7.21.2010
Di povertà in povertà
Di povertà in povertà, si fa grande questo paese. Una volta si era tutti, prima di tutto proletari, nel senso che si facevano i figli come risorse. Erano buoni almeno, da grandi, a zappare la terra. Ora se hai un reddito di 500 euro al mese e trovi un giudice coscienzioso, nel profondo nord, il figlio che fai te lo portano via, senza nemmeno fartelo vedere. E lo fanno per te, per il tuo bene.
È uno stato coscienzioso il nostro, governato da un tizio pater familias che tutto pensa in nostra funzione, dalle intercettazioni telefoniche a la messa al bando della legalità, dall’abolizione delle tasse di successione, alla cancellazione dell’ICI. Tutto per noi. La devastazione dei diritti dei lavoratori, per permetterci di essere liberi di lavorare tutti di più, nella logica della leale concorrenza, del miglior offerente. Una volta si chiamavano marchette quelle che alla fine avrebbero fruttato la pensione. Oggi la marchetta la fai per lavorare, o lavori facendo marchette in schiavitù.
I malati di SLA minacciano di lasciarsi morire di fame, in questo stato che ha privato persino i disabili dei pochi diritti acquisiti con battaglie per la civiltà. E non lo sanno i malati di SLA, che l’Italia non permette di morire di fame? Non ricordano la povera Eluana Englaro, morta diciasette anni prima, che ricevette in dono da un popolo reso coscienzioso dal tizio suo padre, un considerevole numero di panini alla mortadella, e mille e mille bottigliette d’acqua? No, l’Italia non ci permetterà mai di morire di fame, ci offrirà sempre montagne di rifiuti presso i quali rovistare, o un sondino naso gastrico.
Ci vogliono bene, e quindi meno tasse per tutti. Anzi come ha detto quella cosa buffa di ministro: “nuove tasse sarebbero state un suicidio.” Ha anche detto che per la prima volta hanno toccato anche i “papaveri”, e io ci credo perché in effetti hanno l’aria di averne inalati parecchi. Nel giro di tre giorni sono lievitati i prezzi dei supermercati, tutto è aumentato in media di 50 centesimi, ma va bene così perché non sono tasse. I pedaggi autostradali, per esempio, il tabacco in busta (quello dei poveri), e tutto il resto non sono tasse. Tasse è così comunista come termine, che prima o poi dovrà essere sostituito da un neologismo più consono alla destra italiota.
Protestano tutti, dagli operai ai poliziotti, dai malati ai medici, dagli studenti ai docenti, dagli enti parco alle regioni. E che sarà mai? Il popolo ha sempre da protestare, lo dice la storia che non è mai contento. L’importante è non ascoltare, o non farlo sapere troppo in giro. Non porsi domande.
La povertà che genera povertà. Questa è l’Italia nella quale anche io continuo a dimenarmi, tra la rabbia che sale e molta cinica ilarità, guardandomi in giro tra simili, che sono convinti ancora che possa esserci una speranza dietro un annuncio di lavoro che recita: “dai 18 ai 60, no automunito, no titoli …” E mi pare normale, a fare volantinaggio per i supermercati, ci si va a piedi e anche sotto il sole. E ai giorni nostri, in questa Italia che riprende la sua economia, e che ruba i figli alle madri povere, e che lascia morire i suoi malati, i volantini delle offerte sono fondamentali.
Rita Pani (APOLIDE spot)
PS
Tutto sommato ancora R-Esisto ;-)
Spero di si, perche' e' importante.
E' importante non smettere mai di crederci.
E' importante non smettere mai di lottare.
E' importante essere sempre noi stessi.
E' importante anche saper accettare le mani tese da parte di chi ti vuole bene.
La mia nuova signature:
Mr. Gandhi, cosa ne pensa della civiltà occidentale? - Sarebbe un'ottima idea! ( intervista al Mahatma Gandhi )
Greetings
JOKER Ltd.
Risponderò Carlo... piano piano ;-)
L'Italia è piena, pienissima di microrealtà eccezionali, rivoluzionarie, ma mi sembra abbiano tutte sempre lo stesso limite, il recinto. Ad un certo punto sempre, sempre c'è un confine, un burrone, un filo, seppur sottile sottile che interrompe, isola, aliena.
Manca qualcosa.
Vogliamo il cambio, ma come lo vogliamo? Cosa vogliamo? Cosa stiamo chiedendo? Qualsiasi cosa sia non la stiamo chiedendo bene, quando la domanda è chiara, unica, forte, sintetica, la risposta arriva. Sappiamo esattamente a cosa siamo pronti a rinunciare? Sappiamo esattamente qual è la nostra priorità? Riusciamo ad elaborare una critica forte, lucida, priva di anacronismi? priva di evocazioni storico-ideologiche che hanno funzionato in un tempo ed in un luogo preciso? Siamo pronti, vogliamo davvero impegnarci a partorire qualcosa di nostro? Ridare un contenuto alla parola autonomia?
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