7.11.2007

 

Riflessioni personali.

È una di quelle giornate apatiche ed indecise, nelle quali cominci dieci cose e non ne porti nemmeno una a termine, così vado e vengo dalla stanza, e ad ogni tappa mi giro una sigaretta e leggo una cosa. Penso.
Il Parlamento, a suo tempo, fece una colletta per aiutare la vedova di Adjmal Nashqbandi. Ad oggi, i fondi raccolti non sono ancora stati destinati, perché, fanno sapere, non è prudente consegnare danaro contante ad una donna afghana. La guerra di liberazione dal burqua, quindi non ha sortito l'effetto sperato, ma solo migliaia di morti, per la gran parte innocenti.
Comprensibile che ci si scateni in demagogiche, sagge e banali considerazioni; la condizione della donna, vale almeno quanto quella dei giovani. È un cavallo di gran razza da cavalcare con orgoglio.
Pensavo a quanto sia vicino l'Afghanistan nelle nostre vite di tutti i giorni, nella mia vita di tutti i giorni, e di quanto lontana sia la volontà di civilizzazione del nostro paese.
Io ho vissuto il mio Afghanistan per più di quattro anni consecutivamente, pur avendo un conto in banca cointestato, mi è stato impedito di maneggiare danaro – bastò far sparire la carta bancomat dal mio portafogli-; vivevo in un posto non servito da mezzi pubblici (che avrei potuto prendere solo non pagando il biglietto, non avendo soldi in tasca) e impedendomi di fatto l'uso dell'auto, posso dire d'essere stata tenuta prigioniera per parecchio tempo, confinata in un cortile dove l'unico tocco di gentilezza dalla vita, l'avevo dalle mie rose e dal mio povero cane (in seguito fattomi sparire... è scappato, si dice). Poi le vessazioni vissute a causa della gretta meschinità dell'uomo le lascio alla vostra immaginazione. Il mio Afghanistan si concluse un'estate di qualche anno fa, con la mano di un uomo sul mio collo, spinta contro il muro, e sotto lo sguardo terrorizzato di mia figlia, alla quale risparmiai il peggio, costringendomi a non dar sfogo alla terribile voglia di reagire. Lasciai che tutto si esaurisse così, com'era iniziato. Mi ricomposi, e credendo d'essere cittadina di un mondo evoluto a passi stanchi e quell'orribile voglia di uccidere nelle mani, mi recai dai carabinieri. “Torni domani, il maresciallo non c'è... Ma poi che sarà mai? Una lite? Farete pace.”
Tornai l'indomani... “Sì, è sicura di voler fare l'esposto? E dopo? Cosa crede che accadrà; guardi ci ripensi...”
Nel nostro Afghanistan, la condizione della donna è un problema sentito, soprattutto dalle donne, perché noi donne italoafghane siamo solidali e civili. Non è vero, ma è bello dirlo, no?
Chiesi alla mia amica e vicina di casa, capace di comprendere che mi ero svegliata dal rumore dello sciacquone del water, perché non avesse fatto nulla, perché sentendo le urla della mia bambina non avesse chiamato i carabinieri... Mi rispose con la solidarietà che solo una donna, può avere per un'altra donna... “Mi faccio gli affari miei...”
Io non abito più in Afghanistan, e mi hanno raccontato che qualche giorno fa, quella donna è stata aggredita dal suo compagno in casa. È riuscita a scappare in giardino dove ha urlato e urlato, dentro le orecchie nascoste dei vicini curiosi, acquattati dietro le finestre, i muretti di recinzione, intenti tutti a “farsi i propri affari”.
Anche lei è andata dai carabinieri a sporgere denuncia. Anche a lei è stata chiusa la porta in faccia: “Ci ripensi, torni domani...”

Rita Pani (APOLIDE)

PS

Forse è troppo personale per il mio blog, è solo che a volte è bene far capire che la mia teoria nasce dalla pratica.


Comments:
ancora una volta le nostre parole valgono poco rispetto alle tue...
Da questa poco calda estate (almeno qua da me)... un caldo abbraccio
 
Grazie, e se ti può consolare non fa caldissimo nemmeno qua. :-)
 
http://www.veoh.com/videos/v408942FA4ctad2

http://www.veoh.com/videos/v717161C4Pa9bHN

Le parole a volte non hanno senso.
Le sensazioni sì.
 
Posta un commento

<< Home

This page is powered by Blogger. Isn't yours?