2.17.2006

 

500 mila pagine per un corruttore

I fondi neri di Silvio

Sono centinaia di miliardi di lire. Creati con una serie di passaggi nell'acquisto di film per Mediaset. E finiti in società off shore del Cavaliere. Come si legge nelle 500 mila pagine dell'inchiesta
di Peter Gomez e Leo Sisti


Luglio 1994. Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio da maggio, si gode Palazzo Chigi, conquistato in poco più di quattro mesi, un record. Ha i suoi guai, è vero, i magistrati del pool milanese di Mani pulite stanno mettendo sotto tiro il fratello Paolo e alcuni uomini di spicco della Finivest. Ma lui se ne cura fino a un certo punto, tutto preso com'è, tra i nuovi impegni pubblici e i problemi personali che premono. Proprio in quel mese il Cavaliere insiste infatti nel voler creare un blind trust, ovvero, alla lettera, un fondo cieco, sulla falsariga dei trust americani, dove infilare il suo patrimonio: così, per distinguere in modo netto le sue proprietà e abbracciare il nuovo mestiere di politico. È quello, infatti, il momento della grande discussione sul conflitto d'interessi. Un inutile bla-bla. Perché, proprio in quei caldi giorni dell'estate di 11 anni fa, un fiduciario del neo presidente del Consiglio trasferisce conti intestati a due società, costituite nel 1990 nel lontano paradiso fiscale delle British Virgin Islands, dalla Svizzera alle Bahamas. Protagonista della manovra: Paolo Del Bue, azionista della banca ticinese Arner, che dal 1992 fino, appunto, al luglio 1994, ha prelevato 103 miliardi di lire in contanti, stipati in capaci valigie, da un istituto di credito di
Lugano dove erano parcheggiati presso misteriose entità caraibiche, la Century One e la Universal One.
Solo oggi sappiamo chi si nasconde al loro riparo, i figli della prima moglie di Berlusconi: Marina Berlusconi, oggi vicepresidente della Fininvest e presidente della Mondadori, si cela dietro la Century One, mentre il fratello Piersilvio, attuale vicepresidente di Mediaset,dietro la Universal One. Il rapporto tra i due figli di Silvio Berlusconi e le due società anonime emerge negli ultimi giorni di febbraio, dopo la chiusura dell'indagine della Procura di Milano che prelude a un nuovo possibile processo per Silvio Berlusconi, per il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, per illustri professionisti e anonimi comprimari. Quasi tutti accomunati dall'accusa di aver sottratto alle casse di Mediaset, quotata in Borsa dal 1996, qualcosa come 280-285 milioni di euro, 542-550 miliardi di vecchie lire (per Confalonieri c'è solo il falso in bilancio). Tutti fondi neri accumulati dai primi anni Novanta fino al 1999 con un meccanismo ben oliato.
Berlusconi ha bisogno di film per Canale 5, Rete 4 e Italia 1? Entrano in scena i suoi fedelissimi. Come Giorgio Vanoni, responsabile per della Fininvest. Come Carlo Bernasconi, ex responsabile della Silvio Berlusconi Communications, morto nel 2001. O come Daniele Lorenzano, distaccato a Los Angeles, la città del cinema. Ma sono anche altri a darsi da fare: quelli che vengono definiti di volta in volta soci occulti del Cavaliere. Ad esempio, Frank Agrama, produttore di origine egiziana, di base in California, dopo trascorsi romani. Oppure veri e prori prestanomi: ad esempio, solerti funzionari della famosa Arner Bank di Paolo Del Bue e un italiano che ha fatto fortuna a Montecarlo, Erminio Giraudi.
I diritti televisivi per le pellicole made in Hollywood della Paramount, della Century Fox o della Universal vengono acquistati dalla Principal Network Ltd, anch'essa con sede nelle British Virgin Islands, che non compare nei bilanci ufficiali della Fininvest. Poi, a cascata, sono rivenduti (vedere grafico a pag. 35) ad altre società, con sede nei Caraibi e a Malta. Un lungo tragitto che si conclude finalmente in Italia, a Mediaset. Solo che alla fine di questo percorso tortuoso i costi schizzano verso l'alto, gonfiati a dismisura passaggio dopo passaggio. Con una tecnica sopraffina. Ecco allora che un contratto iniziale, definito 'master,' della durata di cinque anni, viene frazionato in tanti subcontratti, quasi sempre del doppio rispetto al prezzo sborsato alle majors di Hollywood. Nei bilanci ufficiali Fininvest, invece, viene annotato il prezzo maggiorato da ogni passaggio. Che consente di creare, presso le società costituite nei paesi dove il fisco è più o meno inesistente, i fondi neri che oggi valgono al primo ministro Berlusconi l'accusa di appropriazione indebita, falso in bilancio e frode per tasse evase pari alla bellezza di 126 miliardi, sempre di vecchie lire.
C'è una gola profonda nel dossier che i pm di Milano Alfredo Robledo e Fabio De Pasquale porteranno all'esame del gip perché valuti se c'è materia per condurre alla sbarra Silvio Berlusconi e i suoi. Si chiama David Mills, ed è un prestigioso avvocato di Londra. Fa parte dell'inner circle della City. È di casa a Downing Street, la residenza del primo ministro britannico. Sua moglie, Tessa Jowell, è ministro della Cultura di Tony Blair. Ed è lui, David Mills, l'uomo che ha messo a disposizione di Berlusconi tutto il suo expertise societario. Curando, come si legge nelle 21 pagine dell'atto di incriminazione nei suoi confronti, "la sottoscrizione di fittizi contratti di compravendita di diritti di trasmissione tra società occultamente (Principal Network, Century One, Universal One) ovvero ufficialmente (Principal Communications, Principal Network Communications) appartenenti al gruppo Fininvest".
L'avvocato Mills, che si esprime in un perfetto italiano, nella seconda metà degli anni Ottanta entra in contatto con la Fininvest dopo aver conosciuto Massimo Maria Berruti. È quell'ex ufficiale della Guardia di Finanza che dopo aver fatto le verifiche fiscali alle imprese edilizie di Berlusconi ha poi gettato la divisa alle ortiche passando alle sue dipendenze come legale. E che oggi siede sui banchi del Parlamento come deputato di Forza Italia e vanta una condanna definitiva a otto mesi per una vecchia storia dell'epoca di Mani Pulite. L'avvocato Mills entra subito in sintonia con Berruti, che cerca consulenze fiscali e, tramite lui, con altri manager della Fininvest, da Livio Gironi a Giancarlo Foscale (è un cugino del Cavaliere). Poi il legale inglese incontra anche Silvio Berlusconi. È lui stesso ad ammetterlo in un drammatico interrogatorio, a Milano, il 18 luglio 2004. Dieci ore di tormento e di esplosive confessioni. Era già stato sentito in precedenza parecchie volte, ma quasi sempre in patria, a Londra, consegnando agli investigatori dichiarazioni sempre molto soft. Ma quando l'anno scorso, nell'interrogatorio in Italia, gli
vengono sottoposte carte provenienti da varie parti del mondo, apre il libro dei suoi ricordi più intimi di attorney della Corona britannica al servizio degli italiani.
Dova ha visto Berlusconi? "In quella che credo fosse la sua casa di Milano, all'epoca. Una villa con bellissimo giardino e una biblioteca su due piani, in legno, con un mezzanino". Facile indovinare. È la palazzina milanese di via Rovani, allora sede della Fininvest. Ancora Mills: "In quell'occasione Gironi mi disse che bisognava fare un'operazione che riguardava il patrimonio privato della famiglia Berlusconi". In che modo? Destinandone una parte "ai figli del primo matrimonio... con una struttura legale a loro tutela". Una struttura che doveva rimanere "riservata". Per una semplice ragione: "L'idea era di costruire due veicoli societari che dovevano fare trading sui diritti (televisivi, ndr) e quindi ottenere dei profitti, a beneficio di Marina e Piersilvio Berlusconi". Senza che tutto questo risultasse.
La genesi di Century One e Universal One, battezzate anche loro nelle British Virgin Islands, è tutta qui. Per anni hanno alimentato il circuito dei film hollywoodiani ceduti ai canali Fininvest prima e Mediaset dopo. Incamerando tanti miliardi, in seguito dispersi nelle Bahamas.
L'avvocato Mills pensa anche a uno strumento segreto per le due off shore caraibiche, il trust, una specie di fondo fiduciario, su
indicazioni di Livio Gironi. Poi, a Londra, Mills consegna a Giorgio Vanoni ("Era la persona di fiducia della famiglia Berlusconi, l'unico a trattare direttamente i suoi affari") un foglio, con l'intestazione in inglese 'Proposed Holding Structure', ovvero la struttura societaria da lui suggerita. Due le raccomandazioni di Gironi a Mills. La prima: "Tenere quel documento in una banca, fuori dal territorio italiano". La seconda: "I figli di Berlusconi sarebbero stati i beneficiari, ma la gestione pratica della struttura sarebbe sempre stata soggetta al consenso di Silvio Berlusconi che viene denominato: 'X'".
Una conferma dei misteri che circondano la compravendita dei diritti televisivi viene da Franco Tatò, per sette mesi amministratore delegato della Fininvest, dal dicembre 1993 al luglio 1994: "Era un'area assolutamente chiusa e impenetrabile... Del resto Silvio Berlusconi, anche dopo l'ingresso in politica, e per tutto il 1994, continuava a seguire in modo molto stretto le attività dell'azienda. Ognuno dei vertici delle società operative aveva un rapporto diretto con Berlusconi, il quale in definitiva aveva l'ultima parola su tutte le questioni di una certa rilevanza... In sostanza il potere che gli derivava dal fatto di essere il proprietario era rimasto intatto".
Se Tatò dunque viene tagliato fuori, c'è chi invece sa tutto. Livio Gironi, tanto per citare uno che conta. E che, il 14 novembre scorso, è ritornato sul contenuto del piano di Mills: "Probabilmente nel 1990, all'interno della famiglia Berlusconi si pensò di cominciare ad assegnare una parte del patrimonio familiare ai primi due figli". Aggiungendo, con qualche dettaglio, che cosa è avvenuto in una occasione con quelle due trottole delle Virgin Islands. Avevano addirittura negoziato un accordo per rilevare azioni della Holding Italiana Prima, una delle decine di società con cui Berlusconi ha sempre controllato la Fininvest. Dunque all'ombra dei Caraibi, tra sole e mare, il Cavaliere voleva far comperare dalle due off shore da lui create, una delle decine di società che fanno comunque capo alla sua famiglia.
Secondo quel che riferisce il buon Gironi, il business, per motivi sconosciuti, non è però andato in porto: in ogni caso, la caparra
versata da Century One e Universal One in base al contratto preliminare è rimasta inglobata nella Holding Italiana Prima. Che cosa è andato storto? Gironi non ne fa cenno: una parte di giallo ancora da chiarire. Uno dei tanti che si celano dietro le ultime scoperte della Procura di Milano. Uno su tutti. Perché finora il capo del Governo non ha mai risposto alle tante domande che stanno adesso affiorando? Per il momento i suoi figli, Marina e Piersilvio, sono sospettati di aver riciclato proventi di dubbia origine (e per questo indagati di riciclaggio). Loro, di Century One e Universal One, sono 'beneficial owner', beneficiari
economici. Però manca, almeno finora, la prova che abbiano dato disposizioni sui conti ad essi attribuiti. Che, lo si è visto, erano affare personale del banchiere di Lugano Paolo Del Bue, fiduciario di Berlusconi.
Sempre nella serie dei misteri non risolti rientra un altro capitolo. Parola di uno che avrebbe dovuto sapere, Alfonso Cefaliello, attuale amministratore del Milan calcio, ma in passato (dal 1990 al 1995) coordinatore amministrativo delle società estere della Fininvest: "I contratti tra Century One e Universal One da un lato e le società del gruppo dall'altro, e così pure le fatture non venivano trasmesse alla contabilità, ma venivano trattenute dalla direzione commerciale, che poi ci comunicava i dati con schede di sintesi".
Di che stupirsi? Per anni le due cenerentole caraibiche sono state protette da un cordone sanitario tutto interno al gruppo. Tesi ufficiale: "Si tratta di due off shore di ex manager delle Majors che prima di uscire dalle loro società, erano riusciti ad acquistare un rilevante pacchetto di diritti a buon prezzo". Una balla clamorosa. Tanto da suscitare l'irritazione dei revisori della Arthur Andersen che, dopo aver richesto delucidazioni, si sono visti pervenire lettere da 'presunte' società di produzione di Hollywood con timbri falsi e firme incomprensibili.
Verso la fine degli anni Ottanta e successivamente verso la metà degli anni Novanta accadono due episodi spiacevoli. Ci sono ritardi nel pagamento dei film presi dagli Studios americani. La Fininvest è in crisi. Frank Agrama, nome d'arte di Mohamed Farouk Agrama, produttore e fornitore di film alla Fininvest, se ne lamenta con il Cavaliere e, a detta di Silvia Cavanna, collaboratrice di Carlo Bernasconi, se la prende con il grande boss in persona, Silvio Berlusconi: "Mi pignoreranno la casa negli Stati Uniti". Prendendosi una risata in faccia dal vecchio amico, che frequenta da tantissimo tempo, fin da quando a Roma produceva i cosiddetti 'b-movie', film trash, come 'Queen Kong', 'L'amico del padrino' o 'Sesso e pazzia'.
Di che preoccuparsi? I due stanno troppo bene insieme. Hanno interessi in comune. Secondo i pm Robledo e De Pasquale, "Agrama è il socio occulto di Berlusconi nelle società Harmony Gold, Wiltshire Trading, di Hong Kong, e nella Melchers NV, delle Antille Olandesi. Queste ultime due hanno ricevuto, dal 1988 al 1999, ben 170 milioni di dollari presso la Sanwa Bank di Los Angeles. Quel denaro rappresenta "la differenza tra quanto versato ad Agrama dal gruppo Fininvest e da Mediaset spa per l'acquisto di prodotti Paramount e quanto effettivamente corrisposto a Paramount". E anche se c'è qualche segnale di difficoltà nei rimborsi ufficiali dalla casa madre del Biscione, che importanza ha? Nelle retrovie, con tutto quel traffico di 'pizze' da un capo all'altro del mondo, via paradisi fiscali, c'è chi intasca belle somme.
A spostare il denaro con girandole vorticose sui diritti televisivi, sono in tanti. Impiegati di banca. Perfino commercianti. Ecco Danilo Pezzoni, ora deceduto, "fiduciario di Berlusconi", attivissimo con il suo conto della Redmont Trading, presso la Banca della Svizzera Italiana di Lugano. Peccato però che chi è autorizzato a operare a suon di milioni di dollari e di franchi svizzeri con quella fantomatica società siano dei vecchi amici di Paolo Del Bue: un paio di funzionari della sua Arner Bank. Ed ecco anche Erminio Giraudi, un grande amico di Mike Bongiorno che commercia in carni a Montecarlo e muove con destrezza oltre 23 milioni di dollari sulla Redmont Trading e su altre società paravento trattenendo il suo guadagno netto: più di 2 milioni di dollari.
Zigzagando tra le 500 mila pagine dell'inchiesta della Procura di Milano, c'è da perdere la testa a vedere quante dozzine di società si sono prestate ad aiutare Silvio Berlusconi. Perfino un esperto del ramo, Giovanni Pedde, responsabile della Paramount di Roma, alza le braccia quando viene interrogato come testimone nel giugno del 2004: mai sentito parlare di Irwing Trade, Eska Production, Elpico, Woodard Investment, Redmont Trading o Kiana Corporation? Per lui sono tutte delle perfette sconosciute. Perlomeno sul mercato dei diritti.
Diventa così un gioco da ragazzi ritoccare i cartellini dei film, da un passaggio all'altro, nella miriade di off shore. Già, ma chi guida la danza? Silvia Cavanna, per 15 anni dipendente del gruppo Fininvest, lo ha indicato, nero su bianco: "Quando Bernasconi tornava da Arcore, mi diceva: 'Silvio picchia duro sui prezzi', riferendosi all'aumento dei costi".
Una pacchia, che ha avuto una punta eccezionale tra il 1994 e il 1995, quando, dopo tante capriole nel mucchio selvaggio delle compiacenti società di comodo, i diritti sono stati gonfiati per oltre 300 miliardi di lire. Non c'è da meravigliarsi allora se, appena si è sparsa la voce, anni fa, dell'indagine giudiziaria su questa complessa faccenda, la reazione è stata immediata. I computer di Milano sono stati ripuliti. E casse di carte da Lugano sono partite per il Lussemburgo. Viaggio di sola andata.


RitaPani (APOLIDE)

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