1.03.2004

 

Cinquant'anni di Tv e della nostra vita

Esattamente cinquant'anni fa, il 3 gennaio del 1954, nasceva la televisione in Italia. Mi sembra, insieme, ieri e un secolo fa. Da allora ne sono avvenute tante di cose, forse anche troppe, e sono avvenute in fretta.
Potete intuire quante immagini, quante persone, quante battaglie ed anche quante soddisfazioni - perché non dirlo? - mi vengono in mente ricordando questo mezzo secolo di informazione e di cultura televisiva.
Voglio cominciare dall'inizio, anzi da prima dell'inizio. Eravamo a qualche settimana da quel 3 gennaio. Partecipai con Giancarlo Pajetta, unico parlamentare dell'opposizione invitato, ad assistere ad una "prova tecnica".
Non ho mai saputo chi ci fece quell'invito - per i tempi che correvano molto insolito - ma certamente aveva visto giusto. Pajetta aveva l'occhio e la mente capaci di comprendere la storica novità e l'importanza che la televisione avrebbe avuto per il nostro Paese.
Molti, credo la maggioranza della sua generazione, soprattutto gli intellettuali, erano indifferenti od ostili al nuovo mezzo. Ricordo per esempio che il celebre sceneggiatore, Ugo Pirro arrivò a definire la tv il "frigorifero del cervello". Ma Nullo - così io chiamavo Pajetta in ricordo del nome da lui usato durante la clandestinità - mi disse sottovoce, commentando le prove di una inserzione pubblicitaria (l'idea di quello che poi divenne il famoso Carosello): «Pensa come sarebbero stati efficaci in televisione i nostri forchettoni.» (i "forchettoni" di un celebre manifesto contro il governo Dc affisso dal Pci durante la campagna elettorale del 1953).
Al termine della proiezione, Pajetta applaudì e si congratulò con quei tecnici. E il giorno dopo volle fare subito una riunione congiunta delle commissioni Stampa e propaganda e Cultura del partito per discutere della televisione che di lì a poco sarebbe giunta nelle case degli italiani.
Le idee che emersero in quella riunione sono tuttora valide. Il Pci aveva capito, infatti, che quello strumento nuovo della comunicazione sarebbe diventato importatissimo e avrebbe modificato costumi, gusti e linguaggio, contribuendo in modo decisivo all'unificazione del Paese, impresa rimasta incompiuta dal Risorgimento. E noi comunisti, anche se tenuti fuori dalla cabina di comando, avremmo dovuto interessarcene. Non fu un caso se proprio l'Unità - se ben ricordo - fu il primo quotidiano a mettere in pagina una rubrica di critica televisiva, affidandola a un intellettuale come Giovanni Cesareo.
Scrivo questa nota, oggi che tutti parlano del cinquantenario della televisione spesso con sussieguo o frivolezza, con una forte emozione personale. In definitiva la mia vita di giornalista e di militante politico comunista, e naturalmente di cittadino, si è intrecciata per buona parte con quella storia.
Come non ricordare l'ingresso prepotente della politica nelle case di tutti con le prime "Tribune politiche"? La gente vedeva per la prima volta in faccia personaggi dei quali aveva solo sentito parlare. Ad esempio Togliatti e gli altri dirigenti comunisti: e constatava che erano persone in carne e ossa e non mangiavano i bambini. Ma la televisione fu anche terreno di grandi battaglie politiche ed ideali. Governata saldamente (ma, riconosciamolo, con notevole intelligenza e
capacità dalla Dc), dovette presto aprisi al nuovo che premeva nel Paese.
Gli spezzoni dei filmati della rivolta popolare del luglio 1960 contro il governo Tambroni - seppur brevissimi e presentati con taglio governativo - entrarono comunque nelle case e forse contribuirono a svegliare dal letargo una generazione che a tutti sembrava passiva.
Ci furono poi il primo ingresso dei socialisti al governo e la nascita del Secondo Canale (definito il "resto del mondo"): qualcosa di nuovo che, sul finire degli anni Settanta, permise l'irrompere della Rete Tre e del Tg3.
Inizialmente ammessi quasi come una foglia di fico per coprire l'esclusione dal video di tanta parte del Paese, si trasformarono rapidamente in uno strumento che seppe portare il mondo del lavoro e i ceti deboli in primo piano. Formidabili quegli anni. Anche se, facendo TeleKabul e "Samarcanda", non potevamo proprio immaginare che trenta anni dopo...
Quello che celebriamo oggi non è un anniversario qualunque. E' l'occasione per riflettere, anche autocriticamente, su qualcosa che ha inciso in modo decisivo sulla nostra storia nazionale e sociale, in negativo, ma anche in positivo. In questi cinquant'anni è veramente successo "di tutto e di più".
E non è finita.
Anche dal risultato delle lotte in corso per il pluralismo dell'informazione - per una televisione che non sia soltanto "spazzatura" e omologazione, e per la salvaguardia e la piena valorizzazione di un autentico servizio pubblico televisivo - dipenderanno in grande misura il futuro della democrazia italiana e il progresso del Paese.
Alessamdro Curzi



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