11.29.2010

 

Ridi pagliaccio

Ridi, ridicolo pagliaccio. Ridi con tutti i tuoi denti. Per fortuna che paiono preoccupanti almeno le navi italiane in Iran; potremmo così consolarci, fingendo di credere che almeno per un momento anche l’Italia abbia potuto destare qualche preoccupazione al mondo. Una preoccupazione diversa da quelle provocate dalla tua infame malattia mentale, dalla parodia di te stesso, che come un demente porti in giro per il mondo, in nome e per conto – purtroppo – di chiunque abbia avuto la nefasta sorte di essere un italiano.

Ridi patetico pagliaccio mal truccato, ridi e balla sul deserto che hai creato. Ridi di tutti noi, a cui ormai nemmeno le lacrime escono più. Inariditi, inebetiti dalla certezza di sapere d’esser morti ancor prima d’essere seppelliti. Ridi bastardo. Ridi di tutti coloro che hai ucciso, ridi di chi si è ucciso pur di non lasciarsi rubare da te l’ultimo brandello di dignità.

Ridi pagliaccio, sotto la statua di Marte a cui hai fatto riattaccare il pene, magari millantando d’aver preso il tuo a modello. Ridi sul rumore della storia millenaria d’Italia che crolla, lasciando polvere e macerie a dire al mondo di noi, quel che tu sei. Ridi forte vecchio maiale, mentre il mondo guarda i tuoi posticci e ripensa a Dorian Gray.

Ridi buffone, guarda i tuoi conti risanati e ridi. Guarda tua figlia felice seduta in Mediobanca e ridi. Ridi forte così che ti si possa sentire. Così che i tuoi servi stupidi ridano anche loro, che ti compiacciano quando come un vecchio sulla panchina di un parco gli tiri le briciole di crusca sulle quali si avventeranno , piccioni, credendo di essere falchi e predatori. Ridi più forte buffone.

Ridi in faccia al mondo, ora che la tua miserabile maschera è caduta, svelata al mondo una volta tanto in documenti ufficiali, quelli che un tempo segnarono la storia e i destini del mondo, in mano a Churchill o Stalin, e non su uno dei tuoi giornaletti patitati, in cui altri tuoi servi non fanno altro che dirti che no, tu non sei solo un abominevole vecchio malato.

Ridi coglione! Ridi in faccia al mondo e ridi in faccia a noi, che voglia di ridere ormai non ne abbiamo più. Che ti guardiamo storcendo gli occhi, intorcinando le nostre budella, sentendo lo schifo che ci hai fatto intorno, di fumi venefici, di immondizia, di povertà e malattia. Ridi forte, che la tua risata rimbombi nel vuoto delle nostre vite, delle nostre anime meste. Faccela sentire tutta la tua risata, bastardo.

E una cosa sola, ci darai: la forza di abbatterti come un animale malato.

Rita Pani (APOLIDE)

11.28.2010

 

Legittima difesa

Sarebbe solo legittima difesa. Guardo fuori dalla finestra e penso: “sarebbe solo legittima difesa.” Pure se domani dovessi alzare le braccia, in senso di resa, e inginocchiarmi a terra per rendermi inoffensiva, lo farei dicendo: “Sono stata io, non mi sparate! È stata solo legittima difesa.”

Si attendono i dossier di Wikileaks, con divertita curiosità, che noi di preoccuparci non ne abbiamo più motivo. Sarà che scopriremo che ci ha venduto a Putin per un piccolo esercito di puttanelle sovietiche? Che ci ha venduto a Gheddafi per un paio di puttanelle arabe? Che ha fatto affari sulla nostra pelle per trovare carne fresca da desiderare con la sua pompetta sottocutanea?

Sarebbe legittima difesa.

Se non si attueranno politiche per dare lavoro ai giovani, mentre all’ATAC di Roma, mogli, amanti e puttane entravano a lavorare per chiamata diretta, sarà sciopero generale. Sciopero generale di quattro ore, perché chi ancora lavora non può permettersi il lusso di perdere troppo danaro. Se non si risolverà la crisi, il sindacato reagirà, mentre oggi sappiamo come si svolgevano le selezioni per accedere all’harem del debosciato del consiglio. Iter farraginoso e difficile, prima mora, poi fede, poi la gioia e 5.000 euro quando finalmente arriva la meta. Quella telefonata in cui al pronto segue: ”Ciao, sono il sogno degli italiani, sono il presidente scopone …”

Il sogno degli italiani, non so. Il mio sicuramente sì, ed è un sogno per legittima difesa.

Il diritto alla vita. Un embrione non è inanimato, ma è vita. Bisogna dirlo al popolo e bisogna fare leggi che la vita la rispetti almeno fino a quando è dentro il grembo materno, dopo son solo cazzi suoi, e di chi quella vita, irresponsabilmente o per essere ligi al volere di Dio, l’ha sbattuta a morire di inedia su questo piccolo lembo di terra tra i mari.
E sarebbe legittima difesa.

Il diritto alla vita, di chi ormai una vita non ce l’ha più, inanimato su un letto, mangiato da una malattia accudito amorevolmente da parenti o amici che giorno dopo giorno spengono un pezzo di loro stessi, dimenticati da uno stato assente che abbandona i malati a loro stessi o alla volontà di un Dio che nemmeno c’è.

Il 9 Febbraio diventerà la giornata “pro life”. Proprio il giorno dell’anniversario della morte di Eluana Englaro, la ragazza che morì per 17 anni, un giorno dopo l’altro, e che finalmente l’amore del padre riuscì a spegnere, dopo una lunghissima agonia.

E ancora sarebbe legittima difesa.

Meno tasse per tutti, e soprattutto federalismo fiscale. Con i rilevatori di velocità che nascono lungo le strade come i funghi nel sottobosco. Con l’acqua all’arsenico che esce dai rubinetti, ma comunque la devi pagare come se fosse champagne. Meno tasse e più controllo contro l’evasione delle tasse di chi, forse per distrazione ha scaricato l’IVA della carta per la stampante che poi ha usato a casa sua anziché in ufficio. Proprio mentre ad Antigua, nascevano le case sotto le palme, proprio come se fossero funghi nel sottobosco.

Mi sono proprio convinta: sarebbe solo legittima difesa.

Rita Pani (APOLIDE)

11.27.2010

 

L'ultima occasione

"E' una cosa indegna, abbietta, criminale, antitaliana criticare infodamentamente ciò che è stato fatto da uomini dello Stato e dalla protezione civile" dice il presidente del Consiglio, che se la prende con "la stampa di sinistra" per il modo in cui ha cercato di "distruggere" l'operato del governo sul caso rifiuti e sulla ricostruzione in Abruzzo. "Tutti quelli che hanno detto cose infondate si devono vergognare".

Ho passato molte ore in un aeroporto ieri, tra una moltitudine di tedeschi, spagnoli e qualche americano. Ad un tratto su uno degli schermi ormai disseminati in tutto il territorio nazionale, è apparsa la faccia del tizio trentaseienne del consiglio, ingiallito dal pongo che gli ricopre la faccia, a dire al popolo – per fortuna in aeroporto le minchiate erano sottotitolate e la sua voce stridula ci è stata risparmiata – che tutto è un complotto, che i comunisti son tornati, che siamo un popolo di sovversivi.

Una ragazza spagnola, indicandolo col dito al suo compagno ha detto qualcosa che suonava come: “guarda guarda esiste davvero”. Ridevano. Ridevano, ho pensato, perché non sapevano leggere i sottotioli che fedelmente riportavano l’essenza del discorso istituzionale del tizio, che sembrava essere l’ennesimo tentativo di circonvenzione di incapace.

Supportato dal manichino che ci rappresenta all’estero, il quale privo di dignità corroborava la teoria del tizio arricchendo di particolari la teoria del complotto destabilizzante. Diceva il ministro, che anche il crollo pompeiano, altro non è che parte del disegno di distruzione dell’immagine dell’Italia all’estero. E non so, se la sua fretta di smentire sia venuta prima o dopo aver appreso che in America, il tizio trentaseienne del consiglio sia stato paragonato persino a un tacchino.

Lo guardavano i tedeschi e scuotevano la testa. L’ho guardato anche io, solo per qualche secondo, ma in questi casi, la mia fantasia non è mistero. E siamo dunque ancora qua, ho pensato, a ricominciare la giostra dei complotti e dei comunisti, a sentirci dire ancora e ancora che i miracoli esistono, che Napoli tornerà all’antico splendore pompeiano, all’Aquila ricostruita, ma soprattutto a un paese che è impossibilitato a crescere economicamente, perché dei giudici comunisti e antitaliani hanno minato la ricchezza di Finmeccanica e dell’ENAV, in cui presidenti e mogli di presidenti alla fine, non son altro che ladri.

Dopo la faccia del tizio però, son passate sugli schermi le immagini degli studenti in Piazza San Marco, o a Cagliari o a Palermo; e persino le facce che prima ridevano son cambiate distendendosi. Potrebbe essere proprio questa una buona occasione. L’ennesima che ci viene offerta e che temo non riceveremo nemmeno questa volta. Abbiamo lasciato soli gli operai appesi alle ciminiere (lo so, torri è più romantico), abbiamo quasi ignorato le grida di disperazione degli extracomunitari, barricati in chiesa o appesi sulle gru e se anche questa volta lasceremo soli gli studenti, allora vorrà dire che bene o male avere un tizio da deridere, da odiare o da sognare appeso a testa in giù, che continua nella sua opera di razzia e devastazione, tutto sommato ci fa comodo.

Oggi gli studenti sono in piazza a Roma con la CGIL. Ricordiamoci domani di rendergli il favore. È davvero l’ultima occasione.

Rita Pani (APOLIDE)

11.24.2010

 

Ma che ci resta da fare?

Il pensiero semplice forse non è elegante, ma a volte arzigogolare non favorisce l’espressività e la voglia di comunicare quei pensieri che semplici nascono. Pensieri un po’ arresi, sconfitti e stanchi. Così mi ricordo di aver letto, tempo fa, in una delle numerose pagine politiche scritte dal tizio debosciato del consiglio, che lui ha un particolare problema a tollerare gli odori forti. Me lo ricordo perché stava scritto nella lista delle cose che una delle sue troie (chiedo scusa: escort, che sennò gli italioti restano offesi), doveva fare o non fare prima di essere ricevuta a corte per la selezione. Una lista pubblicata dai cronisti politici in tempi non sospetti. Una di queste cose era il profumo, non troppo forte o dolce.

Ecco che allora mi assale il pensiero semplice: un souvenir da Napoli. Recarci ad attendere il re, tutti quanti col nostro sacchetto pieno di quell’immondizia che lui, con la sua magia saprà far sparire in men che non si dica. Più pannolini di bimbi ci saranno, più grande sarà il nostro godimento. Lo so è una sorta di sogno, che aggrava sempre di più l’umore di quelli come me, a cui i sogni sono stati scippati, ma che ci volete fare? Mi conservo umana a dispetto delle cose. E allora mi dà un senso di giusta pace, pensare che volendo potremmo risparmiare le monetine – che servono sempre – e ricoprirlo di rifiuti maleodoranti, un pochino più in decomposizione di quanto già sia lui.

Lo so, non c’è nulla di politicamente corretto in quanto scritto fin qua, ed è giusto che sia così, perché a ben guardare di politico in Italia non è rimasto più nulla. Un anziano colpito da mille malattie che nega l’evidenza, che ancora pensa d’essere capace di vendere catini per il bucato nell’epoca della lavatrice; uno squilibrato, la cui senilità, vissuta con poca gioia e alcuna dignità è il problema principale di un’intera nazione.

L’ho detto molte volte: è come se mandassimo in giro per il mondo il nostro nonno rincoglionito, quello che temiamo sempre che a tavola ci faccia fare brutta figura togliendosi la dentiera, o scoreggiando. Il problema è che c’è chi ancora gli batte le mani, perché fa strane telefonate in televisione, perché racconta le barzellette, perché ha fatto i miracoli all’Aquila o a Napoli. E allora non vedo perché io debba restare abbarbicata al mio senso politico.

Se c’è stato chi ha preteso la legalità da un gruppo di malfattori, la giustizia da una cosca criminale, la moralità da una banda di debosciati e maniaci sessuali, il diritto al lavoro da una banda di schiavisti … a noi popolo senziente che potrà mai restare da fare?

Attendere l’inevitabile, forse. Il vero crollo o disastro economico che sta per accadere. A quel punto, noi che sappiamo cos’è e come si vive saremo più ferrati di chi, finalmente, si sentirà uguale a noi. Ma fate attenzione: noi abbiamo memoria.

Rita Pani (APOLIDE)


11.22.2010

 

Il riscatto delle donne: il leccafighismo

Quindi è iniziata la rivolta delle donne di governo. Dopo essere assurte al potere per volere di un debosciato erotomane che le aveva trattate tutte come oggetti sessuali, sollazzandosi fino alla noia, eccole in fila a protestare, a minacciare di lasciare il governo e addirittura il parlamento. Sembrano anche toste e decise, quando parlano di politica inesistente, di despotismo, di poca attenzione verso il territorio. Sembrano davvero istituzionalmente accanite, quando si danno delle “vajasse” o delle “cagne”. Sembrano, in vero, più le preferite che han paura di non esserlo più. Sembrano cortigiane in procinto d’essere sostituite da carne fresca, per il volere del re.

Quanto sarebbe bella la rivolta delle donne, e quale alto senso potrebbe avere un governo di donne! Certo però, altre donne; quelle rimaste immuni dal morbo del berlusconismo che ha annullato un secolo di lotte d’emancipazione. Donne vere, semplici e di buon senso, capaci di far arrivare a chi le guarda prima il cervello e poi, semmai, le tette. Ma a leggere le cronache odierne, di cagnette incarognite e ministre in crisi di gelosia che sembrano dire: “O mi ascolti o non te la faccio più annusare”, aumenta lo sconforto. Sono le minacce che certe donne fanno da sempre. Quelle almeno convinte che il loro patrimonio stia nascosto tra le gambe, e che ringraziano mammà per averle insegnato a farne buon uso.

Sarebbe stato bello, oggi, poter vivere l’eccitazione di una rivoluzione culturale fatta dalle donne, e lo dico sinceramente, sebbene io non sia mai stata una femminista. Le donne, si sa, hanno un modo diverso di vedere il mondo, le cose e di percepire la vita e la solidarietà. Mi è sempre stata invisa la logica delle quote rosa, o delle pari opportunità. Pensavo in cuor mio che non ce ne fosse bisogno, in un paese in cui la capacità e l’intelligenza non dovessero avere sesso. Ma poi il cancro del tizio ha ucciso ogni speranza, per le cose che sono note, per la vocazione di certe donne di cedere alla lusinga del falso potere passando per una scrivania o un letto di Putin. Infatti vedrete bene che i ministeri affidati alle preferite del re, sono poi quelli che per il re stesso non hanno alcuna importanza strategica. Alle troie sono stati affidati la scuola, l’ambiente e le pari opportunità o la famiglia, nella vecchia logica della cultura maschilista, della massaia che deve accudire i bimbi che fanno i compiti, tenere in ordine (ma non necessariamente pulita) la casa, o decidere cosa è utile comprare per casa, cosa abbisogni alla famiglia.

Così oggi leggevo che le cagnette in rivolta, che tanto hanno imparato dal loro re e padrone, pensano (?) di far nascere nuovi partiti e nuove correnti di pensiero che vadano oltre il PDL. Temo e tremo. Cosa mai saranno capaci di inventarsi per osteggiare il despotismo di un partito di debosciati e criminali? La cosa più vicina alla realtà del nostro paese, la cui politica è capace di fare impallidire gli autori di Beautiful, che mi viene in mente, potrebbe essere “il leccafighismo”.

La rivalsa delle donne che non ci stanno più ad essere usate e gettate via per la prima Ruby che passa. L’orgoglio dell’essere donne che ritorna a prendersi il meritato potere. Un partito delle donne PER le donne: il PLF partito dei lecca fighisti, che comunque darà pari opportunità anche alle lesbiche. Sarà un partito veramente meritocratico, al quale ogni uomo per accedere dovrà non solo dimostrare di essere capace, ma spinto da vera passione.

Una volta un compagno mi disse, ragionando di politica e di italianità, che per abbattere berlusconi ci sarebbe voluto un altro berlusconi, perché il berlusconismo ormai aveva mietuto troppe vittime. Spero che alle ministre che in questi giorni spremono l’ultimo neurone rimasto non venga in mente di leggere questo blog … mica facile resistere alla tentazione di iscriversi ad un partito così.

Rita Pani (APOLIDE)


11.20.2010

 

La mafia fa schifo

Non è facile scrivere di mafia. Per farlo bene bisogna esserne profondi conoscitori, averla vissuta sulla propria pelle o averla studiata. Si rischia, diversamente, di cadere nel tranello dei luoghi comuni, con la visione un po’ mistica e inquinata che può avere chi, come me, tanto ha amato i film di Mario Puzo. Per il resto ognuno di noi resta legato a quelle persone di riferimento, che della lotta alla mafia hanno fatto una ragione di vita e di morte. Ricordarne solo un paio non renderebbe giustizia ai tanti che sono morti ammazzati.

Quel che è certo è che tutti sappiamo cos’è la mafia, da Palermo ad Aosta e tutti, nessuno escluso (anche cuffaro) si sentirà in dovere di affermare che la mafia fa schifo. Di tanto in tanto un nuovo slogan antimafia viene coniato da un pubblicitario di partito e rimbalza di bocca in bocca o di fiaccola in fiaccola durante una manifestazione – sempre meno, per la verità – in Sicilia come a Roma. Ci consoliamo poi, della partecipazione attiva di molti giovanissimi che danno la giusta speranza.

Però è difficile scrivere di mafia, perché come per molte altre cose, a guardare il fenomeno in Italia, si resta spiazzati e confusi. Difficile comprendere il limite che separa mafia e mafia, assai più arduo ammettere che non può esserci mafia e mafia, ma che la mafia è una soltanto.

Non è facile perché lunedì prossimo un ministro degli interni padano della Repubblica italiana, ha preteso di essere invitato in una trasmissione televisiva a leggere un elenco che probabilmente citerà tutti i successi ottenuti da questo governo, nella lotta alla mafia. Lo ha preteso perché un giornalista che di mafia è esperto, ha spiegato come il fenomeno criminale sia fortemente radicalizzato proprio in padania, e di come faccia affari con i rappresentanti del partito dello stesso ministro dell’interno. Nello stesso tempo, mentre i bravi cittadini raccolgono firme contro la mafia, contro la fame nel mondo, contro le centrali nucleari, per la salvaguardia del lombrico guerriero del Borneo, il giornale di proprietà del tizio editore del consiglio, raccoglie le firme contro il giornalista che ha osato raccontare di mafia. E poco importerà se tra le firme si potranno leggere i nomi di Mano Destra, Mano Sinistra o Paolino Paperino, come accaduto in atti ufficiali del ministero dell’ambiente. È il gesto ad essere importante.

Assai più difficile, scrivere di mafia, dopo aver letto le motivazioni della sentenza che ha visto condannato il senatore dello stato Italiano marcello dell’utri, a sette anni di galera. Viene provata dai giudici l’associazione del senatore alla mafia, col compito di congiungere l’associazione criminale al tizio mafioso del consiglio, e francamente azzardare l’ipotesi che esso sia un mafioso a sua insaputa, sarebbe davvero un insulto troppo grande per l’intelligenza anche di un organismo monocellulare. Passi che in Italia si possa credere che qualcuno all’insaputa del tizio corruttore pagò tangenti a destra e manca, con soldi del tizio, per affari del tizio … ma la mafia è un po’ come la P2, non puoi non sapere di farne parte.

Quindi ricapitolando, il ministro degli interni è stato accontentato: sarà in TV a leggere l’elenco con l’orgoglio di uomo di uno stato che pur essendo guidato da un tizio mafioso combatte la mafia, e si circonda di mafiosi siano essi senatori, senatori a vita o sottosegretari. E mi sono persa, perché come mi son detta per tutto il tempo, è davvero difficile parlare di mafia, anche quando ne sai quanto ti basta sapere e poi lo dimentichi, quando alla manifestazione in difesa dei giudici ostacolati e vessati in ogni modo dal tizio presidente del consiglio, issi il cartello: NON LASCIATELI SOLI.

Basterebbe pensare che in qualche modo stiamo chiedendo alla mafia di occuparsi di loro, per decidere di non farlo mai più. Non lasciamoli soli.

Rita Pani (APOLIDE)


11.18.2010

 

Del pene di Marte e altre Rivoluzioni

Venere ha riacquistato entrambe le mani. Marte, insieme alla destra, anche il pene perduto da tempo. Miracolo a Palazzo Chigi. Per espressa volontà del tizio del consiglio. E in barba alle regole del restauro che vietano ripristini e falsi storici che alterino l'autenticità dell'opera d'arte.

Le regole. E cosa saranno mai queste sconosciute? Le regole sono cose per noi, che siamo stati educati ad essere civili, in un paese che civile non è. Solo che dopo abbiamo valicato il limite della civiltà lasciandoci trasportare dal buonismo ad un “porgilaltraguancismo” spinto, dal quale è difficile fare ritorno.

Non esistono regole, per chi è stato lasciato libero di riscriverle a sua immagine e somiglianza, per chi è stato messo in condizione di giocare con le nostre vite una partita truccata, durante la quale le regole venivano cambiate a seconda delle carte che gli passavano tra le mani.

Il pisello di Marte, fatto di plastilina e marmo è solo l’ennesimo esempio – risibile e banale – capace di rappresentare il dominio barbaro al quale siamo stati sottoposti e al quale, in troppi, diligenti e un po’ cretini, hanno porto l’altra guancia.

Tutti i dittatori che la storia ricorda depredavano i paesi che sottomettevano, rubavano le opere d’arte, si circondavano d’ori e preziosi, vivevano lo sfarzo delle loro vite circondati da servi e lacchè che si accontentavano di vivere le ricchezze di riflesso, senza magari accorgersi di valere assai meno di un calice d’oro o di un soprammobile rubato in un museo. Non sapevano di essere anche loro solo proprietà del Re.

Governati come una tribù del Rio delle Amazzoni non ancora scoperta dall’uomo evoluto, siamo andati avanti per anni, porgendo l’altra guancia con la nostra presunta civiltà che mai potrebbe contemplare una ribellione anche cruenta, e il ripristino della civiltà. Facendoci alibi della nostra presunta civiltà, abbiamo continuato per quasi un ventennio a porci domande e darci risposte, rinchiusi ognuno nella propria nicchia, chi più chi meno motivato, chi più o chi meno arrabbiato sperando nel potere delle urne, rivendicando il diritto al cambiamento, inventando slogan e morendo lentamente. Qualcuno arrivò persino a dare un senso a Veltroni.

“Ma che schifo. Vomito.” Queste sono le cose che ci diciamo, e le sentiamo vere dentro di noi. Poi a volte ci contiamo e siamo tanti, ma per non farci troppo male continuiamo a far di conto, dicendoci che siamo sempre troppo pochi e che “purtroppo l’italiota non la pensa come noi … e che loro sono tanti, tanti di più.” Ci basta schifarci per non essere complici, per avere la coscienza a posto. Ci basta dissentire e far conoscere a più persone possibili il nostro dissenso. Son tutte balle, son solo balle omeopatiche che se non ci faranno stare meglio, certo non ci faranno star peggio.

Quindi oggi che sappiamo del pene posticcio attaccato a Marte, perché il tizio megalomane potesse ammirarlo, ci farà schifare sapendo che a Pisa guardano la torre e si grattano i testicoli in segno scaramantico. Diremo: “Guarda questo bastardo, ha riattaccato le mani a Venere e ha fatto crollare Pompei, e nemmeno il Duomo di Milano sta tanto bene. In Sardegna trovano insediamenti punici e devono risotterrarli perché non ci sono i soldi, ma il pene a Marte …”

Sappiamo pure che il tizio che non governa il paese, ma lo depreda, non si dimetterà. Sappiamo che – guarda caso – la discussione sulla fiducia sarà concomitante alla decisione della Consulta che probabilmente un giorno la storia chiamerà col suo nome: SALVACONDOTTO. Ma sappiamo anche che, in barba a tutte le regole democratiche o alla Costituzione che molti di noi sbandierano dopo averne letto solo il titolo, il listino dei deputati in vendita è aumentato arrivando alla cifra di 500 mila euro cadauno.

Nessuno schifo e nessun vomito, esco dalla mischia e non porgo l’altra guancia. Quando i dittatori cadono, volano le sedie dai palazzi, le fiamme illuminano a giorno le città. Per strada risuonano i passi di gente che corre, e altri presi casa per casa, camminano mani sopra la testa con un fucile puntato lungo la schiena. Il dittatore sta in carcere dopo aver mediato la resa, che si solito prevede di lasciare al popolo ogni sua ricchezza indebitamente posseduta. E solo quando resterà con gli abiti che indossa, senza lacci alle scarpe con rialzo e senza cintura, sarà libero di andare, accompagnato – fucile alla schiena – fino al primo confine di quel paese che gli darà ospitalità. Magari in Russia dal suo amico Putin, pensando a quale museo degli orrori terrà in mostra il letto che lui gli regalò. Sarà fatta salva la sua famiglia che potrà decidere di accompagnarsi a lui o di restare ad espiare, lavorando da precario extracomunitario e gay, per la comunità.

Rita Pani (COMUNISTA)


11.17.2010

 

Meglio non sognare

Ci sono giorni più freddi di altri in cui mi piace pensare che il mio tempo sta per terminare, e che dichiarata la resa finalmente sarò libera di andare a consumarmi, da qualche parte e senza meta. Stamattina ci ho pensato, leggendo le dichiarazioni del fratello della ragazzina uccisa in Puglia, il quale dichiarava che essendo a Milano, aveva pensato bene di mettersi in mano a Lele Mora, certo di poter sfruttare il suo momento di popolarità per soffiare qualcosa da fare in TV.

Ho pensato per un momento, ai curriculum che invio ogni mattina ad anonime aziende che non mi risponderanno mai, o che mi offrono due euro l’ora. Ai migranti della gru, che scesi non sono stati portati in ospedale perché venissero accertate le loro condizioni fisiche, ma in questura e il giorno dopo in tribunale per essere processati per direttissima. Ho pensato alle persone che sempre più decidono di impiccarsi o spararsi in bocca, se non gettarsi sotto i treni in corsa.

Ci sono giorni in cui faccio i conti con la vita, e sebbene tutti m’insegnino che non è finita fino a quando non è finita, io mi fermo un momento ad educarmi alla realtà, ossia che è meglio non farsi troppe illusioni su un futuro che non arriverà mai o che di certo non sarà come quello che avrebbero voluto insegnarci a sognare.

Non abbiatevene a male, vi prego, ma nell’ultimo anno ho imparato che in genere chi è disposto al sogno è colui che non ha troppi problemi a dormire. È anche vero che io ottimista non lo sono stata mai.

Certi giorni si caricano di speranza, e la speranza è quella che finalmente si elimini dalla scena politica il tizio nefasto del consiglio. La potrei quasi toccare questa speranza, ora che persino nei bar dove si discute prettamente di calcio si sente appellare il tizio come “bastardo” o “mafioso”. Stamattina, mentre attendevo in un poliambulatorio un signore leggeva i titoli del giornale domandandosi a voce alta cosa volesse ancora questo “stronzo criminale”. La triste realtà, che nulla ha a che fare col sogno, è che se qualcuno non ci avesse fatto la grazia di dirci di Ruby, dei 375 mila euro, della scorta alla troia minorenne, e – ahi noi – del bunga bunga, tutti sarebbero rimasti zitti e disposti a tenere un mafioso e criminale esattamente dov’è e dove si corre il rischio che stia ancora.

Ci sono giorni assai più freddi di altri, nei quali mi chiedo di me, di cosa ne sarà della mia vita che ormai nemmeno riesce a disperarmi più, nei quali comprendo che nemmeno dopo che il tizio sarà ricoperto da azoto liquido dentro la capsula di ibernazione nel suo mausoleo, noi torneremo ad essere liberi di sperare di avere ancora un domani, perché ci saranno ancora troppi “di noi”.

Noi, quelli che non basta più non rispettare le code, gettare i rifiuti per strada, avere un finto permesso di parcheggio per disabili, comprare le lauree, per essere il meglio che la società possa esprimere. Ma noi, quelli che forse,per esistere e realizzare il proprio sogno, saranno tentati di uccidere la propria madre o ballare sul cadavere della sorella morta, in attesa che qualcuno gli dica: “Baby, farò di te una stella”.

Rita Pani (APOLIDE)


11.16.2010

 

Il salvacondotto

È proprio un Italia da medioevo quella che stiamo vivendo. Triste al punto che si può tranquillamente parlare dell’idea o l’ipotesi, del salvacondotto. E la gente pure, al mercato o per strada, dopo averne sentito parlare per un po’ ne parla a sua volta come tutto fosse normale: “Vedrai che alla fine gli daranno un salvacondotto per andare a finire i suoi giorni ad Antigua!”. Ma anche: “Si studia l’ipotesi di un salvacondotto; l’UDC si dice favorevole.”

Di tanti significati che il termine “salvacondotto” ha assunto nella storia, a me piace ricordare il più consono al momento che viviamo: protezione o impunità. Libero di andare, senza essere arrestato e nessuno mai oserà toccarti, perché lo dice l’autorità.

Riepilogando – che non è poi semplice seguire i fili logici del pensiero - tutte le forze politiche si trovano disponibili a discutere se sia il caso o meno di fornire al criminale una scappatoia, onde evitargli la galera o i guai giudiziari, dal momento che gli sarà impossibile evitarseli lasciando che i suoi avvocati parlamentari, legiferino a suo nome e per suo conto.

È la ratifica del fatto che abbiamo avuto un criminale al governo, ma soprattutto è la ratifica del fatto che, escludendo forse IDV, tutti accettassero di avere un criminale al governo. È come se finalmente fosse innegabile il fatto che l’Italia sia stata gettata all’inferno da un criminale che è stato abbarbicato al potere solo ed esclusivamente per continuare a delinquere impunemente, lui e i suoi complici; lui e i suoi servi.

Nessun giacobino, nessuna ghigliottina, e tanto meno – che dolore! – ci sarà Piazzale Loreto. Al nemico che fugge salvacondotti d’oro, e poi chissà, tra un decennio quando finalmente sarà solo vermi e plastica, una piazza o una strada, un’aula di tribunale o un’aula magna di qualche università da intitolargli in memoria.

Noi che ce lo ricordiamo ancora, quando velato da una calza di nylon avvisò la nazione della sua discesa in campo, noi che abbiamo sempre saputo in che mani veniva consegnato il paese, ci siamo dispersi o siamo rimasti qua, instancabilmente decisi a lottare, raccontando fino allo sfinimento quella verità che ora col tempo è diventata una banalità e ne subiamo l’ultimo affronto. Umiliati da tre lustri di barbarie, non potremo sperare in alcuna rivalsa, perché prevarrà la ragion di stato, come sempre quando in Italia è meglio tacere, e ci abitueremo all’idea del re che finalmente scappa, con i lingotti dentro le valige e le banconote nelle mutande. Magari farà l’offeso e ci scapperà da ridere a leggere i proclami che farà arrivare a noi, tra una festa e l’altra nel suo harem ad Antigua. Tanto avremo ormai scordato come ha ridotto la vita di quasi tutti noi, e di come concentrato a delinquere abbia finito di raschiare il fondo di un barile già vuoto prima di avere il suo salvacondotto.

Un craxi (ma di maggior spessore) che cacciammo a suon di monetine e che per quanto avesse la faccia come un culo da 32 pollici, in confronto a questo criminale oggi appare un ridicolo dilettante.

Rita Pani (APOLIDE)


11.15.2010

 

Cosa c'è sopra la gru?

Bella l’Italia, hai visto cos’è? Sembra la Grecia, sebbene là il Partenone stia ancora in piedi e illuminato quando cala la sera. La polizia che massacra i manifestanti disarmati e a terra, il mare e gli olivi. Proprio come la Grecia. Anche in Grecia gli extracomunitari vengono rinchiusi e poi deportati. Proprio come in Italia. Ma solo in Italia può essere fatta una truffa per derubarli, prima di rinchiuderli e deportarli. Una truffa a norma di legge. Questo no, neppure in Grecia.

Gli uomini sulla gru stanno diventando “tutti noi” che non abbiamo più nemmeno il coraggio di urlarci in faccia la verità, preoccupati come siamo a mantenere verde il prato davanti alla porta. Più verde di quello del vicino che pure per antonomasia lo avrà sempre più verde del nostro. Ed è una bella lotta! Noi non ci stiamo ad ammettere di essere come la Grecia. Mi hanno detto alcuni giorni fa: “Io non vedo in giro la disperazione.”

E allora, mi verrebbe da pensare: “Cosa c’è sopra la gru?”

Forse la disperazione non si riesce a vederla perché nessuno te la spiega, e chi invece lo fa cerca di non farti comprendere travisando la realtà. Per esempio, leggendo i giornali, sembrerebbe che quei quattro schiavi – uomini schiavi – non vogliano mangiare perché nessuno porta loro dei piatti etnici, e per questo ieri hanno pisciato con la vita appesa in mezzo al cielo. Sembra a chi legge, che in un paese civile non sia tollerabile che quattro “di quella gente” possano bloccare i lavori di un’intera metropolitana. Chi legge non lo capisce cosa può voler dire essere truffati a norma di legge. Proprio così questa mattina ho sentito spiegare i fatti di Brescia: “Ma che vuole quella gente? Che non basta la fame che abbiamo noi?”

Si sta ingiallendo l’erba del praticello.

Non la si vede in giro la disperazione, perché camminiamo a testa bassa – che non si sa mai gli occhi di chi vai a incontrare – e viene male guardare sui tetti, o sulle torri. Poi a dire il vero, anche passeggiare per centri commerciali, o le grandi vie dei negozi non aiuta a vedere. Nemmeno la notte le puttane, che se ci sono vuol dire che ancora si possono pagare.

Non serve a spiegare che “quella gente” è sfruttata da chiunque, dal grande imprenditore di stato che fa affari con lo stato e che costruisce l’EXPO, all’ultimo dei cittadini della “nostra gente” che per pagare meno lo schiavo lo affitterà. Non serve ricordare che se non si fosse permesso allo stato di disintegrare i sindacati, e se i sindacalisti non si fossero venduti alla mafia di stato, rinnegando un secolo di lotte operaie, tutto questo non sarebbe successo. Non serve nemmeno vergognarsi ammettendo che se qualcosa di meglio avverrà in Italia, forse lo dovremmo proprio a “quella gente” che magari ci insegnerà ad esigere di essere trattati con dignità.

E non ci potrà mai essere nulla di dignitoso in un paese tenuto in ostaggio da un criminale che non è ancora certo di essersi salvato dalla galera, e da un manipolo di rozzi, incivili e xenofobi, frustrati e ignoranti come i leghisti. Loro sì – quella gentaglia – che davvero di peggio non ce n’è.

Rita Pani (APOLIDE)


11.13.2010

 

Grazie legaioli, che tante soddisfazioni mi date.


 

I piegamenti della storia


Ieri notte dal blog sulla piattaforma Blogspot ho ricevuto questo commento:

berlusconi sta x organizzare la GUERRA CIVILE.
Probabilmente il Popolo PADANO sara' tutto cn lui, perche quando i PADANI si muovono PIEGANO LA STORIA

LIBERTA' X LA PADANIA !!!!
SECESSIONE !!!!!!!!!
SECESSIONE !!!!!!!!!
SECESSIONE !!!!!!!!!
SECESSIONE !!!!!!!!!

è da ieri notte che ogni tanto, archiviato il resto, rido.

Ve lo immaginate il tizio che guida il popolo leghista alla guerra civile, per “piegare la storia?” Vestito con una mimetica disegnata dal suo stilista personale, con al seguito la truccatrice, la montatrice del sughero peloso da applicare alla calotta cranica, la manicure, il pedicure, la jacuzzi da campeggio, uno stuolo di zoccole in calze a rete da combattimento e al posto delle medaglie da appuntare direttamente sulle tette delle combattenti, una cassetta di sicurezza piena di farfalline appositamente disegnate da lui.

Certo è ovvio che il mio vedere sia legato irrimediabilmente ad altre figure romantiche. A pensarci bene, l’idiota che non ha avuto il coraggio di firmare il commento, in cuor suo non può sperare che veramente il tizio se la faccia in treno merci da Milano, con arrivo a Stazione Termini con almeno quattro ore di ritardo. L’idiota si accontenterebbe di sapere che l’ordine è arrivato direttamente dal lettone di Putin, che sul balcone di Palazzo Venezia, secondo il vento che tira, ci fa troppo freddo.

Oppure da Pontida, dove intorno a un tavolo di legno i ministri padani della repubblica italiana, sono intenti a mangiare la sacra polenta con acqua santa del Po e giusto qualche ombra per tremonti, che pare proprio non possa farne a meno.

Vi sentite preoccupati anche voi, per il fatto che berlusconi stia ics organizzare la guerra civile? E che dire del popolo padano che probabilmente è tutto cienne lui? Ammetto che a me quel “probabilmente” lascia abbastanza tranquilla, sebbene resti assai preoccupata dal piegamento della storia che lo stesso popolo padano potrebbe attuare. In effetti ho provato a cercare traccia di altri piegamenti storici effettuati dal popolo padano, ma non ne ho trovato traccia, se non nei campionati di tiro al maiale durante i riti celti, e la sagra della castagna e del vino novello della Val Brembana, dove è descritto il rito del piegamento tipico effettuato dai lanciatori, per imbracciare il maiale.

Detto questo, e smesso di sorridere (che poi tanto da ridere non c’è), confermo la mia idea primordiale: il nord ai nordici. Astensione ad aoltranza dal lavoro di ogni schiavo extracomunitario o meridionale, ritiro immediato dei volontari terroni impegnati a spalare fango in Veneto, e secessione e non annessione all’Europa con immediata cessazione del recepimento di fondi monetari dallo stato Italiano. Tre mesi e cambierebbero il loro inno del Va Pensiero con Funicolì Funicolà.

Rita Pani (APOLIDE)


11.12.2010

 

Cade, non cade o dondola?

Ce ne fu un altro nella storia, che non volle dimettersi; poi lo dimisero a testa in giù, a Piazzale Loreto, e persino coloro che fino all’ultimo avrebbero voluto lucidargli gli stivali, si misero in coda per prenderlo a calci in testa o per sputargli contro. È un vizio italiano. Erano altri tempi, vissuti da altre donne e altri uomini quindi per noi è inutile sperare. Erano persino altri fascisti.

I fascisti di oggi sono stupidi e confusi, a furia di voler essere idonei a mimetizzarsi in mezzo alla massa hanno perso persino la loro identità, oltre che la loro dignità, e per questo senza nessuna remora o accortezza si ritrovano a dichiarare che “la destra si differenzia dalla sinistra per il valore dell’orgoglio nazionale” … loro – affermano – cantano l’inno nazionale. È uno dei guasti provocati dal voler far credere agli italioti che essere figli di un’ideologia è un po’ come essere figli bastardi. E si sono persi. Oggi leggo che quel che resta di bossi, pur di poter andare a Pontida a dire ai suoi che il nemico (l’Italia) è battuto, e che li sghei saranno portati a casa, potrebbe anche decidere di governare con i “futuristi”, quelli dell’orgoglio nazionale, lasciando trasparire un disegno cha a me sembra più “cubista”, uno di quelli che forse avrebbe più senso se guardato al contrario.

Cadrà il tizio più avvinghiato al potere degli ultimi 150 anni? Non lo so. E nemmeno mi azzardo a fare previsioni, perché non è più un paese in cui ci si possa affidare alla logica per comprendere le cose. Quel che resta è l’evidenza, che però sarà evidente solo a chi ancora non ha perso il coraggio di essere libero di pensare. La domanda più banale che tutti questi si pongono oggi è: “Dove sono stati i fascisti futuristi negli ultimi due anni?” Non erano certo impegnati in altro, e non stavano di certo valutando il loro amor patrio o l’orgoglio nazionale. Stavano là, complici dell’assedio del parlamento italiano, compiacevano il tizio folle, lo proteggevano tentando di forzare i cardini della Costituzione per salvaguardarlo dalla giusta galera. Due anni di immobilismo politico che hanno prodotto ciò che è noto a chiunque debba vivere una vita normale.

La realtà che i nuovi fascisti futuristi continueranno a tentare di nascondere con proclami populisti e con i facili richiami all’orgoglio di cantare un inno nazionale, difficilmente i posteri potranno leggera sui libri di storia. È una realtà che della politica ha fatto scempio ma che bene rappresenta la sintomatologia della demenza italiota: nessuna vergogna a legiferare per un colluso con la mafia, per un malfattore, per le cricche o le cosche. Nessun pentimento per essere stati complici della devastazione apportata dalla criminalità salda al governo, e nessun pentimento nemmeno per essere stati complici di chi le istituzioni le ha sempre calpestate. Nessun rigurgito di dignità per aver spartito il potere con chi l’immagine della nazione tanto amata l’ha sputtanata in ogni angolo di mondo, ridicolizzandola al punto che ci si deve quasi scusare di essere italiani. Ma reggere il moccolo a un puttaniere, questo proprio no.

I nuovi fascisti hanno una sola cosa in comune con i vecchi: starebbero oggi in fila anche loro per assestare uno sputo o qualche calcio in testa. E noi una volta ancora non presenteremmo loro il conto.

Rita Pani (APOLIDE)


11.11.2010

 

4° giorno di sciopero della fame ... ma falla finita!

Se davvero si può ritenere una cosa seria, fare lo sciopero della fame per far cadere il governo, ditemelo che così mi metterò a pensare con più forza e determinazione al grillo che ha i testicoli più grandi del mondo. Preferisco immaginare che si sia sparsa voce che digiunare ogni tanto faccia bene alla salute, e Pannella nella sua lucida longevità ne è stato esempio.

In un paese allo sbando, ormai in mano della lega grazie al tizio del consiglio più ricattabile degli ultimi 150 anni, a me fa ridere pensare che ci sia chi si erge a paladino del popolo, sacrificando il suo appetito per chiedere le dimissioni di un governo, di questo governo, che non si è né dimesso, né tanto meno è caduto dinnanzi a fatti gravissimi che nemmeno mi va di ricordare come una pesantissima litania.

Lo sciopero della fame, in un paese in cui chi protesta è caricato dalla polizia, prelevato e rinchiuso nei CIE (lager) è l’ennesima farsa di chi rinnegando il Grande Fratello, vuol a tutti i costi ritagliarsi un minimo di popolarità. Chi ha compreso che alla fine si sente l’urgenza di avere un guru da seguire, qualcuno che indichi la via. E forse potrebbe essere anche vero, ma di solito se comprendo che mi hanno indicato una via sbagliata, io non la prendo e continuo a camminare, fidandomi dell’orizzonte.

L’ennesima sconfitta per tutti coloro che seriamente e con dedizione si sono impegnati nella lotta contro la barbarie berlusconiana, che vedono le loro risorse e le loro energie, sprecate nell’ennesima umiliazione di una politica ormai resa irreparabilmente ridicola e inesistente.

Oh sì, me lo figuro il tizio del consiglio preoccupato perché per sfiduciarlo un cittadino italiano non eletto in parlamento, è arrivato al quarto giorno di sciopero della fame. Me lo figuro, mentre si pulisce il muso col tovagliolo, e guarda attento le sue commensali per scegliere le fortunate che lo accompagneranno a compiere il rito orgiastico del bunga bunga digestivo, chiedere a bondi o bonaiuti in guanti bianchi: “Ha mangiato quel tale? No? Cazzi suoi!”

Quando mai pretendere che in Italia ci si affidi alle regole dello stato, sancite sulla Costituzione, che in casi di disastro come quelli che stiamo vivendo, prevedono anche la caduta di un governo, per esempio con la mozione di sfiducia avanzata dal parlamento, e la responsabilità dei deputati? (deputati da noi, appunto!)

Non si lotta e basta. Si fanno le lotte impossibili – e risibili – ma si evita accuratamente di occuparsi di quello per cui varrebbe la pena lottare: il diritto – almeno – alla sopravvivenza. Se si prova a parlare di politica, verrai additato come ideologico o comunista (e in nessuno dei due casi ti sarà detto come un complimento) se provi a ventilare l’ipotesi di ribellione, ti verrà detto: sì, ma lascia a casa la bandiera del partito.

Ieri all’Ilva di Taranto un operaio è caduto dentro una vasca di zinco liquido ad una temperatura di 450°. Provare a mangiare e tenersi in forma per aggredire questo stato di cose. Questa sì, sarebbe una protesta sensata, ma non si può fare via Internet. Si tratterebbe di rischiarla davvero, la vita.

Rita Pani (APOLIDE)


11.10.2010

 

Se se magna la vita

Alda Merini visse a lungo dimenticata la sua povertà e le sue sigarette, passeggiando per Milano anonima tra i tanti, o accudita da chi non ha dovuto attendere la sua morte per sapere di quanta dolorosa e candida arte avesse prodotto con le sue poesie, che molto mi hanno insegnato. Quando finalmente il suo viso che aveva i segni della sofferenza venne sbattuto in TV, e i suoi vestiti a fiori divennero familiari ai tanti spettatori, che ebbero più curiosità della sua presunta pazzia che non della sua sensibile bravura, dopo anni e anni ricevette il sussidio della legge Bacchelli, che è commisurato alle esigenze dell’artista che ne fa richiesta, se indigente. Per fortuna Alda Merini tornò ad essere anche una poetessa (succede quando la TV fa l’onore di farti esistere) e forse gli ultimi anni della sua vita furono meno duri e faticosi.

Ne ricordo eccome, poesie della Merini. Ne ho alcune dentro.

Ora è il turno di Califano. Indigente, si dice, con ventimila euro all’anno, perché i soldi che ha guadagnato in una vita se li è magnati, scopati o sniffati. Sono bastati due articoli di giornale, i racconti di una vita dissipata passata tra grandi alberghi, attrici, mignotte e macchine, per smuovere il mondo che può aiutarti a vivere, dopo che ti sei fratturato tre vertebre.

Di Califano ricordo la parodia di qualche sua canzone riattata per essere consona al personaggio, che a me un po’ di senso dello squallore l’ha sempre dato. Ho due ricordi fermi di lui: la volta che sfrecciando come un burino in via del Colosseo, a bordo ella sua Ferrari rischiò di spalmare sui sanpietrini una comitiva di giapponesi che mi stava avanti, all’altezza dell’ingresso della metro, perché intento a salutare con i suoi modi da cafone arricchito, tre ragazze americane che gridavano: “Ferariferariferai”. Poi un’intervista che per quanto non mi ricordi dove la sentii, mi restò comunque dentro anche se non allo stesso modo e nello stesso posto di una poesia della Merini, in cui il cantante spiegava come fosse normale, per un uomo, pisciare nel lavandino.

La legge Bachelli va in soccorso di quei personaggi che si sono distinti nel mondo della cultura, dell’arte e dello sport che vivono momenti di indigenza, leggo su Wikipedia. E a misurare la solerzia dell’interessamento del ministro (sic!) bondi, forse bisognerebbe aggiungere anche, in soccorso immediato di tutti coloro che hanno dimostrato di essere vicini al pensiero imposto dal regime, dato che l’indigenza ha poco a che fare con chi dice di guadagnare ventimila euro all’anno, ovvero molto più di quanto prenda un pensionato, uno schiavo o un precario.

Sarebbe fin troppo semplice cadere nel tranello di paragonare l’aiuto di stato a Califano con i tagli di stato verso i malati, i disabili, i bambini down, o le famiglie che quotidianamente devono combattere in solitudine contro uno stato che non esiste e non assiste.

Ho pensato molto in questi giorni in cui ho dovuto persino imparare ad alzarmi dal letto da sola, inventarmi un trucco per infilarmi le scarpe, stare attenta a che le mutande non cadessero troppo in basso da non poter essere recuperate, o attendere che un’anima buona passasse da qua per aiutarmi a lavarmi, che ci sono persone che in questa condizione ci vivono e ci vivranno per sempre, stando in attesa di chi le porti da mangiare o semplicemente si ricordi della loro esistenza. Alla solitudine della malattia che fa compagnia solo alla povertà. Ho pensato a quelle persone che con le piaghe sulla pelle muoiono sole nei loro letti maleodoranti, magari dopo una vita che non si sono potuti “magnare”.

Rita Pani (APOLIDE)


11.09.2010

 

Democrazia è morta da tempo

[de-mo-cra-zì-a]
s.f. (pl. -zìe)

1 Forma di governo in cui la sovranità risiede nel popolo, il quale la esercita per mezzo di rappresentanti liberamente eletti, con libera opposizione delle minoranze e nell'ambito della legge

Mi pare proprio che sia palese il fatto che la democrazia sia qualcosa che non ci riguarda. Non più almeno. Ammettere questo è il primo passo per poterci liberare.

E ancora una volta veniamo avvisati: “La democrazia è a rischio.” Un po’ come se avessimo bucato tre ruote, e finalmente qualche anima buona ci fermasse per strada, per dirci che abbiamo la quarta un po’ sgonfia. La democrazia in Italia non c’è. Ci è stata tolta col diritto di voto, ma in pochi se ne sono accorti, essendo stati nel tempo trasformati da cittadini responsabili, in tifosi sfegatati.

La democrazia non c’è. Basta guardare ciò che accade. Un governo che non c’è, che di fatto è caduto ma si regge sui ricatti di un gruppuscolo di neonazisti, che hanno imparato presto e bene il mestiere, dopo essere riusciti quasi in silenzio, infiltrandosi da NON italiani nel parlamento italiano, a erodere persino l’unità d’Italia. Dove sta la democrazia, in un paese in cui quel che resta di bossi, tiene seduto un pupazzo sulla sedia, solo ed esclusivamente per riuscire a strappare via un altro pezzo d’Italia?

La democrazia è morta quando abbiamo permesso che ogni regione, ogni provincia, ogni comune potesse sovvertire le regole dello stato, in nome della politica personalizzata e peggio, generalizzando anche le lotte. La democrazia moriva quando le manifestazioni di piazza diventavano “feste”, quando lo sciopero generale era di 4 ore, poi di un’ora … facciamocela bastare.

Non c’è democrazia e non c’è libertà, perché l’italiano (e non solo l’italiota) della libertà ha perso il senso, e forse in cuor suo preferisce non essere completamente libero: la libertà è anche responsabilità. È deviato da anni il significato della parola “libertà”, e questo sì lo dobbiamo all’indottrinamento del tizio, che ha lasciato passare senza troppi ostacoli, il suo personalissimo concetto libertario: faccio come cazzo mi pare.

La libertà non è dire che berlusconi è un mafioso, pedofilo, debosciato, piduista, criminale, e tanto meno che dovrebbe essere in galera. La libertà è quella di pensare ad un modo perché un essere spregevole quanto lui non possa più distruggere le nostre vite. La libertà è liberarsi, liberare. Ma mi sembra quasi stupido aggiungere parole sulla libertà, quando da millenni se ne scrive e decisamente meglio di quanto possa fare io, mi sembra addirittura mortificante scriverne pensando ai partigiani che almeno provarono a consegnarcela la libertà.

No, da noi la sovranità non risiede nel popolo, perché nemmeno l’ultimo dei cretini avrebbe liberamente scelto di farsi rappresentare da donne meritevoli per fellatio, complici di malaffare del sovrano, servi del padrone, lacchè. Non abbiamo libertà d’opposizione, dato che il parlamento è ostaggio di un sovrano ricattato da malavitosi e leghisti. E dell’ambito della legge, è meglio non parlare, perché oggi di ridere non mi va.

Rita Pani (APOLIDE)


11.07.2010

 

Dormire tranquilli.

È bello sapere che il ministro della guerra, la russa, dorme sonni tranquilli nonostante le minacce di fini. è bello perché riconduce la sua immagine ad una triste e banale umanità. Io pensavo che qualche volta, magari la notte fosse agitato, pensando alle giovani vite umane falciate in Afghanistan, al solo scopo di rinvigorire la sua indole colonialista e fascista. Invece no, loro sono grandi persone, mica come noi, che magari da un pezzo ci siamo scordati come si fa a dormire il sonno dei giusti, pur non essendo nati sbagliati.

Le mie notti non ve le racconto, anche se iniziano sempre tutte allo stesso modo: io che piano mi infilo a letto col timore di spegnere la luce, e sentire i pensieri affollarsi come la calca di un mercato rionale. E non ho rubato, non ho ucciso, non ho mentito, non ho sulla coscienza delitto alcuno che possa tornare i tanto in tanto a pesare. Semplicemente sopravvivo, di giorno in giorno congratulandomi tal volta per esserci riuscita.

Le notti di altri innocenti quanto me, so che somigliano alle mie e forse sono pure peggiori. Quelle di chi deve vestire i figli o darli da mangiare, quelli che devono pagare il mutuo per garantirsi un tetto sopra la casa. Quelli che dopo aver lavorato dodici ore, il sonno lo meriterebbero e forse lo fanno di stanchezza, e lasciano il loro ultimo pensiero come fosse una preghiera: “speriamo che domani si decidano a pagarmi.”

Loro dormono. Uccidono e dormono. E non uccidono solo con una guerra, ma lo fanno con la vita. Uccidono chi va a lavorare, uccidono quello che il lavoro non ce l’ha più, e di notti insonni deve averne passate, pensando alla famiglia, al futuro e alla vita impossibile da affrontare, decidono di spararsi in bocca o di impiccarsi, certi che sia meglio lasciare un orribile ricordo di sé che non la percezione della miseria e della povertà. Si uccidono sentendosi colpevoli di aver messo altre vite in questo mondo. Ma loro dormono bene la notte, e rivendicano il diritto di essere liberi di rilassarsi come meglio credono, anche facendo ballare ragazzine nude sulle macerie che hanno creato, o come all’Aquila non hanno nemmeno raccolto.

È confortante sentirli, ogni volta che dichiarano al popolo di “essere sereni” o peggio quando con aria sprezzante ci avvisano: “Io sono tranquillo”. Sono sereni e tranquilli di fronte ad un avviso di garanzia per reati da lupanare, sereni e tranquilli quando muore un soldato, sereni e tranquilli dinnanzi alla povertà di un paese che segna il suo percorso nel simbolismo del fango – quello vero – della devastazione di monumenti millenari che si sgretolano e crollano come castelli di carte. Sereni e tranquilli, si riuniscono e ciarlano di loro stessi, dei loro programmi futuri, senza comprendere che il futuro era almeno vent’anni fa.

Così lungimiranti da esser chiamati futuristi, così preoccupati per noi da aver trovato la soluzione: “Ci vuole un governo del tizio bis, per avviarci alla terza repubblica.” Come se bastasse cambiare il nome ad una cosa per farne d’incanto una nuova.

Dormono beati il sonno dei giusti, e non perché giusti lo siano davvero, ma solo perché sanno che staranno sempre al caldo e sicuri. Toccherebbe a noi insegnarli cosa è davvero una notte, una delle nostre.

Rita Pani (APOLIDE)


11.06.2010

 

Colpo di fulmine.

Io da grande voglio fare la scienziologa ricercatrice all’University of Qualcosa della Qualunque. Deve essere un posto magnifico. Soprattutto vorrei trovare dei finanziatori per le mie ricerche; ne ho svariate in mente, peccato che la ricerca scientifica in Italia non esista quasi più. Dopo aver letto della fatica fatta dall’ University of Kansas, per trovare la “ricetta dell’amore” e ricordando ancora la ricerca scienziologica che stabilì la formula matematica per stabilire quando un maschio poteva essere sessualmente appetibile, mi è tornato in mente il mio amletico dubbio: “Le donne preferiscono fare quattro ore di sesso con Denzel Washington o con brunetta?” Mi piacerebbe davvero avere la certezza scienziologica di appartenere a un normotipo prediligendo il primo caso citato.

Per studiare la “ricetta dell’amore” il gruppo di scienziologi ha analizzato 5.100 persone, ponendo loro quesiti sibillini: "Flirtare ti fa sentire più attraente?"; "Avere interessi e idee è una qualità sexy?"; "Deve essere l'uomo a prendere l'iniziativa?". La fatica maggiore, i ricercatori, devono averla fatta quando qualcuno dei cinquemila, spinto da un animo goliardico ha risposto, che no, in genere mentre flirta si sente una chiavica, trovava molto sexy un’ameba catatonica, e che di solito è bene che l’uomo attenda di sentirsi una mano dentro i pantaloni prima di chiedere alla ragazza: “come ti chiami?”

Molte le scoperte che lasciano basiti. Per esempio non si sapeva che a volte può esserci una subitanea attrazione fisica, che può essere basata da una questione chimica, che rende immediato e duraturo il rapporto di coppia. Davvero una sorpresina che ha fatto traballare i vetri dell’Università per il grido corale dell” Eureka degli scienziologi, ignari della miriade di luoghi comuni esistenti sul “colpo di fulmine” che non è da considerarsi – come erroneamente fan credere i cattolici – la saetta divina che incenerisce il pisello di chi fa sesso fuori dal matrimonio.

Gli studiosi, in base all'approccio utilizzato, hanno valutato la possibilità di successo della coppia. Quando è questione di fisicità, dicono, l'incontro promette bene: la passione scatta subito e ci sono molte probabilità che la "chimica sessuale" crei una connessione emotiva tale da perpetuarsi a lungo. Incredibile davvero! Chi mai avrebbe pensato che la perfetta intesa sessuale potesse legare due persone?

Con molto sudore della fronte, gli scienziologi hanno stabilito che nel flirt tradizionale, il corteggiamento richiede più tempo e per questo, anche qui, la storia potrebbe durare a lungo. Le buone maniere, tipiche dello stile gentile, tendono invece a marginalizzare l'aspetto della sessualità. Per questo, dicono i ricercatori, è difficile che il corteggiato si senta lusingato e che la relazione abbia inizio. E anche questo davvero è sconvolgente, difficile immaginare l’esempio di tre mesi di serate con uno che ti dice: “Mi permetta signorina, di aprirle lo sportello della macchina … ma sa che ha proprio delle belle caviglie … o peggio … lei signorina, mi ricorda tanto mia madre.”

A tutto questo spreco di soldi ed energia comunque c’è un perché: “Abbiamo realizzato questo studio - ha spiegato Jeffery Hall - per capire come il momento iniziale di una relazione possa determinare la riuscita di un rapporto, fino al matrimonio … essere consapevoli del proprio modo di agire può aiutare le persone a evitare alcuni errori ed avere successo nell'affrontare una sfida, compresa quella del corteggiamento.”

Cosa accada dopo il matrimonio ancora non lo hanno studiato, ma sono certa che il professor Hall, rimedierà. Io voglio restare fedele all’alchimia … fino a qua ho avuto solo sole, e non inteso come astro, ma chissà mai che non capiti pure a me di incappare in un chimico che voglia avere successo.

Rita Pani (APOLIDE)


11.04.2010

 

Studia, figlia mia.

Figlia mia studia. Anzi, figlia mia, ricorda quel che diceva Lenin: “Studiare, studiare e dopo ancora studiare …” Studia oltre quel poco, e a volte sbagliato, che ti insegnano a scuola. Dovrai nella vita poterti far scudo col tuo sapere. Ora però scusami, figlia mia, per avertelo insegnato.

E quando le figlie studiano, un giorno piccole, piccole come saranno sempre le figlie, le accompagnerai all’imbarco dei voli internazionali di un grande aeroporto, e le vedrai sparire, come inghiottite dalla marea di varia umanità e di tanti colori, e penserai con orgoglio che forse si stanno mettendo in salvo. Una speranza che cheterà l’ansia e il dolore della lontananza. La loro salvezza sarà l’unica cosa alla quale ci si potrà aggrappare quando la nostalgia si farà più forte.

Studia figlia mia, studia e preparati a scappare. Vai oltre il poco sapere che qualche eroico professore riesce a donarti, assorbi quanto più puoi dai libri e dalla vita, per poter correre lontano, molto lontano da qui. Perché qui non è posto per te.

Qui è un posto di altre madri, e di altre figlie. Un posto assoggettato ormai al volere di un padre di famiglia, uno di quelli dispotici e incestuosi. Lo zio dalle mani lunghe che fruga sotto le gonne delle nipoti, fingendo d’essere tenero e affettuoso. Uno che ha insegnato ai sudditi suoi “l’altra moralità”. Quella della meritocrazia che salta all’occhio, quando più tette hai e più sei brava. Quella che nel curriculum dovrà indicare la profondità della sua gola.

È un posto che nemmeno Caligola avrebbe potuto immaginare, una sorta di corte del “Re Sola”, con i ruffiani e le cortigiane che si accontentano di un faro illuminante, di una telecamera contro cui muovere il culo, di sposare un calciatore, di avere in dono gioielli e vestiti. E quelle che mirano più in alto, ma quelle proprio meritevoli e molto brave, saranno addirittura ministre.

Corri veloce figlia mia, perché ho paura che la difficoltà della vita possa spingerti a ricercare la facilità della strada in discesa. Ho timore che tu, per non aver pensieri, possa un giorno decidere di uccidere una tua amica, per poter essere sì protagonista. Ho paura di vedere il tuo volto sfigurato dalla plastica in tenerissima età, per essere all’altezza di salire agli onori della cronaca, per essere passata sotto l’occhio vigile del direttore di telegiornale, che di mestiere fa il pappone. Ho timore di vederti salire le scale della questura, e non per aver provato a rendere questo un posto migliore, ma per dover raccontare di quello zio maiale, a cui ci si vende per una macchina o una busta di danaro.

Scappare, scappare e dopo ancora scappare. Non dar retta a me, se mi venisse voglia di insegnarti a r-esistere e lottare. La mia generazione è colpevole e in debito con te. Esigi da me che sia io a riparare.

Rita Pani (APOLIDE)


11.03.2010

 

La vergogna di essere italiani.

C’è ancora tra gli elettori del postribolo della libertà, e della lega, chi accusa la sinistra di aver votato almeno una volta Romano Prodi. Anche io lo feci, assumendomene tutte le responsabilità, anche se la mia ICS andò sul partito di Diliberto – quello che mi sembrava un po’ più comunista degli altri. All’epoca dichiarai pubblicamente il mio voto con il naso turato, ma allo stesso tempo mi arrogai il diritto di “controllare” che del mio voto forzato e quasi contro natura, non venisse fatto scempio. Tutti sappiamo come andarono le cose, a partire dall’indulto, passando per la legge sul conflitto di interessi, sulle dichiarazioni orripilanti di rutelli, il quale un giorno ebbe a dire che non tutte le “riforme” fatte fino ad allora dalla barbarie berlusconiana erano da cancellare. Già a quell’epoca le persone per bene di quest’Italia che moriva serbavano in cuor loro il desiderio di essere vendicati, ma nessuno lo fece, anzi: in men che non si dica, riconsegnarono il paese ai barbari, per riportarci esattamente dove siamo ora. Questa è storia.

In quel breve periodo, puntualmente scrissi direttamente a Romano Prodi, il quale solo una volta mi fece rispondere da uno dei suoi, cordialmente ammetto, sebbene le mie non lo fossero altrettanto. Conservo quelle lettere e faranno parte, se mai riuscirò a finire, del piccolo “Bignami” storico a cui sto lavorando. Sono importanti, penso, per comprendere cosa un elettore possa chiedere ai suoi rappresentanti.

Sì, ci sono ancora elettori del postribolo che a mo’ d’insulto ti sputano in faccia di aver votato per “quel comunista” di Prodi, che “per fortuna andò via e non ci uccise di tasse.” Sì, le “tasse di Prodi”. Forse non ci crederete – ma sono pronta a citarvi il link sulla piattaforma blogspot – chi dice di “godere” quando noi “sinistri che abbiamo governato 60 anni” esprimiamo il nostro malessere dinnanzi alla barbarie berlusconiana. Mettere a confronto una persona come Prodi, con un debosciato come il tizio è inutile. Sarebbe un ridicolo esercizio di bassa retorica. Davvero come confondere la merda con la Nutella.

So che noi andammo in piazza per tentare di difendere il nostro voto, ed eravamo tanti, per il lavoro come contro l’indulto, per le pensioni e contro Berlusconi, la sua mafia, i suoi interessi, le sue leggi ad personam che dopo tutti questi anni, ormai, lo terranno al sicuro e fuori dalla galera in perpetuo a meno che – e dubito – non si possa provare che esso stesso innescò uno dei congegni che provocarono una strage mafiosa a caso.

Ieri è stata la giornata delle lettere al tizio, come le mie a Prodi, e non di suoi elettori, ma ancora degli altri, di cittadini che non hanno tollerato l’ultimo insulto contro gli omosessuali. Ha scritto Vendola – molto civile – e altrettanto civilmente la mamma di un gay. Tutti i cittadini civili di questa nostra società elettronica e multimediale hanno sentito il dovere di pretendere delle scuse dal tizio omofobo del consiglio. Ed è stata l’ennesima occasione persa.

Ci frega e ci fregherà sempre, ogni volta che abboccheremo come pesci imbecilli, all’esca avvelenata che qualcuno dei suoi consiglieri, pagati per pensare al posto suo, lancerà da lontano. “Non sono gay ma berlusconi mi ha offeso lo stesso” ho letto su un cartello portato da un anziano, su una fotografia sul giornale, e mi ha fatto tristezza. “Sono un cittadino italiano, e questo bastardo mi offende da vent’anni” avrebbe dovuto scrivere. Ma no, a noi ci piacciono le lotte di classe, intese come d’appartenenza, quasi corporative. Noi siamo votati alla filosofia del WWF, ci piace salvare un animale per volta e non tutto il regno animale. Perché fa politically correct essere eterosessuali con vasta apertura mentale, essere bianchi che proteggono i negri, essere padroni che trattano bene gli schiavi. È qua che sbagliamo, che forse non siamo più capaci di essere omosessuali negri, schiavizzati, studenti abbandonati, lavoratori licenziati, figli, donne, mussulmani ed ebrei tutto in una volta sola.

Bersagliati da una miriade di sputi in faccia, da questo tizio volgare come un analfabeta mafioso arricchitosi col malaffare, che si fa forte solo del suo potere mafioso e della sua tirannia, ci siamo scordati di esigere che ci venisse restituita la nostra dignità, quella di cui appunto ci ha privato quotidianamente da ormai quasi un ventennio. E in realtà nemmeno basterebbero le scuse, ancora una volta pensate da chi è pagato da lui, ma quello a cui oggi dovremmo aspirare tutti insieme, gay o negri, schiavi, coglioni o donne sarebbe solo la cacciata del buffone, per poter smettere almeno di vergognarci di essere italiani.

Rita Pani (APOLIDE, appunto!)


11.02.2010

 

Parliamo di politica?

Parliamo di politica, ma forse per farlo, parafrasando un film di Pozzetto, le puttane vadano da una parte e i froci dall’altra.

Parliamo di politica, battete tutti le mani a tempo, battete i piedi: i cocainomani facciano un passo indietro, i mafiosi una piroetta, i ladri e i profittatori un saltello.

Un bell’applauso allo stragista. Tanto di capello a bertolaso, al vulcano che erutta, alla ballerina col perizoma e senza preservativo.

Parliamo di politica: sei favorevole allo scudo anti galera? Senti la necessità che il tizio più malavitoso del consiglio degli ultimi 150 anni non sia indagato per sfruttamento della prostituzione, pedofilia, mafia, riciclaggio, furto, truffa e abigeato?

L’Italia è pronta all’orecchino di Vendola, si chiedono sull’Espresso. E lo sai che a Cagliari i lavoratori sono sul tetto della stazione?

Parliamo di politica, Marchionne prende di stipendio 450 volte quello che prende un operaio. Son cazzi. C’è fini che ha fondato un altro partito, Bersani che si è rimboccato le maniche, Di Pietro l’unico che si fa gonfiare le coronarie. Parliamo di politica, persino brunetta è riuscito a spassarsela con una puttana. Anche lui ha diritto di riposare dopo aver tanto lavorato per segare altri 300.000 posti di lavoro nella pubblica amministrazione, e poi ora che è ministro è diventato anche un essere umano. Sembra persino cresciuto agli occhi di una zoccola. Ma scordavo: questo in fondo è il governo dei miracoli.

Parliamo di politica: il tizio pedofilo non è proprio pedofilo. Guarda caso le bambine che molesta compiono 18 anni sempre quando scoppia lo scandalo. Ma è giusto chiamarlo scandalo?

scandalo [scàn-da-lo] s.m.

· 1 Turbamento della coscienza collettiva provocato da una vicenda, da un atteggiamento o da un discorso che offende i principi morali correnti; la reazione di riprovazione e di sdegno, lo scalpore suscitato nell'opinione pubblica.

No, non si può chiamar scandalo la politica italiana. È politica, ovvero quello che regola la vita di tutti noi. E chi si turba mai, dinnanzi a un parlamento paralizzato dalla malavita che lo occupa? Allora bisogna farsi sentire. La scuola scende in piazza, ed arriva immediata la risposta del governo: chi se ne fotte.

La Fiom porta in piazza un milione di persone, il governo risponde: chi se ne fotte, ma non c’è stato nemmeno un morto, per fortuna. Napoli è sommersa dall’immondizia, la polizia massacra i manifestanti, il tizio del consiglio giura di essere solo un uomo di buon cuore, e soprattutto rassicura la lega: non mi sono scopato una marocchina.

Parliamo di politica. Oggi un ragazzo mi ha detto che sono pure bona. Quasi, quasi ci ripenso e mi candido.

Parlate di politica. A me proprio non va più. Chiamatemi quando avrete capito che è ora di occupare il paese ad oltranza, che è ora di riprendere a guardarsi intorno, quando finalmente si sarà compreso che la desertificazione, un giorno riguarderà anche noi, e che nel deserto non si può vivere.

Rita Pani (APOLIDE)


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