3.21.2012
Piccole donne schiave del futuro
Ho
sul comò un paio di scarpe col tacco da dodici che dovrò domare al più presto. Ci
provo, ma s’imbizzarriscono ancora. In fondo mia madre me lo diceva quando
iniziai a girare con le clark in estate come in inverno, che prima o poi mi
sarebbe servito somigliare a una donna. Che una volta ogni tanto avrei potuto
mettere qualcosa di diverso ai piedi, anche quando ancora portavo quelle
minigonne inguinali che lasciavano intravedere le tonsille.
Poi
il tempo è passato, e le scarpe comode sono diventate una religione, quel
simbolo di libertà che dà il sapere di poter stare sempre in piedi, di non
oscillare mai, di reggersi e non cadere.
Bisogna
educare le figlie ad essere donne, sì. A mostrare l’eleganza della femminilità.
A stare sedute per bene, con la schiena dritta e le gambe oblique. A tenersi e
mantenersi perché non si sa mai. Una volta una donna anziana mi disse che era
importante la pelliccia per una donna. Era come se desse agli occhi di chi
guarda, un tono d’importanza. Lì per lì restai perplessa, ma oggi riconosco il
senso di quelle parole. Essere dimessi ti rende nulla dinnanzi a questo mondo
incapace di guardare oltre l’apparenza. Una pelliccia di buona fattura dirà
assai più di un curriculum, dell’educazione e del rispetto. Se indossi qualche
migliaia di euro di animali morti, difficilmente sembrerai essere stata l’ultima
della fila.
Il
mondo cambia e bisogna attrezzarsi in fretta per stare al passo con l’evoluzione.
Il mondo cambia e dobbiamo liberarci dalle sovrastrutture che ci portiamo
appresso. Mie figlie sono ormai adulte, e io mi rammarico per la mia stupidità.
Quando avevano qualche anno, mi ricordo, le portavo a passeggio dopo che aveva
piovuto: “Topolino, andiamo a schiacciare le pozzanghere?” Stupida che ero! Mi
bastavano i loro occhioni che s’illuminavano e la frenesia con la quale
volevano indossare i loro giubbottini colorati. Poi si saltellava, schiacciando
forte l’acqua che schizzava il fango sull’orlo dei pantaloni.
Continuo
a dire a mia figlia di impegnarsi nello studio – so che non le servirà a nulla
e che sarebbe meglio dimenticasse le idiozie che le insegnano – ma è il senso
di responsabilità, le dico, che è importante. Quel senso del dovere col quale
si assolvono i compiti che la vita ci impone. Le spiego che il mondo non è più
un bel posto in cui vivere e che per forza di cose dovrà un giorno impegnarsi a
migliorarlo, quando le sarà dato partecipare attivamente al volgere del tempo. Le
dico un sacco di cazzate. Due figlie, due donne. Che bellezza e che fortuna. Quando
finiva un amore, parlare con loro del loro dolore, a volte della loro fortuna,
e poi il meglio che una mamma possa fare: chiacchierare della dignità. Gioire
quando una delle proprie figlie, dimostrava di sapere esattamente cosa volesse
dire essere donna e distinguersi per questo, col proprio orgoglio, con la
fermezza, con la forza che una donna deve assolutamente avere, in questo mondo
maschio e ottuso che sbatte le porte in faccia quando non può sollevare le
gonne.
Perdonatemi,
figlie mie. Perdonate tutte le cazzate che vi ho insegnato.
C’è
sempre chi è più avanti in questo mondo, c’è sempre chi vede meglio e chi
meglio sa. Non è più mondo in cui si debba insegnare a essere. Non è mondo che
possa vivere d’essenze. Non è un mondo capace di guardare negli occhi l’anima
di una persona che ti parla, che ti tocca senza mai sfiorarti. Non è mondo in
cui ci si possa riconoscere e annusare. Meglio insegnare tutta la lordura e
subito, in modo che le figlie crescano senza inganni.
Solo
sei euro per una passata di smalto sulle unghie della tua bambina di quattro
anni. Tre euro per un po’ di trucco. Una maschera allo yogurt per il viso della
tua bambina di cinque. Il lunedì catechismo, il martedì palestra, il mercoledì
danza, il giovedì salone di bellezza, il venerdì ancora danza, che magari prima
o poi andrai in televisione.
Questo
è il mondo che verrà, perché è un mondo che continuerà a centrifugare l’umanità
girando al contrario. Nessuna madre rischierà di vedersi sottrarre le figlie
dagli assistenti sociali, uscendo dal salone di bellezza per bambine. I figli
si portano via ai poveri, mica ai deficienti. Chissà se la donna che si è
inventata la fabbrica di mostri è stata una di quelle che mandò la sua foto a
Repubblica, quando le donne sentirono l’urgenza di rivendicare la propria
dignità in piazza, contro il sistema che le promuoveva solo dopo averle
utilizzate – finalmente.
Mi
vien da ridere, lo ammetto. Un riso disgustoso. Non bastava aver sputato sopra
le lotte operaie e i cadaveri che hanno lasciato per terra a garantirci un
futuro, ora è tempo di fare i conti anche con quelle povere idiote che al tempo
presero le manganellate per garantire l’emancipazione femminile … e mi fermo,
perché ci sarebbero altre considerazioni da fare, pensando alle santanché e
alle loro battaglie antiburqa o alla liberazione della donna dallo schiavismo musulmano.
Come
gliela spieghi – a queste dementi – la schiavitù della donna al quale si insegna
che la donna deve essere schiava prima di sé stessa, per poter finalmente
essere schiava di un sistema dominato dall’aberrazione mentale?
Difficile.
Nemmeno ci provo.
Rita
Pani (APOLIDE)
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stessi contenuti, stessi atteggiamenti, ma con tre figli maschi con cui schiacciare pozzanghere! :-)
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