, senza cura e ormai fuori controllo. Da un lato un
pervertito in odore di pedofilia, erotomane e megalomane, con evidenti deliri
di onnipotenza, dall’altro ciò che resta di un ignorante mitomane, esaltato da
un popolino verde di poveracci e ignoranti, ai quali può tranquillamente
annunciare la successione, più che la secessione, dando la lieta novella: “Dopo
di me mio figlio, quello scemo, e calderoli a Roma”. Poi lui ha anche la
risposta per salvare la nostra economia: l’Italia
è affossata, facciamo la Padania, e che il Po ci porti fortuna. (Che mi pare
geniale)
Il Corriere della Sera di oggi, nell’annunciare la
pubblicazione delle intercettazioni telefoniche del pervertito del consiglio,
si scusava con i lettori per la crudezza delle parole, ma con impeto
paternalistico rivendicava il merito di aver trattato (copio) le telefonate con la dovuta cura: evitando i passaggi più
pesanti o volgari, come le dettagliate descrizioni a sfondo sessuale. Per rispetto di chi legge,
oltre che degli intercettati.
Nessun
giornale – o quasi nessuno – ha sentito l’urgenza di spiegare al popolo
disgustato dalle panzane sessuali di un vecchio porco che a tempo perso fa il
primo ministro, quali saranno le devastanti conseguenze dell’intervento dell’FMI
nell’economia italiana. Nessun giornale, in effetti, ha sentito l’urgenza di
raccontarci, per filo e per segno, il modello islandese, quello che ha avuto il
coraggio di rifiutare di farsi spazzare via dal Fondo Monetario Internazionale.
Nemmeno gli economisti che di solito appaiono negli schermi al plasma,
possibilmente HD/3D, delle case italiane ha avuto il coraggio di spiegare quali
intrallazzi possano essere messi in atto da questi governanti di merda, di un
paese di merda, che dovranno vendere gli ultimi scampoli di stato (i nostri
diritti in primis) ai privati, e quindi a loro stessi.
Certo
comprendo che l’educazione è importante, e quindi è bello sentirsi trattare con
rispetto perché leggiamo o perché siamo
stati intercettati, ma forse sarebbe stato meglio evidenziare con un
neretto cubitale i passi in cui, la nostra economia, i nostri soldi, i nostri sacrifici,
la ricostruzione de L’Aquila, la farsa mafiosa del Ponte sullo stretto, la
nostra fame e la nostra rovina, venivano ceduti in cambio di un poco di pelo
che necessariamente doveva uscire da un vestito da troiona.
E mi
ritorna il sospetto – forse la speranza – che prima o poi la mafia (quella
vera) taglierà i fili del burattino psicopatico facendolo afflosciare per
terra, come un sacco vuoto che non serve più.
Rita Pani
(APOLIDE)
9.16.2011
Meriti e bisturi
9.15.2011
Dei delitti e del pene
Non so, forse il richiamo all’opera di Cesare Beccaria non c’entra nulla, ma mi è venuto in mente, stamane, mentre leggevo i giornali. Una distorta parafrasi che rende bene il senso dello stato, questo, nel quale sostiamo.
Dicono che non sia il caso di restare concentrati sulla malavita che ci governa, dicono che sarebbe meglio parlare d’altro, dei problemi del paese, quelli che la gente non sa. Io non sono molto d’accordo, anche perché credo che alla “gente” basti andare a fare la spesa in un qualunque supermercato per comprendere di avere un problema. O forse basta avere dei figli che vanno a scuola, non avere più un lavoro, rischiare di perdere quello che si ha, andare a far benzina per capire che qualche problema l’abbiamo tutti. Addirittura dicono che dobbiamo ignorarli, che continuare a parlare sempre del tizio e dei suoi complici sia nefasto per la nostra riscossa.
Mi piacerebbe, e non poco. Mi piacerebbe poter scrivere delle nuove proposte politiche, delle nuove idee, delle novità che fioccano di giorno in giorno. O anche continuare ad avversare un governo, rispettandone comunque il lavoro e la dignità. Esagero? Mi piacerebbe poter avversare le istituzioni mantenendo un formale ma dovuto rispetto.
Dicono pure, e lo dicono spesso, che in fondo se siamo arrivati a questo stato di cose, la colpa sia nostra; e qua – confesso – ogni setola ispida del mio corpo si addrizza. Mia no.
No perché stamattina riflettevo su quel “bacioni dottò” che concludeva la telefonata del tizio criminale col suo ricattatore. Nei commenti delle persone, alla notizia, era evidente come la formula del saluto ridicola, irrispettosa di un’istituzione (e ‘sti cazzi, lo è!) fosse assai più importante del “vi scagionerò tutti”, più degna di un complice di banda che non di un’istituzione.
E allora mi è tornato in mente l’episodio della visita del premier ceco Topolanek. Vi ricordate? Era quello che girava con la minchia di fuori nel giardino della villa abusiva del tizio in Sardegna. Quello al quale, le istituzioni, come dono di cortesia e secondo il nuovo protocollo delle visite di capi distato estero in Italia, prevedono la fornitura di zoccole abili in coiti orali, con o senza risucchio midollare.
No, non sono d’accordo sul fatto che si debba ignorare la personale deboscia di questo pervertito malavitoso. Non sono d’accordo che si debba far finta che non esiste, come se si vivesse tutti quanti in una favola, dove alla fine il mostro cattivo si dissolve in una nuvola di zolfo. Bisogna invece insistere, e far capire che la responsabilità è sì nostra, ma non perché ce ne occupiamo troppo, ma perché ancora lo facciamo in modo sbagliato, cedendo alla tentazione di guardare al dito anziché alla luna.
È chiaro che siamo tutti consapevoli che un criminale non possa e non debba avere nulla a che fare col governo di uno stato, quel che non è chiaro invece è come combattere la deviazione imposta al pensiero, soprattutto da una stampa asservita, capace di porre sulla stessa pagina di un giornale una notizia importante come la devastazione morale ed etica del nostro stato, e l’estratto dell’intervista di una zoccola su play boy che rivendica d’essere stata almeno per un po’ la fidanzata del tizio. O sulla stessa pagina le parole illuminate di Umberto Eco che spiega la devastazione volontaria della scuola e delle università, e il nuovo look della frangetta di Belen.
E mentre mi accingo a finire questo pezzo, riapro un giornale: “Intercettazioni illegali, ordinato il rinvio a giudizio anche per silvio berlusconi. Nastro a Fassino, il premier rischia il processo col fratello”. No, non possiamo fingere che non sia questo criminale, il nostro problema.
Rita Pani (APOLIDE … un bacione!)
9.14.2011
Il lavoro uccide ancora
Sei è il numero perfetto. Devono morire sempre sei lavoratori tutti insieme, perché almeno per un momento la stampa italiana si ricordi della carneficina quotidiana del lavoro, quel poco che resta. Morire in ordine sparso non dà diritto nemmeno alla cronaca, troppo piena di cose nere o rosa, che fanno oggi politica.
Qualche giorno fa a Ravenna un uomo è morto cadendo da un’impalcatura non a norma. Il padrone ha pensato bene di far prendere il cadavere e spostarlo in un luogo più consono alla ricostruzione asettica di un incidente banale, uno di quelli che può capitare. E giorni prima altri morti, di solito schiacciati da trattori o macchinari. In modo beffardo, persino il 6 settembre – giorno dello sciopero generale- ne è morto uno in provincia di Bergamo, che se solo avesse aderito allo sciopero sarebbe ancora vivo. Gente distratta, o forse che non ha guardato la televisione, dove veniva trasmesso lo spot della propaganda che pressappoco recitava così: “Se crepi al lavoro, in fondo è colpa tua. Mettiti il caschetto giallo, che fa anche un po’ figo.”
E questo è tutto quello che il governo serio di una nazione civile è riuscito a fare per contrastare la strage infinita. Come del resto per la crisi economica: un altro spot sull’acqua calda. Il governo di evasori fiscali ha scoperto che “pagare le tasse è bellissimo”, perché poi magari si trovano i soldi per i servizi.
738 morti sul lavoro in meno di un anno, aggiunti alle migliaia degli anni scorsi fa – appunto- una strage infinita della quale non si parla mai, alla quale ci siamo abituati o disabituati grazie al silenzio. Non si ricordano i nomi di questi morti, incapaci di destare il cordoglio della nazione, forse perché non sono mediaticamente attraenti come quelli delle vittime bambine, delle quali si ricordano anche i visi immaturi, e i nomi dei loro assassini. Sono morti per la strenue lotta di sopravvivenza in questo paese già morto di suo, e non possono essere utili alla società, come per esempio una ragazza che muore appesa con una corda al collo, mentre cercava l’orgasmo estremo, che ha fatto sì che da giorni, illustri sociologi e sessuologi si dimenino in televisione per spiegarci che è una morte figlia dei tempi, stressanti, che viviamo.
Come ogni volta allora c’è da ringraziare quando si muore in sei, per quell’attimo che ci permette di ricordare che si muore di lavoro per la logica del profitto, e che si fa silenzio quando il lavoro ammazza un lavoratore, perché di lavoro si dovrà morire sempre di più, ora che in nome della crisi tutti i diritti sono stati abrogati, e in barba al pensiero leghista – e ancora in silenzio - ci accingiamo ad essere comprati in blocco dalla Cina.
L’altro giorno inorridii per la dichiarazione imbecille di quell’inetto di sacconi, il quale disse che gli operai avrebbero dovuto entrare nell’ordine di idee di poter essere licenziati. Oggi mi viene da pensare che forse non sarebbe poi così male.
Rita Pani (APOLIDE)
9.12.2011
Da Venerdì prossimo su Youtube
:)
Rita Pani
Senza trucco
A volte guardo quel tizio – sì lo so ho lo stomaco robusto – e penso ai suoi figli.
Mio papà va a ancora a messa tutte le domeniche, e mi ricordo che ogni domenica che l’ho visto uscire da casa ho sorriso pensando che fosse più bello ed elegante di uno sposo. La camicia stirata da mamma, senza una piega, la sua cravatta sempre in tinta per l’abito che usava, la barba appena fatta e i capelli pettinati come sempre ricordo di averglieli visti sulla testa: e tutti suoi, grigi e poi sempre più bianchi. In realtà non ho ricordi di un papà in disordine, nemmeno in uno morale.
Sto per compiere quarantasette anni, e la mia visione delle cose ora è un po’ cambiata. Sono ancora figlia – per fortuna – e mi ricordo anche di quando lo sono stata in maniera differente, che non capivo certe rigidità, certe visioni distorte da un cattolicesimo troppo radicale, di un cristianesimo a suo modo coerente che non lasciava spazio alla vita presa un po’ così con leggerezza. Ricordo persino d’essermi lamentata, sovente, per essere stata attrezzata per essere una “brava persona”, di aver rimpianto di non essere stata educata a sgomitare per farmi spazio tra la folla. Alla mia età, quando guardi indietro comprendi di essere diventata per ciò che hai visto o che ti è stato insegnato. E oggi non mi lamento più, semmai ringrazio, per mio padre che non ha mai rubato, per il suo lavoro, per i giorni di malattia che non ha fatto andando in ufficio con la febbre, per essere andato in chiesa ogni domenica della sua vita anziché a puttane, per avermi mostrato come si debba stare al mondo, cedendo il passo allo zoppo e tendendo la mano a chi inciampa.
A volte guardo quel tizio e penso ai suoi figli. Come davanti a questa foto, in cui è evidente che il mascara è un po’ colato. Dove la pelle è ricoperta da uno strato di fondotinta più spesso di quanto non sia quello di un viado brasiliano. Quel posticcio sulla calotta cranica che sembra l’ultima trovata geniale in finto massello in vendita da Ikea. Penso a quando spinti dall’amore filiale si gettano verso il padre per baciargli la guancia, restando impigliati nella polverina color terra al profumo di fragola e mirtillo, o al terrore che il loro vestito blu resti macchiato dalla polvere delle mani del loro padre che gli cinge le spalle. Ci penso a volte, anche leggendo le intercettazioni telefoniche: chissà se conoscono la vergogna, mi chiedo. Poi mi rispondo che no, probabilmente no.
Perché per quanto il padre sia un debosciato truccato più di sua figlia, lei è a capo di Mediobanca e Mondadori, e già affila i coltelli per uccidere i suoi fratelli. Barbara e Pato stavano sullo yacht a finire gli scampoli d’estate. L’altro ha le televisioni, un’altra ha il diritto di non faticare avendo papà – se pure col mascara colato – abbastanza da non farle sorgere alcun problema per il domani, e così gli altri, che quindi l’amore dei figli si può anche meritare, e se è quotato in borsa lo è anche di più.
Allora me ne torno felice in me, e nella mia fatica che odora di vita, e penso: “Grazie papà, almeno per non esserti mai truccato.”
Rita Pani (APOLIDE)
9.10.2011
Grazie presidente per averci salvato dal comunismo
La deputata Annagrazia Calabria. «Grazie presidente per averci salvato dal comunismo».
Sì, siamo ancora qui, fermi ed immobili con quel sorriso stampato in faccia che sempre più somiglia a una paresi. Leggere i resoconti della festa d’Atreju non lascia basiti, ma divertiti, con le braccia larghe o distese per terra accanto al corpo dal quale si sono staccate. Vent’anni di slogan ridicoli per menti fin troppo labili non sono bastati; c’è spazio per riceverne ancora, pazienti. Un po’ come quando si resta ad ascoltare il nonno rincoglionito, che ripete sempre la stessa storiella. E Dio solo sa, quanto questo debosciato sia rincoglionito.
Siamo ancora alla magistratura che ha lo strapotere, ancora ai giudici comunisti da zittire, allo stato da sovvertire in nome dell’impunità di un vecchio porco e criminale, che fa miracoli, che gronda sangue dal cuore come una madonna sgorga lacrime su una tela dipinta ad olio. Come osa un magistrato fare il magistrato? Violare così la privacy di un uomo per bene, favorendo la figa di notizie quotidiana, che ogni mattina leggiamo sui mattinali della questura, pubblicati ad arte da tutti i giornali?
«Grazie presidente per averci salvato dal comunismo» davvero! Ma anche grazie per aver insegnato ad almeno una generazione futura di uomini e di donne, che la libertà imprenditoriale è importante. Che basta saper vendere loro stessi per essere degni di assurgere al suo regno. Grazie per l’esempio di rettitudine morale ed onestà che ha saputo insegnare con le sue cene eleganti di persone per bene, sexy suore, infermiere, piccole zoccole in perizoma che con tanta abnegazione si prendevano cura del vecchio coglione addormentato, che nell’ottica capitalistica anticomunista magari si preoccupavano di non ricevere la busta con i duemila euro e la farfallina di bigiotteria.
Siamo fermi là. Nella propaganda che non si arrende, delle frasi da capogiro: “Abbiamo dovuto aumentare l’IVA per non aumentare le tasse”. E gli applausi, e le bandiere festanti, e la Cavalcata delle Valchirie a mo’ di sigla, emblematica, degna di un re. Il re della coglionaggine. Un eversore a capo di uno stato confuso e perso, che ha fatto della politica lo sconcio delle barzellette, proprio come fosse a sua immagine e somiglianza, ridicolo e stupido, osannato dai cretini, che lamenta la mancanza della sovranità popolare e nello stesso tempo designa i suoi successori. Proprio come se si sentisse un re. Il re dei coglioni.
«Grazie presidente per averci salvato dal comunismo». E grazie per aver depredato lo stato. Per aver istituzionalizzato la criminalità mafiosa, per aver ridotto alla fame due generazioni di italiani, senza nemmeno dover aumentare le tasse, ma aumentando il costo della vita – la nostra – che non guadagniamo abbastanza nemmeno per comprarci le medicine. Grazie per aver devastato la scuola, offeso la dignità del lavoro e della persona, per aver radicalizzato il sistema tangentizio che ci ha impoverito tutti, e grazie per averci salvato da Gheddafi, dai terroristi islamici, dagli zingari, dai negri e dai froci per merito dell’abominevole sodalizio con la lega che tanto ha fatto per la nostra dignità.
Siamo là, al “meno male che silvio c’è”, perché se non ci fosse stato, ora dovremmo occuparci di cose serie, chiederci del domani col terrore negli occhi, occuparci di occuparci, tornare agli orti di guerra e alla farina da impastare, per poter almeno mangiare.
Rita Pani (APOLIDE Comunista … da me non ci si salva, coglione!)
9.08.2011
Io sono per la fucilazione
Io sono per la deportazione, i lavori forzati e la fucilazione sommaria. Io so, che tutti sappiamo, che non vi sarà modo di ricondurci ad un livello minimo di civiltà senza una guerra di liberazione. Noi sappiamo che siamo un popolo succube, in mano a un manipolo di criminali incalliti, feccia, ladri di polli, stupratori erotomani, debosciati, tossici e alcolisti della peggior specie. Noi sappiamo e non ne possiamo più, ma io non ne posso più di sentirmi dire che non se ne può più. Detto questo – che non si può dire – resta poco da aggiungere senza doversi predisporre a ricevere un numero impossibile di e-mail e messaggi privati ricchi di sdegno e di insulti, che di solito sono accompagnati dalla rivendicazione della pace nel cuore, e della non violenza. Perché è vero: fucilazione è violenza, ma tanto noi sappiamo anche che la rivoluzione non la faremo mai.
Quanta violenza c’è nelle parole di un ministro della Repubblica italiana, guidato dall’arroganza della sua ignoranza, dal despotismo garantito dalla sua malvivenza? È stata reputata terrificante la barzelletta delle suore violentate, usata da quel cretino di un ministro per spiegare la cancellazione di una vita di diritti acquisiti con la lotta – vera – e il sacrificio di una vita di almeno due generazioni di operai. È passata quasi inosservata l’altra memorabile dichiarazione dello stesso cretino, il quale in risposta allo sciopero generale del 6 settembre scorso ha detto che “gli operai devono rassegnarsi all’idea di poter essere licenziati.”
Tra me e il ministro sacconi, credo che quello violento sia lui, perché la differenza è sostanziale. Io mi limito ad avere la certezza che gente come lui debba essere posta a lavorare sul serio, in una miniera o in una cava di marmo (ma come facevano gli egizi), lui invece ha il potere di uccidere davvero, e ne ha anche la volontà. Togliendo il lavoro, togli la vita alle persone. Riducendo in schiavitù un lavoratore, non gli dai diritto di avere accesso alla vita, e sovente, per schiavitù si viene uccisi dal lavoro.
Il resto vien da sé. Basta leggere la manovra economica appena approvata in Senato per avere quel minimo di rigurgito di dignità, che dovrebbe essere proprio di ogni cittadino per bene. Ma anche questo non si può dire, perché mi accuserebbero di essere demagogica, se non peggio comunista e pure ideologizzata. Non è nemmeno tempo di augurargli un cancro, che tanto poi viene a me, e con la differenza che io sto ancora qua a chiedermi che ne sia della mia biopsia, loro sarebbero già stati vivisezionati in una clinica 5 stelle di Zurigo.
Sì, più ci penso e più confermo la mia idea: io sono per la fucilazione sommaria. I soldi risparmiati potrebbero essere utili alla sanità. (Ma forse se li fotterebbe qualcuno)
Rita Pani (APOLIDE Baffone)
9.07.2011
Papi export
E non si dica mai che l'Italia, sotto il dominio dell'epoca barbarica berlusconiana non sia stata capace di imporre la sua valenza nel mondo. Le infermiere di Gheddafi dicono: “Tutte lo chiamavamo Papi.” Non glielo ha chiesto il giornalista: “Ma Papi in italiano o in arabo? e come si dice papi, in arabo?”
Certo, se fosse in italiano, oggi potremmo darci delle arie, essere orgogliosi della nostra italianità nel mondo. Un' export che vale assai più del nome FIAT in America, dove non si capisce perché, la 500 non ha avuto molto successo.
Se fosse in italiano, ci sarebbe da indignarsi di più per quell'anello baciato a mo' di mafioso; avrebbe dovuto essere il contrario: Gheddafi avrebbe dovuto baciare lui, la mano al papi per antonomasia.
I giornalisti del Wall Street Journal, o quei comunisti del Financial Times dovrebbero fare ammenda, e chiedere perdono al debosciato, al quale in materia di crisi hanno dato addirittura dell'incompetente, se non dell'inetto. Ci sarà un perché se il ministro del nulla frattini ha dichiarato che l'Italia sarà in prima fila davanti al petrolio libico. Invero, anche se ci fosse un perché, ammetto di non riuscire a vederlo, ma questa è un'altra storia.
Bisogna smetterla di remare contro, e iniziare a lavorare per il paese, riconoscendo i meriti a questo governo, proprio partendo da là, da quel Papi, che le infermiere sussurravano al Raìs. Infermiere vere, per giunta, e non candidate alla Regione Lombardia, aspiranti a un comodo posto da ministre, che dovevano travestirsi.
Le conosco le vostre obiezioni, cassandre comuniste! Il debosciato del consiglio doveva pagare le zoccole per bene che partecipavano alle cene eleganti, mentre Gheddafi, dopo aver violentato sei mila amazzoni doveva trombare anche le infermiere. Sono dettagli che non inficiano di certo la magnificenza di quest'epoca barbarica, che verrà ricordata prestissimo sui libri di storia. Quelli su cui studieranno i nostri nipoti, se non – vi auguro – i vostri figli.
La Libia esportava gas e petrolio, ed importava la conoscenza di nuove tecniche dell'ars amatoria, di cui gli italiani sono da sempre specialisti, fin dall'epoca della pomata sulla testa, il baffo nero, la pizza e il mandolino.
Quanto orgoglio negli occhi dell'elettore medio italiota, dinnanzi alla rivelazione dell'infermiera di Gheddafi! E i leghisti? Me lo immagino borghezio che gongola, pensando al beduino con la palandrana, al quale prometteva di infilare qualcosa nel culo (citazione da comizio), che soccombe facendosi chiamare papi, proprio come il suo padrone.
E ora speriamo che se ne accorgano anche i tedeschi, e la smettano di tenerci tutti stretti per le palle, minacciando di toglierci l'Euro per farci tornare alla Lira svalutata! Loro, poveri imbecilli, che hanno ministri che si dimettono solo per aver fatto un copia e incolla da Internet. Loro che pagano i neo laureati il doppio di quelli italiani. Ridicoli! L'unico paese in Europa che ha superato la crisi investendo in cultura e ricerca. E poi … loro hanno la Merkel, chi mai potrebbe chiamarla Papi?
Rita Pani (APOLIDE depressa)
9.05.2011
Una valigia di perizomi
Il ragazzo ha i pantaloni stirati per bene, e una maglietta orribile che non si può dimenticare per i troppi colori che fanno chiasso intorno alle lettere D&G. L'uomo pare ora venuto dalla spiaggia, con le ciabatte e un paio di bermuda a quadretti che tengono conto del rosa della maglietta, brutta al punto da non essere nemmeno spiritosa. Fa caldo sul treno che tutto sembra arrancare a fatica fuori dal finestrino, e il ragazzo ha voglia di raccontare del viaggio che fa solo per amore.
“L'ho conosciuta su Facebook, e mi aveva colpito perché era bionda con una canottiera rossa che le tette le potevi immaginare. Allora ci siamo sentiti al telefono, ma non mi voleva dire che lavoro facesse, fino a quando io gli ho detto che ero un calciatore. Tutto è stato facile da quel momento in poi, perché lei è una fotomodella”, dice il ragazzo orgoglioso, guardandosi in giro per trovare forse, un poco di ammirazione, come se fosse la prova provata che i sogni si possono realizzare.
L'uomo in ciabatte biascica qualcosa, di Internet e il computer, dei tempi che vanno veloci, delle occasioni create oppure perdute. “Me lo dovrò comprare un computer, perché anche io ho conosciuto una donna, ma col cellulare. Sai quando fai i numeri a caso e aspetti di sentire chi ti risponde?”
Il ragazzo non sa, e scuote la testa, guarda fisso fuori dal finestrino e si informa sul tempo trascorso di un viaggio appena iniziato che già gli sembra non finire mai: “Per fortuna ogni tanto s'incontra uno come te, che si scambiano due parole, perché questo treno … e che caldo. Chissà dove mi porterà quando arriverò. Non conosco la Toscana, chissà dove andremo!”
“Io comunque mi chiamo Luigi, e la tipa che conobbi si chiamava Michela. Una maiala! Venne da me con due valige, e una era piena di perizomi. L'ho portata a ballare – fattici portare – e poi … Insomma, lei era una vera maiala, che la notte non mi potevo nemmeno svegliare per fare la pipì. È durata tre giorni, e non ti dico! Quando tornai al lavoro tutti si accorsero che dovevo aver … insomma hai capito?”
Il ragazzo resta sbalordito, quasi ammaliato, e lo invita a parlare ancora, dicendo di sé che anche ai calciatori le avventure capitano. Fin dentro gli spogliatoi, quando le ragazze vanno a chiedere la fotografia, ma è ben altro quel che vogliono davvero. E poi su facebook, che se ci metti una foto senza camicia, sei sicuro che il giorno dopo, se vuoi, puoi scopare. Per fortuna, ora è proprio amore. “Ci siamo già visti una volta, a Roma, ed era proprio bela come la fotografia, perché sai a volte si prendono le fregature.”
Luigi lavora in ospedale, e a lui le donne non mancano. A sentirlo raccontare tornano in mente i filmetti di ER, dove i medici e le infermiere stavano sempre gli uni nelle mutande delle altre. E racconta anche di quella volta nello sgabuzzino dei farmaci, con la dottoressa di neurochirurgia, che non era bellissima, ma era una maiala anche lei. O Luana la rumena, che voleva imparare a cucinare, e mentre spignattava, lui se la faceva. “Sì, perché anche Luana era una maiala.”
Non si fa domande il ragazzo, ascolta e annuisce come a dire che sa bene di cosa si stia parlando, come a dire che sa come si fa, sebbene abbia l'aria di quello a cui la mamma, al mattino, grida ancora dalla cucina: “Cambiati le mutande!” oppure: “Mettiti la maglia di lana.”
Luigi allora continua, che lui è di Napoli e ci sa fare, perché al nord – quelli come lui – o si amano o si odiano. E c'è stata anche una russa, che le avevano detto che erano fredde, ma Olga era una maiala. Faceva l'infermiera come lui in medicina generale, e le piaceva farsi vedere dai vicini di casa mentre faceva l'amore. “I complimenti mi facevano, e le mogli degli altri mi guardavano con certi occhi che … perché le donne, alla fine, son tutte maiale. Le donne, ricordati, o vogliono soldi o vogliono questo.” E non vi sono dubbi su cosa sia, visto il gesto inequivocabile, che ti riporta alla mente un vecchio nobile, o un gentiluomo di campagna.
Noi siamo là, seduti nello scompartimento del treno. Io so che tutti stiamo in silenzio solo per ascoltare. Un altro ragazzo resta fermo sulla pagina di un libro che non si gira mai, e mi guarda quando appena apro gli occhi, come a chiedermi conto di tanta volgarità. Sorrido perché intanto, come ha imparato dal maestro, ogni volta che passa una donna, scavalcando le valige posate lungo il treno, anche l'allievo innamorato fissa gli occhi sul culo, dando un voto ammiccando con una smorfia.
Luigi continua, perché si ricorda di quando poi avrebbe potuto avercela una donna dentro casa: “Mi faceva tutto, e avercela sarebbe stata una comodità. Ma all'epoca non me la sentii ed ora quando la richiamo, mi manda a cagare, però mi chiede come sto.”
Come una volta i pescatori inventavano storie sul loro pescato, Luigi pesa le donne che probabilmente negli anni ha immaginato, e il tempo passa, il viaggio scorre. Manca un'ora al loro arrivo e al ragazzo suona il telefono: “Come sei già là? Al parcheggio? Quale dei due? Un' ora, un'ora e arrivo!” Poi guarda Luigi: “Un'ora prima è arrivata! Un'ora prima, ma che ci avrà in testa, col caldo che fa?”
Luigi è di Napoli e non si lascia pregare: “Come che avrà in testa?” e si rimette la mano proprio là, nella gentile sensibilità del fondo dei suoi bermuda.
Si rifà silenzio, l'altro ragazzo chiude il libro; io gli occhi, soffocando il desiderio di vedere il viso del giovane giocatore che immagino diventerà teso e triste, come quando ti si oltraggia l'amore.
Invece rimbomba il suono di una risata, gustosa e grata.
Mi faccio mesta quando il treno si ferma e li guardo scendere insieme ed avviarsi ognuno verso la sua porcilaia.
Quanta miseria nella giovinezza che non prova rispetto dei propri sentimenti, che crede che per essere uomini si debba per forza essere animali.
Rita Pani (APOLIDE)
9.02.2011
La borsetta di Cartier
Più leggo le intercettazioni tra Tarantini e Lavitola, e più m'intristisco. Fa dispiacere leggere di un uomo, una famiglia che soffre così. Ci sono stati passaggi che veramente mi hanno strappato via un pezzo di cuore. Quando per esempio lui stesso si addolora, pensando che sua moglie debba andare a vendersi le borse – le borse di Cartier, che io pensavo facesse solo orologi e accendini – o si affligge sempre per la moglie che non riesce ad immaginare in giro senza un'auto.
È proprio vero che la crisi ci colpisce tutti, che non guarda in faccia nessuno, che ormai siamo tutti sulla stessa barca e dobbiamo prepararci al naufragio.
14.000 euro al mese, l'affitto pagato, le spese legali e quelle straordinarie cosa volete che siano quando solo dal salumiere si ha un conto da 15.000 euro da pagare?
Lavitola è un uomo per bene, lo si evince dalle intercettazioni. Ha cura del suo amico, si preoccupa e lo sprona a fare di più e meglio, per sé e per la sua famiglia. Lo esorta ad andare dal tizio francescano del consiglio, a chiedere qualcosa in più, tanto non è difficile “basta buttar giù qualche cazzata”. Ho provato un moto di commozione quando al Tarantini implorante prometteva di tenere per lui al sicuro un po' di danari, che gli avrebbe dato solo per dar vita ad un'attività produttiva. Poi ci sono le bambine (e qua la mia ironia si fa da parte), perché Tarantini le cita: “Come faranno le bambine senza soldi?”
Leggere la miseria di questa gente non riesce nemmeno a pacificarci con la nostra dignità, con la nostra fatica, con quei giorni vissuti in maniera così estenuante da lasciarci paghi e distrutti per essere ancora in piedi, nonostante la vita. Leggere di questi invertebrati che sbavano di invidia verso la casa dell'ape regina (che sembra la villa di Onassis) o dell'invidia per fede o mora (per altro in galera) che sono riusciti ad avere i milioni, e leggere di un tale che si dichiara coglione per non essere stato troppo abile come ricattatore, lascia sgomenti. E non so dirvi quale sia il disgusto nelle dichiarazioni reiterate di quel tizio, che continua a rivendicare la sua benevolenza, nel aver voluto aiutare una famiglia in difficoltà.
A Torino un uomo è morto nella Fiat Punto che abitava insieme alla sorella, dopo essere stati sfrattati. Entrambi pensionati, erano in cerca di una casa da affittare, una per la quale potessero pagarselo, l'affitto.
E potrei raccontarvi di quella coppia di genitori, che per disperazione per ben due volte ha dovuto rapire la loro bambina, portata via dagli assistenti sociali perché considerati poveri e non idonei ad essere genitori.
Tuttavia non servirebbe a nulla, perché da oggi siamo anche liberi di urlarlo a voce alta che l'Itala è un paese di merda che dà la nausea. Possiamo dirlo noi che ne abbiamo contezza, soprattutto perché a metterlo nero su bianco è stato proprio il tizio che di merda, questo paese lo ha ricoperto con i suoi traffici, con le sue miserie ricoperte d'oro e diamanti, con la sua pochezza travestita da grandezza.
Potremmo anche chiederci per una volta ancora perché, di fronte all'evidente tradimento dello stato – di merda – il Presidente della Repubblica non senta l'esigenza di sciogliere le camere, e provare almeno a ripulirne un po' dalle istituzioni oltraggiate dalla malavita di governo. Ma la domanda resterebbe retorica, gettata là da chi ancora non vuole arrendersi all'evidenza: noi no siamo più stato, né di diritto né di dovere. Noi, semplicemente, siamo pubblico pagante di questa ridicola farsa, che vive e si evolve al pari di una soap opera americana, e sulla quale non vedremo mai scritta la parola: “Fine”.
Rita Pani (APOLIDE)
9.01.2011
Un gran coglione
“Stavo aiutando una famiglia con figli in grave difficoltà economica”. “Stavo aiutando una ragazza a non prostituirsi”. “Conosco questa ragazza da quando era bambina, e prima di lei conoscevo sua madre, per questo mi chiama papi”.
Ora hanno arrestato Tarantini e sua moglie. Un altro ricattatore è latitante. Altri due sono indagati perché ricattavano il tizio più criminale e debosciato degli ultimi 150 anni, e a me – confesso – spiace un po'. Gente così meriterebbe il plauso di tutti e una medaglia d'oro al valor civile per la grande e indiscutibile capacità imprenditoriale.
Il ricatto, infatti, si basava sulla richiesta del tizio pervertito del consiglio, di mentire circa la sua consapevolezza che gli fossero state recapitate a casa, camionate di puttane.
500.000 euro e altre migliaia mensilmente, per non far trapelare ciò che tutti sanno, però, è una cifra che fa del tizio un ricattato, e pure un gran coglione. Da qui i complimenti a Tarantini per essere riuscito ad intascarseli.
E fino a qua si potrebbe anche sorridere, se non fosse per quelle cifre che in un momento come questo dovrebbero – e il condizionale in questo caso è davvero d'obbligo – far affilare le punte dei forconi di tutti noi.
La situazione economica dello stato è chiara a tutti, come è chiara a tutti l'incapacità politica di questa classe dirigente, sempre più votata all'interesse privato o populista teso a garantire la continuità dell'appartenenza a quel potere che rischia di finire in mano all'esercito, o di finire – nella migliore delle ipotesi - fucilato e umiliato come Ceausescu.
Questo buffone, questo gran coglione, capace di sperperare milioni e milioni di euro tra ricattatori (chissà quanti ne paga!) puttane, e servi di ogni razza è colui al quale è stato delegato il futuro di un paese. Questo gran coglione non solo ha dato il colpo di grazia all'Italia, ma sta iniziando a ledere i già precari equilibri dell'Europa (e lo scriveva ieri il Financial Times).
Quello che è veramente triste è non riuscire ad avanzare nessuna ipotesi sul futuro, non avendo la possibilità di comprendere come sia possibile che dinnanzi al palesarsi di ogni italica nefandezza, tutto resti fermo e uguale a sé stesso. Non c'è mai stata spiegazione se non quella di una lobotomizzazione di massa, rispetto al degrado che giorno dopo giorno si istituzionalizzava, con le candide dichiarazioni della “gente”, quella della strada, a volte persino invidiosa della possibilità del satiro di sollazzare più la sua mente malata che il suo pene, con quella carne fresca, puttana a sua insaputa.
Pare che ora avremo un inverno ricco di novità politiche, visto che dopo l'arresto di Tarantini sarà possibile rimettere in giro le carte che a Bari troppo in fretta si sono fatte sparire. Cosa ci sarà scritto sopra? Che le puttane erano poco più che bambine? Che oltre che abusarne dopo ne mangiava dei pezzi con la speranza di farsi la pelle più giovane senza l'aiuto del botox?
Quale mostruosità può costare 500.000 euro e il resto in comode rate mensili? Perché se davvero fosse solo il fatto di negare di essere un comunissimo utilizzatore finale di puttane, dovrebbe andare in esilio volontario non più perché criminale, ma solo perché un gran coglione.
Rita Pani (APOLIDE)