5.01.2010

 

Sunti viola … (Il personale è politico.)


Viola. Arancione. Verde. Pensavo d’essere troppo condizionata dal rosso che mi tatua la pelle e quindi mi sono messa da parte, per un momento, e ho voluto guardare oltre abbandonando il pregiudizio. Sono stata, ho guardato, visto, ascoltato e compreso, conosciuto. Son tornata con molte risposte e un altro dubbio: “ma non sarà che anche dietro i viola ci sta sempre la stessa multinazionale americana delle rivoluzioni?”

Un dubbio retorico e una domanda che ferità molto chi si ritrova nel (non) progetto non politico dei viola, e per questo mi corre l’obbligo della precisazione: il popolo viola esiste, è il viola a non esistere.

Ho toccato con mano “il popolo”, ne ho colto le istanze, ne ho condiviso i timori e le urgenze. Ne ho fatto parte e non solo per questi due giorni, intensi e bellissimi; ne faccio parte da sempre, del popolo, e di quello sardo in particolar modo. Ho provato molta tristezza rendendomi conto che è così forte il bisogno di cambiare questo stato di cose nel quale siamo obbligati, nostro malgrado, a vivere che in tanti e così meritoriamente motivati, si siano lasciati abbindolare dalla promessa colorata messa in atto da un’entità che non esiste.

Penso alle persone che con tanta fatica e impegno hanno lavorato per dar vita ad un nuovo modo di incontrarsi, di discutere, di confrontarsi e di ritrovarsi. Penso alla buona fede che “il popolo” nonostante tutto, continua a mantenere nei confronti di un colore che è poco meno di un gadget, forse peggiore del saio di una setta, se non uguale. Lo scopo della setta, quasi sempre, è quella di far vivere bene il santone. Penso che lo scopo della multinazionale delle rivoluzioni colorate, sia quello di prendere ancor più potere di quanto non ne abbia già.

È come se il disegno reale fosse quello di tenerlo ancor più allo sbando, il popolo. Sfruttarlo più di quanto non lo sia già donandogli una parvenza di ribellione ed esistenza che alla fine lo terrà, semmai, ancor più incatenato. Le mille anime lavorano, organizzano, pensano e si domandano, fino ad aver la voglia di cercare le risposte, di stilare un progetto politico aperto e condivisibile, per essere poi cancellati e messi all’angolo da un viola che pare avere più mezzi di quanti non ne abbia un piccolo partito corazzato.

Sono, in fondo, i danni e gli effetti di sedici anni di berlusconismo, della barbarie che ha insegnato “al popolo” che la politica è una montagnola di cacca dalla quale stare lontano, che i partiti son tutti uguali. Eppure, come non sgranare gli occhi, quando appena dopo la lettura del progetto politico, (quello vero e condivisibile) salta su un tale che proprio come il tizio, ti dice: “berlusconi ci fa schifo … non siamo di destra, non siamo di sinistra, siamo nuovi”?

Ho visto lo sguardo degli organizzatori (quel popolo vero) spegnersi, ho riconosciuto quello sguardo che fin troppo spesso mi è toccato avere, davanti alla delusione, quando in un attimo cambia la visione del sogno e tristemente si torna alla realtà. Ho assistito allo sperpero delle energie, delle buone occasioni di cui veramente la politica (e non un colore) avrebbe bisogno; e soprattutto della forza con la quale ancora qualcuno è disposto a credere che un cambiamento, e un ritorno alla civiltà, sia possibile.

Sono comunque molto grata per quello che ho imparato, ossia che non siamo pochi a voler ridare dignità al popolo, e forse un giorno sarà davvero il popolo a riprendersela, senza il colore – od ognuno col suo - ma con la sola forza della coscienza. E nemmeno quel giorno, saremo nuovi, perché non ci saremo inventati proprio nulla: si chiamerà Resistenza.

Rita Pani (APOLIDE ROSSA)

(Un grazie particolare a chi mi ha accolto, ai compagni trovati e ri-trovati, a chi ancora si sa annusare)


Comments:
Parole colme d'amarezza, più che comprensibili specialmente se si è sulla via del tramontare prossimo venturo.Un tramontare di qualcosa che è allo stesso tempo nostro e altrui, di un altrui che vorremo in qualche modo coagulare dentro un'ampolla rossa.
Parlare di buona fede, di toccare con mano il popolo, in qualche modo mi fa respirare la distanza dalle cose, quelle cose evocate nella frase tratta da una canzone di De André/De Gregori che diceva: "Potevo assumere un cannibale al giorno per farmi insegnare la mia distanza dalle stelle." La canzone aveva un titolo, come tutte le cose che vogliamo conservare e alle quali diamo importanza, e questo titolo era, appunto, "Amico fragile".
Comprendo così, attraverso questi miei personali accostamenti arbitrari, la fragilità dell'Essere quel che è, anche in cerca di qualcosa di solido che invece è rosso e liquido e può essere sangue o un probabile inganno come per il feticcio di San Gennaro, feticcio al quale però il popolo volge la propria speranza e il proprio pensiero magico.
Comprendo e accolgo come quasi mio (ma con rispetto per il tuo) questo dolore sincero per una perdita, non di identità ma di corrispondenza a qualcosa che sembra non essere più la stessa cosa di prima.
E che se qualcosa è andato perduto l'incolpevole è qui, siamo noi.
Anche se in fondo sappiamo che non esiste l'innocenza, l'abbiamo perduta tutti quanti molto tempo fa, da qualche parte nelle nostre vite, nelle nostre rinunce o quiescenze.
E nel sentirci "parte di", in qualche modo ci siamo assunti le responsabilità collettive senza averne piena coscienza. E le colpe dei figli ricadono sui padri in un capovolgimento logico e conseguenziale dal quale non possiamo sfuggire se non scrivendo queste parole.
Non ci stancheremo mai di narrare questa lunga filiera di sentimenti e azioni mancate o di memorie dei fatti ai quali abbiamo contribuito in gioventù o comunque qualche tempo fa. Lo leggo nelle tue parole, purtroppo, e mi sembrano così familiari e comuni e collettive e condivise... eppure siamo tutti così, sparsi su una piazza che sembra un delirio metafisico di De Chirico. Una piazza vuota, piena di fantasmi.
Ma noi siamo fuori dal quadro e forse è questo che ci salva dall'immobilità del tratto pittorico, della descrizione che abbiamo tracciato su una pagina che ho colto, per caso, navigando in cerca di parole.
Che dire?
C'è molto da dire ma vorrei anche ricordare a me stesso che sono solo "Uno" come ciascuno lo è e il popolo non esiste, né quello della libertà né quello della povertà, nel quello della rivoluzione, né quello dell'indifferenza. Perché siamo tutti uguali nella diversità e tutti diversi nella similitudine di un chiasmo che, anche se ripetuto all'infinito, non spiega la natura della gente perché la gente è fatta da singoli mossi da concatenazioni naturali spiegabili da antropologia e psicologia delle masse fin che si vuole ma poi, alla fine di tutto, siamo soli e unici anche nel colore, malgrado il colore. Siamo tutti "amici fragili". E i cannibali siamo noi solo che lo abbiamo dimenticato.
Ma anche questo è un modo per non dimenticare.
Buon appetito, dunque.
Ma con affettuosa autoironia.
 
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