11.28.2011

 

Perché non ce ne frega nulla?


Una barca a vela si schiantava contro gli scogli sulle coste di Brindisi, lasciando in mare un po’ di vite umane. Una delegazione di eurodeputati, in Sicilia, visitava i centri di raccolta e stoccaggio di vite umane, stabilendo che in Italia, nel 2011 esistono i lager.

Ma si fa silenzio, e come sempre le notizie prima strillate con la foto accanto scivolano sempre più verso l’oblio, diventando miseri trafiletti corredati di link, nel caso ti giungesse vaghezza e ti andasse di saperne un po’ di più. Non troppo di più, perché tanto dopo il salvataggio, i superstiti spariscono e si dimenticano, rinchiusi appunto dentro un lager.

Se i morti si ripescano, poi, non hanno migliore sorte. Un numero progressivo inciso su un muretto cementato di fresco, a volte con lo sfregio di una croce, che fa cristiano chi forse non lo è. Perché l’Italia i diritti umani non li concede ai vivi, figuriamoci ai morti.

Salinagrande, nel trapanese è un lager così oscuro da aver lasciato shoccata la deputata svedese Cecilia Wikstrom, raccontavano ieri i giornali. C’era la storia di un ragazzo con una frattura calcificata, perché in più di un mese non gli era stata fatta nemmeno una radiografia. Si leggevano le condizioni dei bagni fatiscenti, senza acqua calda, delle persone (esseri umani) vestiti di stracci, senza lenzuola sui letti.

È stata la delegazione europea a parlare dei lager, e una volta tanto. Lo dico solo a beneficio del solito lettore leghista, quello poco più evoluto di un primate, che ogni qualvolta ha letto la stessa parola scritta da me, ha minacciato o auspicato la querela. In realtà già da tempo, e più di una volta, anche l’OCSE denunciò come in Italia, negli ultimi anni, i diritti dell’uomo non siano rispettati. E a onor del vero, per come è stata governata la questione dell’immigrazione, l’Italia è già stata sanzionata dall’Europa.

Detto questo, quel che mi rimbomba in testa da ieri è una domanda forse banale: “Perché non ce ne frega nulla?” Non solo delle vite umane che si inabissano a volte senza nemmeno far rumore, ma anche dal torto che ognuno di noi subisce, ogni volta che solo per il fatto, fortuito e disgraziato, di essere nati in questo paese, si debba essere accomunati e catalogati come esseri indegni di far parte dell’umanità.

Siamo capaci di sbraitare ogni volta che le cronache giudiziarie ci riportano le gesta dei ladri che ci governano e ci governeranno, esigiamo la galera, auspichiamo rivoluzioni che conducano a nuovi Piazzali Loreto, ma non ci passa nemmeno per l’anticamera del cervello di rivendicare la nostra dignità.

Per lo stesso principio secondo cui i ladri devono finire in galera, si dovrebbe chiedere che l’ex ministro per il razzismo maroni sia processato per crimini contro l’umanità. Il problema è che se “il problema” non tocca il nostro portafogli non è un problema.

Io non sono come loro, io non lo sono mai stata e mai lo sarò. Il fatto che io sia italiana è solo un’infausta coincidenza, non voglio che il mio nome sia accomunato mai, e in nessun modo a questa feccia nazista e ignorante. In Italia esistono i lager per volontà della lega, esistono per la politica di scambio di favori tra clan, che ha governato negli ultimi anni.

Non si può pretendere che l’Italia tutta si vergogni. Sarebbe come chiedere a una donna violentata di fare mea culpa. Gli stupratori dovrebbero essere sempre condannati.

Rita Pani (APOLIDE)

11.24.2011

 

Sono sarda perché esiste il pecorino


Confesso! Ho avuto un po’ paura dopo la caduta dell’ex tizio; avevo pensato che avrebbe portato con sé anche la Lega, lasciandomi triste in un angolo a rimpiangere i bei tempi andati delle dichiarazioni istituzionali dei ministri e deputati, dei singoli imbecilli con gli elmetti cornuti in testa.
Invece no! Al contrario, dopo un primo momento di silenzio smarrito, non passa giorno che la Lega non dia una piccola soddisfazione.

È per via dell’ansia di far dimenticare al popolo padano la collusione con la mafia di governo. Quel contratto stipulato un dì a Milano, in uno studio notarile, con il quale la Lega vendeva all’ex padrino di Arcore la propria identità fasulla e il destino di una porzione di popolo italiota, in cambio del privilegio di far parte della cupola del “magna magna” di Roma ladrona. La capitale dalla quale non sono disposti a sloggiare.
Devono aver pensato, i leghisti, che probabilmente continuare a mandare in avanscoperta calderoli, a parlare di “dura opposizione”, bossi a riesumare il “celodurismo”, maroni il reietto a continuare la propaganda razzista, non sarebbe stata la mossa giusta. Bisognava cambiare le facce, per continuare a dire le stesse idiozie di sempre.

Non era pensabile che il dito medio di bossi potesse avere all’opposizione lo stesso dirompente significato che aveva quando stava al governo. Come non ridere davanti a calderoli che chiede a Monti, presidente del consiglio da una settimana, di riferire in Parlamento per il continuo aumento dello Spread, mentre per tre anni, non si è mai degnato di chiedere al suo ex padrone di ammettere almeno che un po’ di crisi c’era davvero? Avevano provato anche con borghezio, che sempre un certo effetto lo scaturisce, a propagandare la riapertura del parlamento del nord, quello che si riunisce in un ristorante, che però, i leghisti avevano dimenticato di prenotare. (E non è una cazzata!) Cancellati i ministeri di propaganda, e levate le sedie da sotto il sedere ai legaioli, provò bossi, dicendo al popolo padano che almeno avrebbe chiesto a Monti di poter mantenere aperti i ministeri di Monza. Idea geniale! I ministeri che non esistono, per ministri inesistenti, con compiti che non esistono in una sede nella quale – si viene a scoprire – non esiste nemmeno la toilette. Poi di nuovo calderoli, che senza fantasia minaccia le barricate nel caso in cui il governo tecnico riconosca la cittadinanza italiana ai figli degli immigrati nati in territorio nazionale. Ma nemmeno quelli con le corna in testa, ormai, credono più ai proiettili e alle barricate promesse da questa manica di ladroni.

Da qui, penso, la necessità di un ricambio di facce di bronzo, un nuovo esercito di cretini da mandare allo sbaraglio, col solo intento di obnubilare la memoria recente del padano doc. Facce pulite, che riescono ad esprimere concetti comprensibili, strutturati in italiano, concisi, che vadano subito a segno. Così ieri un tale Bonanno, deputato della Repubblica Italiana, leghista, rivela: “La Padania esiste, perché c’è il Grana Padano.”

E qua non aggiungo altro, perché sono felice. Fino a quando ci sarà un leghista capace di far sembrare il figlio scemo di bossi un esemplare almeno antropomorfo, io ho speranza di continuare a sorridere.

Rita Pani (APOLIDE) 

11.23.2011

 

L'ultimo fango


Ci sono volute quasi sei ore, perché ieri, un telegiornale si degnasse di dire all’Italia che la provincia di Messina  era sott’acqua. E anche quando le immagini avrebbero potuto parlare da sole, mostrando un fiume nero che portava via tutto, le parole hanno aiutato a comprendere che “era persino crollato un ponticello, per la furia di un fiume che s’era ingrossato.” Oggi il resto non si può negare: “è morto anche un bambino”.  Le catastrofi al sud sono sempre un po’ meno catastrofiche di quelle del nord, e fanno meno chiasso, provocano meno stupore e indignazione. D’altronde è il sud, soltanto il resto d’Italia.

C’è anche da considerare il fatto che Messina è una zona di particolare interesse, per cui non è bello mostrare la terra che frana, la morte che avanza, la devastazione dell’uomo e della mafia. Potrebbero essere particolari fuorvianti in un momento in cui ancora non si sa bene quanti soldi, in tempo di crisi, l’Italia tutta dovrà pagare per un ponte costruito in scala 1:1.000.000 in plastica riciclabile, per essere mostrato a scopi propagandistici in TV. Pure l’italiota medio con reminescenze berlusconiane potrebbe chiederselo, dinnanzi all’immagine della terra ingoiata dal fango.

Poi siamo in una campagna elettorale atipica, e questo non giova ai morti e agli sfollati siciliani. Non è il momento di interessarsi di questioni ataviche, del disinteresse o dell’interesse malavitoso che governa da anni quella Regione o tutta la Nazione. È il momento di tenere i riflettori puntati su Monti, con la speranza che finalmente ci dica di che morte dovremo morire, mentre la “politica” tace e si rigenera come la coda di una lucertola, attendendo che il capro espiatorio si prenda tutta la rabbia del cittadino italiota, da sempre incline a soffrire di amnesia.

È morto anche un bambino, certo, ma a Genova ne sono morti quattro, quindi tutto sommato è vero: al sud le catastrofi sono un po’ meno catastrofiche. E poi, ammettiamolo, al sud son fatti così, costruiscono a cazzo, con l’abusivismo, e poi c’è l’incuria del territorio. Al nord è diverso. Questo davvero non possiamo negarlo. Al nord hanno la Lega che il proprio territorio lo valorizza spendendo milioni di euro per addobbi floreali a forma di marijuana, come un tempo si tempestava di teste di bronzo ogni ufficio pubblico e ogni anfratto sui muri. La Lega da sempre è impegnata alla tutela della nazione padana e quando frana il Veneto, la catastrofe l’ha voluta Dio.

È vero che c’è differenza tra nord e sud. Al nord le case abusive nei parchi nazionali, il cemento selvaggio sulle sponde dei fiumi hanno tutti dei bei giardini sempre pettinati, e i muri colorati. I serramenti in legno di pregio, e i cancelli con l’elettrificazione- Al sud, l’abusivismo edilizio si espande sui monti e nei boschi, in riva al mare e copre i fiumi secchi col cemento. Le case spesso non hanno l’intonaco e sono brutte da vedere.
Ma brucia assai quest’ironia che mi si strozza tra le dita, perché ormai tutto intorno è degrado, s’è fatto il deserto, e non solo strutturale ma anche morale, o culturale. 

Che paese orribile siamo diventati, uccisi dalla propaganda, dal populismo di un branco di rozzi ignoranti, dal silenzio imposto da un branco di criminali mafiosi e affaristi, dalla nostra ansia di sopravvivere a noi stessi, dai nostri giardini curati, dall’erba tua che deve essere sempre più verde della mia.

Rita Pani (APOLIDE)

11.21.2011

 

Cambiamento


Mi piace la gente che si fida, e non essendolo mai stata mi piace anche la gente ottimista. Quelli del bicchiere mezzo pieno, per intenderci, che riescono a vedere le sfumature anche nelle tinte più cupe. Allora, ieri attendevo nell’aeroporto di Bologna di imbarcarmi per il volo verso casa, ed osservavo il vuoto cosmico che avevo intorno, i negozi con le serrande abbassate a metà come in un giorno di lutto, e la signorina al bar di fronte a me, che a furia di guardarmi stando con le mani in conserte, mi ha indotto ad andare a chiederle un caffè. Poi d’improvviso una piccola folla s’è fatta, ed erano tutti coloro che come mucche al pascolo si ammassavano per tornare nella stalla; a casa.

Il cambiamento. È la regola prima dell’ottimismo, della speranza. Lo si sente dire un po’ tanto quanto si senta parlare di Spread in ogni dove. “Bisogna cambiare!” o anche: “È ora di cambiare.” In un pilastro, appeso come un quadro, il televisore che non manca mai in nessun posto: dal parrucchiere come in una stazione, nella sala d’attesa di un medico come dal tabaccaio. Scorrono le notizie di una comune ed ordinaria domenica, di pallone e di meteo, di danari e di stars, fino a quando la scritta dice che anche il tizio è favorevole all’ICI. Allora un uomo si rivolge alla moglie: “Hai sentito? Ora anche berlusconi vuole l’ICI. È inutile! In Italia non cambierà mai.” Un altro uomo accanto, quasi sbotta con una di quelle frasi da bicchiere mezzo pieno: “Dobbiamo avere pazienza … dobbiamo lasciarlo lavorare, e poi se non ci piacerà tanto torneremo a votare.”

Il cambiamento, penso. Come quando la gente con ancora la macchia della vergogna sulle dita dopo aver compreso a chi aveva dato il suo voto, avanzava la stessa pretesa: “Lasciamolo lavorare!” e sto ancora sorridendo, quando finalmente ha inizio l’imbarco. Anzi in realtà, quando finalmente la signorina inizia a dare quelle istruzioni bislacche che hanno i voli Ryanair. La piccola folla si ammassa, si guarda con circospezione intorno, i mariti guardano le spalle alle mogli e i più furbi fanno andare avanti i bambini.

Non ci sarà futuro senza cambiamento! È uno slogan che si sente dire spesso, un’invocazione, quasi una preghiera. L’educazione e la civiltà, il ritorno alla morale, al buon senso comune. Quante volte anche io ho scritto questa cazzata, non lo so. Ci penso mentre assisto allo scorrere della fila, che si spintona, che come automobili di formula uno tenta sorpassi azzardati nel percorso che porterà alla prima tappa del viaggio: l’autobus per arrivare all’aereo. L’ultimo miglio è quello in cui la necessità del cambiamento è più viva e prepotente: l’assalto alla scala dell’aereo. Ci sono gli esperti che hanno addirittura studiato la strategia, la tecnica di abbordaggio, che infila il piede sul gradino, anticipando le gambe della persona che lo precede, sfogando tutta la soddisfazione in un sorriso vittorioso, quando per primo varca la soglia.

Il cambiamento però è tangibile, il bicchiere oggi pare un po’ più pieno della metà. C’è la gente in coda anche alle Scuderie del Quirinale, per la mostra dei pittori Lippi e Botticelli. Ad un tratto arriva Mario Monti, che ordinatamente si mette in fila pure lui – e sottolinea la stampa – con sua moglie al braccio. Quando arriva il suo turno, il neo premier – raccontano le cronache – fa qualcosa che ha dell’incredibile: paga il biglietto per entrare. A questo punto, ricco e spontaneo, scocca l’applauso da parte del resto della fila.

Cambierà forse, quando finalmente non sarà più eccezionale ciò che dovrebbe essere normale, e soprattutto cambierà quando cambieremo. Quando il cambiamento non sarà solo una pretesa per l’altrui, ma una regola da applicare soprattutto in ognuno di noi. Per non morire berlusconiani.

Rita Pani (APOLIDE)


11.18.2011

 

Come sempre, tutto uguale


“Sì, ma ha tolto l’ICI” ti dicevano i berlusconiani italioti, felici per la tassa che svaniva. Impregnati com’erano dalla propaganda esaltata del tizio, non si domandarono mai come avrebbero fatto i comuni a sopravvivere senza l’introito. Ovviamente riuscirono a farlo aumentando le altre tasse ed inventandosene delle nuove, ma l’ICI non c’era più e quindi: “Viva il re!”

Quando poco fa ho letto le intenzioni del nuovo governo Monti, per risanare i conti dello stato, mi è venuto da sorridere: “Si pensa all’aumento dell’IVA.” La benzina è già aumentata, e aspetto anche che si provveda all’aumento delle sigarette e a un rincaro dei ticket sanitari. Per non parlare delle Autostrade, della TARSU, dell’aria e del sonno.

Insomma le novità sono queste, e chi si aspettava rigore e serietà può anche mettere l’anima in pace ed attendere di essere licenziato, o di mettersi a dieta. D’altronde è il governo dei tecnici, quelli che non hanno a che fare con la politica. Ci ripetono che è un governo dello stato, per lo stato, senza però ricordarci cosa sia questo stato e nemmeno in che stato sia.

Nemmeno un dubbio o una domanda nella coscienza dell’italiota medio, che guarda con sospetto a Monti se di destra, cooptato dalla propaganda che persiste imperterrita, o che lo guarda speranzoso da sinistra (sic!) se indotto dalla tifoseria del PD. Senza senso critico, senza dubbi, appunto, senza domande, senza pensiero. “Attendiamo!” mi si dice, proprio come se avessimo tempo per stare a guardare cosa accadrà.

È un governo di comodo, nel senso che fa comodo a chiunque abbia a cuore il proprio destino e la propria poltrona. Il capro espiatorio, un jolly calato nella partita che si sta giocando mentre noi – gente comune – siamo il ricco piatto sul tavolo verde. Quando la partita sarà finita, nel 2013,  la colpa anziché essere di tutti sarà di nessuno e soprattutto in un anno e mezzo sarà possibile riacquistare una certa verginità, così da potersi proporre ancora come candidati “nuovi” o “non colpevoli.”

Nulla cambierà in questa Italia, incapace di osare, incapace di pensare, incapace di reagire. Basterebbe poco, in fondo, per esempio organizzarsi e darsi appuntamento fuori dalle banche, con l’intenzione di ritirare i pochi soldi rimasti nei conti. Sì, perché si pensa sempre che i soldi che reggono le banche siano i loro e non i nostri 40 o 50 euro, che restano là quasi fosse un pegno per il futuro. Basterebbe pensare perché un giorno, nemmeno tanto tempo fa, per avere il tuo stipendietto da operaio o servo, dovevi per forza avere un conto in banca, perché ti obbligarono ad avere uno stipendio virtuale, perché per pagare la spesa era necessario ricordare a memoria il PIN del bancomat.

Tolte le briciole di tutti, il segnale sarebbe chiaro. Potrebbe addirittura capitare che durante una seduta al senato, teletrasmessa in TV, si sentano dire delle cose sensate, tipo: “Signori, ci hanno sgamato e siamo nella merda!” Oppure: “Oh! Cazzo! Si sono svegliati, e mo’ che si fa?”

Invece no, la non politica pulita e dai capelli veri e ben pettinati avanza. L’abito blu del signore per bene ci rassicura, la messa della domenica lo rende più pulito della rognosa lap dance che rendeva l’altro un mostro pervertito, e l’italiota riesce ancora ad attendere, anche quando iniziano i fraintendimenti, le smentite e le rettifiche sul nucleare abolito con referendum, l’acqua da pagare anche se pubblica, il ritorno dell’ICI senza la cancellazione delle tasse che l’hanno sostituita, l’aumento dell’IVA che ci priverà del pane, i licenziamenti col metodo Marchionne, e tutta l’altra, solita merda che ci spareranno addosso col cannone. Come sempre. Tutto uguale. Come noi.

Rita Pani (APOLIDE)

 

Gran Finale



Rita Pani (APOLIDE)

11.16.2011

 

Meno male che Uolter c'è


In realtà quando sugli schermi delle televisioni italiane è rispuntato Uolter, il tizio non si era ancora dimesso, e stava là sulla soglia di Palazzo Chigi, a dire: “Vado, non vado!” Poi, ieri, eccolo di nuovo Uolter, ospite di spicco a Ballarò. Ho spento.

La sua riesumazione, da anni, rappresenta il salvagente da lanciare al tizio che affonda. Lo fece anche illo tempore, quando da sindaco di Roma esautorò il Presidente Prodi assumendosi il ruolo di mediatore per la riforma della legge elettorale, la porcata diabolica che segnò la cessazione della democrazia, con la negazione della volontà popolare. Mi ricordo bene, perché era stato quel momento in cui Fini, in un rigurgito di “dignità” tentò di far le scarpe al tizio, e Uolter, pronto, avvisò la nazione che nessuna riforma sarebbe stata fatta senza la partecipazione del “primo partito d’opposizione”. Il resto è storia, una storia che incessante si ripete.

Oggi è il giorno del governo della  Rinascita, del “Paese che ce la farà” senza lacrime e sangue ma con i sacrifici. Il giorno della contro propaganda più spinta capace di calmare gli animi della gente che non sa più, nemmeno, di essere spaventata.

Son quasi contenta, oggi, di avere la nausea per motivi di salute; è come se potesse sostituire quella che mi verrebbe da sé leggendo i giornali, che ancora raccontano un mondo che non c’è. È come se perseverassero nell’illusione che si sia tutti cretini, tutti proni, tutti disposti a prendere il cetriolone che arriverà. Ma è anche vero che pronti o non pronti lo prenderemo, come sempre e zitti.

C’era urgenza di approvare il piano di stabilità, e quindi i giornali non si soffermarono troppo sul contenuto. A noi doveva bastare il fatto che fosse stato approvato in tutta fretta, liberandoci dal tiranno debosciato, e donandoci l’ultima speranza di non finire come la Grecia o peggio l’Argentina. Ora, a piccole dosi, iniziano ad emergere le decisioni assunte con quella legge che doveva essere capace di risollevare le banche più che l’economia, dando segnali all’Europa e alle Borse più che a noi.

Non importa che da Gennaio o Febbraio, spariranno dalla nostra vita altri servizi minimi nella sanità o nei trasporti; non è nemmeno importante che un altro picco di disoccupazione renderà in povertà migliaia di cittadini. Non è importante che qualche ministro incarognito sia riuscito ad infilare nel mezzo qualche vendetta, che si siano regalati gli ultimi spiccioli agli amici degli amici, alle lobbie o alla mafia. Tanto c’è Monti che è serio, pettinato, va in chiesa e piace al mondo intero.

Forse è proprio per questo che è rispuntato Uolter. Il pupazzo rassicurante, più buono e paziente di Kermit il ranocchio. Forse è solo perché quel che differenzia il PD dal PDL, oltre che la “L” è il dilettantismo del facciadiculismo. Nel PD non sono così esperti e spregiudicati quanto nell’altro partito, e probabilmente Bersani non sarebbe riuscito a recitare il mantra del Rinnovamento e del Rinascimento, facendo credere ai suoi elettori che davvero Monti potrà passare alla storia come l’eroe salvatore della Patria.

Ma questi son pensieri difficili da fare, meglio incazzarsi ancora per qualcosa di più semplice, per esempio i presunti 800 mila euro promessi a Bobo Vieri, per ballare in TV, o la base d’asta di 250 mila euro con la quale, sempre la TV, cerca di accaparrarsi Cassano per un’ospitata dopo il suo intervento chirurgico.
Ma che c’è di strano? In fondo la consuetudine è tranquillizzante: la fiction da anni ci aiuta a sopportare la realtà, ignorandola. Proprio come i Uolter.

Rita Pani (e resto APOLIDE)

11.14.2011

 

Non si finisce mai


Ha detto Al Fano che il tizio non andrà ai giardinetti. Beh! Peccato. Io ce lo vedrei con le calze nere e la giarrettiera appena sopra il ginocchio, le scarpe col tacco, senza mutande e l’impermeabile da aprire quando gli vengono incontro le donne con la sporta della spesa in mano.

La nostra ubriacatura è finita, godere è stato lecito e liberatorio, ma ora è giunto il momento di porre la pietra tombale davanti alla cripta che deve rinchiuderlo, fatta di oblio e memoria. Nulla potrebbe fargli più male che l’indifferenza o la visione reale di quel che resta di lui: un indagato, un imputato, un vecchio triste e criminale.

Di sogni ne abbiamo fatti, ma è ora (o almeno lo sarebbe) di ridestarci e tornare con tutti e due i piedi nella realtà che non è dipinta con tinte pastello, ma con toni cupi e senza sfumature. L’Italia è passata di mano, da quelle di una cosca mafiosa ad altro potere, che non è quello del popolo. Ora, come un ostaggio, l’Italia è stata ceduta ai poteri economici, alla chiesa e ai militari, e non c’è rimasto nulla da ridere.

Sorridere semmai, dinnanzi alle solite cronache che ci raccontano la domenica montiana, che è una bella giornata di sole, che è fatta di lavoro e poi della Santa Messa. Un messaggio per chi ancora non fosse convinto; dopo le cronache d’avanspettacolo del vecchio porco, un signore distinto che si reca alla messa al braccio della moglie, è assai più rassicurante, anche per chi ancora non ha capito bene l’entità del sacrificio da affrontare. Ma Bagnasco è tranquillo, e anche questo – in teoria – dovrebbe rassicurare l’italiano medio, quello che esulta per la caduta del mostro e trova il nuovo messia da adorare.

Certo, c’è anche l’ipotesi del paradosso, secondo cui nonostante Mario Monti sia stato chiamato in tutta fretta a dar pace alle banche italiane, la sua ascesa potrebbe ridare davvero un minimo di respiro anche a noi, ma solo secondariamente. Un domani, forse, se non si saranno cancellati i diritti di vita della comune umanità. Noi.

Sarebbe bello non scordare il passato, sarebbe obbligo ricordare ed è fatto obbligo continuare a resistere e lottare. Potremmo persino iniziare a fare quel che non abbiamo mai fatto: esigere. Per esempio ridando dignità allo stato e alle istituzioni. Esigere epurazioni. Se non si ripulirà lo stato dalla melma, tutti coloro che continueranno a passeggiarci sopra ne usciranno sempre con le scarpe infangate.

Epurazione è un brutto termine, lo so, ma non ne esiste uno migliore per sottolineare l’urgenza di civiltà. È inutile dire che sepolto il tizio si debba educare il popolo al libero pensiero, al senso critico e alla responsabilità, se non esistono modelli da poter mostrare con vanto, se una volta sola in questo stato non ci sarà qualcuno che si possa rispettare. Via tutti i servi dai gangli dello stato che ormai è come un terreno minato e da sminare. Bonificare, forse è un termine più leggero di epurare, ma il senso non cambia, e questa dovrebbe essere la nostra esigenza.

Però ho visto spuntare di nuovo fuori il Veltroni, e allora mi sorrido pensando che non è ancora giunto il tempo di dedicarmi ad altro, di pensare alla grazia della prosa dei racconti da scrivere e dei romanzi, che nascondono tra le pagine da vergare, le ombre di un sole che cala, o di uno che sorge.

C’è da stare ancora qua a R-esistere. Non è ancora tempo di sospirare.

Rita Pani (APOLIDE)

11.12.2011

 

Rispondere è cortesia (Un'altra lettera aperta, ma poi basta)


E quindi mi scrive Michela, che ha ventiquattro anni e vive a Treviso. È molto risentita “per il linguaggio volgare ke nn fa di me una donna da ammirare”. Scrive a lungo Michela, della fatica “x suoi studi all’uni” e soprattutto mi pone dinnanzi alle “bugie ke i comunisti continuano a scrivere nella stampa di sinistra, ke vogliono usare la crisi (ma qle krisi?) per togliere i soldi a ki ha sempre lavorato duramente”.

Michela “nn è del pdl”. Michela “nn fa politica, anzi, lei i professionisti della politica li manderebbe tutti a casa.” Ma Michela è molto risentita per il linguaggio volgare, che proprio non riesce a concepire, non sa nemmeno come una donna possa “skrivere cose così irripetibili”.

Leggo Michela, (non Mikela?) e sorrido, fino quando arrivo all’ultima riga nella quale non scorda i saluti, azzardando persino un augurio: “secondo me lei dovrebbe farsi scopare di più.” E io resto con quella mail aperta per un po’, come dinnanzi ad un film, quando si scorrono i titoli di coda, fissando a memoria l’ultima immagine.

Michela alla fine toglie la sua maschera, e finalmente mostra il suo viso giovane ma già piagato dal cerone berlusconiano. Le immagino il sorriso perfetto e pieno di denti, le immagino i capelli col ciuffo piastrato, e un fermacapelli a forma di farfallina, di una bigiotteria di qualità.

Quanti anni ci vorranno per eliminare la pandemia? Quanti portatori sani e untori, resisteranno anche dopo l’eliminazione del ceppo del virus? Quante Michela a loro insaputa, dovremo incontrare nella nostra strada, e quante riusciranno a guarire?

Sta tutto in quel saluto la volgarità auto inflitta, la privazione della propria dignità, la cessione dei diritti fondamentali della donna prima e del semplice essere umano poi. Sta rinchiuso in quella forma passiva del verbo “fare”, la privazione della propria volontà.

Ci sta l’ipocrisia che ha reso cieco e trasformato un popolo senziente in un grumo di automi telecomandati a distanza dalla televisione, Che non è più capace di discernere o che confonde e rende astratti i valori minimi della civiltà, che non distingue o confonde il bene o il male, il vero dal falso, il conveniente dall’utile. Se “farsi scopare” è la panacea, si comprende perché sia ritenuto più offensivo leggere un “testa di cazzo” che sapere che un vecchio erotomane e debosciato, sia un utilizzatore finale di piccole donne ancora bambine. Si comprende perché non abbia fatto troppo orrore la malattia mentale di un vecchio maiale.

Cara Michela, per età, per sfinimento e per esperienza, ti auguro di non farti mai scopare da nessuno. Ti auguro una normale e intensa attività sessuale, magari condita da molto amore, quello capace di passare per le mani, capace di posarsi sulla pelle di chi ami – se avrai la fortuna di incontrare una volta almeno l’amore nella vita. Ti auguro persino un po’ di difficoltà e di dolore, di paura e terrore. Ti auguro anche di incontrare un giorno la disperazione, e poi di riuscire a ricordarle come cose passate guardandoti allo specchio la mattina, sorridendoti quasi per caso, sapendo che se sei lì è stato perché sei stata capace di farcela … e non di fartela fare.

Di più – e con benevolenza – ti auguro di vedere un giorno una ruga sul tuo viso, e viverla come l’aver raggiunto un traguardo: l’essere guarita.

Rita Pani (APOLIDE)

 

Art. 21 Cost. / Notizie: I forzidioti berluscones contro Rita Pani. E allor...

Art. 21 Cost. / Notizie: I forzidioti berluscones contro Rita Pani. E allor...: . Strano (o forse no?) caso ieri in rete. Una delle blogger più seguite e apprezzate del Bel Paese è stata apertamente criticata dai forzid...

11.11.2011

 

Spread?


11.10.2011

 

Quindi, ti levi dai coglioni? (Lettera aperta a una testa di cazzo)



Lustrissima testa di cazzo, permettimi di chiamarti così come ti chiamano anche i piciotti che ti hanno tradito, leggo sui giornali che finalmente sabato ti leverai dai coglioni, e sento l’esigenza di scriverti queste poche righe minatorie, spinta dalla repulsione che ho sempre provato per la tua ridicola figura.

Ricordo il giorno in cui, nata mia figlia, attesi il passaggio dell’omino dei giornali nella corsia dell’ospedale, per acquistare un quotidiano da conservarle ad imperitura memoria. C’era la tua lustrissima faccia di cazzo in prima pagina, e io tra un dolore e un conato lo lessi tutto. Ricordo che c’era un articolo sul tuo capofamigghia: dell’utri. Lo lessi, già si sapeva dei suoi rapporti con la mafia, tenuti sotto controllo dalla Criminalpol e si parlava di lui come mago della pubblicità, colui che avrebbe potuto portare il tuo neonato forza italia esattamente là dove stava: al governo.

Non era tempo di Internet, per quanto fosse già stato inventato, e l’italiano si faceva italiota confidando nelle tue televisioni, quelle dalle quali con la tua lustrissima faccia di culo, cavalcando l’onda di tangentopoli – che ti sfiorava ma non ti toccava, falciando via tutti i tuoi complici – annunciasti la lieta novella. La tua discesa in campo. Mi fece così senso quel giornale, che me ne feci comprare un altro da mio papà; e che sorpresa! 
Anche nell’altro, in prima pagina, c’era la tua lustrissima faccia di cazzo.

C’era qualcosa di più, però, c’era la storia dello stalliere di Arcore, l’eroe Vittorio Mangano e molte altre informazioni sui tuoi trascorsi, da Craxi alla Banca Rasini, nella quale tuo padre aprì il sentiero per la tua ascesa alla malavita, quella seria.

È stato il giorno in cui ho consegnato una creatura al mondo, mia figlia. Non me lo posso scordare, perché tenendola in braccio, bianca, profumata e bella non avrei potuto avere cattivi pensieri. Era naturale augurarle un mondo perfetto nel quale imparare a muoversi, a vivere ed essere libera di esistere per ciò che la natura, e io, avremmo potuto donarle. Per questo, arresa dinnanzi alla tua faccia di cazzo, pensai che prima o poi avresti fatto la fine degli altri, ladro tra i ladri, in esilio o in galera.

Ma l’italiano imparò in fretta quanta comodità ci fosse nell’essere italiota, quanto fosse più semplice credere che ci si potesse fare da soli, quanto fosse più facile non credere che pensare. Poi, non hai mai avuto una faccia di cazzo troppo intelligente, e persino il tuo senso del ridicolo in quei troppi denti, in quella battaglia strenue per l’estetica del pelo, nella tua abissale ignoranza, lasciarono credere all’italiota che, se ce l’avevi fatta tu – stronzo com’eri – ce l’avrebbe potuta fare chiunque.

Il resto venne a devastare le nostre vite. Il resto si fece la storia triste, di un popolo rincoglionito dalle gambe delle veline inquadrate dal basso verso l’alto, per farle sembrare più lunghe. Da una stampa con la mordacchia che millantava la possibilità di essere libera di deridere il padrone che la manteneva – Ricci ne è l’esempio più sublime. Il resto si fece nella storia di quasi un ventennio di angherie, di privazione del pensiero, di decadimento culturale nell’abominio che si è fatto della morale e del diritto. Nell’impoverimento massivo e costante, anche questo nascosto da un falso benessere teso a fare dell’italiota il tuo primo finanziatore, educato allo spreco e al consumo, al sogno da fare ad occhi aperti, in modo tale che non fosse poi così traumatico il risveglio. Il resto è la storia che finisce, ma non a modo mio.

Finalmente ti levi dai coglioni, lasciando le macerie, passeggiandoci sopra a cuor leggere proprio come hai fatto a L’Aquila, o in ogni altro luogo devastato dal malaffare di cui hai fatto sistema (‘o sistema). Sparirai pian piano, purtroppo, e noi subiremo ancora per mesi la tua presenza martirizzata, dell’uomo tradito, non compreso. Ancora e ancora un orchitica propaganda proverà a dire quanto tu sia stato magnanimo e di quanto oro tu abbia sprecato per ricoprire le nostre vite. Tenterai ancora di conservarti, e di rivivere clonato in quella cosa strana che è tua figlia.

Sarebbe meglio, invece, che tu ti togliessi dai coglioni in fretta e senza soffrire. Promettesti di sconfiggere il cancro in tre anni, ma il miracolo non ti riuscì. Fai ammenda, ora! Mantieni almeno questa promessa. Sconfiggiti. Sparati in bocca. Prova il piacere di avere la dignità. Sarebbe un orgasmo che anche tu – pene leso – potresti provare.

Rita Pani (APOLIDE)





11.08.2011

 

Se cade la testa di cazzo


Forse è oggi il giorno buono. Buono ovviamente per noi, per quella piccola, grande soddisfazione che ci potrebbe dare vederlo finalmente, palesemente ridicolo, umiliato da sé stesso e dalla sua megalomania di hitleriana memoria.

È stato bello – lo ammetto – sentire uno dei suoi servi apostrofarlo con un epiteto volgare, proprio come abbiamo fatto noi per tutti questi interminabili anni. “Testa di cazzo”. È stato bello, più che altro, immaginare il momento in cui una delle sue fedeli puzzole – magari quella serva di brunetta, o bonaiuti con una cravatta aragosta – gli si è avvicinato per dirgli: “Sire! Sire! Qualcuno al telefono ti ha chiamato testa di cazzo.” Immaginare il trucco del suo viso che si deformava, le orecchie che si abbassavano, gli occhi iniettati di sangue, lo scalpitare dei suoi zoccoli è stato un momento godibile, che almeno per un momento hanno ripagato le nostre lunghe attese.

Si dimetterà oggi? È difficile in questo paese anormale fare una previsione. Siamo abituati a tutto e al contrario di tutto. Quello non è un politico, non è uno statista, non è uno sano di mente e soprattutto è un piccolo ed arrogante ignorante, che non conosce il senso dello stato; a lui, semmai, lo stato fa senso. È probabile che anche dopo una bocciatura del rendiconto, lui dica: “Non mi dimetto.” Fa parte della sua malattia mentale, e toccherà a qualcuno spiegargli l’esercizio economico straordinario, e tutto quello che verrà.

D’altronde siamo di fronte a un tizio, una testa di cazzo mafiosa, che come tale si esprime confondendo le prassi istituzionali con le regole della cupola, travisando il senso dell’essere capo di governo, con l’esser capo della cosca. A quale uomo politico sarebbe mai venuto in mente di esigere di “vedere in faccia i traditori”, se non ad uno con i capelli impomatati e un abito gessato da un romanzo di Mario Puzo?

Forse sarà oggi davvero il giorno della nostra piccola soddisfazione, da godere a pieno, con un bicchiere in mano, lanciando in aria popcorn e palline al formaggio, ma … (C’è sempre un ma!)

Ma non illudiamoci che nulla possa cambiare a breve. In fin dei conti la campana per la testa di cazzo è suonata davvero quando gabriella carlucci, la ex show girl (ma anche ex girl) ha lasciato il pdl per “traslocare” nell’UDC. Il partito di Casini che si candida a governare (sic!) e che accoglie i transfughi che rappresenteranno il nuovo corso dell’Italia. E quale illusione ci potrebbe offrire un gianni letta al governo? O peggio: Rutelli potrebbe davvero essere la nostra salvezza?

Volendo essere ottimisti, al limite, potremmo godere dell’unico miglioramento possibile: passeremo dal galleggiare in un mare di merda a galleggiare in un mare di fango, ma niente di più. E ho idea che presto, la testa di cazzo riciccierà proprio come una patata da semina, magari col nome della figlia. Quel voto sì, sarà il vero banco di prova degli italiani. Solo allora potremmo capire veramente quanti siano gli italioti.

Rita Pani (APOLIDE)

11.06.2011

 

Tu dove lo hai?


Tu dove lo hai? All'utero o sulla vagina, ma anche qua – come indica una donna toccandosi una tetta. E poi che scomodi questi lettini! Certo non sono lettini, sono barelle, con la coperta rimboccata, che solo dopo, quando inizi a tremare capisci perché.
Tu dove lo hai, sostituisce tutte quelle banali regole e convenzioni a cui siamo abituati; non esiste più come ti chiami? Di dove sei o quanti anni hai. Non sono informazioni che interessino, quando prima di ogni cosa ti accomuna l' essere tutte insieme e senza mutande.
Il tempo dura più a lungo dell'ossigeno, in una stanzetta dove la quarta barella viene parcheggiata di traverso. Il tempo non passa mai, stando sedute come fantini sul cavallo, sopra quei materassi quasi cilindrici, col lenzuolo bianco, ruvido e stirato.
Il silenzio tradisce il terrore, gli sbuffi il nervosismo, e mentre la prima barella si allontana si sbuffa più forte non sapendo quanto ossigeno dovrà ancora mancare, quanto tempo dovrà ancora passare.
C'è persino chi è alla sua seconda esperienza, e anticipa gli ordini che un'ostetrica impartisce come fosse una cantilena: “Toglietevi l'oro e tutto il metallo!” Poi a me, che non ci sto a stare distesa su un fianco o coperta come se fossi malata: “Si sdrai, non stia seduta così, che se cade la dobbiamo ingessare.”
Spinta a mano arriva una nuova barella, e dopo poco la domanda è sempre quella: “Voi dove lo avete?” L'utero vince, e non si sa di chi sia la colpa. “Forse non bisogna usare gli asciugamani degli alberghi.” azzarda la mia vicina, o forse è solo colpa degli uomini, quelli che se lo sgrullano e basta. Ma qui è la suocera della barella di traverso, che non ci sta ad avere il figlio come untore: “Sono virus, come si fa a dare la colpa ad un virus?” Cura la nuora con la tenerezza delle mani tra i capelli, e le dice che vorrebbe tanto un caffè, ma che non la lascerà. “Il cancro è cancro, sono cose che capitano, e poi questa stanza è così piena. Il reparto è pieno di partorienti, tutte straniere, che i figli ormai li fanno solo quelle là.”
L'ossigeno scappa veloce e il tempo è fermo là, a cavallo della barella. Io me ne vado, dentro il mio pigiama, dentro la maglia blu del mio amore, che non ci sto nemmeno a vestirmi triste da ospedale. Lo vado a cercare, vado a vedere la gente che scivola via dietro ogni barella che esce dalla sala operatoria, una via l'altra, ogni 45 minuti. Lui mi sorride, anche quando mi piacerebbe avere in mano un arma e sparare chi si è scordato che non siamo polli in batteria, ma donne. Donne digiune. Donne che non hanno dormito la notte, che l'hanno vista passare contando i numeri su una sveglia di dieci in dieci, di minuti che si facevano ore. Donne a cui molti mesi fa, qualcuno disse: “Dobbiamo fare in fretta.” E invece siamo ancora là, terrorizzate, ad aspettare con ansia che qualcuno arrivi per portarti via.
Faccio in tempo a chiedere alla Vagina, come sta. Lei mi guarda stupita e non ha più il terrore: “Mi hanno addormentato” e arriva il mio tempo, portano via il mio tram. Mi parcheggiano dentro una stanza che odora di acre: “Manca solo l'anestesista e poi, finalmente finirà anche per te. Vedi che alla fine ti sei distesa?” mi dice l'ostetrica che ho fatto disperare. E quando finalmente arriva l'anestesista profuma di caffè.
Poi non so più. Ho dormito il tempo sufficiente per poter cancellare anche io, il terrore dal mio viso. Quel tempo che è bastato perché io potessi dire: “Lo avevo là … sull'utero anche io.”
Rita Pani (APOLIDE)

11.05.2011

 

Rivoluzionari o rimborsati

Scusate il ritardo.
Rita Pani (APOLIDE)



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