12.18.2010
Così impara che le botte fanno male
Continuano a ripropormi in diverse sedi e formati digitali, le immagini di un violento ministro fascista della Repubblica non democratica. Dicono che devo guardarlo per comprenderne gli istinti, l’arroganza fascista e provare così anche io lo schifo. Non l’ho visto e non intendo vederlo, perché nulla di più o nulla di meno, potrebbe farmi cambiare opinione su la russa, sui fascisti, e purtroppo persino su questo popolo martoriato dal fascismo che non è nemmeno in grado di riconosce, se non dopo accurata visione su youtube.
Non c’è bisogno di guardare quell’altro ministro, fascista con l’aggravante di non sentirsi nemmeno italiano, che però della Repubblica italiana ha contribuito a farne il ridicolo paese che è diventato. Il ministro dell’interno si è stufato di dire “bombe carta” e quindi le chiamerà semplicemente bombe, ha detto in Parlamento.
Questo è lo schifo istituzionale al quale non mi abituerò mai, e per il quale do la responsabilità a quel tizio che per garantirsi la facilità di movimento fuori da ogni regola civile e democratica, ha di fatto ceduto la democrazia e la libertà dell’Italia alla feccia fascista che lo asseconda nel non governare, e nella continua razzia.
Lo schifo del popolo è nei commenti alla notizia di un quindicenne massacrato per strada, durante la manifestazione del 14 Dicembre scorso, nella quale è dimostrato non solo che ci sono stati infiltrati delle forze dell’ordine, che nella peggiore delle tradizioni lasciate in eredità da kossiga, ha provocato la violenza e gli scontri, ma peggio gli infiltrati fascisti, la cui partecipazione – non mi stupirebbe – non farebbe sbraitare o inorridire la russa, che allo stesso modo si comportò durante tutta la sua militanza politica, prima di ricrearsi una verginità sotto l’egida di un mafioso a cui sembra aver venduto l’anima.
I commenti, in maggioranza, sembrano essere stati veicolati dal pensiero unico imposto dalla peggior stampa di regime, e vanno dal “almeno ha imparato cosa sono le botte”, al “almeno i genitori imparano a tenerselo a casa a quindici anni”. Sono sicura che molti di questi nostri illustri connazionali, presi uno per uno, siano quelli non disposti alla violenza, quelli pacifici, e quelli che hanno abbastanza danaro per mandare i figli propri a studiare dai gesuiti o a tenerli in casa a rincoglionirsi di televisione e giochi di ruolo a pagamento sul pc. È, ne sono certa, lo stesso popolo che invoca le urne per la speranza del cambiamento, o quelli del tanto son tutti uguali e che me ne frega a me della politica – la cosa sporca per antonomasia.
Un popolo che ha cordato che la democrazia, la libertà e la civiltà prevedono i diritti. Il diritto anche al dissenso. Persino la nostra Costituzione lo prevede, ma si sa, la Costituzione italiana è percepita come oggetto misterioso dai più, o come una cosa ormai vecchia nata da padri comunisti. La democrazia è dissentire, la democrazia è lottare e combattere contro ciò che è ingiusto, la democrazia era quella cosa nella quale non era un reato fare politica, ma in cui sarebbe stato reato essere palesemente un mafioso e costituire un governo di corrotti da un corruttore professionista.
Chi non sente i propri figli in pericolo, perché un ragazzo di quindici anni rischia la vita, perché massacrato da un carabiniere o da un fascista probabilmente non si accorgerà di ciò che diciassette anni di barbarie berlusconiana ha potuto creare in Italia, e non si accorgerà nemmeno, al prossimo morto innocente, che di quella morte ha responsabilità. Quelli che oggi dicono “così impara” sono quelli che non hanno imparato. Sono quello che hanno trasformato la loro colpevole complicità nella più comoda ignavia.
Rita Pani (APOLIDE)
Il suo lungo discorso chiudeva appunto così:
Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c'è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l'attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
Alberto
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