12.31.2011

 

Discorso alternativo alla Nazione


12.26.2011

 

L'italiota non perdona


Siamo un popolo che non perdona, soprattutto i morti. La morte del Partigiano Giorgio Bocca lo ha ricordato meglio di quanto forse avrei desiderato. Fortuna vuole che almeno non sia stato accusato di pedofilia, o di strage. Tutto il resto ci sta, in quest'era di ignoranza o di cultura un tanto al kilo, assunta attraverso la wiki storia che fa risparmiare i libri e premia la pigrizia dei cervelli.

Una volta ebbi uno scambio epistolare col grande Giorgio Bocca, e quando finimmo gli promisi che nella prossima vita lo avrei cercato e gli avrei chiesto di fidanzarsi con me. Mi piace immaginare che abbia sorriso.

Questo il ricordo personale. Il ricordo della figura la lascio a chi ha più strumenti, più memoria e più emozioni da raccontare.

Sì siamo un popolo che non perdona nessuno, tranne sé stessi. Bocca non era un comunista, questa pare essere la colpa più grave. E che importa se fino a ieri, l'accusatore magari accusava me di esserlo ancora, nonostante tutto, nonostante la storia che - dicono - ci ha cancellati?

Ha fatto e non ha fatto, ma soprattutto quel che non si perdona a Bocca è quel che ha detto. In un Italia di muti accondiscendenti, ignavi e pusillanimi, è davvero paradossale; ma è tanto, tanto, italiano.

Il Partigiano Bocca si è speso. In una lotta che ha liberato questo paese e che con tutta l'ingratitudine, e l'arroganza dell'ignoranza, l'ha poi consegnato al ventennio berlusconiano che probabilmente stiamo già scordando. Si è speso fino alla fine per consegnare alla storia la verità negata da chi della verità ha fatto burletta. Ha avuto il coraggio delle sue azioni, dei suoi pensieri, dei suoi scritti, guadagnandosi il diritto di essere libero di dire.
Questo non ha capito chi non è in grado di imparare, di leggere e di pensare. Questo non comprende, chi non è abbastanza uomo da dire grazie, o chiedere scusa, o semplicemente riconoscere i limiti della propria esistenza.

Ogni volta che muore un partigiano, noi perdiamo l'occasione di risvegliarci, di far memoria, di imparare per poter poi insegnare a chi verrà cosa è stato, e cosa non dovrà più essere.

Ma seguendo col cuore stretto il linciaggio alla memoria di un uomo per bene, di un Partigiano, del giornalista Giorgio Bocca mi è venuto più chiaro in mente quanto siamo italiani, e per quanto tempo ancora dovremo esserlo ... Pavidi e stupidi. Poveri. Tornerà berlusconi, magari avrà la gonna, e le tette, ma tornerà berlusconi, perché in fondo troppa gente ancora se ne merita un po'.

Rita Pani (APOLIDE)

12.23.2011

 

È l’ora dei miracoli che mi confonde …



La cantava Lucio Dalla, e mi ritorna in mente spesso oggi che si avvicina il Natale. Tutto è miracoloso intorno a noi. I cingalesi con le rose in mano, sembrano un po’ meno cingalesi che rompono le balle. Anche gli iraniani che vendono accendini, sembrano degni d’esser visti con i loro zainetti colorati sulle spalle e i cesti pieni di mercanzie. No, non si comprano né rose, né accendini, ma almeno la gente li manda a fare in culo con più cortesia. Col sorriso di comunanza che dà questa crisi che non risparmia nessuno, nemmeno gli ambulanti a Cadorna che scappano seguiti dai vigili urbani, mentre cercano ancora di vendere qualcosa rispondendo al cronista che pone domande scontate, forse alla ricerca di una storia da raccontare.

Miracolo! È nato il nuovo Knut, si chiama Siku ed è nato in Danimarca (al freddo e al gelo) è già una star e si narra di molte persone che prima o poi si metteranno in cammino per andare ad adorarlo, dentro uno zoo, come il suo predecessore berlinese. Siku è il regalo che ogni bambino vorrebbe avere, scrivono i giornali, e io mi confondo. Fortuna che diventerà grande come un orso polare, e nessun genitore, nemmeno il più italiota oserebbe mai mettersene uno in casa. Abbandonare un cane dalmata in autostrada o gettare un pesce pagliaccio dentro il cesso è un conto, ma l’orso polare se mostra i denti non fa poi tanta tenerezza!

Mi confondo: al telegiornale c’è una mamma felice, perché dice che è riuscita a fare un regalo alla propria figlia. Certo s’è limitata, ma le ha comprato una collana da Tiffany. Sì, di nuovo Tiffany e al telegiornale, al punto che passata la confusione mi viene una domanda più concreta: quanto avranno pagato per questo spot pubblicitario? Poi il cronista geniale chiude il suo pezzo d’inchiesta dicendoci che abbiamo speso l’8,1% in meno dell’anno scorso, per i regali, ma sono aumentati gli acquisti di lusso. Chi ascolta resta un po’ così, confuso come me nell’ora dei miracoli, forse perché non si ferma abbastanza a pensare che è normale, normalissimo e banale. Chi non può spendere non spende ed abbassa la media, chi può spendere e sperperare continua a farlo come ha sempre fatto ed anche di più. La matematica a volte è semplice.

Come da tradizione è Natale e bisogna essere più buoni. L’allenatore dell’Italia (nazionale di calcio e non governo) oggi ha convocato un giocatore del Gubbio per premiarlo: fu contattato per truccare una partita. Gli vennero offerti 200 mila euro, lui rifiutò e denunciò l’accaduto. Da qui il premio che ogni giocatore vorrebbe vincere, ossia indossare la maglia azzurra! Sempre più confusa da tanto miracolo:l’onestà. Peggio, un gesto moralmente normale che viene premiato, come se fosse eccezionale. A confermarci quindi che ormai, il nostro è un paese al contrario.

Non so da dove venga la tradizione dell’essere più buoni soltanto a Natale. Forse risale ai tempi delle tredicesime, quando c’erano i danari da spendere per fare regali inutili e a volte persino terrificanti. Forse risalgono ai tempi in cui si sprecava il cibo che avrebbe potuto sfamare un intero villaggio africano. Forse è una storia che viene da là, da quando ci educavano allo spreco più sfavillante, a ingolfarci di cibo per poter poi arricchire le ditte produttrici di integratori alimentari e cibi chimici ma dietetici …

Ma ora che c’è la crisi, non sarà che potremmo sentirci esentati dall’essere più buoni? È che non mi riesce proprio, non ancora, almeno.
Buone feste.

Rita Pani (APOLIDE)

12.20.2011

 

Colazione, pranzo e cena da Tiffany


Arriva la favola del Natale, e la racconta la Ministra Fornero. Ma la favola ha i verbi falsati dal condizionale, che tutto lascia appeso, proprio come le palle, proprio come a Natale.
"Servirebbe aumentare i salari" raccontò la Fornero senza nemmeno una lacrima, e invero nemmeno un sorriso...

Ma non si capisce più, cosa sia favola e cosa sia storia, cosa sia vero e cosa no.
Perché arriva Natale, e le notizie sono contrastanti, al punto che non si comprende più se sia doveroso alzare i salari o aumentare l'orario di apertura di Tiffany, giacché, raccontano i giornali, la gente sosta per ore in fila, a Roma come a Milano, per "fare un tuffo" nel lusso per dimenticare.

E comunque vengono descritti i visi soddisfatti per il sacrificio fatto, stando in piedi per strada, col vento gelido che arriva da nord. Tutti escono con quel pacchetto dal verde azzurro inconfondibile, e -scrivono - tutte si sentono un po' Audrey Hepburn. In fondo, conclude l'articolista, almeno a Natale si possono spendere duecento euro "tutti per noi" anche per dimenticare, indossando poi il ciondolo d'argento appena conquistato.
Ecco magari con un salario più alto, il direttore di Tiffany a Roma come a Milano, non avrebbe lamentato il vuoto intorno ai banchetti delle pietre preziose, quelle che restano là solo come terapia - guardare ma non toccare - per far dimenticare, e per continuare comunque a sognare.

è  la favola di Natale, quella che in questi giorni bisogna a tutti i costi raccontare, al ptunto che altre parole appaiono e scappano via, come se non fosse consentito disturbare.
Emergency per esempio, ne racconta un'altra. Di ospedali nati per dare soccorso ai migranti extracomunitari, ai clandestini sfruttati e dimenticati che in Italia non ha accesso ai servizi sanitari Ma le strutture di Emergency  di giorno in giorno si riempiono di italiani che forse hanno finito proprio tutto, persino la capacità di sognare o di dimenticare.

Buffo però! Una volta erano più bravi in Grecia a raccontare le favole; è quel popolo a vantare il possesso della tradizione con Esopo, ma ora siamo noi quelli più bravi e abbiamo avuto persino un tizio che ce le ha raccontate per quasi vent'anni, tutte buffe e divertenti sebbene quasi tutte uguali, e con un finale scontato che faceva all'incirca così: "La crisi è passata! W la figa!"
Ora in Grecia preferiscono i racconti neorealisti, quelli che narrano di un popolo impegnato a sopravvivere, a fare i conti con la criminalità dilagante, che al Natale non ha tempo nemmeno il tempo di pensare. Dicono di giovani che odiano il proprio paese e che se ne vorrebbero andare.
Sì, è proprio buffo, perché il neorealismo l'abbiamo inventato noi.

Rita Pani (APOLIDE)

12.19.2011

 

Ha smesso di piangere, la ministro


Questa volta la Fornero non piange. Non ha più totem né tabù. Ma forse allora non aveva pianto perché comunicava all'Italia tutta, all'Italia che conta e fa i conti, che aveva dato mandato perché fosse fame e carestia. Piangeva per l'emozione di essere ministra tra i ministri, davanti alle telecamere, circondata dal pubblico di giornalisti che arrivavano anche da lontano.
Non deve aver pianto nemmeno per l'operaio che è schiattato in acciaieria, oggi, menzionato da tre scarne righe sui giornali, e presto cancellato da altre cronache di ordinaria follia. Siano esse quelle inerenti le code dei gitanti per lo shopping milanese, che quelle di una madre single (ex zoccoletta di Arcore) in vacanza a Miami.

è decisa questa volta la ministra, perché l'articolo 18 deve essere cancellato: non sia mai che il lavoratore non si possa licenziare! E la Marcegaglia le fa l'eco, non esistono tabù.
Se ne può discutere, dicono in coro, ma senza ideologie. Eh già, se ne può parlare, perché no? Magari una di queste sere, davanti a una pizza e un'ottima birra, che così il tutto è più conviviale, meno drammatico e meno ideologico.
Per fortuna i sindacati non ci stanno, e annunciano ancora barricate: l'articolo 18 non si tocca. Come se fosse una questione di principio.
Verrebbe da farlo così il sunto delle cronache odierne, quelle che ancora una volta sembrano scritte da uno sceneggiatore nemmeno tanto bravo, che pare aver scordato che, da un pezzo, lo statuto dei lavoratori è carta straccia, e il lavoratore non esiste più.

Potrebbe essere semmai davvero una questione di principio, ma vista al contrario; è il padrone che ormai ha deciso di sancire lo strapotere del governo  autoritario del danaro e dell'economia, del capitalismo che non ci sta a morire, e che prima di esalare l'ultimo respiro tenta un colpo di coda, persino simile a una strage.
Sembra una storia scritta per un popolo demente, ormai dimentico del passato recente.
Da giorni ci dicono che tutti i sindacati hanno trovato di nuovo l'unità e che uniti lottano. Cisl e Uil così non sono più gli stessi servi che si vendettero al potere berlusconiano, nemmeno gli stessi che garantirono a Marchionne non solo di stracciare lo statuto dei lavoratori, ma di utilizzarlo come carta da cesso,  in un passato così recente da essere proprio qualche giorno fa.

No, non piange la ministra, questa volta non ce la fa. Ha già preso confidenza col potere, con le telecamere, con le parole da dire in un certo modo anziché un altro, quelle scelte per ribadire il concetto che è l'emergenza della crisi quella che impone rigida fermezza. Il sacrificio.
Oggi come oggi temo non piangerebbe nemmeno se dicesse la verità ultima, ossia che il sacrificio che chiede questo potere è il sacrificio umano.

Rita Pani (APOLIDE)

12.14.2011

 

Brutta gente


Oggi siamo tutti negri, a volte ci sentiamo tutti rom, altre volte abbiamo avuto la fortuna di sentirci tutti operai, bambine violate, americani o afghani. Dipende da chi muore, dipende da come muore. Di solito ci sentiamo uguali nella diversità, quando è la morte ad imporcelo.

È comprensibile, perché la vita è difficile più della morte in questo periodo storico che sta diventando un’epoca, troppo lunga da sopportare. E la storia viene da lontano, e si ripropone sempre uguale quando non viene più insegnata nelle scuole; non nei licei dove le coscienze teoricamente dovrebbero essere già formate, ma nelle scuole elementari, dove si preferisce insegnare che a Natale – ma solo a Natale – siamo tutti più buoni, e il profitto nello studio (di cosa?) sarà quantificabile con un bel regalo, un premio, un oggetto, un vizio in più.

Oggi siamo negri, perché ieri un fascista ne ha ucciso tre, in un gesto che – non ci casco – non ha nulla di folle. Semmai è lucido e ragionato, un gesto pensato, magari a lungo accarezzato, perché in questa Italia è permesso essere un eroe anche così. Uccidendo l’innocente, colpevole di non essere italiano. E nemmeno questo è vero, perché se non si ha un negro a portata di mano, c’è sempre un utile diverso sul quale riversare il fascismo che avanza.

Si è ucciso il fascista, e son curiosa di sapere se avrà il conforto religioso all’atto della sua sepoltura. Il gusto un po’ cinico di rimarcare a me stessa le ipocrisie di questa vita rincorsa, più che vissuta. Forse lo avrà il suo funerale, ma nascosto agli occhi di chi guarda, in un angolo scuro di un alba, o all’ora tarda di una giornata qualunque, quando fa freddo ed è meglio star in casa.

Oggi sentiamo il dovere morale di essere negri tra i negri, e lo si legge sui commenti dei giornali: ne ricordo uno – emblematico – che iniziava con l’ingiustizia, e concludeva con un “vendevano le loro cose e non facevano male a nessuno.” Perché mai ricordarci che un commerciante ambulante “non nuoceva”? Ah già! Perché era sì un ambulante, ma africano.

Viene da lontano l’etichetta da apporre al genere umano. Viene da anni e anni di istigazione al razzismo fatta forse a cuor leggero dall’ignoranza divulgata a mezzo stampa. Da quando sugli articoli di cronaca nera viene sempre specificata la razza d’appartenenza; da quando si comprende che il malfattore, il violentatore, il padre incestuoso o l’assassino è un italiano, solo perché non specificata altra etnia. Un po’ come quei giornali che nelle didascalie delle foto dei vip tengono a precisare il segno zodiacale.

Non abbiamo tempo per essere negri tutti i giorni, siamo troppo impegnati a sopravviverci, a conservarci integri nonostante tutto, a fare a pugni con le nostre coscienze e con le nostre responsabilità. L’altro giorno in una scuola media di Caserta, una professoressa ha dato ad una bimba un voto inferiore a quel che meritava. Alla richiesta dell’alunna sulla motivazione del voto, la professoressa ha risposto: “Perché tu sei nera.” (La scuola ha aperto un’indagine.)

Il razzismo che si vede ci fa inorridire, quello che non vogliamo vedere è quello che dovrebbe preoccuparci di più. Quello per esempio che impone di rendere tutti uguali i diversi, quello che tende a far scordare l’unica appartenenza al genere umano.
Che brutta gente siamo diventati.

Rita Pani (APOLIDE)

12.12.2011

 

Gli dei paralleli


Ieri sera a Report luigi garziera (socio pedofilo di don verzè) diceva pressappoco: sono anche un po’ di chiesa e per questo lo prego (Mario Cal morto suicida). Perché lo hai fatto, potevi venire qui che saremo andati ...

Poi spiega, il pedofilo, che con l’amico Cal sarebbero andati ancora in giro per figa (cit.) perché in Brasile non manca. E spiega meglio che a 14 o 15 anni te la danno. Non è pedofilia, né prostituzione; la colpa è delle bambine che, appunto, te la danno.

A Torino, circondata da immaginette sacre, vive una ragazzina di 16 anni, che aveva promesso alla nonna di arrivare pura al matrimonio. Non essendo riuscita a mantenere la promessa ha dovuto inventarsi una scusa buona che la ponesse al riparo delle ire funeste dei pii genitori, e così ha scatenato l’inferno in un campo rom: mi hanno violentato. L’abominio si compie per intero quando si scopre che la ragazza, mensilmente, veniva sottoposta al controllo ginecologico per la verginità. Una sorta di bollino blu dell’apparato riproduttivo.

Non c’è più la sensazione di vivere in un universo parallelo; ormai c’è la sensazione che gli universi paralleli si siano moltiplicati, quasi che ognuno se ne fosse costruito uno a sua immagine e somiglianza. Una realtà nella quale si cerca di stare più comodi possibile, senza mischiarsi alla vita.

Se da un lato un vecchissimo maiale, prete, affarista, malavitoso e megalomane pur avendo una croce nel taschino, e facendo di ogni suo passo una bestemmia è riverito dalla Santa Romana Chiesa anche quando per i suoi soci maiali organizza feste in piscina con perizomi che trasbordano chiappe, dall’altro c’è il bigottismo che violenta in altri modi altre bambine. Cosa può essere la vita di una ragazzina sottoposta mensilmente all’umiliazione di una visita ginecologica, per attestarne la purezza, al pari di un’automobile alla quale vengono controllati i gas di scarico?

Sembra che anche per la fede valga lo stesso principio degli universi paralleli. Una moltiplicazione degli dei, a propria immagine e somiglianza. Non più uno buono e misericordioso, ma tanti: uno che perdona la pedofilia dei preti o dei maiali, uno che impone la purezza, uno che è pronto ad assolvere il ladrocinio, un altro che guida la mano di quei quattro rimasti “preti” nell’accezione originale del termine, un altro che guida la mano degli stragisti che sterminano i popoli con le guerre per il petrolio, mascherate da guerre sante. Un Dio che comunque sia sempre in grado di comprendere, tollerare, perdonare e che assicuri il raggiungimento del paradiso anche a chi, dopo aver passato una vita in terra da criminale, possa vivere fino a 120 anni sfidando tutte le leggi, non solo quelle scritte sul codice penale, ma anche quelle esistenti in natura.

Io me la ricordo diversa la favola di Dio che spesso mi sono sentita raccontare, ricordo gesti di mani tese, di guance da porgere, di non fare agli altri quel che non si vorrebbe fosse fatto a noi. Tutte cose belle come la principessa che si risveglia per il bacio di un principe, o il rospo che si trasforma per il bacio di una principessa. Era bello leggere il vangelo, si aveva la sensazione che Cenerentola riuscisse ad indossare la scarpetta di cristallo.

Poi si cresce, non si crede più né ai sogni né alle favole, e resta l’amarezza di sapere per certo che laddove non arriverà la giustizia terrena, non ce ne sarà nemmeno una divina.

Rita Pani (APOLIDE)

12.11.2011

 

Fottersene. Sarebbe bello


Ogni giorno guardo alla mia vita, quella passata, e non riuscendo ad immaginare un futuro che vada oltre l’oggi appena iniziato, mi dico che passerei meglio la giornata, se me ne fregassi. Se smettessi di provare l’offesa, di sentire l’oltraggio ma ogni giorno la coscienza è più forte di me. Perché essere antifascisti ha – e deve avere – un senso. Se smettessi di esserlo fingendo di ignorare le cose, sarei complice. E mai sia.

Ma sia che io possa tollerare la dispotica arroganza fascista di questo governo, costola e mano armata del precedente. Mai sia che io taccia dinnanzi alle porcate di questo regime dittatoriale, mai sia che il silenzio mi renda colpevole. Mai sia che la mia ignavia possa far credere a quella feccia di avermi addomesticato.
C’è sui giornali la spiegazione di fini, per “lo slittamento” dei tagli agli stipendi dei parlamentari, che letta bene e con calma, mi hanno fatto ribollire il sangue. Non è che non vogliano “sacrificare” 5.000 della carriola di euro che rubano tutti i mesi, è che è sbagliata la forma. Cioè, dice fini, non può essere fatto così come scritto, ma bisogna pensare bene attraverso la commissione istituita all’uopo, poi vedere, emendare, pensare e votare. La cosa buffa, quella che mi ha fatto pensare a un' esecuzione di massa su pubblica piazza, utilizzando antichi riti come la ghigliottina, è il fatto che in realtà, nel decreto Monti non era proprio previsto il taglio, ma solo lo spauracchio.

“Se tu non trovi il modo, entro il 31 dicembre, di equiparare il tuo stipendio a quello degli altri parlamentari europei, allora ci penserò io …” questo, c’era scritto. E il resto lo sapete, è la storia della rivoluzione al contrario, con una mandria di ladri impazzita che lamentava la morte sociale – il suicidio – il sacrificio estremo al quale gli avrebbe portati “il sacrificio”.

L’oltraggio più spinto di una classe dirigenziale fascista e ottusa, incapace persino della furbizia del silenzio. Come non sapessero che c’è gente che si suicida davvero, come se non sapessero che con decreto urgente hanno condannato a morte almeno due generazioni di persone, per non parlare dei vecchi più deboli economicamente, dei disabili che non hanno protezione familiare, dei lavoratori ai quali hanno tolto i diritti minimi, o di tutte quelle persone alle quali hanno tolto il diritto d’accesso ai servizi sanitari, sempre meno e sempre meno efficienti. E tutto con decreto urgente, insindacabile.

Ma c’è altro che mi rende perplessa e che mi fa guardare al mio oggi, sperando di avere il coraggio di lasciarlo passare, sperando che mi lasci indenne per un altro giorno almeno. C’è l’ottusità di un popolo che s’indigna ma non si organizza. C’è lo spreco delle donne che scendono in piazza con l’orgoglio di essere donne. C’è la frammentazione dei movimenti che avrebbero senso in un paese normale, dove avendo il minimo sindacale si potrebbe anche osare di chiedere di più.

È ovvio che la ghigliottina sia un sogno, una battuta umoristica, quasi la scrittura di una gag. Ma attendere che siano tutti dentro il Palazzo, per non votare il decreto che ridurrebbe a solo una decina di migliaia di euro il loro stipendio, ed ammassarsi tutti fuori, tenendoli prigionieri dentro e promettere di farli uscire solo dopo che avranno firmato una legge dettata da noi, si potrebbe fare. “Dimissioni con impegno di sparire dall’Italia per sempre.” Oh certo, la polizia ci sparerebbe addosso, bisognerebbe essere pronti al sacrificio umano e questo forse ci tiene alla larga. Quando un giorno si comprenderà che ci stanno uccidendo lentamente, forse sarà quello il giorno buono. Ma forse.

Rita Pani (APOLIDE)


12.08.2011

 

Se foste almeno umani


Se foste almeno furbi, evitereste di andare in televisione a parlar di danari. Se foste almeno dignitosi stareste nei vostri cantucci comodi, a far finta che siete voi il giusto metro per misurare “l'italiano” quello che comunque sta bene, è solido, e se la gode.

Non siete nemmeno intelligenti, quando esponete la vostra magnanimità e poi comunque invocate misura, nel farvi i conti in tasca, senza provare vergogna per l'ostentazione delle briciole che lasciate indietro.
Se foste dignitosi, non osereste porvi così ingenui e sfrontati di fronte a chi sa cosa sia la sopravvivenza, quella fatta di espedienti, di sacrifici reali che fanno piangere senza nemmeno il bisogno di pronunciare la parola. Un po' di intelligenza vi impedirebbe di offendere la nostra.

Equità sarebbe stata equiparare i vostri stipendi ai lavoratori a progetto, due mila euro al mese, e alla fine del mandato via, a spedire curricola, a sperare di aver messo via abbastanza per arrivare al prossimo lavoro, o per tornare a quello di prima, sempre che un altro l'abbiate fatto, prima di essere assunti a tempo indeterminato dalla politica italiana, quella a conduzione familiare, come una trattoria o una fabbrica di bulloni del nord est.

Siete fortunati che ormai le lotte e le battaglie si svolgono tutte su Facebook, o su Twitter con ancora meno parole, siete fortunati che i vecchi che potrebbero ricordarsi, e avere un rigurgito di volontà ormai son vecchi, e non ne possono più, o forse son solo abituati ancora a sperare in un domani migliore che non vedranno mai.

Non si può restare comodi e tranquilli a sentirvi parlare di manovre economiche, di sacrifici, di lacrime e sangue, senza avere pensieri contrastanti che snaturano persino l'essere pacifista, o colui che nella libertà e nella democrazia aveva sempre creduto.
Se foste dignitosi, sazi come siete stareste a casa ad attendere di digerire, e non andreste a parlare di fame con la pancia piena, rischiando che un rutto vi scappi tra una parola e l'altra.

E se scrivessi che siete dei ladri, verrei tacciata di populismo o di demagogia, ma ladri lo siete eccome, perché oltre che i danari, avete rubato il futuro di almeno tre generazioni. Un futuro al quale, purtroppo, avrà accesso solo la vostra progenie, quella che cresce protetta dalla fame e dalla carestia, quella che state formando per prendere il vostro posto domani, esattamente come un tempo il minatore o il ciabattino.

Se foste delle persone per bene, fuggireste lontano, ora, con le borse piene della refurtiva di una vita, quella che avete accumulato e che oggi vi permette persino di avere un pensiero generoso. Sì, perché è vero, si dice, no? A volte basta il pensiero. Deve saperlo anche Monti, che ne ha pensato tanta di equità, ma poi non l'ha applicata.

Rita Pani (APOLIDE)

 

petizione.emanuela@libero.it


Posso comprendere quanto sia importante in questo frangente esigere che il Vaticano paghi l'ICI e contribuisca a risanare un paese che ha aiutato a dissanguare, ma c'è altro – o almeno ci sarebbe – da chiedere al Papa in persona.

Per esempio la verità sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, di cui tutto e niente si sa. Sono passati più di trent'anni da quando la ragazza venne rapita, e poi ci fu tutto quello che noi sappiamo, fino alla sacra sepoltura di un criminale nella Basilica di Sant'Apollinare a Roma, ancora non riesumato, e ancora lasciato tranquillo nel suo eterno riposo.

Certo, è comprensibile che si chiedano i danari al Vaticano, in nome dell'uguaglianza, in nome della giustezza delle cose e del sacrificio che noi ci accingiamo a reiterare. È giusto esigere le tasse, ma più giusto sarebbe ricondurre all'umano un istituto che giorno dopo giorno non conserva proprio nulla di divino.

La chiesa italiana, negli ultimi anni è stata parte integrante di un sistema che ci ha condotto fino ai giorni nostri, con l'aggravante dell'ipocrisia, del predicare bene e razzolare malissimo. Collusi con tutti i poteri più osceni della nostra storia, dalla mafia alla P2, alla Banda della Magliana, alla criminalità.

Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, da qualche tempo chiede di firmare una petizione che prima di Natale presenterà al Papa, per avere finalmente la verità sulla scomparsa della sorella. Aderire è semplice, basta spedire una mail a petizione.emanuela@libero.it, scrivendo: "Aderisco alla petizione a Papa Benedetto XVI per la verità su Emanuela Orlandi'' aggiungendo, come d'obbligo, i propri dati personali. Si può fare, come si può continuare a chiedere che paghino l'ICI, come del resto di dovrebbe chiedere conto, sempre alla chiesa, della verità e di conoscere le responsabilità personali di tutti quegli uomini di chiesa che per 17 anni hanno tenuto nascosto il cadavere di un'altra ragazza, Elisa Claps, nel sotto tetto di un'altra chiesa a Potenza.

So bene che il danaro è tangibile, e la verità astratta, ma a me piacerebbe avere dalla chiesa la seconda, anche perché forse sarebbe più semplice da donare, la verità, proprio come se fosse carità cristiana, costerebbe di meno dell'ICI.

E se dicessero la verità su Emanuela Orlandi, se avessero il coraggio della verità, forse sarebbe più facile stare ad ascoltare questa chiesa che blatera di amore universale, di fame nel mondo, di pace e di bene. Firmate. https://www.facebook.com/groups/233131686753398/

Rita Pani (APOLIDE)

12.05.2011

 

Che fai, piangi?


E da piangere ce n’è e ce ne sarà per molto tempo a venire, ora che il fascismo, quello serio delle banche e dei capitali ha scalzato la banda di inetti malfattori che fino a ieri ci ha guidato fin qua. Stamattina era tutto un gran parlare del ministro donna che piange, per il dolore della responsabilità o solo perché una donna? Per la sua umanità o come un coccodrillo? Quelle lacrime hanno inciso più della manovra stessa, nella fantasia dell’italiano che ancora se ne domanda il sapore, commentandole on line, su forum e giornali.

Dopo il colletto del cappotto rigirato del Presidente della Repubblica De Nicola, si ricorderà la morigeratezza del Presidente Monti, che rinuncia ai suoi emolumenti da primo ministro. Dopo le barzellette di un buffone psicolabile, l’Italia s’inchina dinnanzi al dolore istituzionale, diverso da quello al quale eravamo abituati per catastrofi e terremoti, dove in vero non vi erano lacrime ma ancora barzellette.

Non è certo il cambiamento che ci si attendeva, ma sarà di certo il cambiamento di cui il popolo addomesticato si accontenterà. Più un cambiamento di forma, che di sostanza; ce lo faremo bastare. Tutti – o quasi – i giornali, oggi mostrano la “quasi” equità di un decreto “necessario”, il “decreto salva Italia”. Fascista e totalitario nella sua indiscutibilità, nella sua “necessità” ribadita fino allo sfinimento. Una legge che verrà votata con i grandi numeri di un Parlamento che si allinea e che non prende posizione, secondo la regola del “tutti colpevoli, nessun colpevole”. Nessuna opposizione – tranne quella farlocca della lega, che non conta – in nome della responsabilità.

Nemmeno c’è da discuterlo punto per punto, questo miracolo di Mario Monti, basta solo prendere un punto a caso di tutto il pacchetto, così come viene strillato dai giornali: “Non si toccheranno gli assegni sotto i 900 Euro.” – Che culo!

L’assegno di 900 euro è quello che garantisce un reddito di 450 euro al mese, che c’è da aggiungere? E poi, è proprio vero che non si tocca con un aumento dell’IVA del 2%? Ci sarebbe anche l’altro punto, quello delle barche, degli aerei, degli elicotteri privati, di quei cinque deficienti, unici in Italia, ad avere una di queste cose intestate a loro e non com’è d’uso ad un presta nome residente in un paradiso fiscale.

Però le lacrime ci hanno commosso, ci hanno riportato uguali tra gli uguali, e quella parola deind … deindicizzazione, così difficile da pronunciare, che quando spiegata non fa tanta paura. Perché è spiegata bene, in modo pacato, da una persona che ha l’aria per bene – mica come quel buffone là! Quella parola alla fine vuol dire che le pensioni che resteranno non saranno più legate all’andamento dell’inflazione, e che quindi, pian piano, sarà proprio come non prenderle, perché il costo della vita aumenterà e il reddito resterà sempre lo stesso. (Detto così è più semplice ma più chiaro.)

Forse devo scusarmi con la Ministro, ma ammetto di essere rimasta del tutto indifferente dinnanzi al suo pianto. Forse perché le mie lacrime le ho già piante tutte, forse perché ho già fatto il callo a lavorare per poco e sopravvivere, forse perché col fatto che io una pensione non l’avrò mai ci ho fatto pace da un pezzo. Forse perché prima degli altri ho compreso che fino a quando va, lascerò che vada e quando non andrà più saluterò questo cacchio di mondo.

Un cambiamento reale sarebbe stato quello di rientrare del maltolto, delle mazzette e delle cifre spropositate date come bonus ai ladri di stato, la patrimoniale pesante per chi si è arricchito lasciandoci in eredità la carestia, e tutte quelle altre cose che non si possono dire, perché sarebbero oltraggiosamente troppo comuniste. Ecco, davanti a un po’ di giustezza ed equità, sì, mi sarei commossa anche io.

Rita Pani (APOLIDE) 

12.04.2011

 

Se secessionando


La lega vuole la secessione. Ormai è come un fenomeno astronomico che si ripete ogni tre anni, in media quanto dura una legislatura. Prima o poi la ricorrenza sarà segnata in verde anche sui calendari, al pari del Natale o del cambio delle stagioni. Il calcolo della cadenza si effettuerà un po’ come quello della Pasqua.

Si è riunito il Parlamento della Padania, non so in quale osteria, ma c’erano tutti, dai Tre Porcellini a Geremia Lettiga, dallo Snorky a Shrek; tutti ex ministri della Repubblica Italiana – che ci piaccia oppure no.

Dall’austera sala sono emerse forti le rivendicazioni politiche dei padani – vibranti direbbe Napolitano – tutte così autorevoli che entreranno presto nelle enciclopedie e nei libri di storia. “maroni farà il culo a Monti a Roma!” romba l’ex ministro della semplificazione e della faciloneria  della Repubblica Italiana – uno dei tre porcellini.

Sarebbero state da riportare anche le dichiarazioni di Geremia Lettiga, ma non era presente il simultaneista e trascriverne i suoni gutturali, è davvero un’impresa impossibile. Probabilmente, però, non ha fatto altro che rimarcare il copione che ormai da vent’anni recita a memoria: villaggio per villaggio, le pallottole, secessione, Roma ladrona, i soldi padani in padania. Le solite autorevoli minchiate di quel che resta di quel coso. 
Seriamente! Geremia Lettiga ha detto che per loro è giunta l’ora di scatenarsi, si devono unire e lottare per la Padania che poi la storia farà la sua parte.

Beata ignoranza! Loro non sanno, che purtroppo, la storia la stanno scrivendo. La storia non può fare la sua parte, perché è l’uomo con i suoi gesti a costruire la storia. Magari se la storia si scrivesse da sola, sarebbe una più piacevole lettura.

Ma abbiamo speranza, perché vogliono fare una secessione consensuale e morbida, dice sempre uno dei tre porcellini, e per questo incontreranno a breve formigoni, poi il Friuli, e il Trentino “per vedere se ci stanno”. Intanto, annunciano una grande manifestazione della lega, il 15 gennaio prossimo a Milano, e tanto per restare fedeli alla linea morbida del reciproco consenso, il porcellino annuncia: “Voglio rifare il Nerone express, ma questa volta non voglio dimenticare i fiammiferi.”

Per fortuna che ormai nemmeno il legaiolo montanaro che sposò la sua mucca con rito celtico, crede più a queste minchiate, altrimenti ci sarebbe davvero da aver paura. Riuscite ad immaginare quel che resta di bossi mentre si scatena? E quante flatulenze potrebbe emettere borghezio scatenato? Quale odore emanerebbe calderoli?

E nemmeno la consolazione di finire con: “Voglio andare ad attenderli con l’AK47 e questa volta non scorderò i proiettili.” Non lo posso dire – e non lo dirò – perché sarebbe reato.

Rita Pani (APOLIDE)


12.03.2011

 

Gesù 2.0 reloaded


Ed ogni volta che ci si ritrova a chiacchierare con qualcuno, alla fine spunta sempre la domanda: “Sì, ma quando si sveglierà l’italiano? E i forconi? E la Rivoluzione?” Mai, credo, e comunque non tutti insieme, perché quel che oggi tocca me, non è detto che tocchi pure te, e quindi ci si deve accontentare del “mi dispiace” solidale, che serve a chi lo dà a quietare la coscienza, e a chi lo riceve a sentirsi sempre più solo.

Che Guevara diceva (pressappoco) che bisogna sentire lo schiaffo dato ad un altro sulla propria guancia. Forse noi siamo troppo impegnati a schivare i calci al culo, e quindi non possiamo aggiungere alla nostra, la sofferenza d’insieme. Ognuno la sua, testa bassa e via andare!

Per esempio, provate a pensare a cosa resterebbe si un mafioso criminale come don verzè, se ogni cittadino sano di questa miserabile Italia, riuscisse ad immaginare di avere un cancro, ricordando la storia recente del governo mafioso che precedeva l’attuale governo del curatore fallimentare …

“Un giorno mi chiamò berlusconi e mi disse: fammi vivere fino a 150 anni …” Il neo Gesù Cristo in croce si mise subito al lavoro e partorì il progetto “Quo vadis”. Sulla carta una mega opera di cemento da spiaccicare in Veneto per omaggiare Venezia (sic!) 550 mila metri d’estensione, micro chip da inserire sotto pelle per rilevare qualunque anomalia, in modo che il soggetto sotto controllo potesse essere richiamato alla base per ogni alterazione organica – cacarella compresa. 150 anni, tuttavia, parvero troppi anche a Don Gesù, che rassicurò il suo maggiore finanziatore, il tizio malato mentale che qualcuno di voi delegò a governare la penisola della burletta, e con un impeto di onestà a mo’ di parabola ei disse: “150 no, ma 120 te li garantisco.”

Non dico che dobbiate avercelo davvero un cancrino, basta che vi concentriate un momento: un giorno qualcuno vi dice di correre da un medico italiano, in un qualunque ospedale pubblico italiano, perché le vostre cellule stanno impazzendo. Non è difficile, provate!

Poi magari pensate che ad ogni taglio del bilancio dello stato, la sanità veniva castigata. Che gli ospedali venivano chiusi, il personale dimezzato e mal pagato, e su quel poco che restava – esternalizzato – qualcuno rubava e si arricchiva. Pensate alla sanità pubblica che tardava nel darvi il referto di una biopsia, che la corsa che avresti dovuto finire in un mese invece è durata per sei. Poi magari pensate che ad ogni taglio del bilancio dello stato, la sanità veniva castigata ma i finanziamenti per don verzè, Gesù Cristo reloaded e il progetto vannamarchiano del Quo Vadis, lievitavano sempre di più, mascherati a volte da altro.

E così, ogni volta che si sta a cena con gli amici, ritorna sempre quella domanda, sulla ribellione, sulla rivoluzione, e io nemmeno rispondo più. Forse perché so che ci hanno tolto anche la fantasia, e la realtà ci basta e ci avanza. Non si può certo pretendere di far affidamento all’immaginazione, non si può pretendere che tutti si sappia cos’è avere un cancro quando non hai le tasche piene, o quando non hai la fortuna di vivere in una delle oasi felici – sempre meno – di questo paese in dissesto. Come non si può pensare davvero che si possa immaginare cosa significhi essere schiavi, onesti in un mondo di ladri, rigorosi in un paese approssimativo e inetto devastato da psicolabili e malfattori.

Se ci fosse rimasta un po’ di fantasia, se avessimo la faccia piena degli schiaffi nostri e altrui, noi staremmo per strada a compiere rastrellamenti e linciaggi sulla pubblica piazza. E forse con noi ci starebbe anche un Gesù … uno come quello che dicono fosse andato a sbarazzare il tempio.

Ma anche quest’idea pare vannamarchiana, ahimè!

Rita Pani (APOLIDE)

12.02.2011

 

Vietato dire profilattico, meglio goldone


Torno un attimo indietro nella storia d’Italia, quella recente e ridicola. C’era un quadro nella sala stampa di Palazzo Chigi, “La verità svelata” del Tiepolo che mostrava una tetta, piccola e rotonda. L’ex tizio del consiglio, quello più sobrio, austero e probo degli ultimi 150 anni ordinò che un imbianchino mettesse mano al Tiepolo per coprire la tetta. Quale imbarazzo – si disse – avrebbe potuto creare alle ministre che sedevano al tavolo per spiegare ai cittadini le novità del governo.

Mi torna in mente questo episodio ogni volta che mi ritrovo dinnanzi all’ipocrisia moralista di uno stato improbabile come questo in cui nostro malgrado viviamo. Spiegarne i motivi temo sarebbe un insulto all’intelligenza di chiunque legga questo mio scritto, anche se poi, considerato che qualche leghista – per esempio – legge, mi sento in dovere di ricordare che a voler celare la piccola tetta, fu l’utilizzatore finale di bambine con le tette gonfiate di silicone già dalla più tenera età.

E ci risiamo! Nella giornata mondiale contro l’AIDS, con una circolare interna alla RAI è fatto divieto di pronunciare la parola “profilattico”, e pare che l’ordine perentorio arrivi niente meno che dal ministero della salute e della sana e robusta costituzione.

Di AIDS non si parla più in Italia, e risulta persino che nonostante i 150 mila casi ancora presenti (gli altri col tempo si sono estinti per morte) i ragazzi più giovani, nell’età più pericolosa ossia quella che potrebbe portarli “alla perdizione” con l’attività sessuale, non sappiano nemmeno cosa sia.

In Italia resta proibito pronunciare la parola profilattico o preservativo, per la rigida morale cattolica che ne proibisce l’uso, in quanto secondo legge, ogni buon cattolico che si rispetti e che aneli ad assurgere al cospetto di Dio col candore dell’anima, deve accoppiarsi solo a fini riproduttivi. Per la chiesa cattolica è peccato mortale usare il preservativo, anche quando si violentano i bambini. La chiesa cattolica benedice tutti coloro che a modo loro trasmettono il Verbo, e insegnano al gregge le regole della morigeratezza cattolica. Immagino quale soddisfazione del Papa, quando la D’Addario disse che l’ex tizio suo cliente non usava preservativo, o quando si seppe che l’altro ultra cattolico, bertolaso senza preservativo si faceva fare i massaggi per la cervicale.

Copio: «Carissimi, segnalo che nelle ultime ore il ministero ha ribadito che in nessun intervento deve essere nominato esplicitamente il profilattico; bisogna limitarsi al concetto generico di prevenzione nei comportamenti sessuali e alla necessità di sottoporsi al test Hiv in caso di potenziale rischio. Se potete, sottolineate questo concetto».

Ma sì, tanto pare che l’HIV non sia più un problema, anche se a guardar bene la feccia che gira, di vecchi bavosi e rincoglioniti, forse sarebbe tempo di preoccuparsi per un ritorno della sifilide. Che pure quello, dicevano fosse un castigo di Dio.

Rita Pani (APOLIDE)

12.01.2011

 

Ligi alle leggi


Spumante nel trolley, ma passa lo stesso Rusconi mostra la tessera: sono senatore
Il parlamentare del Pd glissa il blocco al check in di Fiumicino. Poi si giustifica: «Quella bottiglia aveva un valore affettivo»
Posso capirlo, certe persone con le proprie bottiglie, a volte arrivano ad instaurare delle vere e proprie relazioni sentimentali. Depositarla nell’apposito cestino, avrebbe potuto essere come abbandonare un amante sul ciglio di un’autostrada.
Tuttavia il problema non è il senatore, ma al solito il vizio tutto italiota di non saper imporre la propria autorità con i “più forti”. Facile, dopo, raccontare ai giornali che il senatore ha mostrato il tesserino, molto più difficile smettere di fare la vittima diventando carnefice e senza colpo ferire. Bastava fare il proprio dovere, e spiegare al senatore che in uno stato democratico “la legge è uguale per tutti”.
Perché se non è la nostra testa a cambiare per prima, è inutile continuare a segnalare abusi e soprusi, disparità e privilegi. Anche se comunque resta comodo farlo. Fino a che avremo da piangere non dovremo fare i conti con noi stessi.
Vorrei dirlo a quel deficiente che una decina di giorni fa, nell’apposito cestino, mi ha fatto depositare una bottiglia di Saugella, e al quale ho dovuto mostrare una prescrizione medica per giustificare il trasporto di medicinali. Il Saugella in effetti non era prescritto, ma solo consigliato, e per chi è ligio al proprio dovere, le parole fanno differenza.
Rita Pani (APOLIDE)


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