12.31.2011
Discorso alternativo alla Nazione
12.26.2011
L'italiota non perdona
Siamo
un popolo che non perdona, soprattutto i morti. La morte del Partigiano Giorgio
Bocca lo ha ricordato meglio di quanto forse avrei desiderato. Fortuna vuole
che almeno non sia stato accusato di pedofilia, o di strage. Tutto il resto ci
sta, in quest'era di ignoranza o di cultura un tanto al kilo, assunta
attraverso la wiki storia che fa risparmiare i libri e premia la pigrizia dei
cervelli.
Una
volta ebbi uno scambio epistolare col grande Giorgio Bocca, e quando finimmo
gli promisi che nella prossima vita lo avrei cercato e gli avrei chiesto di fidanzarsi
con me. Mi piace immaginare che abbia sorriso.
Questo
il ricordo personale. Il ricordo della figura la lascio a chi ha più strumenti,
più memoria e più emozioni da raccontare.
Sì
siamo un popolo che non perdona nessuno, tranne sé stessi. Bocca non era un
comunista, questa pare essere la colpa più grave. E che importa se fino a ieri,
l'accusatore magari accusava me di esserlo ancora, nonostante tutto, nonostante
la storia che - dicono - ci ha cancellati?
Ha
fatto e non ha fatto, ma soprattutto quel che non si perdona a Bocca è quel che
ha detto. In un Italia di muti accondiscendenti, ignavi e pusillanimi, è
davvero paradossale; ma è tanto, tanto, italiano.
Il
Partigiano Bocca si è speso. In una lotta che ha liberato questo paese e che
con tutta l'ingratitudine, e l'arroganza dell'ignoranza, l'ha poi consegnato al
ventennio berlusconiano che probabilmente stiamo già scordando. Si è speso fino
alla fine per consegnare alla storia la verità negata da chi della verità ha
fatto burletta. Ha avuto il coraggio delle sue azioni, dei suoi pensieri, dei suoi
scritti, guadagnandosi il diritto di essere libero di dire.
Questo
non ha capito chi non è in grado di imparare, di leggere e di pensare. Questo
non comprende, chi non è abbastanza uomo da dire grazie, o chiedere scusa, o
semplicemente riconoscere i limiti della propria esistenza.
Ogni
volta che muore un partigiano, noi perdiamo l'occasione di risvegliarci, di far
memoria, di imparare per poter poi insegnare a chi verrà cosa è stato, e cosa
non dovrà più essere.
Ma
seguendo col cuore stretto il linciaggio alla memoria di un uomo per bene, di
un Partigiano, del giornalista Giorgio Bocca mi è venuto più chiaro in mente
quanto siamo italiani, e per quanto tempo ancora dovremo esserlo ... Pavidi e
stupidi. Poveri. Tornerà berlusconi, magari avrà la gonna, e le tette, ma
tornerà berlusconi, perché in fondo troppa gente ancora se ne merita un po'.
Rita
Pani (APOLIDE)
12.23.2011
È l’ora dei miracoli che mi confonde …
La cantava Lucio Dalla, e mi ritorna in mente spesso oggi
che si avvicina il Natale. Tutto è miracoloso intorno a noi. I cingalesi con le
rose in mano, sembrano un po’ meno cingalesi che rompono le balle. Anche gli
iraniani che vendono accendini, sembrano degni d’esser visti con i loro
zainetti colorati sulle spalle e i cesti pieni di mercanzie. No, non si
comprano né rose, né accendini, ma almeno la gente li manda a fare in culo con
più cortesia. Col sorriso di comunanza che dà questa crisi che non risparmia
nessuno, nemmeno gli ambulanti a Cadorna che scappano seguiti dai vigili
urbani, mentre cercano ancora di vendere qualcosa rispondendo al cronista che
pone domande scontate, forse alla ricerca di una storia da raccontare.
Miracolo! È nato il nuovo Knut, si chiama Siku ed è nato in
Danimarca (al freddo e al gelo) è già una star e si narra di molte persone che
prima o poi si metteranno in cammino per andare ad adorarlo, dentro uno zoo,
come il suo predecessore berlinese. Siku è il regalo che ogni bambino vorrebbe
avere, scrivono i giornali, e io mi confondo. Fortuna che diventerà grande come
un orso polare, e nessun genitore, nemmeno il più italiota oserebbe mai
mettersene uno in casa. Abbandonare un cane dalmata in autostrada o gettare un
pesce pagliaccio dentro il cesso è un conto, ma l’orso polare se mostra i denti
non fa poi tanta tenerezza!
Mi confondo: al telegiornale c’è una mamma felice, perché
dice che è riuscita a fare un regalo alla propria figlia. Certo s’è limitata,
ma le ha comprato una collana da Tiffany. Sì, di nuovo Tiffany e al
telegiornale, al punto che passata la confusione mi viene una domanda più
concreta: quanto avranno pagato per questo spot pubblicitario? Poi il cronista
geniale chiude il suo pezzo d’inchiesta dicendoci che abbiamo speso l’8,1% in
meno dell’anno scorso, per i regali, ma sono aumentati gli acquisti di lusso.
Chi ascolta resta un po’ così, confuso come me nell’ora dei miracoli, forse
perché non si ferma abbastanza a pensare che è normale, normalissimo e banale.
Chi non può spendere non spende ed abbassa la media, chi può spendere e
sperperare continua a farlo come ha sempre fatto ed anche di più. La matematica
a volte è semplice.
Come da tradizione è Natale e bisogna essere più buoni. L’allenatore
dell’Italia (nazionale di calcio e non governo) oggi ha convocato un giocatore
del Gubbio per premiarlo: fu contattato per truccare una partita. Gli vennero
offerti 200 mila euro, lui rifiutò e denunciò l’accaduto. Da qui il premio che
ogni giocatore vorrebbe vincere, ossia indossare la maglia azzurra! Sempre più
confusa da tanto miracolo:l’onestà. Peggio, un gesto moralmente normale che
viene premiato, come se fosse eccezionale. A confermarci quindi che ormai, il
nostro è un paese al contrario.
Non so da dove venga la tradizione dell’essere più buoni
soltanto a Natale. Forse risale ai tempi delle tredicesime, quando c’erano i
danari da spendere per fare regali inutili e a volte persino terrificanti.
Forse risalgono ai tempi in cui si sprecava il cibo che avrebbe potuto sfamare
un intero villaggio africano. Forse è una storia che viene da là, da quando ci
educavano allo spreco più sfavillante, a ingolfarci di cibo per poter poi
arricchire le ditte produttrici di integratori alimentari e cibi chimici ma
dietetici …
Ma ora che c’è la crisi, non sarà che potremmo sentirci esentati
dall’essere più buoni? È che non mi riesce proprio, non ancora, almeno.
Buone feste.
Rita Pani (APOLIDE)
12.20.2011
Colazione, pranzo e cena da Tiffany
Arriva
la favola del Natale, e la racconta la Ministra Fornero. Ma la favola ha i
verbi falsati dal condizionale, che tutto lascia appeso, proprio come le palle,
proprio come a Natale.
"Servirebbe
aumentare i salari" raccontò la Fornero senza nemmeno una lacrima, e
invero nemmeno un sorriso...
Ma
non si capisce più, cosa sia favola e cosa sia storia, cosa sia vero e cosa no.
Perché
arriva Natale, e le notizie sono contrastanti, al punto che non si comprende
più se sia doveroso alzare i salari o aumentare l'orario di apertura di
Tiffany, giacché, raccontano i giornali, la gente sosta per ore in fila, a Roma
come a Milano, per "fare un tuffo" nel lusso per dimenticare.
E
comunque vengono descritti i visi soddisfatti per il sacrificio fatto, stando
in piedi per strada, col vento gelido che arriva da nord. Tutti escono con quel
pacchetto dal verde azzurro inconfondibile, e -scrivono - tutte si sentono un
po' Audrey Hepburn. In fondo, conclude l'articolista, almeno a Natale si
possono spendere duecento euro "tutti per noi" anche per dimenticare,
indossando poi il ciondolo d'argento appena conquistato.
Ecco
magari con un salario più alto, il direttore di Tiffany a Roma come a Milano,
non avrebbe lamentato il vuoto intorno ai banchetti delle pietre preziose,
quelle che restano là solo come terapia - guardare ma non toccare - per far
dimenticare, e per continuare comunque a sognare.
è la
favola di Natale, quella che in questi giorni bisogna a tutti i costi
raccontare, al ptunto che altre parole appaiono e scappano via, come se non
fosse consentito disturbare.
Emergency
per esempio, ne racconta un'altra. Di ospedali nati per dare soccorso ai
migranti extracomunitari, ai clandestini sfruttati e dimenticati che in Italia
non ha accesso ai servizi sanitari Ma le strutture di Emergency di giorno in giorno si riempiono di italiani
che forse hanno finito proprio tutto, persino la capacità di sognare o di
dimenticare.
Buffo
però! Una volta erano più bravi in Grecia a raccontare le favole; è quel popolo
a vantare il possesso della tradizione con Esopo, ma ora siamo noi quelli più
bravi e abbiamo avuto persino un tizio che ce le ha raccontate per quasi
vent'anni, tutte buffe e divertenti sebbene quasi tutte uguali, e con un finale
scontato che faceva all'incirca così: "La crisi è passata! W la
figa!"
Ora
in Grecia preferiscono i racconti neorealisti, quelli che narrano di un popolo
impegnato a sopravvivere, a fare i conti con la criminalità dilagante, che al
Natale non ha tempo nemmeno il tempo di pensare. Dicono di giovani che odiano
il proprio paese e che se ne vorrebbero andare.
Sì,
è proprio buffo, perché il neorealismo l'abbiamo inventato noi.
Rita
Pani (APOLIDE)
12.19.2011
Ha smesso di piangere, la ministro
Questa
volta la Fornero non piange. Non ha più totem né tabù. Ma forse allora non
aveva pianto perché comunicava all'Italia tutta, all'Italia che conta e fa i
conti, che aveva dato mandato perché fosse fame e carestia. Piangeva per
l'emozione di essere ministra tra i ministri, davanti alle telecamere,
circondata dal pubblico di giornalisti che arrivavano anche da lontano.
Non
deve aver pianto nemmeno per l'operaio che è schiattato in acciaieria, oggi,
menzionato da tre scarne righe sui giornali, e presto cancellato da altre
cronache di ordinaria follia. Siano esse quelle inerenti le code dei gitanti
per lo shopping milanese, che quelle di una madre single (ex zoccoletta di
Arcore) in vacanza a Miami.
è decisa questa volta la ministra,
perché l'articolo 18 deve essere cancellato: non sia mai che il lavoratore non
si possa licenziare! E la Marcegaglia le fa l'eco, non esistono tabù.
Se
ne può discutere, dicono in coro, ma senza ideologie. Eh già, se ne può
parlare, perché no? Magari una di queste sere, davanti a una pizza e un'ottima
birra, che così il tutto è più conviviale, meno drammatico e meno ideologico.
Per
fortuna i sindacati non ci stanno, e annunciano ancora barricate: l'articolo 18
non si tocca. Come se fosse una questione di principio.
Verrebbe
da farlo così il sunto delle cronache odierne, quelle che ancora una volta
sembrano scritte da uno sceneggiatore nemmeno tanto bravo, che pare aver
scordato che, da un pezzo, lo statuto dei lavoratori è carta straccia, e il
lavoratore non esiste più.
Potrebbe
essere semmai davvero una questione di principio, ma vista al contrario; è il
padrone che ormai ha deciso di sancire lo strapotere del governo autoritario del danaro e dell'economia, del
capitalismo che non ci sta a morire, e che prima di esalare l'ultimo respiro
tenta un colpo di coda, persino simile a una strage.
Sembra
una storia scritta per un popolo demente, ormai dimentico del passato recente.
Da
giorni ci dicono che tutti i sindacati hanno trovato di nuovo l'unità e che
uniti lottano. Cisl e Uil così non sono più gli stessi servi che si vendettero
al potere berlusconiano, nemmeno gli stessi che garantirono a Marchionne non
solo di stracciare lo statuto dei lavoratori, ma di utilizzarlo come carta da
cesso, in un passato così recente da
essere proprio qualche giorno fa.
No,
non piange la ministra, questa volta non ce la fa. Ha già preso confidenza col
potere, con le telecamere, con le parole da dire in un certo modo anziché un
altro, quelle scelte per ribadire il concetto che è l'emergenza della crisi
quella che impone rigida fermezza. Il sacrificio.
Oggi
come oggi temo non piangerebbe nemmeno se dicesse la verità ultima, ossia che
il sacrificio che chiede questo potere è il sacrificio umano.
Rita
Pani (APOLIDE)
12.14.2011
Brutta gente
Oggi siamo tutti negri, a volte ci sentiamo tutti rom, altre
volte abbiamo avuto la fortuna di sentirci tutti operai, bambine violate,
americani o afghani. Dipende da chi muore, dipende da come muore. Di solito ci
sentiamo uguali nella diversità, quando è la morte ad imporcelo.
È comprensibile, perché la vita è difficile più della morte
in questo periodo storico che sta diventando un’epoca, troppo lunga da
sopportare. E la storia viene da lontano, e si ripropone sempre uguale quando
non viene più insegnata nelle scuole; non nei licei dove le coscienze
teoricamente dovrebbero essere già formate, ma nelle scuole elementari, dove si
preferisce insegnare che a Natale – ma solo a Natale – siamo tutti più buoni, e
il profitto nello studio (di cosa?) sarà quantificabile con un bel regalo, un
premio, un oggetto, un vizio in più.
Oggi siamo negri, perché ieri un fascista ne ha ucciso tre,
in un gesto che – non ci casco – non ha nulla di folle. Semmai è lucido e
ragionato, un gesto pensato, magari a lungo accarezzato, perché in questa Italia
è permesso essere un eroe anche così. Uccidendo l’innocente, colpevole di non
essere italiano. E nemmeno questo è vero, perché se non si ha un negro a
portata di mano, c’è sempre un utile diverso sul quale riversare il fascismo
che avanza.
Si è ucciso il fascista, e son curiosa di sapere se avrà il
conforto religioso all’atto della sua sepoltura. Il gusto un po’ cinico di
rimarcare a me stessa le ipocrisie di questa vita rincorsa, più che vissuta.
Forse lo avrà il suo funerale, ma nascosto agli occhi di chi guarda, in un
angolo scuro di un alba, o all’ora tarda di una giornata qualunque, quando fa
freddo ed è meglio star in casa.
Oggi sentiamo il dovere morale di essere negri tra i negri,
e lo si legge sui commenti dei giornali: ne ricordo uno – emblematico – che iniziava
con l’ingiustizia, e concludeva con un “vendevano le loro cose e non facevano
male a nessuno.” Perché mai ricordarci che un commerciante ambulante “non
nuoceva”? Ah già! Perché era sì un ambulante, ma africano.
Viene da lontano l’etichetta da apporre al genere umano.
Viene da anni e anni di istigazione al razzismo fatta forse a cuor leggero dall’ignoranza
divulgata a mezzo stampa. Da quando sugli articoli di cronaca nera viene sempre
specificata la razza d’appartenenza; da quando si comprende che il malfattore,
il violentatore, il padre incestuoso o l’assassino è un italiano, solo perché
non specificata altra etnia. Un po’ come quei giornali che nelle didascalie
delle foto dei vip tengono a precisare il segno zodiacale.
Non abbiamo tempo per essere negri tutti i giorni, siamo
troppo impegnati a sopravviverci, a conservarci integri nonostante tutto, a
fare a pugni con le nostre coscienze e con le nostre responsabilità. L’altro
giorno in una scuola media di Caserta, una professoressa ha dato ad una bimba
un voto inferiore a quel che meritava. Alla richiesta dell’alunna sulla
motivazione del voto, la professoressa ha risposto: “Perché tu sei nera.” (La
scuola ha aperto un’indagine.)
Il razzismo che si vede ci fa inorridire, quello che non vogliamo
vedere è quello che dovrebbe preoccuparci di più. Quello per esempio che impone
di rendere tutti uguali i diversi, quello che tende a far scordare l’unica
appartenenza al genere umano.
Che brutta gente siamo diventati.
Rita Pani (APOLIDE)
12.12.2011
Gli dei paralleli
Ieri sera a Report luigi garziera (socio pedofilo di don
verzè) diceva pressappoco: sono anche un
po’ di chiesa e per questo lo prego (Mario Cal morto suicida). Perché lo hai
fatto, potevi venire qui che saremo andati ...
Poi spiega, il pedofilo, che con l’amico Cal sarebbero
andati ancora in giro per figa (cit.) perché in Brasile non manca. E spiega
meglio che a 14 o 15 anni te la danno. Non è pedofilia, né prostituzione; la
colpa è delle bambine che, appunto, te la danno.
A Torino, circondata da immaginette sacre, vive una
ragazzina di 16 anni, che aveva promesso alla nonna di arrivare pura al
matrimonio. Non essendo riuscita a mantenere la promessa ha dovuto inventarsi
una scusa buona che la ponesse al riparo delle ire funeste dei pii genitori, e
così ha scatenato l’inferno in un campo rom: mi hanno violentato. L’abominio si
compie per intero quando si scopre che la ragazza, mensilmente, veniva
sottoposta al controllo ginecologico per la verginità. Una sorta di bollino blu
dell’apparato riproduttivo.
Non c’è più la sensazione di vivere in un universo
parallelo; ormai c’è la sensazione che gli universi paralleli si siano
moltiplicati, quasi che ognuno se ne fosse costruito uno a sua immagine e somiglianza.
Una realtà nella quale si cerca di stare più comodi possibile, senza mischiarsi
alla vita.
Se da un lato un vecchissimo maiale, prete, affarista,
malavitoso e megalomane pur avendo una croce nel taschino, e facendo di ogni
suo passo una bestemmia è riverito dalla Santa Romana Chiesa anche quando per i
suoi soci maiali organizza feste in piscina con perizomi che trasbordano
chiappe, dall’altro c’è il bigottismo che violenta in altri modi altre bambine.
Cosa può essere la vita di una ragazzina sottoposta mensilmente all’umiliazione
di una visita ginecologica, per attestarne la purezza, al pari di un’automobile
alla quale vengono controllati i gas di scarico?
Sembra che anche per la fede valga lo stesso principio degli
universi paralleli. Una moltiplicazione degli dei, a propria immagine e
somiglianza. Non più uno buono e misericordioso, ma tanti: uno che perdona la
pedofilia dei preti o dei maiali, uno che impone la purezza, uno che è pronto
ad assolvere il ladrocinio, un altro che guida la mano di quei quattro rimasti “preti”
nell’accezione originale del termine, un altro che guida la mano degli
stragisti che sterminano i popoli con le guerre per il petrolio, mascherate da
guerre sante. Un Dio che comunque sia sempre in grado di comprendere, tollerare,
perdonare e che assicuri il raggiungimento del paradiso anche a chi, dopo aver
passato una vita in terra da criminale, possa vivere fino a 120 anni sfidando
tutte le leggi, non solo quelle scritte sul codice penale, ma anche quelle
esistenti in natura.
Io me la ricordo diversa la favola di Dio che spesso mi sono
sentita raccontare, ricordo gesti di mani tese, di guance da porgere, di non
fare agli altri quel che non si vorrebbe fosse fatto a noi. Tutte cose belle
come la principessa che si risveglia per il bacio di un principe, o il rospo
che si trasforma per il bacio di una principessa. Era bello leggere il vangelo,
si aveva la sensazione che Cenerentola riuscisse ad indossare la scarpetta di
cristallo.
Poi si cresce, non si crede più né ai sogni né alle favole,
e resta l’amarezza di sapere per certo che laddove non arriverà la giustizia
terrena, non ce ne sarà nemmeno una divina.
Rita Pani (APOLIDE)
12.11.2011
Fottersene. Sarebbe bello
Ogni giorno guardo alla mia vita, quella passata, e non
riuscendo ad immaginare un futuro che vada oltre l’oggi appena iniziato, mi
dico che passerei meglio la giornata, se me ne fregassi. Se smettessi di
provare l’offesa, di sentire l’oltraggio ma ogni giorno la coscienza è più
forte di me. Perché essere antifascisti ha – e deve avere – un senso. Se
smettessi di esserlo fingendo di ignorare le cose, sarei complice. E mai sia.
Ma sia che io possa tollerare la dispotica arroganza
fascista di questo governo, costola e mano armata del precedente. Mai sia che
io taccia dinnanzi alle porcate di questo regime dittatoriale, mai sia che il
silenzio mi renda colpevole. Mai sia che la mia ignavia possa far credere a
quella feccia di avermi addomesticato.
C’è sui giornali la spiegazione di fini, per “lo slittamento”
dei tagli agli stipendi dei parlamentari, che letta bene e con calma, mi hanno
fatto ribollire il sangue. Non è che non vogliano “sacrificare” 5.000 della
carriola di euro che rubano tutti i mesi, è che è sbagliata la forma. Cioè, dice
fini, non può essere fatto così come scritto, ma bisogna pensare bene
attraverso la commissione istituita all’uopo, poi vedere, emendare, pensare e
votare. La cosa buffa, quella che mi ha fatto pensare a un' esecuzione di massa
su pubblica piazza, utilizzando antichi riti come la ghigliottina, è il fatto
che in realtà, nel decreto Monti non era proprio previsto il taglio, ma solo lo
spauracchio.
“Se tu non trovi il modo, entro il 31 dicembre, di
equiparare il tuo stipendio a quello degli altri parlamentari europei, allora
ci penserò io …” questo, c’era scritto. E il resto lo sapete, è la storia della
rivoluzione al contrario, con una mandria di ladri impazzita che lamentava la
morte sociale – il suicidio – il sacrificio estremo al quale gli avrebbe
portati “il sacrificio”.
L’oltraggio più spinto di una classe dirigenziale fascista e
ottusa, incapace persino della furbizia del silenzio. Come non sapessero che c’è
gente che si suicida davvero, come se non sapessero che con decreto urgente
hanno condannato a morte almeno due generazioni di persone, per non parlare dei
vecchi più deboli economicamente, dei disabili che non hanno protezione
familiare, dei lavoratori ai quali hanno tolto i diritti minimi, o di tutte
quelle persone alle quali hanno tolto il diritto d’accesso ai servizi sanitari,
sempre meno e sempre meno efficienti. E tutto con decreto urgente,
insindacabile.
Ma c’è altro che mi rende perplessa e che mi fa guardare al
mio oggi, sperando di avere il coraggio di lasciarlo passare, sperando che mi
lasci indenne per un altro giorno almeno. C’è l’ottusità di un popolo che s’indigna
ma non si organizza. C’è lo spreco delle donne che scendono in piazza con l’orgoglio
di essere donne. C’è la frammentazione dei movimenti che avrebbero senso in un
paese normale, dove avendo il minimo sindacale si potrebbe anche osare di chiedere
di più.
È ovvio che la ghigliottina sia un sogno, una battuta
umoristica, quasi la scrittura di una gag. Ma attendere che siano tutti dentro
il Palazzo, per non votare il decreto che ridurrebbe a solo una decina di
migliaia di euro il loro stipendio, ed ammassarsi tutti fuori, tenendoli
prigionieri dentro e promettere di farli uscire solo dopo che avranno firmato
una legge dettata da noi, si potrebbe fare. “Dimissioni con impegno di sparire
dall’Italia per sempre.” Oh certo, la polizia ci sparerebbe addosso,
bisognerebbe essere pronti al sacrificio umano e questo forse ci tiene alla
larga. Quando un giorno si comprenderà che ci stanno uccidendo lentamente,
forse sarà quello il giorno buono. Ma forse.
Rita Pani (APOLIDE)
12.08.2011
Se foste almeno umani
Se foste almeno furbi, evitereste di
andare in televisione a parlar di danari. Se foste almeno dignitosi
stareste nei vostri cantucci comodi, a far finta che siete voi il
giusto metro per misurare “l'italiano” quello che comunque sta
bene, è solido, e se la gode.
Non siete nemmeno intelligenti, quando
esponete la vostra magnanimità e poi comunque invocate misura, nel
farvi i conti in tasca, senza provare vergogna per l'ostentazione
delle briciole che lasciate indietro.
Se foste dignitosi, non osereste porvi
così ingenui e sfrontati di fronte a chi sa cosa sia la
sopravvivenza, quella fatta di espedienti, di sacrifici reali che
fanno piangere senza nemmeno il bisogno di pronunciare la parola. Un
po' di intelligenza vi impedirebbe di offendere la nostra.
Equità sarebbe stata equiparare i
vostri stipendi ai lavoratori a progetto, due mila euro al mese, e
alla fine del mandato via, a spedire curricola, a sperare di aver
messo via abbastanza per arrivare al prossimo lavoro, o per tornare a
quello di prima, sempre che un altro l'abbiate fatto, prima di essere
assunti a tempo indeterminato dalla politica italiana, quella a
conduzione familiare, come una trattoria o una fabbrica di bulloni
del nord est.
Siete fortunati che ormai le lotte e le
battaglie si svolgono tutte su Facebook, o su Twitter con ancora meno
parole, siete fortunati che i vecchi che potrebbero ricordarsi, e
avere un rigurgito di volontà ormai son vecchi, e non ne possono
più, o forse son solo abituati ancora a sperare in un domani
migliore che non vedranno mai.
Non si può restare comodi e tranquilli
a sentirvi parlare di manovre economiche, di sacrifici, di lacrime e
sangue, senza avere pensieri contrastanti che snaturano persino
l'essere pacifista, o colui che nella libertà e nella democrazia
aveva sempre creduto.
Se foste dignitosi, sazi come siete
stareste a casa ad attendere di digerire, e non andreste a parlare di
fame con la pancia piena, rischiando che un rutto vi scappi tra una
parola e l'altra.
E se scrivessi che siete dei ladri,
verrei tacciata di populismo o di demagogia, ma ladri lo siete
eccome, perché oltre che i danari, avete rubato il futuro di almeno
tre generazioni. Un futuro al quale, purtroppo, avrà accesso solo la
vostra progenie, quella che cresce protetta dalla fame e dalla
carestia, quella che state formando per prendere il vostro posto
domani, esattamente come un tempo il minatore o il ciabattino.
Se foste delle persone per bene,
fuggireste lontano, ora, con le borse piene della refurtiva di una
vita, quella che avete accumulato e che oggi vi permette persino di
avere un pensiero generoso. Sì, perché è vero, si dice, no? A
volte basta il pensiero. Deve saperlo anche Monti, che ne ha pensato
tanta di equità, ma poi non l'ha applicata.
Rita Pani (APOLIDE)
petizione.emanuela@libero.it
Posso comprendere quanto sia importante in questo frangente esigere che il Vaticano paghi l'ICI e contribuisca a risanare un paese che ha aiutato a dissanguare, ma c'è altro – o almeno ci sarebbe – da chiedere al Papa in persona.
Per
esempio la verità sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, di cui tutto
e niente si sa. Sono passati più di trent'anni da quando la ragazza
venne rapita, e poi ci fu tutto quello che noi sappiamo, fino alla
sacra sepoltura di un criminale nella Basilica di Sant'Apollinare a
Roma, ancora non riesumato, e ancora lasciato tranquillo nel suo
eterno riposo.
Certo,
è comprensibile che si chiedano i danari al Vaticano, in nome
dell'uguaglianza, in nome della giustezza delle cose e del sacrificio
che noi ci accingiamo a reiterare. È giusto esigere le tasse, ma più
giusto sarebbe ricondurre all'umano un istituto che giorno dopo
giorno non conserva proprio nulla di divino.
La
chiesa italiana, negli ultimi anni è stata parte integrante di un
sistema che ci ha condotto fino ai giorni nostri, con l'aggravante
dell'ipocrisia, del predicare bene e razzolare malissimo. Collusi con
tutti i poteri più osceni della nostra storia, dalla mafia alla P2,
alla Banda della Magliana, alla criminalità.
Pietro
Orlandi, fratello di Emanuela, da qualche tempo chiede di firmare una
petizione che prima di Natale presenterà al Papa, per avere
finalmente la verità sulla scomparsa della sorella. Aderire è
semplice, basta spedire una mail a petizione.emanuela@libero.it,
scrivendo:
"Aderisco
alla petizione a Papa Benedetto XVI per la verità su Emanuela
Orlandi''
aggiungendo, come d'obbligo, i propri dati personali. Si può fare,
come si può continuare a chiedere che paghino l'ICI, come del resto
di dovrebbe chiedere conto, sempre alla chiesa, della verità e di
conoscere le responsabilità personali di tutti quegli uomini di
chiesa che per 17 anni hanno tenuto nascosto il cadavere di un'altra
ragazza, Elisa Claps, nel sotto tetto di un'altra chiesa a Potenza.
So
bene che il danaro è tangibile, e la verità astratta, ma a me
piacerebbe avere dalla chiesa la seconda, anche perché forse sarebbe
più semplice da donare, la verità, proprio come se fosse carità
cristiana, costerebbe di meno dell'ICI.
E
se dicessero la verità su Emanuela Orlandi, se avessero il coraggio
della verità, forse sarebbe più facile stare ad ascoltare questa
chiesa che blatera di amore universale, di fame nel mondo, di pace e
di bene. Firmate. https://www.facebook.com/groups/233131686753398/
Rita
Pani (APOLIDE)
12.05.2011
Che fai, piangi?
E da piangere ce n’è e ce ne sarà per molto tempo a venire,
ora che il fascismo, quello serio delle banche e dei capitali ha scalzato la
banda di inetti malfattori che fino a ieri ci ha guidato fin qua. Stamattina
era tutto un gran parlare del ministro donna che piange, per il dolore della
responsabilità o solo perché una donna? Per la sua umanità o come un
coccodrillo? Quelle lacrime hanno inciso più della manovra stessa, nella
fantasia dell’italiano che ancora se ne domanda il sapore, commentandole on
line, su forum e giornali.
Dopo il colletto del cappotto rigirato del Presidente della
Repubblica De Nicola, si ricorderà la morigeratezza del Presidente Monti, che
rinuncia ai suoi emolumenti da primo ministro. Dopo le barzellette di un
buffone psicolabile, l’Italia s’inchina dinnanzi al dolore istituzionale,
diverso da quello al quale eravamo abituati per catastrofi e terremoti, dove in
vero non vi erano lacrime ma ancora barzellette.
Non è certo il cambiamento che ci si attendeva, ma sarà di
certo il cambiamento di cui il popolo addomesticato si accontenterà. Più un
cambiamento di forma, che di sostanza; ce lo faremo bastare. Tutti – o quasi –
i giornali, oggi mostrano la “quasi” equità di un decreto “necessario”, il “decreto
salva Italia”. Fascista e totalitario nella sua indiscutibilità, nella sua “necessità”
ribadita fino allo sfinimento. Una legge che verrà votata con i grandi numeri
di un Parlamento che si allinea e che non prende posizione, secondo la regola
del “tutti colpevoli, nessun colpevole”. Nessuna opposizione – tranne quella
farlocca della lega, che non conta – in nome della responsabilità.
Nemmeno c’è da discuterlo punto per punto, questo miracolo
di Mario Monti, basta solo prendere un punto a caso di tutto il pacchetto, così
come viene strillato dai giornali: “Non si toccheranno gli assegni sotto i 900
Euro.” – Che culo!
L’assegno di 900 euro è quello che garantisce un reddito di
450 euro al mese, che c’è da aggiungere? E poi, è proprio vero che non si tocca
con un aumento dell’IVA del 2%? Ci sarebbe anche l’altro punto, quello delle
barche, degli aerei, degli elicotteri privati, di quei cinque deficienti, unici
in Italia, ad avere una di queste cose intestate a loro e non com’è d’uso ad un
presta nome residente in un paradiso fiscale.
Però le lacrime ci hanno commosso, ci hanno riportato uguali
tra gli uguali, e quella parola deind … deindicizzazione, così difficile da
pronunciare, che quando spiegata non fa tanta paura. Perché è spiegata bene, in
modo pacato, da una persona che ha l’aria per bene – mica come quel buffone là!
Quella parola alla fine vuol dire che le pensioni che resteranno non saranno
più legate all’andamento dell’inflazione, e che quindi, pian piano, sarà
proprio come non prenderle, perché il costo della vita aumenterà e il reddito
resterà sempre lo stesso. (Detto così è più semplice ma più chiaro.)
Forse devo scusarmi con la Ministro, ma ammetto di essere
rimasta del tutto indifferente dinnanzi al suo pianto. Forse perché le mie
lacrime le ho già piante tutte, forse perché ho già fatto il callo a lavorare
per poco e sopravvivere, forse perché col fatto che io una pensione non l’avrò
mai ci ho fatto pace da un pezzo. Forse perché prima degli altri ho compreso
che fino a quando va, lascerò che vada e quando non andrà più saluterò questo
cacchio di mondo.
Un cambiamento reale sarebbe stato quello di rientrare del
maltolto, delle mazzette e delle cifre spropositate date come bonus ai ladri di
stato, la patrimoniale pesante per chi si è arricchito lasciandoci in eredità
la carestia, e tutte quelle altre cose che non si possono dire, perché
sarebbero oltraggiosamente troppo comuniste. Ecco, davanti a un po’ di
giustezza ed equità, sì, mi sarei commossa anche io.
Rita Pani (APOLIDE)
12.04.2011
Se secessionando
La lega vuole la secessione. Ormai è come un fenomeno
astronomico che si ripete ogni tre anni, in media quanto dura una legislatura.
Prima o poi la ricorrenza sarà segnata in verde anche sui calendari, al pari
del Natale o del cambio delle stagioni. Il calcolo della cadenza si effettuerà
un po’ come quello della Pasqua.
Si è riunito il Parlamento della Padania, non so in quale
osteria, ma c’erano tutti, dai Tre Porcellini a Geremia Lettiga, dallo Snorky a
Shrek; tutti ex ministri della Repubblica Italiana – che ci piaccia oppure no.
Dall’austera sala sono emerse forti le rivendicazioni
politiche dei padani – vibranti direbbe Napolitano – tutte così autorevoli che
entreranno presto nelle enciclopedie e nei libri di storia. “maroni farà il culo a Monti a Roma!”
romba l’ex ministro della semplificazione e della faciloneria della Repubblica Italiana – uno dei tre
porcellini.
Sarebbero state da riportare anche le dichiarazioni di
Geremia Lettiga, ma non era presente il simultaneista e trascriverne i suoni
gutturali, è davvero un’impresa impossibile. Probabilmente, però, non ha fatto
altro che rimarcare il copione che ormai da vent’anni recita a memoria:
villaggio per villaggio, le pallottole, secessione, Roma ladrona, i soldi padani
in padania. Le solite autorevoli minchiate di quel che resta di quel coso.
Seriamente!
Geremia Lettiga ha detto che per loro è giunta l’ora di scatenarsi, si devono
unire e lottare per la Padania che poi la storia farà la sua parte.
Beata ignoranza! Loro non sanno, che purtroppo, la storia la
stanno scrivendo. La storia non può fare la sua parte, perché è l’uomo con i
suoi gesti a costruire la storia. Magari se la storia si scrivesse da sola,
sarebbe una più piacevole lettura.
Ma abbiamo speranza, perché vogliono fare una secessione
consensuale e morbida, dice sempre uno dei tre porcellini, e per questo
incontreranno a breve formigoni, poi il Friuli, e il Trentino “per vedere se ci stanno”. Intanto,
annunciano una grande manifestazione della lega, il 15 gennaio prossimo a
Milano, e tanto per restare fedeli alla linea morbida del reciproco consenso,
il porcellino annuncia: “Voglio rifare il
Nerone express, ma questa volta non voglio dimenticare i fiammiferi.”
Per fortuna che ormai nemmeno il legaiolo montanaro che
sposò la sua mucca con rito celtico, crede più a queste minchiate, altrimenti
ci sarebbe davvero da aver paura. Riuscite ad immaginare quel che resta di
bossi mentre si scatena? E quante flatulenze potrebbe emettere borghezio scatenato?
Quale odore emanerebbe calderoli?
E nemmeno la consolazione di finire con: “Voglio andare ad
attenderli con l’AK47 e questa volta non scorderò i proiettili.” Non lo posso
dire – e non lo dirò – perché sarebbe reato.
Rita Pani (APOLIDE)
12.03.2011
Gesù 2.0 reloaded
Ed ogni volta che ci si ritrova a chiacchierare con
qualcuno, alla fine spunta sempre la domanda: “Sì, ma quando si sveglierà l’italiano?
E i forconi? E la Rivoluzione?” Mai, credo, e comunque non tutti insieme,
perché quel che oggi tocca me, non è detto che tocchi pure te, e quindi ci si
deve accontentare del “mi dispiace” solidale, che serve a chi lo dà a quietare
la coscienza, e a chi lo riceve a sentirsi sempre più solo.
Che Guevara diceva (pressappoco) che bisogna sentire lo
schiaffo dato ad un altro sulla propria guancia. Forse noi siamo troppo
impegnati a schivare i calci al culo, e quindi non possiamo aggiungere alla
nostra, la sofferenza d’insieme. Ognuno la sua, testa bassa e via andare!
Per esempio, provate a pensare a cosa resterebbe si un
mafioso criminale come don verzè, se ogni cittadino sano di questa miserabile Italia,
riuscisse ad immaginare di avere un cancro, ricordando la storia recente del
governo mafioso che precedeva l’attuale governo del curatore fallimentare …
“Un giorno mi chiamò berlusconi e mi disse: fammi vivere
fino a 150 anni …” Il neo Gesù Cristo in croce si mise subito al lavoro e partorì
il progetto “Quo vadis”. Sulla carta una mega opera di cemento da spiaccicare
in Veneto per omaggiare Venezia (sic!) 550 mila metri d’estensione, micro chip
da inserire sotto pelle per rilevare qualunque anomalia, in modo che il
soggetto sotto controllo potesse essere richiamato alla base per ogni
alterazione organica – cacarella compresa. 150 anni, tuttavia, parvero troppi
anche a Don Gesù, che rassicurò il suo maggiore finanziatore, il tizio malato
mentale che qualcuno di voi delegò a governare la penisola della burletta, e
con un impeto di onestà a mo’ di parabola ei disse: “150 no, ma 120 te li
garantisco.”
Non dico che dobbiate avercelo davvero un cancrino, basta
che vi concentriate un momento: un giorno qualcuno vi dice di correre da un
medico italiano, in un qualunque ospedale pubblico italiano, perché le vostre
cellule stanno impazzendo. Non è difficile, provate!
Poi magari pensate che ad ogni taglio del bilancio dello
stato, la sanità veniva castigata. Che gli ospedali venivano chiusi, il
personale dimezzato e mal pagato, e su quel poco che restava – esternalizzato –
qualcuno rubava e si arricchiva. Pensate alla sanità pubblica che tardava nel
darvi il referto di una biopsia, che la corsa che avresti dovuto finire in un
mese invece è durata per sei. Poi magari
pensate che ad ogni taglio del bilancio dello stato, la sanità veniva castigata
ma i finanziamenti per don verzè, Gesù Cristo reloaded e il progetto
vannamarchiano del Quo Vadis, lievitavano sempre di più, mascherati a volte da
altro.
E così, ogni volta che si sta a cena con gli amici, ritorna
sempre quella domanda, sulla ribellione, sulla rivoluzione, e io nemmeno
rispondo più. Forse perché so che ci hanno tolto anche la fantasia, e la realtà
ci basta e ci avanza. Non si può certo pretendere di far affidamento all’immaginazione,
non si può pretendere che tutti si sappia cos’è avere un cancro quando non hai
le tasche piene, o quando non hai la fortuna di vivere in una delle oasi felici
– sempre meno – di questo paese in dissesto. Come non si può pensare davvero
che si possa immaginare cosa significhi essere schiavi, onesti in un mondo di
ladri, rigorosi in un paese approssimativo e inetto devastato da psicolabili e
malfattori.
Se ci fosse rimasta un po’ di fantasia, se avessimo la
faccia piena degli schiaffi nostri e altrui, noi staremmo per strada a compiere
rastrellamenti e linciaggi sulla pubblica piazza. E forse con noi ci starebbe
anche un Gesù … uno come quello che dicono fosse andato a sbarazzare il tempio.
Ma anche quest’idea pare vannamarchiana, ahimè!
Rita Pani (APOLIDE)
12.02.2011
Vietato dire profilattico, meglio goldone
Torno un attimo indietro nella storia d’Italia, quella
recente e ridicola. C’era un quadro nella sala stampa di Palazzo Chigi, “La
verità svelata” del Tiepolo che mostrava una tetta, piccola e rotonda. L’ex
tizio del consiglio, quello più sobrio, austero e probo degli ultimi 150 anni
ordinò che un imbianchino mettesse mano al Tiepolo per coprire la tetta. Quale
imbarazzo – si disse – avrebbe potuto creare alle ministre che sedevano al
tavolo per spiegare ai cittadini le novità del governo.
Mi torna in mente questo episodio ogni volta che mi ritrovo
dinnanzi all’ipocrisia moralista di uno stato improbabile come questo in cui
nostro malgrado viviamo. Spiegarne i motivi temo sarebbe un insulto all’intelligenza
di chiunque legga questo mio scritto, anche se poi, considerato che qualche
leghista – per esempio – legge, mi sento in dovere di ricordare che a voler
celare la piccola tetta, fu l’utilizzatore finale di bambine con le tette
gonfiate di silicone già dalla più tenera età.
E ci risiamo! Nella giornata mondiale contro l’AIDS, con una
circolare interna alla RAI è fatto divieto di pronunciare la parola “profilattico”,
e pare che l’ordine perentorio arrivi niente meno che dal ministero della
salute e della sana e robusta costituzione.
Di AIDS non si parla più in Italia, e risulta persino che
nonostante i 150 mila casi ancora presenti (gli altri col tempo si sono estinti
per morte) i ragazzi più giovani, nell’età più pericolosa ossia quella che
potrebbe portarli “alla perdizione” con l’attività sessuale, non sappiano
nemmeno cosa sia.
In Italia resta proibito pronunciare la parola profilattico
o preservativo, per la rigida morale cattolica che ne proibisce l’uso, in
quanto secondo legge, ogni buon cattolico che si rispetti e che aneli ad
assurgere al cospetto di Dio col candore dell’anima, deve accoppiarsi solo a
fini riproduttivi. Per la chiesa cattolica è peccato mortale usare il
preservativo, anche quando si violentano i bambini. La chiesa cattolica
benedice tutti coloro che a modo loro trasmettono il Verbo, e insegnano al
gregge le regole della morigeratezza cattolica. Immagino quale soddisfazione
del Papa, quando la D’Addario disse che l’ex tizio suo cliente non usava
preservativo, o quando si seppe che l’altro ultra cattolico, bertolaso senza
preservativo si faceva fare i massaggi per la cervicale.
Copio: «Carissimi,
segnalo che nelle ultime ore il ministero ha ribadito che in nessun intervento
deve essere nominato esplicitamente il profilattico; bisogna limitarsi al
concetto generico di prevenzione nei comportamenti sessuali e alla necessità di
sottoporsi al test Hiv in caso di potenziale rischio. Se potete, sottolineate
questo concetto».
Ma sì, tanto pare che l’HIV non sia più un problema, anche
se a guardar bene la feccia che gira, di vecchi bavosi e rincoglioniti, forse
sarebbe tempo di preoccuparsi per un ritorno della sifilide. Che pure quello,
dicevano fosse un castigo di Dio.
Rita Pani (APOLIDE)
12.01.2011
Ligi alle leggi
Spumante nel
trolley, ma passa lo stesso Rusconi mostra la tessera: sono senatore
Il parlamentare del Pd glissa il blocco al check in di
Fiumicino. Poi si giustifica: «Quella bottiglia aveva un valore affettivo»
Posso capirlo, certe
persone con le proprie bottiglie, a volte arrivano ad instaurare delle vere e
proprie relazioni sentimentali. Depositarla nell’apposito cestino, avrebbe
potuto essere come abbandonare un amante sul ciglio di un’autostrada.
Tuttavia il problema non è
il senatore, ma al solito il vizio tutto italiota di non saper imporre la
propria autorità con i “più forti”. Facile, dopo, raccontare ai giornali che il
senatore ha mostrato il tesserino, molto più difficile smettere di fare la
vittima diventando carnefice e senza colpo ferire. Bastava fare il proprio
dovere, e spiegare al senatore che in uno stato democratico “la legge è uguale
per tutti”.
Perché se non è la nostra
testa a cambiare per prima, è inutile continuare a segnalare abusi e soprusi,
disparità e privilegi. Anche se comunque resta comodo farlo. Fino a che avremo
da piangere non dovremo fare i conti con noi stessi.
Vorrei dirlo a quel deficiente
che una decina di giorni fa, nell’apposito cestino, mi ha fatto depositare una
bottiglia di Saugella, e al quale ho dovuto mostrare una prescrizione medica
per giustificare il trasporto di medicinali. Il Saugella in effetti non era
prescritto, ma solo consigliato, e per chi è ligio al proprio dovere, le parole
fanno differenza.
Rita Pani (APOLIDE)