11.24.2005

 

Fame e denutrizione

Questa estate da casa sua vedeva passare molte barche e barche da ricchi! Soprattutto stiamo tutti bene, in questo paese dove persino i bambini hanno minimo due cellulari a testa. E’ solo per malanimo che i pensionati vanno sugli autobus o sulle metro a calunniare il premier che, unico nella storia d’Italia ha abbassato le tasse.

Detto questo, io ho voglia di cambiare registro, perché a parlare siamo buoni tutti e a scrivere di più. Il blog ci aiuta molto ad indossare gli abiti delle opinioni corrette o discutibili, a volte decorate da rigurgiti di presunta umanità, ma per me il tempo delle parole sta scemando come la primavera che volge al termine quando le prime foglie gialle scivolano frusciando sui marciapiedi.

Non si tratta più di parlare tra noi che sappiamo ascoltare, si tratta ora di tirare su la testa e prepararci ad indossare scarpe comode. Restare rinchiusi in un ghetto fatto di blog equivale ad essere passivi ed accettare comunque qualunque tipo di sopruso, seppure in modo dignitoso.

Non riesco a comprendere perché, sebbene siano chiari a tutti i pericoli incombenti per la nostra società, ci sia così poca reazione attiva da parte nostra, e quando dico nostra parlo di persone come me arrivate ai quaranta passando per le lotte che ci fecero sentire importanti e soprattutto necessari.
Non ricordo quando scrissi che “la fame” si sarebbe presentata ai nostri occhi, e per fame non intendevo un eufemismo per edulcorare il concetto, per fame intendevo proprio fame, simile a quella che colpisce i paese africani. Oggi la fame si manifesta nel paese delle barche e del doppio cellulare, in un bambino denutrito di Gela, la cui madre, pur lavorando dignitosamente quando ne avesse avuto l’occasione, non ha potuto alimentarlo. I servizi sociali del comune ( e sono tanti in Italia) non hanno fondi per poterla aiutare. C’è voluta la voce di un Prete, uno vero, forse affrancato dalle battaglie di una Chiesa intenta a combattere demoni come l’omosessualità e l’aborto, per dire all’Italia che lo spettro della fame è entrato a casa nostra. Che piaccia o no a chi non vuol sentire, la diminuzione della pressione fiscale ai ricchi signori di questo povero paese è uno dei motivi fondamentali dei tagli ai comuni e alle regioni, e di conseguenza della denutrizione di un bambino che, ricoverato in ospedale non deve mangiare carne, perché il suo organismo non ci è abituato.
E’ il periodo della devolution, quella strana cosa che il governo ha approvato, approvandone un attimo dopo l’abrogazione per referendum popolare, che dovrebbe portare ad una sorta di indipendenza economica delle regioni, e a quel punto saranno troppe le Gela d’Italia, in Calabria, in Basilicata, in Campania, in Puglia, in Abruzzo, in Molise, in Sardegna.
Nella regione della barche e di Punta Lada, dove affacciano le finestre del sazio da Arcore, in effetti Gela esiste già da almeno un decennio, radicata in una parte oscura di una società estinta: la razza metalmeccanica. Undici mesi di vertenza silenziosa che si concluderà il 2 dicembre a Roma, in una manifestazione che nessuno vedrà, che non sarà trasmessa in diretta TV, e della quale nessuno parlerà, sebbene segnerà la fine del comparto industriale in Sardegna, rendendo denutrite migliaia di famiglie già poco alimentate.
Così sembra che, nei giovani del sud si sia ridestata la voglia di Patria, almeno è quello che affermano i giornali; salgono alle stelle le firme dei militari volontari. Come negli anni cinquanta, quando bastava la quinta elementare per arruolarsi nei Carabinieri o nella Polizia. No, non è voglia di Patria, e solo paura della fame.
Nelle ultime ore, questo paese capace di abbassare la pressione fiscale ai ricchi, ha approvato altre due norme che daranno una grossa mano all’anoressia: la finanziaria che taglia ancora i fondi per lo stato sociale e la scuola e la riforma del TFR, che andrà a rimpinguare le tasche dell’assicuratore mediolanum di Arcore.
Noi intanto continuiamo a parlare…
Rita Pani (APOLIDE)

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