5.10.2011

 

Dalla padania più profonda

Ci sono, son qua, ancora in giro per le tante Italie, che d'Italia ne fa una sola, ricca di bellezze naturale, impoverita dallo sfregio del cemento, arricchita dall'umanità, devastata dall'italianità.
Leggo ora, non so più se per disgrazia o per fortuna i titoli roboanti dei nostri giornali inconcludenti, con un sorriso svogliato, e il dispiacere di aver ceduto alla inguaribile tentazione di sapere.
Sapere cosa?

Che i pm sono cancro o metastasi, che per fortuna c'è lui, perché la sinistra ci avrebbe reso tutti meno liberi, e chi lo sa, magari anche più poveri. Mi viene il sospetto che non volesse poi mentire quando promise che entro quest'anno ci avrebbe liberato dal cancro; forse diceva il vero, perché sì, il suo cancro l'ha debellato: la magistratura.

Ora mi trovo nella padania più profonda, in una terra che non esiste nemmeno nel cuore delle persone che sto incontrando, con le quali sto parlando, che non sono né leghiste, né fasciste, né democratiche né comuniste. Semplicemente non sono, essendo piene di stereotipi assorbiti nel tempo, che non hanno mai né digerito, né metabolizzato. Le ascolto, a tratti divertita, perché so che non servirebbe a nulla interrompere il loro divagare e far notare che tutto o il contrario di tutto, non fa un'opinione. Sorrido a frasi come “per fortuna là non ci sono i cinesi”, o resto basita di fronte ai giri forsennati di parole che tornano sempre là: “ma io che ci posso fare? Non sta a me salvare il mondo”. Quasi per forza d'inerzia si prova a ricordare che del mondo siamo tutti appartenenti, ma che il mondo non ci appartiene, ma poi desisto, perché so che certe teste son come campi incolti, che sono state arate da anni e anni di spettri prospettati, in altre frasi ancora, sempre le stesse: “la sinistra ci avrebbe tolto la libertà … questo non si può perché ci porterebbe tutti i clandestini del mondo.”

E torniamo al cancro e al suo malato, l'unico però che non soffre e sta bene, che può curarsi della sua malattia, senza chemio, senza perdere i capelli, senza vomitare l'anima, sapendo di non morire. Quell'essere sempre più immondo, ormai convinto della sua supremazia e della sua impunità: lui può offendere chiunque, dal malato di cancro – quello vero – alle istituzioni, senza pagarne lo scotto, perché su una cosa certamente può dichiararsi vincitore: essere riuscito a spianare le teste degli italioti, che chissà di quale pace avranno fantasticato, leggendo un altro titolo di giornale, che pressapoco recitava così: “bombardato il bunker di Gheddafi, non sappiamo se è morto …”

Qua mi fermo, perché passavo per caso, rapidamente, approfittando di una connessione, per dirvi che sto bene, e che domani dirigerò verso Torino che per qualche giorno diventerà la capitale della cultura. Proverò a raccontarvela quotidianamente, proverò a dirvi se davvero, almeno di quella, ne è rimasta un po'.

Rita Pani (APOLIDE)

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