7.14.2011

 

Al sud

È che quando arrivi al sud, ti accorgi. Per l'intonaco che manca, o per quei ferri che escono dai muri delle case, e si stagliano verso il cielo. Quel cielo del sud che sembra morbido.

Poi pensi a questa Italia che sembrano tre e chiedi in giro all'uno a all'altro dei tanti perché, e la risposta alla fine è sempre la stessa: " È la gente che non va!"

Chissà, forse è anche vero, perché a tutto ci si abitua, persino a non vedere più quel che tutti i giorni guardiamo distratti, senza renderci conto nemmeno di cosa si viva, senza più porsi domande, accettando passivamente tutto quello che ci viene fatto, e facendolo un po' anche noi. A volte senza intenzione, ma solo perché tanto - ti dicono - è così che vanno le cose. Ed è proprio adagiandosi stanchi in quella vita che si fa letto, che le cose scorrono malgrado noi, e si smette di lottare.

È arrivando al sud, che mi è tornato in mente il nord, con la sua TAV e con le persone disposte a farsi massacrare e intossicare dalla Polizia, in questo stato che dimentica sé stesso, o che quel che avrebbe potuto avere in più se non ne avesse svenduto gran parte. E lo stato, si diceva una volta, ormai molto tempo fa, siamo noi.

Pensavo all'urgenza di arrivare veloci in Francia, partendo da Roma, che in fretta arrivi a Torino. Pensavo alle balle che ci hanno raccontato, di questo paese che deve correre per concorrere, trasportando non si sa bene cosa, con quei treni veloci che per farsi strada devono deturpare ancora il territorio, e rubare danaro, e foraggiare malavitosi, che questo stato lo hanno depredato, come pirati i velieri. Forse non c'è fretta di arrivare al sud, perché è bello, c'è sempre il sole, e i paesaggi cambiano non essendo mai monotoni, tra mare e deserto, tra rocce e boschi. Così bello che te lo puoi centellinare, magari, nelle dieci ore di treno che separano il sud dal resto del sud, quel tempo che ci vorrebbe per arrivare da qui a lì, all'altro mare.

Perché non ci sono nemmeno le strade, e quelle che ci sono restano intasate o bucate, che Beirut a tratti pare un paradiso. Ma in Francia, ci hanno detto, urge arrivare veloci.

L'Italia si ferma a Napoli, e non si sa ancora se sopra o sotto, quasi come se fosse quella linea fantasma, la terra di nessuno. E mi pare di sentirle le obiezioni: "Sì ma certo, c'è la mafia, e la gente alla fine - la gente - la mafia l'ha votata". Chissà, forse è anche vero, ma basta fermarsi a spostare lo sguardo da un posto che potrebbe diventare bellissimo se non ci fossimo abituati alla bruttura della vita, che ci ha avvelenato quel tanto che basta a renderci ciechi e sordi di fronte al suo agitarsi, al suo strillare. Basterebbe poco per comprendere che è un alibi che non regge più.

Basta un ministro inquisito per mafia, che dice: "No, io non mi dimetto!" e poi spiega che non è lui il criminale, ma chi lo punisce per aver salvato un governo. Quel governo che ogni giorno piange il suo caduto sotto i colpi di una magistratura anche lei colpita, invisa agli occhi dello stato che dovrebbe proteggere e tutelare. Basterebbe pensare che questo governo la mafia la impone, con la legge elettorale di stampo leghista, che l'Italia vorrebbe spostarla ancora più a nord, che è deserto sotto la Toscana o appena più in là.

Forse un giorno saremo riusciti a educare un nuovo modello di cittadino, quello che non accetterà più di lasciar scorrere la storia sempre uguale, o di peggiorarla ancora, se possibile. Uno di quelli che riuscirà a vedere quanta bellezza ci sia, sepolta dietro l'orrore delle ricchezze che abbiamo contribuito a sperperare.

Rita Pani (APOLIDE)

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