1.28.2011

 

Meglio la DIGOS che la Buoncostume

Ne ho passate tante di sere, a parlar di politica. Mi ricordo che la pacatezza svaniva un bicchiere dopo l’altro, fino alle vene del collo grosse come le dita, fino a quando la notte giungeva come una sorpresa, nell’orologio che avevo appeso in cucina, che segnava le tre. Le voci grosse, le invettive, il turpiloquio che accompagnava sempre le prese di posizione, il raffronto tra ieri e oggi, le rivendicazioni, le disperazioni comuni che poi sono anche le nostre, e alla fine, come se fosse un’addizione, la linea tracciata per arrivare alla somma delle parole di una sera, che era sempre più o meno così: “Allora, Compagni, bisogna … si deve … dobbiamo.”

Ho passato così tante sere, a farmi lacrimare gli occhi in una stanza avvolta dal fumo delle sigarette, a sgolarmi, ad allibirmi, che quasi ho imparato ad ascoltare, come fosse seduta in teatro nella prima fila, a godere della recita altrui restando di volta in volta divertita o interessata, sbalordita o angosciata. E anche quando l’irritazione mi coglie, freno l’impulso di balzare sul palco per accapigliarmi ancora con i protagonisti. Non mi va più.

Ma la politica è quasi una maledizione, e quindi accade a volte – quelle rare volte – che accetto di incontrare qualcuno per una cena che mi si prospetta galante e spensierata, che appena dopo aver chiuso lo sportello dell’auto, e non aver fatto in tempo nemmeno ad allacciare la cintura di sicurezza, ricevuto magari un complimento sugli occhi che non tradiscono mai, o il viso che è proprio quello che tante volte s’è visto in fotografia, di sentirsi chiedere: “Come pensi che finiremo? Cosa credi che accadrà?” E lo so che non è certo alla conclusione della serata che ci si riferisce, ma sempre e ancora alla politica. Un’altra sera così se ne va, passata come tante, troppe, che ne ho passato, finite magari con le vene del collo turgide e gli occhi arrossati dal fumo nella stanza, fino a concordare sul concetto di Rivoluzione.

Delusa, dopo però penso quel che ho sempre pensato, che la politica, tutto sommato è la regola della vita e niente di più; anche per loro che ne sono ignari. Tutto è politica: gli abiti che indossi, il cibo che mangi, la spazzatura che produci, la moralità e l’etica, lo sguardo che rivolgi verso il prossimo, la solidarietà che dai e che ricevi. E anche l’amore è politica in fondo, visto che mai potrei amare un fascista, e meno che mai potrei sfiorarne la pelle se non con un bastone.

Allora non mi stupisco più – io che odio il telefono – quando ci passo il tempo, con un’amica o l’ultimo malcapitato che mi chiama per un invito a cena, o una serata da passare in spensieratezza, a parlare ancora di ieri e di oggi, del domani che non riusciamo a vedere, dei pericoli che viviamo non riuscendo a sopravvivere, dei propositi di uccidere e di ucciderci, della Rivoluzione che sappiamo non essere possibile, immaginando scenari da film, con gli appesi di Piazzale Loreto, con le risate che alla fine non riusciamo a contenere e che forse ci dedichiamo solo per non cedere al pianto.

Ed anche così, riflettendo, segniamo il solco che divide noi, che la politica ci ha mortificato la vita, da quelli che oggi la politica la fanno davvero. I nostri toni veementi, le nostre chiacchiere, potrebbero procurarci ancora la visita della DIGOS, un avviso di garanzia per eversione, una serata deludente che non finisce a rotolarsi su un letto. I loro toni divertiti, la loro scaltrezza, le loro chiacchiere, potrebbero sortire una retata della buoncostume, un’imputazione per sfruttamento della prostituzione, troppe serate a farsi palpare dal vecchio di turno.

E allora, di tutte le mie sere, non ne rimpiango nemmeno una.

Rita Pani (APOLIDE)

PS … ci rileggiamo mercoledì


1.27.2011

 

Questa memoria smemorata

Dicono che dobbiamo ricordare perché quel che è accaduto non accada più. Dico che dobbiamo ricordare con maggior sforzo perché le cose stanno capitando ancora e sempre di più, in una società che ha perso non solo la memoria, ma peggio la civiltà.

Passano e ripassano i corpi smagriti dei sopravvissuti di Auschwitz o il suo cancello. Inutile negare i brividi e l’incredulità che ci portiamo addosso da sempre, noi che la storia l’abbiamo studiata o che siamo stati fermi e attenti a sentircela raccontare, o che abbiamo avuto il coraggio di vedere e rivedere i film o di leggere i libri che spesso meglio hanno saputo raccontare. Credo che nessun ragazzo che oggi ha partecipato alla “giornata della memoria” riuscirebbe mai a sentirsi immune dal rabbrividire.

Ma se la storia, nel corso degli anni continuerà ad essere edulcorata, rivista e corretta, allora non solo è una giornata che non serve, ma è una giornata a metà. Si sbaglia persino il principio di questa memoria che dovrebbe portarci al mondo migliore, alla società civile e giusta: ricordare perché non accada più, mentre invece lasciamo che accada, ancora e ancora, messi quasi al sicuro da l’aver ricordato oggi – a metà.

Non ne avrei nemmeno scritto – l’ho sempre fatto – ma ho appena finito di leggere il discorso del Presidente Napolitano, si solito molto attento oggi troppo misurato, che non so come abbia fatto a non nominare nemmeno una volta il fascismo. I nazisti, i sovietici, i regimi totalitari, c’erano tutti con i loro crimini e con i loro orrori, ma non c’erano i fascisti. Nel giorno della memoria, evidentemente smemorata.

Gli ebrei italiani furono soggetti alle leggi razziali imposte dal fascismo. Questa è la storia che forse, ora che il fascismo governa è bene non ricordare, nella giornata della memoria, perché già il nostro paese si arrabatta tra uno scandalo e una altro, tra una ruberia e una miseria, tra un rinvio a giudizio e una condanna passata in giudicato. Allora, forse è bene ricordare a metà, che non ci sia altro da discutere in questi giorni di fermento politico, pilotato da una forza politica populista e nazifascista che è riuscita a creare in Italia qualcosa di molto simile ai lager: i CPT. Campi di Prigionia Temporanea, dove nessuno può entrare, dove si mangia poco e male, perché non ci son soldi o perché chi ha gli appalti delle mense, i soldi se li ruba e spartisce, lasciando che il Prigioniero Temporaneo si arrangi come può, o che decida di ammalarsi con uno sciopero della fame.

Se avessimo sfruttato la memoria, se avessimo ricordato, come stato civile e colpevole di aver mandato a morte migliaia e migliaia di persone, non avremmo mai permesso che il tizio che ci governa si accordasse con Gheddafi per mandare in Libia, condannandoli a morte certa, i nuovi ebrei che ci consegna il mare.

Furono i fascisti italiani a far rinchiudere nei lager i nomadi e gli omosessuali, e se dobbiamo ricordare perché questo non avvenga più, allora è bene spiegare alle nuove generazioni che non sanno, che accade ancora. I nomadi sono poco tollerati, scacciati dai loro accampamenti, e il Parlamento Italiano ha dato mandato ai sindaci italiani di poter attuare dieci anni dopo il 2000 i pogrom, addirittura usando l’esercito. Gli omosessuali, sono ritenuti dalla Santa Chiesa Romana degli esseri minori, scacciati dal tempio, usati come monito contro Satana, o peggio pestati, massacrati e violentati dai branchi, come appena accaduto a Trento.

E allora, me ne sto qua, a ricordare. Tutto quello che mi aiuta a comprendere perché dovrò ricordarmene anche domani.

Rita Pani (APOLIDE)


1.26.2011

 

Lezioni di umiltà

I giovani rischiano di andare in pensione con un'indennità da fame? I genitori la smettano di regalare auto ai figli laureati, e ai neodottori offrano piuttosto il riscatto dei contributi relativi agli anni dell'università. Il corso di laurea intrapreso è sbagliato rispetto alle esigenze del mercato, il ragazzo non trova lavoro? Accetti un contratto d'apprendistato e impari un mestiere. Soprattutto, sia umile: i giovani italiani soffrono di "inattitudine all'umiltà". (Ministro per la “tizio jugend” meloni, nota come zoccola [tizio dixit])

Che bello! Finalmente una lezione di umiltà. È importante insegnare ai ragazzi ad essere umili. Tutti quei laureati che ostentano la loro boria quando alle dieci di sera si staccano le cuffie dalle orecchie, dopo aver passato otto ore alla postazione di un call center, a me francamente avevano dato noia. È bello che finalmente ci sia una ministra giovane, diventata ministra per la sua cultura e la sua intelligenza che mostri a tutti i giovani come si possa arrivare in alto, semplicemente avendo umiltà, accettando qualunque cosa la vita ci offre, con la speranza di migliorare. Anche di essere chiamate zoccole dal tizio del consiglio. Umiltà e via andare!

E ci smentiscono, questi ministri, così che siamo costretti a riconoscere che non tutti sono impegnati a districare la matassa di tette e culi che hanno ingorgato il governo del paese. Ci sono ministri giovani che lavorano e che hanno a cuore l’altra gioventù: quella che non può aspirare a togliersi le mutande. Hanno piani importanti, per esempio la rivoluzione culturale che scardinerà il 68 che ci portiamo dietro, fatto di diritti acquisiti ed evoluzione. Ma che storia è mai quella per la quale non si può parlare di lavori manuali? Bisogna adeguare il modello al mondo del lavoro che cambia – dicono. Lo hanno detto. La ministra della tizio Jugend ha anche detto che c’è un pezzo del paese che non capisce quando si parla di “lavori manuali”, ma per fortuna la società sì. E lei ha l’aria di sapere tanto sul lavoro manuale, che con molta umiltà deve aver fatto per essere premiata fino a diventare ministra di qualcosa.

Che bello! Quanto siamo fortunati ad avere questo governo di giovani che parlano di rivoluzione. Sembra davvero di vivere in Venezuela o in Bolivia. E poi è quasi orgasmico il concetto di “rivoluzione culturale”, espresso da cotanta umile ministra, guardata con affetto e ammirazione dal più saggio ministro sacconi, che a margine del recital delle due ministre (c’era anche l’umile gelmini) ha annunciato che non ci saranno proroghe per i precari licenziati e che il governo andrà avanti deciso con lo smantellamento dello statuto dei lavoratori, che comunque qualora non ve ne foste accorti, da un pezzo è già stato smantellato, prova ne sia l’abominevole accordo Mirafiori.

La rivoluzione culturale di questa massa informe di dementi prezzolati, come usa spesso, avviene attraverso slogan, opuscoli e spot promozionali da teletrasmettere a tamburo battente sulle televisioni di stato, e anche per promuovere questa rivoluzione ne verrà stampato uno con la prefazione della ministra meloni, che avrà per titolo: “Buon lavoro.” "C'è un atteggiamento talvolta passivo o distratto da parte delle nuove generazioni". Ed è meglio che mi fermi qua, senza trarre conclusioni.

Ho una figlia laureata, non le regalai l’auto e nemmeno il futuro di una pensione. In realtà è laureata grazie ai miei genitori che le hanno pagato gli studi, e sono molto grata. Se non altro perché la laurea le ha donato la possibilità di andarsene dall’Italia, e non beccarsi in faccia queste pallette di merda, lanciate con tanta umiltà.

Rita Pani (APOLIDE)


1.25.2011

 

Cosiddetta … tua figlia.

Quando posso, mi rifiuto di guardare filmati del tizio drag queen del consiglio, e mi risparmio di sentirne la voce. Leggo gli estratti sui giornali, non rabbrividisco; lo schifo al pari di un topo di fogna grande come un coniglio. Non c’è bisogno di inquinare ulteriormente il proprio sguardo, o l’udito, dato il bombardamento al quale siamo sottoposti quotidianamente.

Le trasmissioni televisive di approfondimento politico, che non narrano più dei governi che crollano per la povertà dei popoli, del nazismo che si fa sempre più audace in una società evoluta, dello strano concetto di federalismo che sta finendo di devastare una Repubblica tutto sommato giovane come la nostra, in cui appare sempre più chiaro l’intento di spaccarla in due, con il nord affidato ad un manipolo di ladri vestiti di verde, e il sud da donare – come ricompensa o bottino di guerra – alle mafie, che poi provvederanno ad equa spartizione. Narrano solo le vicende del patetico uomo a cui è ancora permesso credersi un sultano, e ci tocca ancora star qua a specificare il banale.

Essere donna è cosa diversa dall’essere la figlia del re, ed è ancora oltremodo diversa dall’essere figlia, moglie, o madre di un tizio che re non lo è mai stato. Essere donna è sempre stata fatica; un tempo perché si doveva chinare il capo e muoversi piano in un mondo che esigeva senza accettare ribellioni, poi quando si iniziò a tirar su il capo, divenne fatica riuscire a non abbassarlo di nuovo. Oggi è triplicemente faticoso, perché si deve combattere perché non passi l’idea che tutte si sia come la cosiddetta figlia del re, che non fatica nemmeno a schifare suo padre, porco o malato che sia.

Non posso e non voglio sentirmi insultata dal fare maniacale di questo vecchio balordo, che conserva il “diritto” di esistere nelle nostre vite, solo perché in grado di pagarselo – probabilmente anche con molti dei nostri soldi – non può offendere la mia dignità di donna. Perché io so d’averla.

Forse è anche questa un’altra delle mie grandi libertà: essere (sentirmi) immune dall’oltraggio di un tizio che merita qualunque mio oltraggio, qualunque mio insulto, e che mai – nemmeno se dovesse costituirsi – meriterebbe il mio rispetto. Guardo alla mia vita e so che qualunque cosa quell’essere immondo possa dire di una donna, non riguarda me. So che non sta parlando di me. So che non è a me che potrebbe mai dire “cosiddetta donna”. Perché io donna lo sono davvero, e non per il mio corpo, o perché a volte mi piastro i capelli per illudermi di aver voglia di prendermi cura di me. Sono una donna perché, per esempio, sono sopravvissuta al mio ultimo anno di vita, senza mai avere la tentazione di chiamare amore il portafogli di un uomo, senza mai avere nemmeno la tentazione di delinquere per mangiare. O la tentazione di millantare di me bellezze da sogno o perfezione da vanto. Sono una donna che ogni volta che è caduta si è rialzata, ha spolverato il fondo dei pantaloni, e si è rimessa in piedi. No, non c’è cosa che quel patetico, ricco maniaco possa dire che possa ledere la mia dignità, perché io ho una dignità, e me l’ha insegnata mio padre col suo esempio.

E per questo, vecchio porco, “cosiddetta donna” può calzar bene solo a tua figlia, una delle tante. Una di quelle che hai scambiato con i denari per la ricerca sulla tua longevità, con i favori alle mafie – che anche Mediobanca lo è – che hai favorito col furto della Mondadori, o derubando la minorenne ereditiera Casati Stampa nel lontano 1973. Ora il tuo esempio è altro, è quello di un uomo che usa le donne, che le compra, che le rivende usate al servo più avido, come un’automobile o una casa che non serve più. E le cosiddette donne che hai generato non hanno abbastanza dignità per disconoscerti come padre o come uomo, perché si vendono a te, in attesa che tu tiri le cuoia ed essere libere di avventarsi sul bottino di una vita.

Nulla di quel che dice quel tizio sarà mai in grado di offendermi, perché forse l’unico bene che ho e che spero di tramandare a mie figlie, è il forte senso di orgoglio e dignità.

Rita Pani (Donna APOLIDE)


1.24.2011

 

La pratica musicale

La pratica musicale

1.23.2011

 

Tette e Culi

"Faccio spettacoli per beneficenza, conferenze nelle Università. E poi intendo mettermi in politica. Il momento e' delicato e c’è bisogno dell'impegno di tutti" annuncia la escort al Mattino di Napoli. (Patrizia D’Addario – Prostituta)

Ecco perché volenti o nolenti, non si può distogliere lo sguardo “dalle tette e dai culi” come vorrebbe il ministro per il razzismo, maroni. Non si può per il semplice motivo che una prostituta va nelle Università a tenere conferenze, e nello stesso tempo c’è chi prova orrore per le parole d’ammirazione e sostegno che Roberto Saviano dedica alla Bocassini. Non si può, perché ignorare tutta questa vicenda, sarebbe come rendersi complici del dilagare della corruzione che non è solo quella che paga con danaro, ma elargisce ancor più libertà di delinquere con la distruzione della civiltà.

Mi è capitato di vedere il filmato della ricostruzione di un’intercettazione telefonica tra un padre e una figlia, nella quale lei spiegava di essersi ritrovata in un puttanaio. Il padre, per mostrare d’aver ben compreso diceva alla figlia: “Ah! Un’orgia!” Poi le madri, sempre al telefono, che s’informavano sul prezzo delle marchette delle rispettive figlie, lamentando il poco danaro e i troppi gioielli, e finendo con un sospiro sul tipo della vecchina che a bordo di un autobus ti dice: “Signora mia, che tempi!”. “Pazienza, bisogna pur accontentarsi.”

La corruzione non è solo pagare un giudice per una sentenza, un ministro per un appalto, un medico per curare il proprio figlio. La corruzione è stata soprattutto quella morale che ha permesso il dilagare di quella materiale. In un mondo in cui una puttana fa solo il suo mestiere, il ladro rischia la galera, le leggi dello stato sono “leggi” e non si discutono ma si applicano, non ci sarebbe certo il problema di domandarsi quale pantano saltare per primo per non rischiare di rimanere infangati.

Ogni volta che vedo su uno scaffale il libro della D’Addario, sento che il mio animo cerca d’arrendersi. Se quel libro sta esposto al pubblico – mi dico – è segno evidente che c’è ancora chi lo compra. E se un editore ha esultato per averlo pubblicato, quell’editore sarà complice di un sistema del quale, state certi, si lamenterà magari unendosi al coro di giuste proteste verso l’ignobile ministro bondi, che tanto ha fatto per radere al suolo gli ultimi baluardi della cultura italiana. E se poi c’è un Università che favorisce “le conferenze” della D’Addario ma una scuola che proibisce agli allievi di partecipare ad una lezione di legalità, impartita dal giudice Ingroia, allora va da sé che non sia proprio tempo di voltare lo sguardo, perché facendolo saremmo complici e non più degni di esigere nulla di diverso da ciò che nostro malgrado abbiamo.

Non a una cosa, bisogna guardare, ma a tutte le cose che tra loro sono drammaticamente inanellate. E bisogna guardare con la giusta attenzione, più che con la più misera delle curiosità. Qualunque giusta rivendicazione – quella sul pane e lavoro, per esempio – si perderà nel vuoto fino a quando il vuoto starà al governo. Che oggi salti fuori un ministro (leghista) a dirci che non è più tempo di guardare a tette e culi, è un oltraggio verso il Parlamento stesso, occupato e reso impotente da chi anziché governare deve pensare a come non finire in galera proprio per quei culi e quelle tette.

Ma si ritorna così al problema fondamentale di questa povera Italia, che pullula di italioti e che non arriverà mai a comprendere che non si può estirpare il ricatto o la corruzione col ricatto e la corruzione. Ed è proprio con questi espedienti che la Lega, partito da nulla, si regge per partecipare al banchetto dello stato italiano. Non si può parlare di politica con chi della politica non si è mai interessato, non si può parlare di stato con chi dello stato, in così breve tempo, ha fatto una succursale delle sue aziende pirata. Non si può pretendere lavoro da chi paga solo e soltanto i propri servi per rendersi facile la vita. Non si può pretendere il diritto alla sanità da chi devolve gran parte del bilancio della sanità dello stato per finanziare gli studi sulla sua immortalità.

E non si può pretendere nemmeno di scendere dai tetti dove si è stati confinati pretendendo danaro e libertà d’istruzione, quando si pensa di poter formare il pensiero delle prossime generazioni attraverso “la conferenza” di una puttana … che comunque sì, sente il dovere di “mettersi in politica”. La vendetta delle tette e dei culi.

Rita Pani (APOLIDE)


1.22.2011

 

TUTTIFATTI

Non si riesce più a distinguere la farsa dalla tragedia, la commedia da un racconto epico. Una volta, scherzando, dissi che in Italia prima o poi la riforma della giustizia avrebbe avuto un solo codicillo: “Tutti gli articoli di legge presenti nel nostro ordinamento, sono da ritenersi inapplicabili ai cittadini italiani che si chiamano silvio berlusconi e sono residenti a Villa San Martino in Arcore.” Tutti i cittadini, ovviamente, sarebbe stata la formula giusta per non indurre l’italiota a pensare che fosse una legge ad personam.

Già l’altro giorno avevo scritto della proposta pecorella (l’avvocato senatore del tizio e non la pratica da bunga bunga) di risolvere il problema dell’ Italia con l’abbassamento della maggiore età, ma forse chi come me l’aveva letto nascosto sui giornali, tra le pagine e pagine di cronaca d’avanspettacolo, lo aveva preso per uno scherzo. Per fortuna pare che stasera lo abbia detto la televisione, facendo sì che in questo modo la notizia diventasse reale. E allora con molta serietà mi domando se non sarebbe meglio, e anche meno oneroso per lo stato, applicare il codicillo di cui sopra.

Anche un’altra teoria da me formulata tempo addietro, non mi sento più di escludere, ossia che nelle condotte idriche italiane scorrano abbondanti dosi di LSD, e che chi più chi meno, ormai sia incapace di avere una visione lucida della vita. Se è vero quel che leggo in un sondaggio, che darebbe il tizio ancora come vincitore di un’ipotetica tornata elettorale, non c’è altra spiegazione plausibile.

E anche perché inizio a leggere su più fronti, l’invito a rispettare – quasi onorare – la decisione del colluso con la mafia, Totò Cuffaro, di costituirsi questo pomeriggio ai carabinieri. Ho letto che merita rispetto. E se chi invita a rispettare un colluso con la mafia, che dichiara orgoglioso d’esser pronto a farsi la galera per essere non di monito, ma d’esempio ai suoi figli, dopo aver pesantemente impoverito una terra già povera, dopo aver sputato sulla memoria dei giudici Falcone e Borsellino, non ha ingerito LSD (anche a sua insaputa) allora dovrò finalmente ammettere che il problema è tutto mio. Evidentemente non son più attrezzata a comprendere. Proprio qualche giorno fa, nel paese di un mafioso il giudice Ingroia avrebbe dovuto tenere una lezione di legalità in una scuola. Il sindaco ha vietato agli alunni di partecipare. Questo è un piccolo esempio di cosa significa avere la mafia nelle istituzioni e non in galera.

Meglio il codicillo salva tizio, allora, visto che non ha accettato nemmeno il salvacondotto che qualcuno gli aveva offerto, evidentemente sapendo con largo anticipo rispetto a tutto il resto del mondo, verso quali aberranti e nuove avventure, il tizio debosciato ci stava trasportando. Proposta che sicuramente non ha provocato le reazioni degne di un popolo veramente indignato, e nemmeno di un’opposizione che perse tempo persino a discuterne.

Quando a breve s’intensificherà il battage pubblicitario (ormai è ridicolo persino chiamarla propaganda) sul nuovo miracolo italiano, con i ragazzi sedicenni che magari avranno anche diritto al voto, oltre che la libertà di uccidersi e uccidere con autovetture vere perché un maniaco sessuale non finisca in galera, speriamo che anche l’Italia ammetta di essere ormai come la Tunisia, l’Albania o l’Algeria – no, non reattive e rivoluzionare – ma impossibilitate a fingere di aver ancora di che sopravvivere. Forse sarà quello il giorno che finalmente si dovrà scegliere davvero da che parte stare.

Rita Pani (APOLIDE)


 

Il ministro non c’è

Il ministro non c’è

1.21.2011

 

Noi che comunisti lo saremo per sempre

Ora Compagni, non ve ne abbiate se io non mi sento di festeggiare i 90 anni del P.C.I. Lo commemoro, semmai, con la morte nel cuore e col rispetto che merita il dolore. Non prendetevela con me, è solo che non sono capace nemmeno di applaudire a un funerale, o di augurare buon compleanno all’amico morto ammazzato tanto tempo fa. C’è differenza tra festa e commemorazione, e noi che comunisti lo siamo ancora e lo resteremo per sempre, non possiamo aver voglia di festeggiare.

Il P.C.I. non è arrivato a compiere i 90 anni, lo hanno ucciso molto tempo fa seguendo l’onda dell’economia democratica da imporre ad ogni costo, anche con le guerre di pace, o con un ipocrita e fasullo concetto di libertà, basato sempre sul danaro, che in Italia ha trovato terreno fertile con l’avvento del berlusconismo e con la chiesa di Marcinkus e del Papa che diventerà beato proprio il primo maggio prossimo, come ultimo schiaffo verso tutti noi.

Non me la sento di festeggiare la perdita, tanto più che c’è ancora chi si ostina a demonizzare la nostra ideologia, chi non perde occasione per utilizzare il termine in modo intimidatorio, chi insegna alle nuove generazioni, terribilmente devastate dalla povertà culturale, che per migliorare questo mondo bisogna abbandonarle, le ideologie, fingendo di ignorare che è stato proprio per questo abbandono – che ha sapore del tradimento – che siamo arrivati proprio qua, dove siamo oggi. Nel nulla più profondo.

Sono comunista, penso comunista, vivo comunista. Come un’orfana e addolorata, o una vedova angosciata. Nei momenti più bui delle nostre esistenze, cerco disperatamente il padre che potrebbe mostrarmi la via, o il padre dei figli capace di esser sostegno, ma poi mi ricordo la perdita e il lutto, e come fanno le donne che devono fare da sé mi ricordo chi sono, da dove vengo e cosa ho imparato e vado avanti, aggrappandomi proprio all’ideologia. Quella che ti impedisce di pensare a te stesso come unico essere degno di esistere, ma come molecola facente parte di un organismo più grande, al quale la coscienza deve importi di partecipare.

Commemoro il Partito, ne ricordo le donne e gli uomini migliori che l’hanno fatto grande, che non ci hanno regalato il pensiero, ma ce lo hanno prestato perché potessimo farne qualcosa di utile da tramandare, con l’esempio e con la tenacia, con la Resistenza che oggi è diversa da quella di ieri, a volte persino più difficile da comprendere e da spiegare. Resistere oggi, significa conservarsi in vita, non piegarsi, non vendersi e non umiliarsi. Mantenersi dignitosi. Resistere è dire: “Io sono comunista”, e mostrarsi esattamente per quel che si è agli occhi di chi ti guarda immaginando il sangue di bimbo che cola dall’angolo della tua bocca, perché così qualcuno ha insegnato; qualcuno che le bambine le sbranava davvero.

Resistere è insegnare attraverso la vita coerente con l’ideologia, che essere comunisti non è né un fallimento, né una malattia, ma un modo per non mandare sprecata un’intera esistenza. Non cedere mai alla tentazione di rinnegare ciò che siamo, anche quando sappiamo che sarebbe più facile trovare il coraggio di svegliarsi alla mattina.

Ieri sulla mia bacheca di Facebook hanno postato una frase, che forse spiega meglio quello che avrei voluto dirvi fin qui, e ringraziando chi l’ha inserita, la copio: “Che cosa sarebbe stata l’Italia senza il PCI lo vediamo oggi che il PCI non c’è più.” Alexander Höbel

A pugno chiuso,

Rita Pani (APOLIDE COMUNISTA)


1.20.2011

 

Fatemi un fischio

Cos’è rimasto da dire? Cosa è rimasto da schifare? Oh sì, è morto un soldato ma non se lo sono filato. Il giorno prima in realtà erano morti tre uomini sul lavoro, e pure un quarto, ma era già in lista da novembre quando restò ustionato sul 95% del corpo. Insomma forse era già morto allora, e quindi sarebbe stato inutile piangerlo due volte.

Non è rimasto nulla da dire, soltanto tutto da ribadire. Poi magari congratularci con noi stessi, che siamo molto bravi a sopportare. Così bravi che a volte mi chiedo se non riusciremmo pure a tollerare di più. Non passa giorno in cui non si venga a conoscenza di un pezzo di muffa putrescente di questo paese ormai morto, una truffa, una concussione, un cocainomane puttaniere che si vanta d’esser come il tizio del consiglio – vittima della giustizia – uno scandalo allegro o triste. E tutto scorre.

Oh no, è vero. C’è stata ieri la rivolta dei fischietti, davanti al Quirinale. Oggi mi hanno anche accusato di non aver partecipato, e io di rilancio ho rivolto l’accusa contraria: “Ma non ti vergogni nemmeno un po’ d’esserci andato?” Allora si continua ad accusarmi: “Ecco! Voi comunisti parolai, scrivete ma non fate nulla.”

Fischiettare contro Napolitano, guidati dal creatore d’eventi più insignificante che c’è, sarebbe quel qualcosa da fare, mentre il paese muore? Prova ne sia che gli unici a rendersi conto dell’iniziativa, sono state le quaglie del Colle, a cui hanno disturbato il sonno infreddolito. Che poi ho chiesto anche notizie dell’altra stupenda iniziativa, quella dello sciopero della fame a staffetta, per richiedere le dimissioni del tizio, ma mi dicono che tutti i partecipanti stanno bene e non hanno perso un etto.

Un’opposizione dimissionaria in parlamento, avrebbe senso, con una dichiarazione unica: “Questo è un casino e noi non ci vogliamo stare.” Giusto per vedere l’effetto che farebbe mandare tutto a carte quarantotto, o a gambe all’aria, ma anche a puttane che in definitiva è la metafora più idonea a rappresentare questo stato di cose.

Ma noi siamo oltre. Siamo civili e ligi alla democrazia e alle leggi dello stato eversivo davvero. Noi non siamo un paese normale, noi siamo un sobborgo di una capitale dell’Africa Centrale. I ragazzini non vanno più a scuola e nemmeno lavorano, si organizzano in bande, non sniffano colla ma cocaina, e la sera tornano a dormire ancora da mamma e papà. Le mamme vendono le proprie figlie al vecchio porco, ma non essendo palermitane del quartiere Zen, non vengono arrestate dalla polizia. Noi siamo civili e civilizzati, con la maglietta viola e il fischietto, tutti a fare casino davanti al Quirinale, ben vestiti e pettinati – non si sa mai, finissi su youtube, che a noi la tv ci fa schifo, e però possiamo raccontare tutta e integralmente l’intervista della zoccoletta, la sua ultima e più remunerativa marchetta. Ma per fortuna l’opposizione si oppone.

Già, poi c’è la Lega che ancora parla di federalismo, come fosse una cosa seria, e non ha timore quel che resta di bossi, di presentarsi in tv a dire che “c’è l’accordo con silvio.” Questo in linguaggio neopolitichese significa che la lega è solo la peggior troia con cui ha a che fare il tizio debosciato. Quella troia che i soldi per finanziarsi li ha voluti in anticipo, ed ora è pronta al ricatto. Intanto in uno stato democratico che si rispetti, la lega è libera di creare liste di proscrizione, di “incendiare i libri”, di seminare ancora l’ignoranza che un giorno darà ancora più frutti, concimata dalla merda che scorre a fiotti sulle nostre vite. Anche su quelle che ci ostiniamo a spendere come se servisse davvero ancora investire nel domani.

Fatemi un fischio, quando sarà.

Rita Pani (APOLIDE)


1.19.2011

 

Sardegna fatti più bella

In Sardegna, una settimana fa, c’è stato un disastro ambientale ma a quanto pare questa è notizia da “Forse non tutti sanno che …” deliziosa quanto antica rubrica della Settimana Enigmistica. Per giorni, a meno che non si avesse avuto la disgrazia di riempirsi le scarpe, gli abiti e le mani di olio combustibile, sostando in lacrime lungo le coste a nord dell’Isola, non se ne sapeva nulla.

Certo, erano giorni in cui le penne dei giornalisti rincorrevano altri disastri ed altre avventure, per cui non c’era né tempo, né spazio per occuparsi degli uccelli morti per la fuoriuscita dell’olio combustibile che ha irrimediabilmente devastato la mia Terra. Anche se sempre di uccelli morti scrivevano i giornali.

Con le prime immagini del disastro, anche noi che per necessità siamo costretti a vivere lontani da casa ci siamo resi conto che quel che ci avevano raccontato gli amici, non era la solita cosa alla quale tra occupazioni militari, speculazione industriale, e colonialismo di ogni genere, eravamo abituati a vedere. Non si trattava più della petroliera che a largo, non considerando le maree, puliva le stive in modo criminale, regalandoci spesso bottiglie di plastica o di wodka, vecchie ciabatte o pezzi di catrame. Si tratta di diecimila tonnellate di olio combustibile, sversato in mare al molo E.on di Porto Torres.

Col passare dei giorni, e col cambiare dei venti con ancora troppo silenzio intorno, siamo arrivati ad oggi, ad una settimana dall’accaduto, e 18 chilometri di costa sono irrimediabilmente devastati. Si teme per il Parco Nazionale dell’Asinara – quello stesso in cui il presidente della camera ama immergersi in modo abusivo, abusivamente accompagnato dai vigili del fuoco – e l’olio che uccide pesci ed uccelli viaggia oggi verso la Corsica. Le persone impegnate nel tentativo di bonifica delle coste è affidata a un numero insufficiente di persone, con scarsi mezzi e questa volta – finalmente – a differenza di altre, le popolazioni si mobilitano.

Ma il silenzio più emblematico, è quello istituzionale. Cercando su Internet un lancio d’agenzia, qualcosa che mi raccontasse cosa avesse detto il ministro a proposito della tragedia occorsa in Sardegna, ho trovato solo una notizia correlata, e rilanciata sul blog Capogruppo del Popolo Della Libertà nel Consiglio regionale della Sardegna, dal titolo emblematico: SARDEGNA FATTI PIù BELLA, dove si esalta l’operato della ministra che copio integralmente: “Con la firma del decreto di Valutazione di Impatto Ambientale da parte del Ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, che sblocca la riconversione dei gruppi a olio combustibile della centrale elettrica di Fiume Santo, si apre la possibilità di posizionare un tassello di fondamentale importanza per il rilancio dello sviluppo industriale della Sardegna”.

Tuttavia, esiste una dichiarazione della ministro, la quale si dichiara incredula dinnanzi agli accadimenti narrati sulla cronaca politica boccaccesca del suo vate: “Non ci credo.” (e almeno questa volta non ha pianto)

E qua mi fermo, perché sono sicura che non serva aggiungere altro. Noi che la Sardegna l’abbiamo dentro sappiamo parlare anche in silenzio, ma è un silenzio diverso da quello dell’arroganza di questo stato, che per fortuna non è il mio.

Rita Pani (SARDA)

Foto: Paola AnarKiss


1.18.2011

 

Il lodo Girolimoni

Gossip è quando mi scrive un’amica per dirmi che le ha scritto qualcuno chiedendole se per caso sapesse il nome dell’uomo che avrebbe – il condizionale è d’obbligo – occupato il mio cuore. Ci sta un sorriso, anche perché mi è difficile pensare che a qualcuno importi veramente sapere se esiste oppure no, se è bello o non lo è. Mi lascia anche un po’ sconcertata sapere di carteggi con illazioni e persino scommesse, con liste di nomi in ordine di probabilità. Poi però ci rifletto: il gossip in fondo è un passatempo innocente, e quindi ben venga, se in qualche modo posso essere fonte di leggerezza e distrazione. Poi a chi non è mai capitato di lasciarsi andare a certe curiosità? Me le ricordo certe serate tra amiche, finite a domandarsi della vita delle altre, e persino ad invidiarne un po’ certe libertà.

Quando però a riunirsi non è un gruppetto di amiche, ma i ministri della Repubblica Italiana, per discutere delle strategie per tenere segreti, e quindi non far sapere al popolo, quali atti di aberrazione vengano compiuti dal vecchio tizio debosciato che ci governa, non è più gossip ma è lo stupro della politica. Assistervi in silenzio ci renderebbe tutti conniventi.

Oggi non si può più pensare che le notizie che occupano le prime pagine dei giornali, siano dei bassi tentativi di distrarre le coscienze dalle cose veramente importanti, perché le stesse vicende si incastonano tra quelle cose veramente importanti, che non noi che scriviamo, ma coloro a cui qualcuno ha delegato l’amministrazione della cosa pubblica, non hanno mai preso in considerazione.

Non è tanto raccontare il grado di deboscia di un vecchio tizio porco ed erotomane, corrotto fino al midollo dal danaro col quale ha sempre creduto di poter comprare ogni cosa, persino l’immortalità, ma quale grado di devastazione ha creato aver lasciato nelle mani di un criminale, malato mentale ma molto, molto ricco, le sorti di un’intera nazione. La nostra.

Mettere il relazione i morti del lavoro, quello che c’è e ci ha reso merce umana e quello che non c’è che ci potrebbe rendere suicidi; mettere in relazione lo stupro subito dalla democrazia e dalla libertà, per comprendere che tutto ha a che fare con il suo danaro, quello che voi che irresponsabilmente l’avete votato, avete sperato potesse un giorno essere un po’ come vostro. Voi che lo avete votato, voi che ancora vi fate pagare una miseria per battergli le mani, voi che ancora accendete la televisione su uno dei suoi canali, che comprate in edicola uno dei suoi giornali: voi siete i complici, i servi eunuchi.

Non può essere gossip questa storia miserabile degna dell’attenzione di Ovidio, quando sappiamo che persino il suo servo più fedele gli ha rubato 400 mila euro. Se è stato derubato dal più ridicolo dei suoi servi, proviamo a chiederci cosa può aver pattuito con la mafia? Se fosse vero che avrebbe ricoperto una troietta d’oro per tacere del suo culo e delle sue perversioni da vecchio bavoso, da Girolimoni, quanto ha dovuto dare – di noi e delle nostre vite – alla camorra?

E se il suo servo più sfacciato gli ha rubato il danaro, in combutta con quell’altro essere insignificante ed abominevole di lele mora, si spiega la deriva nazifascista che il paese ha preso, controllato dalla lega, che brucia i libri e gli extracomunitari in cambio del silenzio e la fasulla lealtà, spacciata in modo abominevole come fosse un’intesa politica in nome e per conto del popolo italiano.

Troppo comodo sminuire tutto, renderlo quasi patetico in quelle mani e nei peni avvizziti e speranzosi di ottantenni malati di vizio. È tutto assai peggio se si considera che è in quelle mani il futuro dei nostri figli, che a quelle mani e a quelle teste malate c’è chi ha affidato il compito di regolamentare le nostre vite. Che venga fuori giovanardi ora, a spiegarci che non è bene abortire, o che l’omosessuale è un malato. Che abbiano il coraggio i vescovi di venire a moralizzarci. Che tirino fuori le palle i leghisti, e ci ricordino quanto sono brutti i mussulmani che possono sposare quattro donne. E soprattutto torni tremonti a raccontarci che non ci sono soldi per sopravvivere.

Poi si riunisca il consiglio dei ministri, per continuare a salvare il culo del vecchio porco, magari con l legge ventilata ieri da Pecorella, il lodo Girolimoni: abbassare di sei mesi il limite della maggiore età.

Questo non è gossip, è l’Italia che molti di voi hanno voluto.

Rita Pani (APOLIDE)


1.17.2011

 

YouTube Simphony Orchestra 2011

YouTube Simphony Orchestra 2011

1.16.2011

 

Relazione stabile di un tizio instabile

Se non fosse per le ceneri che circondano le nostre vite, oggi davvero potremmo radunarci tutti sotto Palazzo Grazioli, e puntare l’indice semplicemente ridendo. È così che questo tizio ridicolo dovrebbe uscire di scena, umiliato dalla nostra derisione. Vale meno di Craxi (a cui ridò il maiuscolo per l’occasione) e non merita nemmeno una pioggia di monetine da un centesimo.

Le giovani prostitute che raccontano del “drago”, fa ridere. Le ragazzine costrette ad essere – per loro stessa ammissione – solo una parte del loro corpo nelle mani di un vecchio bavoso, avrebbero detto “mostro”. Ma mostro è un termine da viso con le rughe, da volti segnati dalla povertà e dall’ignoranza. Mostro è qualcosa che è facile attribuire a un Misseri che di punto in bianco fa il salto mortale dalla campagna con gli olivi alla campagna stampa. Drago è più favolistico, lascia pensare a qualcosa di magico.

Io punto l’indice verso quel tizio patetico, che non è un mostro, non è un drago, ma è soltanto un malato. Orribilmente devastato da sé stesso, obnubilato dal suo danaro e dalla perversione che esso gli ha dato. Convinto che tutto si possa comprare, persino il rispetto. Punto l’indice e lo derido per la sua miseria, quella che mostra nel posticcio che ha in testa e nel decadimento personale che grazie a chi lo ha votato, pensando di potergli somigliare almeno un po’, ha lasciato corrompere un paese già predisposto fino alle fondamenta.

Fascisti di merda, leghisti, ladri, mafiosi, piduisti guidati dal danaro che è stato per loro come il suono del pifferaio magico ora son là, ancora decisi a seguirlo senza voltarsi indietro, senza porsi domande, e forse sperando di essere “eletti” e messi in salvo come le bestiole sull’arca di Noè.

Se non fosse per la tragedia in cui ci ha gettato questo essere infame, sì: ci sarebbe da ridere. Palesarsi davanti a un popolo affamato, reduce dall’aver ceduto al ricatto di Marchionne sapendo d’aver destinato un’intera classe di lavoratori alla schiavitù certa, un popolo che muore suicida perché perde il lavoro, un popolo che ogni giorno di più si appresta a combattere la guerra della povertà contro la povertà, per dire che ha una relazione stabile è come aver gridato in faccia a tutti SIETE SOLO DEI CRETINI.

Ci sarebbe da andare a Gemonio, e non per sparare petardi alla lega, ma puntare ancora l’indice e deridere il bossi, il maroni, quella cosa di calderoli. Loro e la loro propaganda razzista ci hanno regalato la legge che stringe quel che resta dell’organo sessuale del tizio, drago del consiglio. Loro che inasprendo il reato di sfruttamento della prostituzione minorile, per colpire chi abusava delle bambine straniere non avevano pensato certamente che un giorno, lo sfruttatore sarebbe stato proprio il tizio utilizzatore finale del consiglio.

Ma non c’è nulla da ridere, purtroppo. C’è solo da sperare che qualcuno più sano di mente di questo vecchio debosciato bavoso riesca ad interdirlo, metterlo su un aereo e portarlo lontano, così lontano che non se ne debba più sentire il fetore.

Rita Pani (APOLIDE i miei dati sono pubblici, e sono pronta a ribadire quanto scritto in ogni sede)


1.15.2011

 

Viva la pappa con o'vibrione

Per chi scrive, la premessa è una cosa odiosa, ma a volte necessaria per riorganizzare le idee e rendere più facile la lettura di pensieri intricati. Quando qualche giorno fa ho letto che per ovviare al problema dell’influenza aviaria, i ricercatori avevano messo a punto una gallina transgenica capace di combattere il virus, ho pensato di essere molto antica. Credevo che il massimo intervento meccanico che l’uomo potesse fare in una gallina, fosse quello di infilarle un dito nel sedere per vedere se era pronta a fare l’uovo. Non ho mai assistito a tale pratica, ovviamente, ma l’ho sentita spesso raccontare. Poi c’erano le altre diverse pratiche, utilizzate per farla diventare pollo arrosto con patate o tortellini in brodo. Insomma, sono rimasta abbastanza perplessa e ho promesso a me stessa che mai, una tale schifezza da laboratorio, sarebbe stata su un mio piatto.

Ma non avevo ancora fatto i conti con calderoli, ministro per la semplificazione (lo so fa sempre ridere) e la sua operazione chirurgica d’amputazione delle leggi dello stato. La genialità di calderoli è indubbia al pari di quella espressa dallo sguardo di ogni elettore leghista che non si rispetti. Tagliare le leggi approvate prima degli anni ’70, a meno che non siano indispensabili alla permanenza in vigore. E così, semplicemente premendo il tasto “canc” della tastiera di un computer, sono spariti dal nostro codice penale un’infinità di reati.

è sparita la legge sul cattivo stato di conservazione degli alimenti (numero 283 del 30 aprile 1962), che prevedeva l’arresto da tre mesi a un anno o multa fino a 46 mila euro.

Grazie alla semplificazione di calderoli, da metà dicembre in Italia i consumatori non avranno più nulla a pretendere quando mangeranno maiale alla diossina, troveranno lucertole morte nei barattoli dei cetriolini sott’aceto, le mozzarelle blu magari potranno fare allegria sul piatto dei nostri bimbi. Saremo finalmente liberi di comprare e mangiare le cozze lo vibrione, la pummarola italiana fabbricata in Cina, i buonissimi filetti di pesce alimentati dai cadaveri di qualche fiume vietnamita, che saranno serviti da ristoranti gourmet. Grazie alla mente acuta di un ministro come calderoli, anche il ministro sacconi troverà senso quando di fronte alle uova alla diossina importare dalla Germania, da buon padre di famiglia quale è, con pazienza ci insegnerà a leggere le informazioni stampigliate sui gusci delle uova, sentendosi appagato come un salvatore della patria.

Resta solo da chiedersi se questa nuova “libertà” italica di delinquere sia stata una calderolata o un preciso intento di facilitare il malaffare che regolamenta tutta la nostra vita. Posto che è dal 2007 che il governo italiano tenta di depenalizzare questo genere di reati, io opterei per la seconda ipotesi. In Italia non è rimasto più nulla di sano, perché quindi conservare interesse per la salute pubblica? Anzi, sapendo quel che sappiamo di mogli di ministri “farmaceutiche” e affari milionari, c’è da pensare che la cancellazione della legge sia stata una promessa … “e non ti preoccupare sacconi, mi ringrazierai alla prossima epidemia”.

Rita Pani (APOLIDE)


1.14.2011

 

Con la corda al collo

È triste la vita sotto ricatto, e nonostante tutte le possibili obiezioni, continuo a pensare che non sia vita. Fa tristezza sapere ed essere certissimi che pure estirpato il peggior cancro della nostra società, quel tizio malavitoso, non cambierebbe assolutamente nulla. La nostra vita da ricattati è comoda per chiunque decida di assumere il potere, dato che in Italia nemmeno il voto ha più senso democratico.

Siamo vittime di un lento strozzinaggio della morale, che ci siamo portati dentro come un vizio, per oltre quarant’anni. Da quando ci dissero che avere il frigorifero in casa ci avrebbe fatto risparmiare, o da quando abbiamo smesso di aggiustare le cose, perché tanto al supermercato ce n’era una in offerta che forse sarebbe stata anche migliore. Ci hanno insegnato a consumare convincendoci che saremo stati felici, e che solo avendo avremmo potuto essere appagati. Ci siamo caduti tutti, più o meno, ed ora ci presentano il conto. Lo strozzino, quando non puoi pagare, inizia a farti a pezzi lentamente, fino a quando muori.

Marchionne è uno dei primi castigamatti mandato a riscuotere, e altri ne verranno. O altri ne sono venuti, come a Taranto per esempio, dove tutto sommato si sopporta di prendersi anche il cancro pur di continuare ad avere quella parvenza di vita. Certo Torino è differente, là lo strozzinaggio esce allo scoperto, e segna la strada per il ricatto a viso scoperto, senza vergogna, e addirittura sponsorizzato da coloro che nemmeno troppo tempo fa, davanti a quei cancelli della FIAT ci stavano insieme a Enrico Berlinguer, che per fortuna è morto. Altri arriveranno, a stringere la corda al collo di tutti noi, non abbastanza da soffocarci, perché sennò non saremo più utili per continuare comunque a consumare almeno lo stretto necessario.

Dicono che prima o poi la differenza sociale, la fame, questo strozzinaggio faranno sì che scoppi la rivolta, ma io non ci credo nemmeno un po’. Non è popolo da lotta l’italiano, semmai quello che ha bisogno di lamentarsi e lamentare e sperare e sognare. Magari qualcosa si muoverà, magari prima o poi qualcuno deciderà che è meglio ammazzarsi portandosi dietro qualcuno che non andare nel bosco ed impiccarsi al ramo più alto, ma non diventerà un eroe, sarà al massimo compatito, se non peggio deriso o umiliato anche dopo morto.

L’unica lotta che l’italiano continuerà a fare in silenzio e con abnegazione sarà quella della sopravvivenza, imponendo anche a sé la furbizia che ha sempre osteggiato negli altri. E non capirà che accompagnando il suo gesto “furbo” con le parole che spesso si dicono a mo’ d’assoluzione, per esempio: “Che devo essere solo io a pagare le tasse?” continuerà ad essere vittima ricattabile di un sistema che così bene ha saputo contribuire a creare. Essere abbastanza bravi da eludere le regole prima era un pregio, oggi invece è diventata una necessità.

Non mi va più di sentir dire che non succede nulla perché tutto sommato l’italiano sta bene. Non succede nulla semplicemente perché si vive nel terrore di perdere anche quel poco che si ha, anche quando forse non si ha abbastanza coraggio per ammettere che giorno per giorno quel poco diventa sempre meno. E perché si conserva il sogno che abbattendo il tizio, come per incanto tutto finirà e torneremo all’antico lustro, sempre che davvero mai uno ce ne sia stato.

Probabilmente bisognerebbe avere il coraggio di costringersi alla fame, e la dignità per non farsela imporre dal ricattatore di turno, per tornare a ridare un senso all’esistenza e persino alla R-esistenza.

Rita Pani (APOLIDE)


1.12.2011

 

C'è un uomo che piange

C’è un uomo che piange, ed è circondato da obiettivi di macchine fotografiche. Come fosse uno spettacolo da fermare a memoria. Una foto – dicono – che forse farà la storia, e certamente finirà nell’almanacco delle foto più belle di questo 2011 iniziato peggio di quanto fosse finito l’altro anno.

C’è un uomo che piange, vale la pena guardarlo. Potrebbe insegnarci che non è gradevole vedere un uomo che piange, potrebbe finalmente indurci a chiederci perché un uomo pianga, fuori dai cancelli di una fabbrica che è nostra, e che dovremmo riprenderci con gli interessi per quanto l’abbiamo pagata, in tutti questi anni, tramandando il debito di padre in figlio, di generazione in generazione.

C’è un uomo che piange perché chi ha in mano i destini del mondo non conosce disperazione.

“Se otto ore vi sembran poche, provate voi a lavorar” recitava una vecchia canzone. Ed è triste che per quanta gente le abbia cantate, quelle parole abbiano perso di senso. Ho provato nausea vera dinnanzi alle parole di Fassino, che per non rischiare nemmeno di diventare sindaco di Torino, consigliava agli operai della FIAT di firmare l’accordo di stampo fascista proposto da Marchionne. Ho quasi vomitato oggi, leggendo che un D’Antoni, ex sindacalista, ora comodamente adagiato nelle file del PD, aveva fatto la stessa marchetta al padrone. Ho provato schifo, quando il ministro di non si sa bene cosa, sacconi, in risposta ai dati della disoccupazione giovanile, consigliava i ragazzi a non far storie ed accettare qualunque tipo di proposta venisse loro fatta.

C’è un uomo che piange perché la guerra tra poveri è cruenta, e miete vittime da ogni parte. Un uomo piangeva perché quel che aveva lasciato in sputi di sangue, si perde per la necessità della sopravvivenza. Quell’uomo piangeva per l’inutilità della sua fatica. Ed è la prova – ancora una – che la crisi economica altro non è che l’ultimo virus creato in laboratorio, per poterci rendere tutti infettabili e tutti pronti ad uccidere il proprio padre pur di avere l’antidoto per poterci salvare la vita.

Starebbe a noi, asciugare quelle lacrime asciugando le nostre. Starebbe a noi, svegliarci e spezzare le catene della schiavitù imposta da un manipolo di malfattori globalizzati. In barba alle leggi futuristiche approvate da questa banda di criminali, in barba a qualunque accordo sindacale, rispettato solo se a pagare è l’operaio, sarebbe ora di generalizzare e globalizzare lo sciopero. Fermare la FIAT, e le altre industrie schiaviste con uno sciopero che tenga a memoria quelli del 1920 nelle miniere. Scegliere di fare la fame, non ricevendo lo stipendio a tempo indefinito, e smettere una volta per tutte di essere ricattabili, e fare la fame comunque. Ricattati dal padrone, ricattati dal governo, ricattati dal collega che ha appena poco più potere dell’operaio.

Sarebbe ora di rialzare la testa, in sintesi. Ma le pecore le avete viste anche voi. Camminano e guardano a terra, per trovare un filo d’erba da mangiare.

Rita Pani (APOLIDE)


1.11.2011

 

Fatta ITALIA bisogna fare gli italioti

Visto il nuovo prodotto lanciato sul mercato della politica, dal tizio venditore di aspirapolvere del consiglio? ITALIA. Mi dispiace per voi, e siete tanti, indignati dall’ultima ruberia berlusconiana, ma a me proprio non tange: io sono APOLIDE. Mi riconosco il merito di una certa lungimiranza, sebbene quando decisi di dissociarmi dall’italianità, ammetto che non avevo visto così tanto lungo. Davvero, per quanto ribrezzo provassi per l’ammorbamento del nostro paese, non avrei mai sospettato che saremmo arrivati anche allo scippo dell’identità nazionale.

ITALIA

Così, finalmente, ha deciso di mangiarsi tutto, di non lasciare più dubbi. L’Italia è cosa sua, nella più mafiosa delle logiche, nel più totale disprezzo di ogni singolo cittadino che con un moto d’orgoglio dovrà motivare il suo essere italiano, per nascita, per matrimonio, per asilo, di diritto, oppure perché si riconosce nel prodotto di mercato studiato da una delle società di marketing del tizio malfattore.

Perché siete tutti così intristiti e indignati da questa nuova operazione di marketing del tizio? Perché vi sentite offesi? Certo, comunque la si pensi siamo al centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, siamo immersi con tutti i piedi nella storia e il momento pare fuori luogo, dato anche un certo ridestarsi di patriottismo insospettato. Certo, qua e là sventolano le bandiere tricolori, ma in vero ogni volta guardandole, ci chiediamo se sia per la storia o per una partita di pallone. Come operazione appare più disonesta che ingannevole, ma non è forse normale trattandosi del tizio?

Non è nemmeno bene chiaro se sia lecito defraudare i cittadini italiani della loro identità nazionale, e già qualcuno si è mosso in questo senso per avere lumi. Possiamo attendere e nel frattempo reagire, se non altro con le parole. Perché è vero che d’Azeglio disse: “Fatta l’Italia bisogna fare gli italiani”, ma è anche vero che se il tizio farà Italia, il suo popolo sarà solo quello degli italioti.

Rita Pani (APOLIDE)


1.10.2011

 

Rigurgiti di Natale

La “leggenda” narra di Gesù che nacque in una grotta, al freddo e al gelo, riscaldato dall’alito del bue e l’asinello. La tradizione vuole che l’otto dicembre si tirino giù dagli scaffali, le scatole impolverate degli addobbi natalizi, che portano colore e allegria nelle case, in attesa del santo Natale. La stessa tradizione impone che il 7 gennaio, con l’anno nuovo e dopo il passaggio della Befana, a dare l’ultima botta calorica a noi e ai nostri figli a rischio obesità, Gesù, Giuseppe, Maria, il bue e l’asinello, se ne tornino nella scatola e sullo scaffale.

Il periodo è appena passato e in molti non lo hanno ancora digerito; il problema di eliminare quel chiletto che si è depositato sui glutei ossessiona molti di noi, uomini e donne. Lo potete vedere da voi, quando incrociate per strada, avvolti dalla nebbia e dall’umido, le figure strette in abiti termici e aderenti che sbuffano come locomotive a vapore, correndo con tenacia. Fa parte del gioco del Natale, ingrassare e dimagrire. Come raccontare la favola del Natale, di Gesù che scese in terra a salvare tutti noi, e tacere della crudezza di una vita che potrebbe venire a disturbare il calore delle braci di un caminetto, o delle pozioni magiche che ingurgitiamo dai bicchieri per dimenticare.

Qualche giorno prima di Natale a Bologna è nato un Gesù, anzi, ne sono nati due, ed erano gemelli. Gesù è morto a Bologna e non s’è fatto nemmeno uomo. Ha vissuto meno di quanto vive l’addobbo natalizio in una casa riscaldata dall’amore universale, quello che si vive solo a Natale. È morto a venti giorni, e non ha conosciuto nemmeno la Befana, di freddo e di gelo, il 4 gennaio. E non ce l’hanno potuto dire, perché non ce lo meritavamo.

Bisognava attendere un po’ per render noto il fatto che la povertà sta uccidendo non solo i vecchi, ma anche i neonati costretti a vivere per strada. Dovevano lasciar scorrere l’illusione di essere ancora idonei alla vita, per potersi interrogare sulla tragedia della realtà, e così soltanto oggi si cercano le parole più eleganti per graffiare le coscienze dei lettori dei giornali, raccontando dell’ambulanza che ha soccorso un’intera famiglia. E una famiglia italiana.

Eppure è strano. A Natale – che si è tutti più buoni per antonomasia – vanno molto di moda i bambini africani rinsecchiti dalla fame. A Natale il pensiero corre a chi sta peggio di noi, anche laddove è difficile immaginare che un peggio possa esserci davvero. A Natale è facile sentirsi fortunati per la pancia piena, per la casa calda, per quel qualcosa in più che abbiamo e che ci ripara e protegge. È sufficiente consolarsi con la fame altrui, basta che sia abbastanza distante da non poterne sentire l’odore.

Non è difficile. Basta voltare il capo dall’altra parte, quando s’incontra Gesù mentre facciamo shopping nel centro di Bologna, ed attendere di ritornare alla vita grama di ogni giorno, per interrogarsi sul “dramma” della morte altrui. Ma forse solo quando muore un bambino.

Rita Pani (APOLIDE)


1.09.2011

 

Una simil forza italia ... lancio del nuovo prodotto

Ad Arcore malumori per le parole di Napolitano su Lega e Battisti. Il tizio, che si sente accerchiato, si prepara al voto a maggio con «una simil-Forza Italia». Il prodotto sarà lanciato nelle prossime settimane...

Questo è l’incipit di una notizia che ho trovato sull’Unità. Ammetto d’aver ritoccato solo una parola, che comunque non sconvolge il senso stretto del significato. Non voglio più porre l’annosa domanda, su quel che ne è stato fatto della politica, la risposta è evidente agli occhi dei più. Sarà che son reduce da una interessante giornata passata a chiacchierare e discutere di cultura e di letteratura, e sarà anche che i due temi hanno spesso – naturalmente – portato alla disamina politica attuale, ma se non mi fossero già cadute molti anni fa, ora avrei le braccia per terra.

Le persi, pressappoco, quando per la prima volta sentii persone che avevo sentito parlare comunista, esprimersi con la regola berlusconiana della metafora calcistica, o forse le persi quando le stesse persone ebbero a usare la formula della “discesa in campo”, diventata orrendamente di uso comune quando si finge interesse per la cosa pubblica. Ora non ci resta che attendere la nuova trasformazione dettata dal tizio capitano d’azienda, e vedere chi sarà il primo a mettersi di fronte a una telecamera per lanciare “il suo nuovo prodotto politico”.

Non oso pensare alla prossima campagna NON elettorale, fatta di spot e manifesti simili a quelli che già dai tempi dell’uomo in ammollo e del bianco che più bianco non si può, ci obbligano a comprare una cosa oppure un’altra. Temo che le parole che comporranno gli slogan per la campagna di lancio dei nuovi prodotti politici saranno utilizzate in modo bipartisan. Futuro e giovani, andranno a sostituire le ormai obsolete libertà e sicurezza. Del lavoro non si parlerà più, perché tanto ormai è chiaro che un prodotto che si rinnova, deve esser appetibile e lucente, capace di far scordare quel che in passato non ha funzionato.

Assisteremo curiosi al plauso che si eleva verso D’Alema, un eroe, costretto a dichiarare di aver comprato le scarpe da Decathlon e di averle pagate solo 29 euro, dimentichi di come già una volta dovette spiegare perché, immerso nelle acque del mare, stesse baciando sua moglie come l’ultimo degli sfigati incapace anche di farsi trovare a letto con una escort che poi lo avrebbe ricattato o con una bellissima donna brasiliana, di nome Joao Pedro.

I nuovi prodotti delle opposizioni, si proporranno come quelli un po’ più “scrausi”, ma migliori nel confronto qualità prezzo. Un Di Pietro più snello, meno nervoso ci dirà che ne futuro combatteremo perché il malavitoso del consiglio possa essere processato, ed eliminato il malfunzionamento dell’altro magistrato De Magistris, assicurerà una migliore fruibilità della Nuova Italia dei Valori. Gli altri piccoli prodotti andranno poi a saturare un mercato già saturo e controllato dai monopolisti della politica.

La lega, come al solito sarà in controtendenza. Nessun nuovo prodotto per loro, dal momento che pur vendendo sempre la scatola vuota del federalismo, continua a conservare una clientela ebete e fedele.

Noi monoliti inattaccabili resisteremo ancora, continueremo a parlare di arte, bellezza, cultura e letteratura e staremo ad aspettare confrontandoci col mondo che intorno a noi combatte e lotta davvero per ripristinare sé stesso e non morire. Magari alleggeriremo un po’ il nostro dibattere, evitando di chiederci perché mentre in Tunisia si fa guerriglia per il pane, in Italia la si faccia per la Lazio. Perché noi la risposta l’abbiamo già e sicuramente non ci lasceremo irretire dalle pubblicità.

Rita Pani (APOLIDE)


1.07.2011

 

Quale crisi?

Ogni tanto, per un motivo o per l’altro, riecheggiano in me gli slogan sentiti durante una manifestazione; una delle tante. Di solito, in questi giorni uno in particolare mi tiene compagnia, quello che fa: “Noi la crisi non la paghiamo!” La crisi? Quale crisi?

Credo che la “crisi economica globale” abbia tutti i titoli per scalzare dalla classifica della bufala del millennio, persino la discesa del’uomo sulla Luna, o l’esistenza di Osama Bin Laden. La crisi economica non è mai esistita, ma è stata la più nella invenzione della grande lobby dei ladri globali. Un modo come un altro per garantire l’impunità dei rapinatori.

In Italia va più male che in altri paesi, non solo perché meglio degli altri paesi i ladri ci governano, ma anche perché per l’italiano è un pregio essere un gran ladro, e a volte lo è anche lasciarsi rapinare. In Italia, poi, sovente è lo stato stesso che ti rapina, e in quel caso non si può fare altro che alzare le mani. Questo stato, coperto dal mantello magico della crisi economica, ha potuto liberalizzare il ladrocinio, la schiavitù e la selezione naturale della razza, senza nemmeno perder tempo a gassare e cremare i resti di chi quotidianamente muore. Basta tagliare la sanità, per esempio, per levarsi da torno il peso di una povertà malata che non si potrà curare. In nome della crisi.

Noi la crisi non la paghiamo? Oh sì, la paghiamo proni, sebbene non esista. La paghiamo ogni volta che emettiamo un respiro. L’altro giorno m’è scappato un mezzo sorriso leggendo le critiche mosse dall’antitrust alle assicurazioni italiane, che nonostante le leggi a tutela dei consumatori, continuano a rapinarli protetti dalla legge sull’obbligatorietà della responsabilità civile. “Cattivoni! - ha detto l’antitrust – dovete abbassare i prezzi e invece li avete aumentati. Non si fa così! Pare brutto!” Non ci ho creduto nemmeno per un momento, ovviamente, anche perché il tizio del consiglio è pure il proprietario di diverse assicurazioni e nemmeno per un attimo mi ha colto il legittimo sospetto che l’antitrust potesse scomporgli un crine. Anche perché il controllore è servo del controllato, e quindi …

Ora, per motivi miei, sarei costretta a stipulare una nuova polizza auto, senza imbrogliare come fanno in molti, o senza dover intestare l’auto a un parente anziano a sua insaputa. Un’auto vecchia che funziona benissimo e che mi serve solo per coprire le brevi distanze per il supermercato e la stazione. Il costo per un’auto del ’93 varia dai 1.200 euro ai 2.600. Alla mia risata, la signorina del call center ha risposto: “Sa, più la macchina è vecchia, più si spende e poi anche noi siamo vittime di tante truffe e abbiamo dovuto proteggerci.”

“Vede – le ho risposto – più la mia macchina è vecchia e meno Marchionne ne vende, e quindi ecco spiegato perché possa impunemente ridurre tutta una tipologia di persone, da ex metalmeccanici a schiavi. Se io non sono in condizione di favorire l’arricchimento di Marchionne, acquistando una nuova auto, interverranno i loro complici al governo che proveranno a spezzarmi le gambe, ricevendo in cambio parte del bottino proveniente dalla rapina. Le bande di rapinatori, di solito fanno così. Non è l’assicurazione che deve proteggersi dai truffatori, ma al contrario dovremmo essere noi a proteggerci da chi vorrebbe incenerirci. Ma non è possibile farlo in un paese in cui le guardie protestano e i ladri governano.”

Noi la crisi la paghiamo tutta, persino con le suole delle scarpe che io consumerò.

Rita Pani (APOLIDE)


 

La cultura che non si mangia

La cultura che non si mangia

1.05.2011

 

I comunisti ci sono ancora.



«I comunisti ci sono ancora e vogliono farmi fuori usando i pm» … il tizio del consiglio. 5 gennaio ’11

C’è del vero, ahimè. Io ci sono e ancora conservo qualche fantasia. Ma con i pm? No, proprio no. La fantasia è qualcosa di sublime, che viaggia libera quando teniamo gli occhi socchiusi nel silenzio delle nostre vite. Che squallore sarebbe fantasticare sui pm finalmente in grado di compiere il loro lavoro, magari conservando l’assistenza tecnica per i loro sistemi informatici, o la carta per le stampanti, o locali idonei a svolgere al meglio le proprie mansioni. La mia fantasia merita rispetto, tizio.

Un uomo malato che ha contagiato un intero paese con la sua malattia. Malato nel fisico martoriato dalla sua malattia mentale, che lo obbliga a vedersi come non è , giovane e vitale, a tratti capellone, simpatico e attraente, alto e snello. E snello e agile racconta sia il paese, ai suoi accoliti e servi muti pagati per ascoltare ed applaudire. Servi pagati per farlo parlare. Servi che pagano per poterlo ascoltare, quelle tasse che lui aveva promesso di cancellare.

“L’Italia può tornare ad essere un paese per i giovani. Nessun governo del passato ha fatto così tanto per i giovani come il nostro.” Il tizio del consiglio. 4 gennaio ’11

In fondo per quanto mendace possa essere, come i suoi capelli o il suo volto deformato dalla psicogiovinezza non ha esattamente mentito. Un po’ è vero che mai nessun governo ha fatto così tanto per i giovani, arrivando in soli due anni a negare loro ogni speranza per un futuro di decenza. Per la prima volta nella storia della Repubblica Italiana, senza nessun tipo di riforma del codice penale, si va in galera per aver sparato un petardo, si viene processati per aver occupato una scuola per rivendicare il diritto allo studio – sancito dalla Costituzione Italiana – si può finire in galera solo per il fatto di essere scesi in piazza a protestare. Per la prima volta nella storia della Repubblica Italiana, i giovani sono stati invitati a risolvere i propri problemi emigrando, e le ragazze esortate a vendere sé stesse a chi potesse pagare per averle. “Sposate un uomo ricco” consigliò il tizio del consiglio, e davvero mai nessuno era riuscito a togliere ai giovani il diritto all’amore, quello vero, quello gratis, che dovrebbe aiutare ad avere voglia di vivere fino a domani.

Replicando a una domanda del presentatore (di una delle televisioni di sua proprietà n.d.r.), che gli chiedeva se avesse mai avuto una tresca con una donna di sinistra, il premier ha risposto prontamente: «Mai, posso giurarlo». 5 gennaio ’11

Le comuniste esistono ancora, tizio. Le comuniste a uno come te non la darebbero mai. Le comuniste esistono eccome, tizio, e hanno fantasie; e fantasie che potrebbero anche rasentare l’erotismo più spinto. Le comuniste a volte ti sognano, a volte fantasticano di potersi ritrovare sole con te per quel tanto che basterebbe ad una comunista per soddisfarsi, lasciandoti alla fine disteso. Per sempre.

Rita Pani (APOLIDE COMUNISTA FANTASIOSA)


1.04.2011

 

Non c'è ipotesi di futuro

A volte, presa dalla foga della discussione con amici o compagni, magari in una serata che scorre allegra e impastata dal fumo, quando mi si chiede cosa penso del domani di questo povero paese, mi vien spontaneo rispondere che a questo punto, sarebbe facile ritrovarsi l’esercito al governo. “Impossibile!” è la risposta categorica degli altri – l’Europa non lo permetterebbe! –

Poi il fumo esce dalla finestra, la notte passa, la mente ringrazia per la freschezza ritrovata, e anche io devo ammettere: “Impossibile!”

Impossibile non perché l’Europa non lo permetterebbe, ma perché siamo in Italia, un paese dove i golpe non sono più bianchi ma rosa, effettuati a colpi di troie o transessuali, di storielle tragicomiche raccontate da un manipolo di imbrattacarte pagati quanto un premio Nobel per la letteratura. L’Italia non è normale abbastanza perché un ministro della difesa fascista, possa decidere di far intervenire l’esercito e dichiararsi generale imperatore, nemmeno quando il popolo fosse pronto a “volere i colonnelli”.

Non è semplice immaginare il futuro dell’Italia, non lo sarebbe stato nemmeno per Nostradamus figuriamoci per noi, che ancora conserviamo il vizio di formulare pensieri inanellando le nostre conoscenze col rigore della logica. L’idea dell’esercito al governo nasce facile: il paese sta scoppiando di povertà, gli stipendi non vengono pagati, gli operai ridotti a schiavi vivono il ricatto del padrone, i sindacati o si sono venduti o sono stati resi inoffensivi con l’abrogazione dei diritti fondamentali, i cassintegrati non percepiranno quanto a loro dovuto perché i soldi non ci sono più, e anche avere la pensione inizia ad essere una sorta di miraggio. Vien da sé che uno stato – uno serio – si predisponga a sedare l’immancabile rivolta, e da qui due più due che fa sempre quattro.

Ma noi non siamo un paese serio, ed è bene dirlo ogni volta che si può. Stamattina, per esempio, la Questura di Roma esprime tutta la sua preoccupazione per le proteste che il governo – e parte dell’opposizione – si appresta a fare contro la decisione del Brasile di non estradare Cesare Battisti. “In questi giorni Piazza Navona si prepara a ricevere la Befana, potrebbe esserci un problema …” E c’è di peggio, perché la lega si è espressa chiaramente sulla questione Battisti: “Non concedere l’estradizione, non è da paese civile.” E se la lega si appella alla civiltà, è legittimo restare perplessi. Del resto un ragazzo ha passato qualche giorno in galera per aver sparato un petardo. Nemmeno la lega ha osato chiamarlo più ordigno e quel che resta di bossi, dopo aver appreso di non avere più il seguito di imbecilli intorno a casa sua, ha pensato bene di cambiare strategia, declassando “l’orribile e pericoloso attentato” in una più generica e meno terrificante “bravata”.

Non è semplice formulare ipotesi guardando troppo lontano, in questo paese. Guardando dentro il nostro portafoglio sarebbe semplicissimo, ma purtroppo hanno insegnato a guardare il dito che indica la luna, e il popolo inebetito ha imparato benissimo. Il governo che scende in piazza contro il suo stesso immobilismo, è decisamente emblematico. Ho sentito con le mie orecchie uomini con le scarpe troppo consumate per aver danari in tasca, discutere su Lula e Battisti, sull’estradizione e la galera. Come se davvero potesse interessarli, come se davvero fosse un problema per loro. E non che non lo sia, ma avrei voluto sapere perché la stessa preoccupazione, o la stessa ansia non fosse stata espressa sapendo che la mancata estradizione di un terrorista è figlia di anni di non governo e di abbandono, da parte di una cupola malavitosa impegnata solo ed esclusivamente dall’interesse privato di un uomo solo o di un’associazione a delinquere.

Ma non è un paese normale, e quindi ci sta tutto. Ci sta persino che sempre quel che resta di bossi, o la lega in generale, continui a usare il verbo “votare” come una minaccia, e non come ultimo invito alla democrazia. “O si fa il federalismo o si va a votare a marzo.” Persino la lega ha capito che non riuscirà a tenersi “il popolo padano” con sé, promettendo danari virtuali e continuando a rubare quelli veri di “Roma ladrona”. Allora si passa alle cimici trovate e non denunciate all’autorità giudiziaria, scavalcando le leggi di uno stato del quale sono ministri pur non appartenendo alla razza italiana, alle bombe abbandonate sui treni, agli incendi dei campi rom, alla guerra contro il sud d’Italia e ai soliti atti di un copione recitato sempre peggio e quindi sempre più noioso, di una tragicomica commedia che appena domani sarà storia. Purtroppo la nostra, quella di un popolo abbandonato a sé stesso e di cui non si riesce ad immaginare il futuro.

Rita Pani (APOLIDE)


1.01.2011

 

Per fortuna domani è domenica

Il primo post dell’anno dovrebbe essere ricco di soavità, disegnato quasi, con le tinte pastello del cielo che ho visto questa mattina, o delle campagne del Sulcis, verdi solo fino a Marzo. Ma è difficile tenersi leggeri soprattutto dopo aver dato uno sguardo all’oroscopo del mio segno zodiacale, che prevede ancora problemi di salute. Se l’anno scorso ci ho rimesso 28 chili e la cistifellea, quest’anno sarà l’anno delle rughe d’espressione. Non sarà facile.

Non sarà facile nemmeno per il tizio inespressivo del governo, anche lui bilancia. Gli andrà male la prossima colata di plastica e botulino? O come il ritratto di Dorian Gray le sue foto appariranno sempre meno solide e più ammuffite?

Il primo post dell’anno è scritto in un giorno di festa, abbiamo ancora nelle orecchie le voci giocose di chi conta il tempo al rovescio, le trombette che sibilano al ritmo delle musichette sceme, e i petardi che scoppiano fuori dalle sedi della Lega. Non è bello devastare tanta felicità. Ma ho pensato che tanto domani è domenica, e quindi rovinerei comunque un giorno di festa.

Magari fate così, se siete troppo felici non lo leggete. E non leggete nemmeno i giornali, perché potreste apprendere della storiaccia di Cesare Battisti e restarci molto male. Il ministro degli esteri ha dovuto persino farsi scrivere una dichiarazione da dare alla stampa, e proprio nei giorni di festa. È un problema grosso per l’Italia, Battisti. Un problema bipartisan che riesce a mettere insieme tutto il parlamento, e anche quei sindaci che ai terroristi nazifascisti hanno dato un posto di lavoro.

Prendetevi un’altra bella domenica di pausa dalla vita, che il nuovo anno è iniziato e bisogna iniziarlo in modo soave. Non pensate a Battisti, prendete la vostra automobile e correte incontro al sole, o da Ikea che tanto domenica è aperto. Certo ci sarà il problema di fare il pieno o di pagare l’autostrada, ma non pensate a Battisti, tanto il governo riuscirà a fare finta di occuparsene per il rispetto che si deve avere per le famiglie delle vittime. Non ci pensate, che tanto ora si sta occupando di noi il Vaticano.

Il Papa è molto preoccupato per i precari. E detto da lui, che perderà il suo posto di lavoro solo dopo morto, ha una certa valenza. Bagnasco invece è preoccupato per il clima che le disparità sociali possono creare nel paese. Tanta sensibilità mi commuove.

Un altro giorno, solo un altro di serenità. Il mio oroscopo dice che anche l’amore non mi andrà molto bene. Sembra che incontrerò molte persone e non riuscirò a vedere quelle giuste con le quali potrei anche trovare la stabilità sentimentale. La bilancia sarà precaria anche in amore, e a Palazzo Grazioli sono in fibrillazione: verrà raddoppiato il numero delle troie invitate alla corte del re. Io, porca zozza, ho casa piccolissima. E quindi Bagnasco ha ragione: le disparità sociali sono un problema.

Non leggete l’oroscopo e non leggete i giornali. Saranno solo due i segni fortunati quest’anno, io ho sempre Saturno alle spalle (bastardo), e sulla cronaca è pieno di morti, di pace, di guerra e di Capodanno. E’ morto persino un soldato, ma lo abbiamo rimandato a lunedì.

Domani è domenica, per fortuna, e non è prevista pioggia.

Rita Pani (APOLIDE)


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