4.08.2010
Federalismo fiscale (Italian Style)
Mi dispiace per i lavoratori della Vinyls di Portotorres, finalmente visibili all’Italia per mezzo della televisione. Ho provato a fare uno strappo alla regola e guardare Anno Zero, ma non ho potuto. Quando di fronte alla tragedia creata dall’ingordigia dei potenti e dalla loro incapacità, che porta la gente a scegliere di uccidersi, un tizio che fa il ministro per l’economia, dice che certi accadimenti, sono “commoventi” ma anche importanti per spiegare la forza del paese, si può restare indifferenti. Io non ci riesco, e preferisco smetterei ascoltare per non lasciarmi andare a pensieri insostenibili, come per esempio impacchettarli tutti, e farli morire di stenti mentre zappano la terra arida di un sud qualunque. Che poi mi chiedo perché non gli sia stato chiesto di definire meglio il concetto di “famiglia” che regge l’economia dello stato. (I figli che fanno la fame succhiano le pensioni dei padri)
Chiacchiere e chiacchiere, come se si stesse al bar a discutere di cazzate con la stessa tenacia con la quale si discute dei massimi sistemi, per scoprire poi (leggo le agenzie in tempo reale) che il federalismo fiscale sarà attuato da qui a dieci anni. Non è tanto rispetto alle normali transizioni italiane, ma è troppo rispetto a una realtà che comunque si vuole continuare ad ignorare. Sappiamo bene che la parola “federalismo” in Italia è solo una parola, e forse ci scordiamo che da tempo è già in atto. Lo sa meglio di me, per esempio, un pensionato o un dipendente qualunque che quest’anno ha scoperto col CUD di essere stato rapinato di somme ingenti, grazie all’addizionale IRPEF a favore delle regioni, che in sintesi sarebbero le tasse che aumentano a dismisura localmente, lasciando la libertà al tizio re di dire ogni volta che può che lui, le tasse, non le ha aumentate.
Non mi interessa più incazzarmi ascoltando per l’ennesima volta tutte le idiozie che ormai propinano da anni, nemmeno se lo fanno in una cornice che dovrebbe dare loro una parvenza di serietà. Il punto centrale è la gente che muore, o perché il lavoro non lo ha, o perché invece lo ha, ma la logica del profitto stabilisce che una vita umana è sacrificabile in nome del danaro – poco da dare in cambio rispetto a quello che si può mettere in tasca.
E se non basta vedere un uomo che piange perché non sa come campare la famiglia, per far alzare i toni della (protesta) discussione, e se non basta sapere che la gente si impicca, allora decisamente non serve che si ritorni ad ascoltare un cretino, così bravo a far da commercialista mago agli evasori fiscali, da essersi meritato la seggiola da ministro per l’economia. Perché forse non tutti sanno che, questo era il compito del mago tremonti: imbrogliare il fisco camminando sul bordo della legalità.
Rita Pani (APOLIDE)
Mietta
Jozsef Bocz
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