3.15.2006

 

Welcome to the jungle


Stando ai rilevamenti della sonda spaziale Cassini, lanciata nel 1997, ci sono delle probabilità che su una luna di Saturno ci sia acqua. Da quando si è rotto lo scarico della doccia, anche sul pavimento del mio bagno c’è acqua. Solo che l’idraulico costa molto più di un vettore spaziale e, nonostante questo, una volta chiamato solitamente gli ci vogliono più di nove anni per giungere a destinazione.
Lo so, il mio rapporto con la tecnologia è sempre più conflittuale e, come se non bastasse, ogni giorno assisto incapace di reagire al deterioramento di questa condizione. Sento la fatica di vivere una vita di cui sono un ingranaggio del quale si ignora la funzione. Tipo quelle piccole rotelle dentate, per capirci, che avanzano dopo aver rimontato un meccanismo che però, malgrado la carenza, continua a funzionare.
Forse è solo il peso della consapevolezza di non riuscire più a comprendere, non dico i massimi sistemi, ma neppure le banalità quotidiane. Il che è abbastanza avvilente, anche per uno che non ha la pretesa di essere un genio.
Rotelle dentate a parte, mi sorprendo spesso a osservare tutti quei ragazzetti che vestono quegli strani jeans che tanto vanno di moda da qualche tempo in qua. Strani al punto che non capisco bene se siano i pantaloni a essere a vita bassa o piuttosto non sia chi li indossa, ad avere il culo altissimo. Fatto sta che mi sfugge l’utilità e la praticità delle tasche posteriori ad altezza di calcagno. A meno di non esser seduti. L’unica spiegazione logica che riesco a elaborare è che, evidentemente, sto invecchiando più rapidamente di quanto non sospettassi.
Una prova di questo potrebbe essere la mia inadeguatezza rispetto all’evoluzione del telefono: provo nostalgia del disco selezionatore dei vecchi apparecchi in bachelite nera mentre gli ultramoderni Cellucinefotopalmativvupodstation non riescono a suscitare in me il minimo interesse. Invano mi sforzo di capire perché, tali apparecchiature, rivestano per alcuni la stessa importanza vitale di un by-pass al cuore. Questo, non so come, ma contribuisce ad aumentare i miei sensi di colpa.
Tra le altre cose che meritano di essere classificate nella mia esclusiva categoria delle stranezze, ritengo sia da annoverare il labile confine che separa l’intelligenza artificiale dalla stupidità naturale. Mi capita di constatare ciò in maniera occasionale, generalmente seguendo trasmissioni televisive o nell’ascolto fortuito di conversazioni fra terzi. Oppure, ancora, quando sento qualche politico accusato, ostentare il facciaculismo più sfrontato per difendersi dalle imputazioni: “Solo fango su di me”. Ma come: sei un grosso sacco di letame e ti stai a preoccupare per gli schizzi di fango? E’ allora che non mi resta che prendere atto di un fattore incontrovertibile: adesso le macchine hanno il cervello, mentre i corpi umani hanno il silicone. Ho pertanto formulato la teoria secondo cui macchine e uomini soggiacciono a una bizzarra legge di compensazione che interviene, nell’interazione tra le due entità, a mantenere stabili le quantità di intelligenza e plastica dosandone sapientemente le percentuali.
La prova di questa teoria è abbondantemente corroborata dall’assioma del grande matematico e filosofo finlandese Minkia Kekkulo: “Da sempre, la necessità fondamentale che l’umanità ostenta, è l’urgenza insopprimibile di una guerra”.

dirtyboots

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