8.16.2006

 

Partenze intelligenti

Una delle poche sicurezze offertemi da un tipico contratto atipico, ovvero a tempo determinato, è che da una certa data sarò disoccupato a tempo indeterminato. Siccome questo governo sembra interessarsi molto a particolari categorie piuttosto che risolvere i problemi generali, non essendo io omosessuale, non potendo annoverarmi tra le schiere degli extracomunitari, non potendo fregiarmi del titolo (un capolavoro di terminologia) di donna mamma e non rientrando più nei limiti di età per essere gggiovane, stavo pensando di creare un’apposita categoria per avere un’opportunità di attenzione da parte degli organi competenti: adesso sono indeciso se definirmi “diversamente gggiovane” oppure “annualmente svantaggiato”.
L’oroscopo del mese, sotto forma di estratto conto, recita testualmente: “La prossima Scadenza del Contratto, in sfavorevole congiuntura all’Assenza di Giorni Feriali Retribuiti e al concomitante transito dello Stipendio nella costellazione dei Debiti, non Vi consentirà di andare in vacanza. La vostra sensazione di malessere sarà amplificata dal perdurare del negativo influsso del Grande Buco Nero delle Spese Quotidiane che sosta nelle immediate vicinanze dei Vostri Scarsi Risparmi. Riceverete una bolletta.”
Pazienza, mi sono detto: non potendomi permettere di andare all’estero, andrò all’est. Ho cercato anche consolazione nel recitare la consueta litania del “d’altra parte il nostro Paese è così bello e ricco di arte che anche una piccola gita fuori porta può appagare lo spirito e ristorare il fisico...”
Certo, certo. Sono uscito di casa ancora poco convinto e immancabilmente ho incontrato l’ominide che mi ha domandato: “E perché fuori porta? La conosci la tua città?” Poco, invero, ma se è per questo anche del contenuto del mio frigorifero ne ho solo una vaga percezione.
Dopo questo piccolo contrattempo, con due amici ci siamo diretti sulla strada che porta a Picchiaduro sul Tamburo, mèta della nostra gita. Una volta qui giunti è d’obbligo, prima di ogni altra cosa, ammirare l’imponente bellezza della basilica di San Giovese al cui interno si resta incantati dagli affreschi del Tavernello, un artista più propenso all’acquavite che all’acquarello, ma capace di impressionare con la sua opera anche Goethe, come testimonia un’antica lapide posta a imperitura memoria: “Qui Goethe, l'illustre poeta, sostò a rimirar la magnificenza de lo colore e de le forme gentili, rimanendo sì colpito da queste tanto da esclamare “Minchia!” che in la alemanna lingua ha significanza di manifestare grande stupore et maraviglia”.
Proseguendo nella visita del borgo, percorrendo caratteristici vicoli e traversando incantevoli piazze siamo arrivati al Palazzo del duca Setti Sforzi Glielafai, una fortezza del XIV secolo il cui ingresso è impreziosito dal maestoso portale igneo intarsiato da Olof Ichea. Una targa marmorea murata a lato del portale informa che persino l'eccellente letterato Goethe fu talmente sconvolto dall’opera dell’insigne maestro scandinavo, da rimanere quasi senza parole e riuscendo solo a pronunciare: “Sta minchia!”, un’espressione idiomatica tedesca, difficilmente traducibile alla lettera e che si avvicina al nostro “che bello!” ma con più enfasi.
Altro luogo che non si può far a meno di visitare è lo spettacolare Ponte Ponenteponteppì che offre una veduta panoramica della valle del fiume Tamburo, ormai purtroppo in secca. Alto un bel po’, lungo una cifra e forse anche qualcosa di più, offerse motivo di riflessione addirittura all’eminente scienziato Goethe che, come tramanda un’iscrizione, nel passeggiarci sopra, una volta giunto nel mezzo, si sporse dal parapetto e vomitò copiosamente. L’iscrizione dice anche che nell’occasione Goethe ebbe a esclamare “Oh, minchia!” frase che nel dialetto germanico del tempo esprimeva un’imbarazzata richiesta di perdono per un malore dovuto a violento manifestarsi di vertigini.
Alla fine del giro turistico, abbiamo deciso di rifocillarci in loco recandoci in un’antica caratteristica trattoria che, come pubblicizzato da un’insegna all’entrata del locale, a suo tempo aveva ospitato anche Goethe tra i suoi avventori; è specificato anche che il chiarissimo filosofo tedesco, dopo aver mangiato uno striminzito piatto di strozzapreti alla Giordano Bruno e una salsiccia alla brace, alla vista del conto diventò paonazzo e esclamò: “E che minchia!” a rimarcare nel suo gergo il lieve disappunto per una richiesta giudicata un po’ troppo esosa rispetto alla qualità e all’abbondanza delle pietanze.
Siamo quindi rientrati alle nostre case un po’ più stanchi ma molto più ricchi di Storia e di Arte.
Durante il tragitto di ritorno siamo stati sorpassati una Mercedes il cui conducente ci ha intimato con marcato accento teutonico: “E spostatevi, minchia!”
Sono quasi sicuro che era Goethe.

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