5.25.2008

 

Un altro giro d'Alzheimer

Lo so, devo operarmi al ginocchio. Me lo dice ogni volta il dottore, prima che io lasci il posto a qualche vecchietto, che attende di sollazzarsi, facendosi stringere il braccio dal manicotto dello sfigmomanometro.

Ma chissà, forse perché ultimamente di vecchietti ne sento e ne vedo tanti, che terrò il ginocchio così com’è, solo per farmi ridestare da quel dolore acuto, che a volte con la sua presenza, mi ricorda la postilla, che della vita sto ancora scrivendo.

Quando l’autore mette quell’ultimo punto, che lo esorta a lasciar andare un sospiro, tutto ciò che viene dopo è un post scriptum, al massimo una postilla, che resterà più piccola e meno attraente del ricamo originale.

Chissà, forse guardando Quinta ho capito che io vecchia non ci diventerò mai, e non perché mi dia il rosso dell’henné sui capelli, ma per il ginocchio che non opererò, magari fingendo che sia un vezzo, quello di zoppicare un po’ dopo che faccio le scale, o un movimento che avevo scordato di non poter fare più.

La Quinta sembra avere 100 anni, e ancora cammina. Quinta vive un attimo al giorno, quando giocosa passa una mano sul mio corpo botticelliano, e mi dice con candore: “Quanto sei bella, e che begli occhi che hai, mi ricordi me quando facevo la puttana.”

Poi scappa via, correndo ferma nelle sue ciabatte, e sollevandosi le gonne, mostrando una calza rossa e l’altra verde, il sedere e qualcosa di più ad altre donne che la ingiuriano, a uomini che ridono ed altri rattristati dalla loro realtà.

E se il ginocchio mi assiste ci provo a rincorrere Quinta, forse solo per assicurarmi che non si faccia male, o per assicurarmi che non stia piangendo, proprio come vorrei fare io, che sforzo un sorriso fino a farmi male, proprio come il ginocchio.

E piange spesso Quinta, quando si avvicina mezzogiorno e io devo andare. Torna da me, e non ha le ciabatte; il rosso e il verde delle calze fanno tenerezza così violenti sotto il marrone della sua gonna.

“E’ quasi cena, bel ragazzo, portami a casa che mamma mi aspetta.”

“Non so la strada, Quinta, mi perderei, e presto fa buio lassù sul monte.”

“Abito là, dove Serafino riporta le vacche, dove c’è il grano alto e se mi alzo la gonna mi da 5 soldi. Ma che tu sei donna pure tu? E come ti chiami? Che bella che sei…”

E ricomincia il giro, un giro d’Alzheimer.

Rita Pani


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